A scuola di sopravvivenza dagli studenti fuori sede UniMe. Il lungo “calvario” alla ricerca di una casa “ai limiti della normalità”

 

La vita da studente fuorisede non è fatta solo di mercoledì universitari in cui ci si ubriaca nel locale di turno, sessioni d’esame infinite e ordini su Glovo agli orari più impensabili.

Ph: Alessandra Cutrupia

Dietro le quinte di questo teatro di stress e divertimento è presente un retroscena di difficoltà e fatica, soprattutto nel momento in cui bisogna trovare una casa quanto più possibile dignitosa in cui trasferirsi. Del resto, ognuno prova ad assecondare le proprie esigenze quando cerca un alloggio in affitto. C’è chi non rinuncia alla comodità del wifi, chi si accontenta di una camera doppia o chi, come me, non sopporta il freddo ed è alla ricerca di una stanza provvista di termosifoni.

Grazie a numerose testimonianze raccolte attraverso una serie di interviste a studenti UniMe fuorisede sono giunta ad una conclusione: più che di “esigenze personali” si tratta di una vera e propria questione di sopravvivenza, di esperienze di ragazzi sul filo del rasoio tra rincaro dei prezzi, “innumerevoli disagi” e affittuari con comportamenti molto spesso discutibili.

La prima testimonianza è quella di Luca e Marco, alle prese con un forno da “brividi” e gli annunci sessisti:

Non abbiamo riscontrato problemi irrisolvibili in casa, direi piuttosto che ci sono alcune trovate buffe. Ad esempio gli stipetti della cucina nascondevano gli stickers delle winx al loro interno.

I graffiti poi sono il punto forte della casa! In corridoio abbiamo una raffigurazione dell’albero della vita fatta da qualche inquilino precedente.

Forse uno dei punti deboli dell’alloggio è il forno a gas. Per un periodo non lo abbiamo utilizzato essendo abituati al forno elettrico.

Purtroppo il proprietario non ha sopperito alla mancanza di un forno nuovo con un microonde o un fornetto perciò abbiamo imparato ad utilizzare il forno a gas. Potrebbe esplodere da un momento all’altro ma a noi piace il brivido.

Tutto sommato non ci possiamo lamentare della casa in cui attualmente abitiamo, abbiamo appena rinnovato il contratto ma trovarla è stata una faticaccia. Non c’è molta possibilità per gli uomini di affittare una stanza, tutti gli annunci sono rivolti alle donne.

Giungiamo all’esperienza di Alice:

Ho trascorso due mesi cercando case in affitto a Messina. Ho visto annunci veramente inappropriati.

“Affittasi a studentesse tra i 18 e i 25 anni.” E se io ne avessi 26? Per quale ragione non potrei prendere in affitto quella stanza? Per non parlare dei proprietari che convivono nelle stesse case insieme agli inquilini!

Serena e Rebecca invece ci raccontano della loro privacy turbata:

il nostro proprietario ha dato una copia delle chiavi di casa ad ogni elettricista, imbianchino o idraulico che venisse a riparare qualcosa. Lo abbiamo scoperto una mattina, quando ci siamo ritrovate in casa il tecnico del wifi.

Se quanto scritto finora può sembrare accettabile, dalle parole di Laura si evince un sentimento di sfiducia nei confronti dei proprietari a causa delle gravi problematiche riscontrate: 

I miei sei anni da fuori sede a Messina sono stati un incubo. Il primo appartamento si allagava di continuo a causa delle tubature rotte. Nonostante avessimo firmato un contratto regolare, il proprietario voleva mandarci via di casa con l’accusa di essere state noi la causa della “distruzione” del suo appartamento.

La seconda casa invece era più grande e luminosa. Il disagio? La maggior parte di questi ampi spazi era occupata da effetti personali del locatore e perciò non riuscivo a mettere i miei vestiti nei cassetti.

La cosa peggiore però è stata la fuga di gas. Il cattivo odore lo attribuivamo ai tubi di scarico del lavandino, ma invece il problema era ben più grave.

Sono molti i sacrifici dei genitori che mandano i loro figli a studiare fuori. Ci si aspetterebbe che i proprietari trattassero con rispetto i ragazzi che pagano con il frutto di tanto lavoro un ambiente che, se non confortevole, dovrebbe essere quantomeno sicuro.

 

 Alessandra Cutrupia 

 * articolo pubblicato all’interno dell’inserto Noi Magazine di Gazzetta del Sud il 24/11/22

Regione Sicilia: contributo straordinario per studenti fuorisede

L’Assessorato Regionale dell’Istruzione ha approvato l’avviso 41/2021.

Gli studenti universitari e Afam siciliani fuorisede potranno presentare domanda per ricevere un contributo una tantum di 500 Euro.

Chi può presentare domanda?

Possono presentare la domanda:

  • studenti siciliani conduttori o co-conduttori di unità immobiliari ad uso residenziale o in alloggio in residenze universitarie,
  • fiscalmente a carico del proprio nucleo familiare di provenienza,
  • individuati come “fuori sede” ai sensi del D.L. 104/2020, convertito in L. 126/2020,
  • con contratto di locazione regolarmente registrato alla data del 28 febbraio 2020, anche per un periodo inferiore a dieci mesi, purché non inferiore a quattro mesi,
  • che non risultino fruitori alla stessa data di servizi abitativi erogati da ciascun Ente Regionale per il diritto allo Studio Universitario (E.R.S.U.)

Inoltre, si tratta di studenti che siano stati:

  • iscritti a corsi di laurea, laurea magistrale o a ciclo unico, master universitari e dottorati di ricerca
    presso università ed AFAM, con sede in Sicilia, nell’a.a. 2019/2020 fino al 1° anno fuori corso;

oppure

  •  laureandi nelle sessioni straordinarie dell’a.a. 2018/2019 (presso università ed AFAM, con sede in Sicilia) fino al 1° anno fuori corso.

Sono esclusi dal riconoscimento del contribuito:

  • gli studenti universitari non fiscalmente a carico dei nuclei familiari di provenienza;
  • fiscalmente a carico dei nuclei familiari di provenienza che rientrano nella massima fascia di reddito ai fini del calcolo delle tasse universitarie dell’Istituzione universitaria frequentata.

Documenti necessari per presentare la domanda

Chiunque volesse richiedere il contributo, dovrà compilare e trasmettere:

  • Domanda di partecipazione;
  • copia leggibile di un documento di riconoscimento in corso di validità;
  • modello ISEE valido per prestazioni per il Diritto Studio Universitario in corso di validità e/o presentate al momento dell’iscrizione A.A. 2019/2020 e prive di annotazioni relative a omissioni/difformità rilevate dall’Agenzia delle Entrate;
  • Contratto di locazione regolarmente registrato alla data del 28/02/2020.

Si ricorda che ai fini del riconoscimento del contributo, il valore dell’indicatore (ISEE) dovrà risultare inferiore al valore della massima fascia di reddito (ai fini del calcolo delle tasse universitarie), dell’Istituzione universitaria frequentata.

Scadenze da ricordare e procedura

Ai fini della partecipazione l’istanza per la concessione del contributo straordinario dovrà essere presentata esclusivamente tramite specifica procedura, disponibile online dalle ore 9:00 del 07 aprile 2021 alle ore 14:00 del 30 aprile 2021, nelle modalità di seguito indicate:

  • accedere all’applicazione internet resa disponibile nella pagina personale dei servizi “ersuonline” del portale studenti ERSUSICILIANI raggiungibile dal sito istituzionale www.ersusiciliani.it;
  • compilare i campi obbligatori del form;
  • confermare i dati inseriti;
  • premere il pulsante “Valida richiesta”, generare OTP e attendere SMS con codice per la validazione degli stessi (ATTENZIONE: il codice OTP sarà inviato al numero di cellulare indicato in fase di registrazione al portale studenti);
  • validare i dati inseriti nella richiesta benefici inserendo nell’apposito campo (entro 60 minuti dalla ricezione) il codice OTP ricevuto via SMS.

La concessione del contributo deve essere regolarizzata, caricando nella sezione “Fascicolo” presente nella pagina personale del portale dei servizi “ersuonline”, la seguente documentazione aggiuntiva:

  • copia fronte/retro del documento d’identità;
  • copia del contratto di locazione regolarmente registrato alla data del 28/02/2020;
  • copia documentazione attestante la situazione reddituale/patrimoniale solo per ISEE parificato;
  • altro (specificare).

Per regolarizzare la concessione del contributo, i richiedenti dovranno eseguire la seguente procedura entro e non oltre le ore 14:00 del 8 maggio 2021:

  • accedere all’applicazione internet resa disponibile nella pagina personale dei servizi “ersuonline”
    del portale studenti;
  • selezionare la voce “concessione del contributo straordinario “una tantum” nella misura
    forfettaria di € 500,00”;
  • scannerizzare i documenti sopra elencati in un unico file pdf della dimensione massima di 5MB;
  • caricare (upload) il suddetto file pdf.

Il soggetto richiedente riceverà sul proprio indirizzo di posta elettronica una conferma dell’avvenuta protocollazione entro 24. Nel caso in cui si compissero errori, la domanda già inoltrata entro i termini e con le modalità sopra descritti, potrà essere annullata ripetendo tutta la procedura. L’ultima istanza sarà quella ritenuta valida ai fini dell’ammissione alla fase di istruttoria.

Servizio di assistenza

L’assistenza tecnica e le risposte ai quesiti inviati per e-mail saranno garantite fino alle ore 13:00 del 30 aprile 2021.

Graduatoria

La graduatoria sarà pubblicata entro il 30/05/2021.

La concessione del contributo economico straordinario sarà formulata sulla base di un’unica graduatoria, elaborata in ordine crescente del valore ISEE dichiarato.

A parità di requisiti economici l’età minore costituisce titolo preferenziale. Il contributo sarà attribuito prioritariamente a tutti i richiedenti con disabilità in condizioni di gravità, di cui all’art. 3 comma 3 della L. 104/92 o con invalidità non inferiore al 66%.

Per maggiori informazioni clicca qui.

Livio Milazzo

“Per gli studenti fuorisede questa situazione è drammatica”. La nota dell’Associazione Gea Universitas

Riceviamo e pubblichiamo una nota diramata dall’Associazione Gea Universitas sulla condizione degli studenti fuori sede durante la pandemia.

Dall’entrata in vigore del decreto governativo dell’10 marzo 2020, tutte le attività didattiche sono state sospese”, ha annunciato quasi un mese fa il Premier Giuseppe Conte.
Per via della crescita esponenziale dei contagi, l’Italia è stata dichiarata “zona rossa”. Stop agli spostamenti e blocco di ogni manifestazione, chiusura delle aziende preposte alla produzioni di beni, non considerati di primaria importanza, sospensione delle attività didattiche nelle Scuole e nelle Università.

Sorge spontaneo, in un contesto drammatico come quello che stiamo vivendo negli ultimi giorni, pensare alle migliaia di studenti fuori sede che hanno fatto rientro nelle loro abitazioni, abbandonando tutti gli appartamenti situati nelle città dove frequentano i corsi di laurea d’appartenenza.
Quasi uno studente universitario su tre, sceglie di frequentare un ateneo fuori sede, cioè situato fuori dalla città di residenza, da ciò possiamo dedurre che una fascia prospicua della popolazione studentesca sia costituita per l’appunto da studenti fuorisede.

All’interno delle molte famiglie italiane, genitori e studenti, non hanno più la possibilità di poter lavorare o di avere uno stipendio fisso, come lo era nei mesi precedenti. E far fronte ad ulteriori spese, anche se minime, sta diventando un macigno troppo pesante da poter affrontare e sopportare.
“Nella realtà Messinese, molti sono gli studenti fuori sede provenienti dalle Province Siciliane e Calabresi, e ad oggi, in quanto studentessa fuori sede, sto riscontrando tutte le problematiche a cui siamo stati sottoposti, in un frangente drammatico come questo – ha sottolineato Federica Maria Sacco, studentessa fuori sede e coordinatrice dell’Associazione Gea Universitasmolte sono le famiglie e gli studenti che dall’oggi al domani, si ritrovano a non poter più incassare lo stipendio. Famiglie che già facevano sacrifici enormi per poter mantenere gli studi dei propri figli fuori città. Così, migliaia di studenti come me, stanno provando in questi giorni a dar rilievo alla realtà giovanile in cui ci troviamo, tramite petizioni o articoli di giornale, ma nel nostro piccolo stiamo cercando di dare un contributo alla Voce di un’intera popolazione studentesca. Ovviamente tenendo conto anche delle esigenze dei vari locatori“.

Il Governo Italiano, per far fronte a tale emergenza sanitaria, ha adottato misure straordinarie. Nel Decreto “Cura Italia”, sono state introdotte misure di potenziamento del servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per lavoratori, famiglie e imprese. Ma ad oggi, nessuna misura è in grado di tutelare i diritti degli studenti fuorisede, ancora ad oggi non è una tematica ritenuta di così considerevole importanza, da trovarvi una soluzione.
Noi studenti continueremo a farci sentire- conclude Federica– fin quando non vedremo la realizzazione di qualcosa di concreto“.

Studente messinese fuori sede nella zona rossa: “Ho deciso di restare”

Qualche ora prima dell’ultimo decreto, che ha istituito come “zona protetta” tutto il territorio italiano, abbiamo potuto parlare, via webcam, con un ex studente messinese che si trovava nella zona rossa, a Rimini. Ci ha raccontato come ha vissuto le ore successive alla diffusione ufficiosa del decreto che istituiva la “zona rossa”, ed il perché ha deciso di restare. Marco Gervasi, laureato presso l’Università di Messina in Management d’Impresa, dopo aver lavorato tra Londra, Italia e Africa, da settembre 2019 ha iniziato il Master of Science presso Alma Mater Studiorum di Bologna in “Resource economics and sustainable development” con sede a Rimini.

La sera stessa, quando è trapelata la bozza del decreto che avrebbe istituito le zone rosse di quarantena, centinaia di ragazzi fuori sede sono tornati nelle proprie città. Tu come hai vissuto quella sera?

Ho saputo del decreto da uno screenshot del decreto su whatsapp. Ero a cena con dei colleghi, ma da quel momento abbiamo solo iniziato a cercare notizie più attendibili. Poco dopo la bozza del nuovo decreto era su tutti i giornali e Rimini rientrava tra le “zone rosse”. Quella sera non siamo più usciti, eravamo tutti preoccupati e siamo rimasti a discutere della situazione. Ho informato immediatamente i miei genitori del fatto che, secondo quel decreto, non sarei potuto tornare a casa per un tempo indeterminato. Erano molto preoccupati, volevano assolutamente che tornassi così come stavano facendo in quel momento centinaia di altri ragazzi. Con i miei colleghi siciliani, nei giorni precedenti, avevamo anche pensato di affittare una macchina e di scendere con quella, per evitare di prendere mezzi pubblici. Dopo un momento difficile di dubbi sul da farsi, abbiamo deciso di rimanere. Ho avvertito i miei della mia decisione. Dopo diverse spiegazioni li ho convinti che quella fosse la scelta giusta per me, per loro e per tutti.

Sapevi che molti ragazzi stavano tornando, potevi farlo anche tu. Cosa ti ha spinto a rimanere?

Ho pensato ai miei spostamenti nelle ultime settimane. Ero stato a Milano tre settimane prima. Ero stato prevalentemente in ufficio per lavoro, ma avevo utilizzato la metro nelle ore di punta. Inoltre ero ripartito per Rimini poco prima Milano fosse dichiarata zona rossa. Tornato a Rimini ho limitato le uscite, le zone molto affollate, abbiamo seguito le lezioni online ma, non essendo ancora una zona a rischio e non essendovi contagiati, ho anche avuto una minima vita sociale. 

Quindi ero stato esposto ad un rischio, e per quanto fossi stato attento rimaneva una minima possibilità che fossi un portatore asintomatico. Ho pensato alla mia famiglia, ed ho capito che non potevo e non volevo metterli a rischio. Poi ho pensato a Messina, lì ci sono ancora pochi casi, perché aumentare il rischio? Chi torna ed osserva la quarantena, in realtà entra inevitabilmente a contatto con i propri genitori, fratelli o sorelle e corre il rischio di vanificare la sua reclusione. Le limitazioni imposte nella zona rossa sono tante, e alle difficoltà con cui ogni fuori sede convive quotidianamente se ne aggiungono altre. E’ molto pesante anche psicologicamente.

Foto di Marco Gervasi – Rimini

E per quanto riguarda i tuoi colleghi? Come vivono la situazione?

Gran parte degli studenti era già rientrata a casa nelle settimane precedenti, quando l’Università ha impedito le lezioni frontali e ha dato accesso a lezioni online. So che molti studenti sono partiti da qui la notte stessa della diffusione del decreto. Molti dei miei colleghi invece hanno deciso, come me, di non farlo. In particolare i colleghi tedeschi hanno deciso di restare perché credono che in Germania la situazione sia stata sottovalutata e che in Italia, nonostante il numero maggiore dei casi, le misure attuate siano molto più adeguate alla situazione. Hanno fiducia nelle nostre istituzioni e nel Sistema Sanitario Nazionale italiano.

Com’è cambiata Rimini da quando è diventata zona rossa?

Come ti dicevo, inizialmente abbiamo cercato di limitare le uscite, in biblioteca rispettavamo la distanza di almeno un posto l’uno dall’altro, non potevamo riunirci in aule studio per fare co-working ed anche le palestre avevano un numero limitato di posti. Da quando invece Rimini è nella zona rossa, la biblioteca è chiusa, così come le altre aule, palestre e piscine. Bar, ristoranti, locali chiudono alle 18. Al supermercato si entra a scaglioni, la fila alla cassa è lunghissima, dura ore e bisogna rispettare un metro di distanza l’uno dall’altro. Sono molto più numerose le pattuglie di Carabinieri e Polizia, soprattutto in prossimità della Stazione e dell’autostrada.

Foto di Marco Gervasi – Rimini

Come vivrai i prossimi giorni?

Sicuramente eviterò di uscire, ho fatto una spesa che spero mi possa garantire diversi giorni di autonomia. Ci pesa soprattutto il non poter studiare in biblioteca, che era un motivo di incontro oltre che di studio. Ovviamente spero che la situazione rientri entro Pasqua, così da poter tornare dalla mia famiglia e dai miei amici, però sappiamo ciò che stiamo facendo. Tutti possiamo rinunciare ad un caffè al bar o ad un aperitivo per un bene superiore, la salute collettiva. Siamo convinti che, nel nostro piccolo, questo sacrificio possa davvero essere utile a far rientrare la situazione in tutta Italia. Tutti possiamo farlo.

Antonio Nuccio

Giorgio La Pira: un messinese “fuorisede” del XX secolo

La città di Messina ha dato i natali a numerosi personaggi illustri che hanno fornito un contributo importante alla cultura italiana, come l’artista Antonello e il giurista, politico e rettore universitario Gaetano Martino. Altrettanto numerosa è la schiera di coloro che, seppur non siano nati nella città dello Stretto, hanno vissuto in essa una parte della propria vita, come ad esempio i poeti Giovanni Pascoli e Salvatore Quasimodo. Quest’ultimo era legato da una profonda amicizia ad un uomo che lasciato un segno indelebile nella storia politica dell’Italia repubblicana: Giorgio La Pira.

Giorgio La Pira (ultimo a destra) con tre suoi fratelli – Fonte: Giuseppe Miligi, Gli anni messinesi e le “parole di vita” di Giorgio La Pira

Biografia in breve

Nato a Pozzallo nel 1904, La Pira si laureò a Firenze in Giurisprudenza e a 29 anni divenne professore di Diritto Romano presso l’Università di Firenze. Nel capoluogo toscano fu eletto prima deputato dell’Assemblea Costituente nel 1946, poi deputato alla Camera nel 1948, e infine, per diverse volte, sindaco di Firenze, a partire dal 1950. Fu anche sottosegretario di Stato al Ministero del Lavoro. A Palazzo Montecitorio fu membro della Commissione per la Costituzione, in particolare della prima sottocommissione “Diritti e doveri dei cittadini”, che ha elaborato la Prima Parte della nostra Carta fondamentale. Sia da sindaco che da deputato si adoperò per la promozione della pace attraverso conferenze, incontri (i cosiddetti Colloqui mediterranei) e alcuni importanti viaggi che scaldarono l’opinione pubblica, come quello nell’U.R.S.S. nel 1958. In questa occasione, celebre fu la frase pronunciata davanti al Soviet Supremo: “c’è chi ha le bombe atomiche, io ho solo le bombe della preghiera”.

Donne e uomini promotori di pace come La Pira sarebbero fondamentali in un periodo di grande tensione internazionale come quello attuale, in cui i delicati equilibri andrebbero gestiti con lo stesso spirito di cooperazione del “Professore”. Dieci anni dopo la morte (1977) iniziò il processo di beatificazione di La Pira, che nel 2018 è stato dichiarato Venerabile da Papa Francesco.

Giorgio La Pira insieme ai cittadini di Firenze – Fonte: giorgiolapira.org

Gli anni messinesi

Passiamo ora in rassegna gli anni che La Pira visse, a partire dal 1914, a Messina, ospite dello zio Luigi Occhipinti. La formazione del giovane La Pira ha avuto una grande rilevanza nello sviluppo del pensiero e nel processo di crescita dello statista siciliano.

La città dello Stretto stava attraversando un periodo di rinascita in seguito al trauma del terremoto del 1908, ancora evidente dalla presenza di numerose baracche in cui viveva la maggior parte dei cittadini, tra i quali anche La Pira. Il trasferimento a Messina fu necessario poiché nella sua città d’origine non poteva dare seguito al suo talento spiccato nello studio, evidente negli anni in cui frequentò la scuola tecnica Antonello e l’istituto tecnico A.M. Jaci, nel quale fu uno dei migliori allievi, insieme al suo amico Salvatore Pugliatti. Questa grande attitudine agli studi sarà confermata successivamente anche nel percorso universitario, che lo vedrà laurearsi con il massimo dei voti e plauso della commissione.

L’Università di Messina ai tempi di La Pira. Egli vi frequentò i corsi della facoltà di Giurisprudenza dal 1922 a 1926; successivamente completò gli studi a Firenze. Fonte: Giuseppe Miligi, Gli anni messinesi e le “parole di vita” di Giorgio La Pira

Oltre allo studio scolastico e accademico, l’adolescente La Pira aiutava gli zii nel lavoro presso la tabaccheria di famiglia ed era membro della Società Letteraria Peloro. Grazie agli incontri della Peloro iniziò ad ampliare la propria cultura e a forgiare il proprio pensiero, inizialmente mutevole, contraddittorio e legato molto a fattori ambientali, come quello di qualsiasi altra persona che attraversa la turbolenta fase della giovinezza. In coerenza con l’attività dei propri amici abbracciò le idee futuriste e fu molto ispirato dalla figura del poeta Gabriele D’Annunzio.

Con il passare degli anni, però, si cristallizzò la sua identità cristiana, che trovò un’importante conferma nella Pasqua del 1924 (la cosiddetta “svolta cristiana”). La sua radicalità nella fede lo condusse a divenire nel 1925 terziario domenicano e a partecipare attivamente a vari movimenti giovanili cristiani. Anche lo zelo per la democrazia non fu sempre presente in La Pira, come testimoniano due scritti del 1922 in cui traspare il disprezzo per il parlamentarismo e la cultura positivista. Da un articolo del 1924 invece si evince un mutamento ideologico, causato dall’influenza degli studi giuridici e dalla lettura del filosofo Maurice Blondel, che lo portò ad abbracciare il concetto di democrazia e a rifiutare il concetto di popolo come materia grigia da plasmare, tipico dei totalitarismi.

Il palazzo in cui visse La Pira dal 1918 al 1926 – Fonte: Giuseppe Miligi, Gli anni messinesi e le “parole di vita” di Giorgio La Pira

Come tanti giovani messinesi dei nostri tempi anche Giorgio La Pira ha dovuto lasciare la città dello Stretto per altri lidi, che allora come oggi offrivano più opportunità. Nonostante questo, il legame con la città peloritana è stato sempre forte ed è ben espresso dalla sua celebre frase: “quando metto piede a Messina è come se non me ne fossi mai staccato!”.

La città di Messina ha intitolato a La Pira una scuola, situata a Camaro S. Luigi, e un tratto della Strada Statale 114, tra le località di San Filippo e Pistunina. Inoltre a lui è dedicata una lapide nel luogo (l’attuale Piazza Carducci, accanto al palazzo del Rettorato) in cui ha vissuto dal 1918 al 1926.

©Giulia Greco - La lapide dedicata a Giorgio La Pira in Piazza Carducci, Messina 2020   
©Giulia Greco – La lapide dedicata a Giorgio La Pira in Piazza Carducci, Messina 2020

  

 

  Mario Antonio Spiritosanto

 

 

Bibliografia

Giuseppe Miligi, Gli anni messinesi e le “parole di vita” di Giorgio La Pira, II edizione, 1995, Messina, Instilla Editore;

Luca Micelli, Giorgio La Pira. Un Profeta prestato, 2015, Todi(PG), Tau Editore;

http://giorgiolapira.org/it

Diario di una fuorisede superstar 2° parte

Penelope fissava le crepe sul soffitto.

Una luce tiepida entrava attraverso le persiane semichiuse della finestra.
Non sapeva che ore fossero, né riusciva a capirlo; potevano essere i minuti appena dopo l’alba, ma anche le prime ore di un pomeriggio nuvoloso.

Un rantolo improvviso e una porta aperta con forza la fecero ridestare.
“Che cavolo sta succedendo?” brontolò mettendosi a sedere.
Un ragazzo e una ragazza, finiti per terra, ridevano sghignazzando.
Penelope, per un attimo, non ricordò il nome della coinquilina; quello del ragazzo non lo memorizzò mai, anche perché quello fu l’ultimo loro incontro.
“Scusaci, ci era venuta fame..” iniziò Arianna continuando a star seduta sul pavimento.

Penelope la fissava senza batter ciglia, si sentiva stordita.
“E quindi?” domandò sbadigliando.
“Era rimasta solo una fetta di pizza. L’ultima” spiegò la coinquilina.
Penelope si alzò dal letto, superò i colleghi che non davano segno di voler alzare il proprio fondo schiena dal suo pavimento e uscì nel corridoio.
Laura stava passando la cera.

“Scusate ma che ore sono?” chiese Penelope.
“Le sei” rispose Laura, aspramente, prima di aggiungere “Ho ripulito quasi tutto il casino che avete fatto ieri, ma in cucina non entro; fate voi”.
Penelope era ancora in stato confusionale “Le sei di mattina o di pomeriggio?”.
Laura la osservò con disprezzo “Di pomeriggio Penny e comprati un orologio, ti prego”.
“Beh, grazie” rispose velocemente Penelope, dandole poca retta.

Si avviò verso la cucina, ignorando il ragazzo, a lei sconosciuto, dormiente sulla poltrona del corridoio, logora come quelle che si trovano sul ciglio della strada, accanto la spazzatura.

Era impossibile scorgere la superficie del tavolo da pranzo, era più che altro un accumulo di bottiglie vuote e cartoni unti, pieni di briciole.
In quell’istante si accorse che Arianna e il senza nome l’avevano seguita, come due zombie.
“Diamo una ripulita, veloce. Domani è il primo giorno di lezioni. Alle 9 devo essere in aula” cominciò Penny raccogliendo da terra una statuina di ceramica, mutila di alcune parti.
“Veramente, Penelope, hai appena perso il tuo primo giorno. Siamo in after dall’altro ieri” spiegò il compagno di Arianna; prima di allora, non aveva pronunciato una parola.
“Sarebbe stato meglio se avesse continuato a tacere” pensò Penny, seccamente.

                                                                                                                                                   Ilaria Piscioneri

Le 5 cose che mancano di più al messinese fuorisede

 

Conduce spesso una vita di stenti, ogni giorno affronta eroicamente l’integrazione in un mondo che non gli appartiene, il suo cuore batte alla vista del Pilone e la sua anima sussulta al pensiero dell’arrivo del pacco da giù: è lo studente fuorisede, o meglio, il messinese fuorisede.

Che tra Nord e Sud esistano delle differenze è cosa nota e, diciamocelo, non si tratta di stereotipi ma di dure realtà. Lo studente fuorisede vive ogni giorno sulla propria pelle questo incolmabile divario che separa Nord e Sud, gelida Polentonia e calda Terronia. E se fino a Napoli sembra ancora di avvertire una flebile aria di casa, dal Tevere in su non ci resta che piangere.

 

Sono certa che tutti voi abbiate un amico messinese fuorisede e sono altrettanto sicura del fatto che almeno una volta vi sia capitato di dover sopportare eventuali lamentele e piagnistei causati dalla nostalgia di casa. Perché mio caro buddace medio,  portavoce del motto “a Messina non c’è nenti”, sappi che ogni giorno, tra lo zallume e l’inciviltà, godi anche di tanti piaceri per cui il messinese fuorisede ti invidia dannatamente.

Ecco a voi le cinque cose di cui il nostro messinese fuorisede sente maggiormente la mancanza.

  1. Le braciole

Nessuno, eccetto i suoi conterranei, possono comprendere la necessità di gustare questo piatto almeno una volta a settimana. La sofferenza del fuorisede dovuta all’astinenza da braciole si acuisce ulteriormente nel momento in cui, pronunciato il nome indicante questo nettare degli dei, si rende conto che nessuno riesce a comprendere nemmeno di che cosa stia parlando. Perché no, non si tratta semplici “involtini di carne”, si chiamano “braciole”: adesso andate e diffondete il Verbo. State molto attenti a non pronunciare questo nome invano, il desiderio di braciole del messinese fuorisede è tale che sarebbe disposto persino a darvi un rene, pur di averne qualcuna in cambio.

  1. La granita

Sarebbe capace di mangiarla a colazione, pranzo, merenda, persino per cena. Una “menza ca’ panna” starebbe bene anche a fine pasto, così per digerire la caponatina di mamma. Stiamo parlando ovviamente di Granita, quella vera, con sapori e odori chiaramente percepibili, ben diversa dalla “gratta checca” che ogni buon messinese userebbe al massimo per fare l’ ice challenge a luglio. Nei suoi sogni più reconditi il messinese fuorisede immagina di accarezzare la sacra coppola della brioche e immergerla con la giusta grazia in un velo di panna. E fidatevi, la più grande dimostrazione d’affetto che possiate ricevere da un buddace non è una teglia di parmigiana né un chilo di salsiccia condita (sebbene siano sempre molto gradite). Stima e affetto insuperabili sono racchiusi in questa frase fortemente evocativa: “ti vogghiu beni comu a testa da brioscia”. Ditelo così “ti amo” al messinese fuorisede. Non riuscirebbe a trattenere la lacrimuccia.

  1. Il mare dello Stretto

Il messinese potrebbe anche spostarsi senza l’aiuto di google maps e della stella polare, ma non del suo mare. Lo stretto è un vero e proprio punto di riferimento. Non a caso, già alla vista delle sponde calabre, il fuorisede comincia a ritrovare il dovuto senso dell’orientamento e ha come la sensazione di tornare a respirare. Tra alte montagne e grigi palazzoni si sente infatti schiacciato, come fosse sul vecchio 79 direzione Faro alle ore 14 di un qualunque giorno scolastico. Solo la vista dello Stretto sarebbe capace di donargli quella stupenda sensazione di libertà, paragonabile solo a quella provata non appena sbottonati i pantaloni dopo il pranzo di Natale con i parenti.

  1. Il dialetto

Chiedere allo studente fuorisede di non parlare in dialetto sarebbe come chiedere alla nonna terrona di non dirti “stai sciupato” ogni qualvolta ti veda/senta (sì, perché anche il tono di voce rivela se non mangi). Non ce la fa, il suo cuore non può sopportare anche questo. Piuttosto chiedetegli di non parlare in italiano. Ricorrere a espressioni dialettali, specialmente in preda a momenti di ira o in (rarissimi) istanti di euforia, è una necessità, fa bene all’animo. E poi, amici/nemici polentoni, vi assicuriamo che la nostra amarezza nel constatare che non potete comprendere espressioni tanto profonde e potenti come “cuntari quantu u dui i coppi quannu a briscula è a spadi”, “semu chiù di cani brasi” o “camurria” supera di gran lunga il vostro sbigottimento nel sentirle pronunciare. Il fuorisede infatti si impegna moltissimo per fare in modo di esplicare al meglio il senso più profondo di questi vocaboli, ma ogni traduzione che si rispetti non potrà mai dirsi perfetta. Per cui al messinese fuorisede non resta che rassegnarsi, nessuno lassù al di fuori di se stesso potrà mai capirlo.

  1. Il clima tropicale

Il messinese è geneticamente formato per risiedere in ambienti caldi. Costringerlo a vivere in territori in cui si sfiorano soglie più basse dei 12 gradi sarebbe come chiedere a un orso polare di vivere all’Equatore. Non riesce a resistere, ha proprio difficoltà a sopravvivere. E se il fuorisede decidesse di fare il trasgressivo, indossando il giubbotto di pelle a novembre, ne pagherebbe immediatamente le conseguenze con un bel febbrone. Sembra quasi che le sue difese immunitarie vogliano urlargli “Imbecille, se vuoi fare lo splendido tornatene giù”. Così al fuorisede non resta che piangere al pensiero che nella sua città avrebbe potuto tranquillamente indossare maglietta a maniche corte e giacchetta leggera, giusto per zittire la mamma apprensiva. Può solo consolarsi con il calore del suo cuore, proveniente direttamente dalla sua Sicilia bedda.

Giusy Mantarro

Messina si dimette da città universitaria

Non è una novità, Messina dopo (soltanto) 470 anni ha ancora difficoltà a pensare come una città universitaria. Il sindaco Cateno De Luca, sta mantenendo fede al suo programma elettorale (almeno in questo) smantellando e risistemando l’Azienda Trasporti Messina

Si leggeva:

  • Liquidazione delle partecipate comunali (quindi anche ATM)
  • Riqualificazione professionale e ricollocazione in base alle risultanze del carico di lavoro
  • Eliminazione della linea tranviaria (sostituita da monorotaia “rialzata”)

Nel mese di ottobre, dalle idee si è passati ai fatti. Tra una domanda di dimissioni ed un comizio in piazza, il sindaco (che lavora come un treno) ha trovato il tempo per occuparsi del trasporto pubblico, stravolgendolo completamente.

Istituzione del sistema a pettine per il trasporto su gomma con inserimento dello shuttle (schuttle, sciattol)

La rivoluzione del trasporto messinese è iniziata con tante critiche (molte a priori), tanti problemi tecnici e non poche difficoltà nella comunicazione. Che la grammatica in ATM sia una delle cose che traballa di più lo sapevamo già (per questo vi rimando al nostro articolo My Cicero ed ATM, splendida combinazione. Peccato per la grammaticaTra SCHUTTLE e LEGGENDA, il sistema pensato per risolvere i problemi del trasporto pubblico ha dato numerosi disagi agli utenti ed ai guidatori, facendo tuonare i consiglieri comunali del M5S: “Categorico fallimento, senza se e senza ma”. Si accodano Filt Cgil e Uiltrasporti dopo aver constatato le riduzioni delle corse dello shuttle per carenza di personale autista: “Un bollettino di guerra che sancisce il fallimento del piano trasporti Atm che, aldilà delle denunce del sindacato, sta nelle proteste degli utenti inferociti che inveiscono contro il personale front line incolpevole , anzi esso stesso vittima della cattiva gestione di questi mesi”.

Insomma, i primi giorni sono stati un vero disastro. È vero che Roma non è stata costruita in un giorno, ma spesso non si capisce la ratio con cui vengono fatti proclami e provvedimenti da questa amministrazione. Non si capisce inoltre perché eliminare la possibilità di comprare direttamente sull’autobus il biglietto, senza aver prima comunicato adeguatamente la modifica ai cittadini.

Il progressivo smantellamento della linea tranviaria

Ce n’è per tutti i gusti. C’è chi lo vuole tenere, chi lo vuol togliere, chi lo vuole ma usando un percorso differente, chi lo vorrebbe sospeso per aria, chi lo vuole fucsia, chi sott’acqua, chi una mezza con panna e così via. Di certo è che questo destriero metallico che quotidianamente fa “le vasche” avanti indietro per la città non passa inosservato. Inaugurato nel 2003, il tram è utilizzatissimo dai cittadini, in particolar modo dagli studenti liceali ed universitari.

L’idea di De Luca è l’inserimento nel Masterplan di una spesa esosa per la dismissione del tram quando, sempre per parlare di ratio, sembrerebbe più logico spenderli per migliorare il servizio esistente. Con il supporto del ministero dei Trasporti infatti, si vorrebbe arrivare a girare una somma intorno ai 200 milioni di euro. Intanto a farne le spese sono gli universitari, ed il conto è salato. Nell’attesa di una dismissione in toto, il tram dal 14 ottobre non passa più la domenica, costringendo centinaia di studenti fuori sede ad arrangiarsi come possono fra colleghi motorizzati, taxi, shuttle fantasma ed i due inserti di base che la natura ci ha dato quali gli arti inferiori (pedi pedi).

Liquidazione dell’Azienda Trasporti Messina

Si è svolto ieri il confronto tra l’amministrazione ed i sindacati riguardo i numerosi provvedimenti presentati da De Luca, tra cui appunto quelli inerenti al futuro dell’ATM. Presenti al tavolo CISL, CISAL, ORSA ed UGL, assenti CGIL e UIL. Una riunione fiume, conclusasi intorno all’ 1:00, in cui sono state spese tantissime parole come: diritti, lavoratori, scivoli, prepensionamenti. Ciò che colpisce è stato l’utilizzo della parola studenti, pronunciata NEMMENO UNA VOLTA. 

Sorge spontaneo chiedersi: ma Messina è una città universitaria? Il comune sposa gli sforzi quotidiani della governance d’ateneo per rendere sempre più gettonata e performante l’Università di Messina? 
Al momento sembrerebbe di no. Nel frattempo in questa situazione di trambusto a Palazzo Zanca, sotto il chiacchiericcio e squillanti dichiarazioni, passano completamente inosservate le esigenze di più di 23mila studenti universitari (dati 2017/2018), di decine di associazioni universitarie, e migliaia di famiglie che, giorno dopo giorno vedono meno appetibile per la formazione dei figli una città così bella, che però non li vuole.

Alessio Gugliotta  

 

I 10 comandamenti del pacco da giù

Mi trovo con un piede in una zona ed un piede in un’altra. Sono ad uno stallo, anzi, per dirla alla Enrico Ruggeri, ad un bivio. Diciamo che sono un semi – fuori sede, anche se il termine è improprio, dato che molto spesso viaggio tra Messina e Roma in vista di un trasferimento universitario che mi porterà a finire il mio percorso accademico nella capitale. Ogni mese, praticamente, sto a Roma circa 15 giorni, abitando lì anche la mia ragazza finisco per unire vacanza e dovere, essendo necessario informarsi per bandi, corsi e case.
Ogni volta che prendo un intercity, però, un particolare fondamentale non mi abbandona mai. No, non il ritardo di Trenitalia. Il cibo. Quando parto mia madre e mia nonna mi riempiono di roba tipica siciliana, messinese e catanese (per metà il mio cuore è sotto l’etna), e finisco sempre per occupare 4 posti, il mio assegnato e gli altri tre attorno a me, perchè addosso, tra i bagagli, ho anche i pacchi di braciole, biscotti, panini, affettati, sottovuoto e salse varie, sia in discesa che in salita, sia chiaro, perchè la famiglia della mia fidanzata è originaria della riva giallorossa dello stretto.
Si perchè ragazzi, dai, la porchetta del porchettaro non puoi non portartela a casa in camion carichi, o le bombe o i cornetti di Centocelle non puoi mica lasciarli lì, in balia della sorte. Sei proprio costretto a portarteli dietro. Chiedete a chi viaggia per studiare quale sia la sua più grande attesa e mai vi risponderà “l’occasione per tornare a casa” ma sempre “il pacco da giù”. Sia questo spedito o riportato nella città “straniera” al momento del rientro, il pacco da giù è fondamentale, senza non ti riconoscono come terrone, che poi è proprio bello vantarsi di esserlo. Anche perchè dico, c’è tutto un modo per mandare questo sacro graal della degustazione, un iter da seguire, e quindi questo editoriale, più che un articolo, vuole essere un vademecum, i 10 comandamenti del pacco da giù.
1- Deve essere oleoso. Così tanto oleoso che i pacchi accanto con dentro le scarpe, nella stiva di trasporto, devono diventare melanzanine da mettere nel panino al volo
2 – Deve essere compatto. Siccome te lo manderà tua mamma o tua nonna, vuole essere sicura che niente si rompa, quindi si, all’esterno sembrerà una scatola comune, ma dentro sarà tipo stretto neanche contenesse un vaso di porcellana
3 – Lo scotch deve rigorosamente essere marrone, qualunque sia il colore del cartone. Quel nastro adesivo da cui non esce nulla, neanche i sensi di colpa di tua madre o tua nonna quando pensavano che potesse entrarci altro, ma altro non hanno messo
4 – Dentro nessun imballaggio, la sicurezza è data dalla sua importanza. Il pacco da giù non arriva, cade dal cielo, così, senza capire niente, è leggero, aureo, angelico, non viene consegnato, ma in modo nobile consegnato, non vi è timbro postale ma sigillo del regno delle due sicilie
5 – Le bottiglie di sugo non devono essere state imbottigliate da meno di 6 mesi. Sappiatelo mittenti, le bottiglie di pomodoro fatte tipo 1 mese prima non sono bottiglie di pomodoro, servono solo per lavare per terra
6 – Le brioscia. Tante. Sopra Messina non comprendono cosa significhi riempire una brioche di gelato o inzupparla nella granita, al nord, addirittura, il cornetto viene chiamato brioche…insomma, capite bene che servono sempre, come cibo, spugnette per il bagno se troppo morbide o pietro pomice se diventano troppo dure
7 – Deve necessariamente essere scritto con una scrittura di giù. Vengo e mi spiego: la scrittura di giù sul pacco porta scritto robe tipo “Mio nipote Claudio Panebianco, Viale degli Aranci, 18, Roma” o un “posta veloce”, scritto veramente a mano, esperienza reale, sullo scatolo, come se servisse veramente per farlo diventare Bolt
8 – Fondamentali le melanzane, senza non si fa la parmigiana, non si fa la pasta con le zucchine fritte, SENZA NON SI FA LA VITA
9 – Le braciole, le braciole come Dio comanda. Perchè a Roma, ragazzi, o in altri parti d’Italia, le braciole sono polpette. “Padre, perdonali, perchè non sanno quello che fanno”
10 – La salsiccia. A caddozzi. Niente roba strana da aprire per essere cotta sul barbecue, niente macinato, il puro caddozzo siciliano, sia condito o meno, ma che sia sosizza. Tanta da poterci fare una collana. Due collane. Due collane ed una sciarpa. Tanta da utilizzarla come bracciale
Il pacco da giù non si aspetta. Il pacco da giù si evoca, come una divinità, pregando ogni giorno rivolti verso il pilone.
Claudio Panebianco

Mio caro Sud

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È arrivato il momento.

Il momento di scriverti, di spiegarti perché ti ho lasciato.

Lo so, lo so, non ti ho nemmeno salutato per come si deve ma, sappi, che a Natale torno: ho comprato i biglietti qualche settimana fa e li custodisco gelosamente nel cassetto del comodino.

 

In aeroporto, con quella grossa valigia in mano, non avrei mai pensato che potessi mancarmi, anzi, mi entusiasmava poter scappare altrove.

Ed i primi giorni fui travolta dalla frenesia, dall’emozione di scoprire una nuova realtà.

Poi bastò un attimo: mi fermai al centro della piazza (come per capire dove io fossi davvero) e chiusi gli occhi: la salsedine…riuscii ad assaporarla; fra le dita scivolarono quasi invisibili i granelli di sabbia; poi la leggera brezza marina che nelle sere estive accarezza delicatamente il viso…potrei giurare di averla sentita davvero.

Dopo, qualche gocciolina mi bagnò il naso e fu allora che capii quanto mi mancavi: quando i miei occhi si svegliarono e si posarono su quel grigio cittadino, il mio cuore senza ombrello si bagnò di quella pioggerellina fredda.

 

Il sole, quassù, in questi mesi invernali, è un miraggio; la mattina è proprio questo che mi manca: scostare le tende della mia finestra e vedere un cielo limpido, senza questa nebbia piatta.

Sai cos’altro è brutto? Non vedo il mare, nemmeno in lontananza, e non riesco ad intravedere neanche le montagne. Attorno a me ci sono solo palazzi giganteschi, gente frenetica, turisti in ogni angolo ed il rumore della metro.

Quando sono nella mia stanza (che proprio “mia” ancora non la sento), penso sia paradossale nascere nella tua culla verde ed azzurra, per poi lasciarla abbandonata per chissà quale letto scomodo di una casa condivisa.

Leggendo tutte queste parole, penserai – “ Allora perché non sei rimasta da me?”- È una questione di opportunità, di aspettative, di lavoro; priorità per cui, adesso, mi ritrovo catapultata dalle tue braccia calde a quelle fredde di una terra che mi fa sperare in un futuro migliore.

E scusami se non sono in grado di aiutarti nel farmi restare, ma ho bisogno di guardare avanti, di andare oltre i limiti che tu mi hai imposto.

 

A presto, mio caro Sud.

 

Jessica Cardullo