Francia, un poliziotto ha ucciso un 17enne. Parigi in rivolta

Nahel era un adolescente che lavorava come pizza-boy e giocava a rugby; frequentava un college vicino alla sua residenza, con l’obiettivo di diventare elettricista.

Non è solo un tema statunitense quello che ha portato migliaia di francesi in piazza per contestare le forze dell’ordine, dopo l’uccisione del 17enne di origini nord-africane Nahel M. La tragedia è avvenuta mercoledì mattina verso le 8 e 15, a Nanterre, un sobborgo ad ovest di Parigi. Il giovane è stato colpito da un proiettile all’altezza del cuore, sparato da un poliziotto di 38 anni, durante un controllo mentre era alla guida.

La prima versione fornita dai poliziotti parla di un colpo partito per legittima difesa, visto che Nahel stava per travolgerli con la Mercedes gialla di cui era alla guida. Questa versione è stata smentita da un video circolato molto in questi giorni, nel quale si vedono i due poliziotti impegnati in una discussione apparentemente animata con il 17enne, (visto che uno dei due gli punta un’arma da fuoco da distanza ravvicinata) e dal quale appare palese che i due non fossero nella traiettoria della macchina.

La contestazione per l’omicidio si è tramutata in violenza, in molte città francesi

Ieri pomeriggio a Nanterre si è svolta una marcia pacifica con a capo la madre di Nahel, con l’obiettivo di ottenere giustizia. Tuttavia, questo episodio ha riportato a galla il difficile e conflittuale rapporto che c’è tra le forze dell’ordine francesi e gli abitanti delle periferie, che si sentono segretati dai prosperi centri urbani del Paese. L’avvocato della madre di Nahel, Yassine Bouzrou, ai microfoni della BBC ha denunciato la presenza di un sistema giudiziario e di una legge che protegge i poliziotti e che crea una cultura di impunità. A proposito di questa legge si è pronunciato il vice segretario generale del sindacato di Unsad-police, Thierry Clair, il quale ha sottolineato che sarà un’indagine a stabilire se l’uso dell’arma da fuoco sia stato legittimo o meno:

In alcuni casi, le forze dell’ordine sono legittimate all’uso delle armi. Una scriminante è il principio di proporzionalità tra il pericolo reale e la reazione delle forze dell’ordine. La fattispecie che ha portato all’incidente, ovvero un fermo di un veicolo con il conducente che si rifiuta di collaborare con gli agenti e che parte con il mezzo, rientrerebbe tra le situazioni in cui l’uso delle armi è legittimo.

Nel frattempo, il poliziotto che ha premuto il grilletto è stato accusato di omicidio volontario e posto in detenzione provvisoria nella capitale. La scorsa notte, molte città francesi sono piombate nel caos con un totale di 667 arresti, 307 dei quali si è verificato nella regione di Parigi, dove è avvenuta la tregedia.

L’Onu: la Francia affronti il razzismo nelle forze dell’ordine

Sulla questione si è pronunciata Ravina Shamdasani, portavoce dell’ufficio dell’alto commissario delle nazioni unite per i diritti umani, che durante la regolare conferenza stampa delle Nazioni Unite a Ginevra ha sottolineato l’importanza di questo momento perchè concede l’opportunità di affrontare seriamente il problema del razzismo e della discriminazione razziale tra le forze dell’ordine. Nel frattempo, il Presidente della Repubblica francese Macron ha affermato di essere pronto ad adottare misure di polizia “senza taboo” per contrastare gli attuali disordini civili.

Giuseppe Calì

Francia e Italia discutono. Il problema? I migranti

Non è una novità che Italia e Francia si scontrino: il Ministro dell’interno francese Gérald Darmanin accusa la premier Giorgia Meloni, sostenendo che l’Italia sia alle prese con una «gravissima crisi migratoria».

Durante la messa in onda del programma Les grandes gueules dell’emittente televisiva Rmc, Darmanin ha così esposto le sue preoccupazioni:

Meloni, come Le Pen, è stata eletta dicendo “vedrete questo, vedrete quello” e poi quello che vediamo è che l’immigrazione non si ferma e sta crescendo

Il problema si pone anche in Tunisia:

La verità è che in Tunisia c’è una situazione politica che porta soprattutto molti bambini a risalire attraverso l’Italia e che l’Italia è incapace di gestire questa pressione migratoria

Il ministro dell’Interno francese Gerald Darmanin, attacca Giorga Meloni in un’intervista su Rmc. Fonte: Today

L’inizio dei problemi tra Francia e Italia

Tutto ha avuto origine lo scorso novembre, quando l’Italia si è rifiutata di accogliere i migranti a bordo della Ocean Viking, dando però per scontato che l’aiuto venisse da parte della Francia. Dopo due settimane di navigazione, la nave della Ong francese Sos Mediterranée è approdata a Tolone, nel sud della Francia.

A seguito dell’aumento di sbarchi nel suolo francese, Elisabeth Borne – Primo Ministro francese – ha dichiarato che la Francia si appresta a schierare 150 poliziotti in più al confine con l’Italia così da controllare il flusso irregolare di migranti.

Tajani annulla la visita a Parigi

Antonio Tajani – Ministro degli Esteri – era atteso a Parigi per incontrare Catherine Colonna ma l’incontro è saltato. Tajani si è così giustificato:

Non andrò a Parigi per il previsto incontro con la ministra Catherine Colonna. Le offese al governo ed all’Italia pronunciate del ministro Gérald Darmanin sono inaccettabili. Non è questo lo spirito con il quale si dovrebbero affrontare sfide europee comuni

Non si è fatta attendere la risposta della ministra degli esteri francese Catherine Colonna:

Ho parlato col mio collega Antonio Tajani al telefono. Gli ho detto che la relazione tra Italia e Francia è basata sul reciproco rispetto, tra i nostri due paesi e tra i loro dirigenti. Spero di poter accoglierlo presto a Parigi

Decreto Cutro diventa legge

E mentre Darmanin “attacca” l’operato del governo Meloni, la Camera dei Deputati ha approvato la fiducia alla conversione in legge (con 179 voti favorevoli, 111 contrari e tre astenuti) del decreto migranti detto anche decreto Cutro – chiamato così perché varato dal Consiglio dei ministri che si riunì a Cutro dopo la strage dei migranti.

Cosa prevede?

Il decreto limita l’applicazione della protezione speciale

  • non potrà essere convertita in permesso di soggiorno per ragioni lavorative;
  • potrà essere rinnovato solo per sei mesi;
  • viene esclusa la concessione per ‘gravi condizioni psicofisiche’;
  • i richiedenti asilo sono esclusi dal sistema di Accoglienza Integrazione, sarà riservato solo a chi ha già ottenuto lo status di rifugiato;

Potenziamento dei CPR (Centri di Permanenza per il Rimpatrio):

  • raddoppia il tempo di permanenza nei CPR;
  • aumenta il numero di CPR (previsto uno per regione);

Inasprite le pene per gli scafisti, con la novella al Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e la condizione giuridica dello straniero (D. Lgs. 286/1998) che puniva «promuova, diriga, organizzi, finanzi o effettui il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato», che porta la pena fino a due ai sei anni di reclusione.

Inoltre, viene previsto un nuovo reato aggravato dall’evento in caso di «morte o lesioni come conseguenza di delitti in materia di immigrazione clandestina», con pene dai 20 ai 30 anni di reclusione.

Infine, è previsto l’arresto in flagranza, anche differito, per reati commessi durante il soggiorno in un centro di prima accoglienza.

Gabriella Pino

Francia, approvata la riforma delle pensioni senza il voto del parlamento

La prima ministra della Francia Elisabeth Borne, dopo aver partecipato alla quarta riunione in 24 ore insieme ai ministri del governo e al Presidente della Repubblica francese Macron, ha comunicato all’assemblea nazionale (la più importante dei due rami del parlamento francese) la volontà di voler usufruire del comma 3 art.49 della Costituzione, per forzare l’approvazione della riforma delle pensioni.

L’articolo permette a chi detiene la carica di primo ministro di far approvare un testo di legge in materia finanziaria o di finanziamento al welfare senza passare da una votazione parlamentare, tramite l’approvazione del Consiglio dei ministri.

Una scelta politica molto rischiosa

Proteste nell’assemblea nazionale. Fonte: Il Post / Thomas Padilla

La proposta di legge era passata senza problemi al Senato, dove il governo può contare su una maggioranza più solida, ma il risultato del voto nell’assemblea nazionale si proiettava come molto incerto. Fondamentale sarebbe stato l’appoggio del partito dei Repubblicani (centro-destra), che negli ultimi giorni non si era pronunciato compattamente e che si sarebbe potuto dividere.

Pochi minuti prima di prendere la decisione, Macron ha tenuto colloqui con importanti figure politiche del Parlamento, ma la situazione prospettatagli non dava nessuna garanzia sull’approvazione. Pare che lo stesso Macron avesse descritto, durante il Consiglio dei ministri, come «troppo importanti» i rischi finanziari ed economici nel caso in cui la legge fosse stata respinta.

Con questa mossa di Realpolitik, il Governo mette la sua esistenza nelle mani del Parlamento; nelle 24 ore successive i deputati possono presentare una mozione di sfiducia, che se dovesse ottenere la maggioranza determinerebbe la caduta del governo e il ritiro della legge. In caso contrario, la legge proseguirebbe il suo iter, passando dal Senato e successivamente dall’Assemblea nazionale, dove il governo applicherebbe di nuovo il meccanismo di cui all’articolo 49 della Costituzione.

Ad oggi, è prevista la presentazione di due mozioni di sfiducia, una proveniente dal Rassemblement National di Marine Le Pen e una da sinistra, dalla France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon; tuttavia, la stampa francese è molto scettica sulla possibilità che si arrivi ad una maggioranza in parlamento, visto che il partito dei Repubblicani (il più importante di centro-destra) ha già annunciato che non voterà le mozioni.

La madre di tutte le riforme

La legge in questione ha causato grandi proteste e scioperi all’interno del Paese sin da fine gennaio, per il punto principale che consiste nell’innalzamento dell’età pensionabile da 62 a 64 anni. L’aumento di 2 anni si verificherebbe progressivamente, con un incremento lavorativo di 3 mesi l’anno fino al 2030. Ad oggi, il sistema pensionistico della Francia è molto vantaggioso e in media permette di andare in pensione a 63 anni, ma a preoccupare il governo è la sua tenuta.

Durante i dibattiti tenuti in Parlamento negli ultimi mesi,  lo spettro della bancarotta del Paese è stato costantemente brandito dall’esecutivo, con il ministro delegato ai Conti pubblici Gabriel Attal che ha garantito l’aumento di 500 miliardi di debito aggiuntivo nel caso in cui la riforma non fosse stata approvata.

L’attuale Presidente della Repubblica Emmanuel Macron ha definito la riforma delle pensioni come «la madre di tutte le riforme» e sta tentando di legare la sua eredità politica all’esito di questa legge. Lo stesso presidente della Repubblica si è definito “riformatore” (Francia come start-up nation) con obiettivo di trasformare la nazione per renderla più anglosassone: al centro il lavoro e la produttività, considerati fondamentali per rendere la Francia competitiva a livello globale.

I giovani francesi contro la riforma per preservare il welfare state

Questa visione si scontra con l’importanza quasi identitaria che i francesi danno al welfare state. La società francese dà ontologicamente poco valore alla vita lavorativa. A questa caratteristica si è aggiunto il cambiamento che le nuove generazioni di tutto il mondo stanno portando nel rapporto con il lavoro, che è visto più come un ostacolo al benessere della persona. Giovani che hanno avuto un ruolo molto importante negli scioperi degli ultimi mesi, a sottolineare come lo stato sociale riguardi tutta la popolazione e non sia teatro di scontro generazionale.

Alla necessità di trovare fondi per garantirsi pensioni nel futuro, i giovani francesi propongono come soluzione una più aggressiva tassazione  verso i grandi patrimoni.

Giuseppe Calì

Addio baby influencer? Dalla Francia una proposta a tutela dei più piccoli

Lo shareting, crasi tra sharing (condividere) e parenting (fare i genitori), è la pratica genitoriale di condividere sui social spezzoni di vita dei propri figli minorenni. Si pone alla base del fenomeno dei baby influencer: dei suoi vantaggi (like e profitti facili per chi condivide) e dei suoi svantaggi (disagi -in varietà e in varie età- per chi “è condiviso”). Vediamo ora, particolarmente, cosa di controverso rivelano gli studi scientifici sull’abitudine: quindi perché e in che misura, in Francia, un deputato ha proposto una stretta legale a proposito.

Baby influencer, i danni cerebrali

Riporta le informazioni Ultima Voce. Un bambino che è reso “personaggio pubblico” può subito soffrire di un disturbo identitario: psicologico e sociale. Passando molto tempo sotto le pressioni di uno smartphone, un piccolo rischia di confondere la dimensione reale e virtuale, creando per sé un mondo promiscuo.

In tale mondo promiscuo le difficoltà nei rapporti si possono moltiplicare. Le relazioni con lo spazio, il tempo e le altre persone possono diventare snervanti e ansiogene.

Ma probabilmente è un altro il guaio più grande dello shareting

Baby influencer come vittime pedopornografiche

Leah Plunkett, nel suo libro Sharenthood: Why We Should Think before We Talk about Our Kids Online, ha focalizzato, in merito al tema, il problema della diffusione di informazioni riservate.

Tutto ciò che viene pubblicato su un profilo aperto diventa di dominio comunitario. E la cessione della privacy, soprattutto se di un infante indifeso, lascia sempre a un’incognita il punto della sicurezza personale.

Gli hater acquisiscono la facoltà di attaccare verbalmente (o attraverso tastiera) il condividente e/o il condiviso. Ma assai più inquietante è l’ombra della pedopornografia; poiché, secondo uno studioil 50% delle foto che circolano sui forum pedopornografici sono state inizialmente condivise dai genitori.

Baby influencer
Baby influencer. Fonte: HealthDesk

In Francia una decisa presa di posizione

Riporta le informazioni Notizie.it. In Francia è stato Bruno Sruder, deputato di Renaissance, a lanciare la proposta di imporre un divieto per la pubblicazione di foto e video di minori sui social, dichiarando:

I primi due articoli stabiliscono che la protezione della vita privata è uno dei compiti dei genitori, che devono associare il figlio alle scelte che lo riguardano. Il messaggio per i genitori è che il loro compito sia anche quello di proteggere la privacy dei figli. In una società sempre più digitalizzata, il rispetto della privacy dei minori è ormai imprescindibile per la loro sicurezza, il loro benessere e il loro sviluppo

Sruder ha trovato solidarietà tra i colleghi. Infatti, il Parlamento francese ha approvato il disegno di legge adottato in prima letture dall’Assemblea nazionale lunedì 6 marzo. La Francia, d’altronde, è sempre stata in prima linea per la “difesa digitale” dei minori.

Nel Paese, pochi giorni fa, è stata accettata la proposta di alzare a 15 anni l’età minima per avere accesso ai social. Inoltre: dapprima di oggi i maggiorenni possono denunciare i genitori che hanno diffuso loro immagini senza consenso, abbonando loro sino a un anno di detenzione e 35mila euro di multa.

Dalla Francia all’Europa

Dalla Francia il moto potrebbe espandersi in Europa, coinvolgendo pure l’Italia. Perché, secondo quanto riportato dal Corriere della Sera, a novembre 2022 l’Autorità garante per i diritti dell’infanzia avrebbe posto la questione all’attenzione della premier Giorgia Meloni.

L’appello di Carla Garlatti, dal 2020 Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, è ancora “senza risposta”; ma chissà che non ne riceva una proprio in questi giorni, quando gli occhi sulla questione sono più concentrati.

Gabriele Nostro

Macron rieletto all’Eliseo: sconfitta nuovamente Marine Le Pen al ballottaggio

Proprio come nel 2017, Emmanuel Macron ha battuto al ballottaggio Marine Le Pen nella corsa per l’Eliseo, tra il plauso dello schieramento contrario alla destra sovranista e dei principali leader alleati occidentali. Rispetto ad allora però lo ha fatto da presidente uscente, in un contesto significativamente differente e dopo una campagna elettorale concretamente iniziata solo dopo il primo turno di due settimane fa. A non essersi ripetuto invece è stato il conclamato trionfo che il leader di En Marche potè allora vantare di avere ottenuto contro l’avversaria, al tempo doppiata nelle preferenze ed ora solamente tenuta ad una debita ma non cospicua distanza (58,5% per Macron e 41,45% per Le Pen).

 

La festa di Macron sotto la Tour Eiffel

“Sono il Presidente di tutti, qui si apre una nuova era”

Ad accompagnare l’annuncio del risultato è stato prima il boato festoso dei sostenitori di Emmanuel Macron e subito dopo l’Inno alla Gioia di Beethoven, sulle cui note il rieletto presidente francese e la moglie Brigitte si sono presentati allo Champ-de-Mars, sotto alla Tour Eiffel. Una scelta, quella del tema musicale, già proposta nel 2017 e che sottolinea il primo punto di contrasto con Marine Le Pen essendo l’inno dell’Europa unita. Presentatosi alla folla ha voluto ringraziare gli elettori ed in particolar modo quelli appartenenti ai diversi schieramenti politici che hanno deciso di puntare su di lui nel corso del secondo turno delle elezioni: “li ringrazio non perché condividono le idee, ma per avere sbarrato la strada all’estrema destra“. “Sarò debitore per questo voto nei prossimi anni e prometto che quelli che seguiranno non saranno il proseguio dei cinque appena conclusi ma una nuova era per tutta la Francia“.

Sostenitori di Macron festeggiano l’esito del ballottaggio, fonte:donnesulweb.it

Toni ovviamente opposti per Marine Le Pen che però, nonostante la delusione, ha etichettato il risultato di domenica come “una forma di speranza”. La seconda sconfitta consecutiva della leader del Rassemblement National è coincisa con il miglior risultato dell’estrema destra francese nella storia della Quinta Repubblica, un dato che certamente avrà un peso specifico di non poco conto nel futuro prossimo della vita politica del paese transalpino.

Una vittoria dell’Europa?

Negli ultimi mesi il presidente francese ha cercato di riempire il vuoto lasciato dall’ex cancelliera tedesca Angela Merkel prendendo le redini delle relazioni internazionali dell’Unione Europea. Proprio per questo una sconfitta di Macron e la conseguente vittoria dell’euroscettica Marine Le Pen avrebbero comportato quasi certamente il punto più basso della storia recente dell’UE e con esso il definitivo declassamento della stessa ad attore di secondo piano sulla scena internazionale. Timori svaniti già con i primi exit poll che hanno evidenziato sin da subito un forte vantaggio del presidente uscente e definitivamente tramontati con la conclusione dello spoglio. Non a caso i principali leader europei, oltre ad essersi complimentati per la vittoria, hanno voluto sottolineare il peso specifico che tale risultato porta con sé. Il primo con cui Macron ha avuto una conversazione telefonica è stato il cancelliere tedesco Olaf Scholz che ha parlato immediatamente di un risultato sinonimo di “un voto di fiducia sull’Europa“, sentimento ripreso anche dal premier spagnolo Pedro Sanchez e da quello portoghese Antonio Costa. Complimenti giunti anche dal Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel. Quest’ultimo in un tweet ha detto: “In questo periodo tormentato abbiamo bisogno di un’Europa solida e di una Francia impegnata nella maniera più assoluta per una Ue più sovrana e più strategica. Possiamo contare sulla Francia per altri 5 anni”.

 

 

Anche il premier italiano Mario Draghi ha definito la vittoria di Macron come una splendida notizia per tutta l’Europa. “Italia e Francia sono impegnate fianco a fianco, insieme a tutti gli altri partner, per la costruzione di un’Unione Europea più forte, più coesa, più giusta, capace di essere protagonista nel superare le grandi sfide dei nostri tempi, a partire dalla guerra in Ucraina. Al presidente Macron vanno le più sentite congratulazioni del governo italiano e mie personali”. Ad unirsi al coro è stato anche il presidente russo Vladimir Putin, di cui Macron è stato interlocutore privilegiato nel corso delle fasi iniziali della guerra, che ha voluto mandare i propri complimenti: “Vi auguro sinceramente successo nella vostra azione pubblica e anche buona salute e prosperità”.

Una vittoria senza trionfo

Scacciato il rischio dell’estrema destra adesso si deve fare i conti con la realtà dei fatti, una realtà in cui appare chiaro che la Francia non è unita, anzi. Lo stesso Macron nel suo discorso allo Champ-de-Mars ha immediatamente ammesso che “gli anni che verranno non saranno affatto semplici” e che sente il dovere di venire incontro ai sentimenti manifestatisi chiaramente nel corso di queste elezioni. Si è infatti trattato delle elezioni con la più alta percentuale di astensionismo (il 28%) dal 1969, quando gli elettori di sinistra si rifiutarono di presentarsi alle urne in segno di protesta. Un dato frutto della crisi della percezione democratica del sistema e di una sempre più rimarcata frammentazione del panorama politico francese che ha permesso la rielezione di Macron unicamente per impedire la vittoria della Le Pen. Ad oggi accanto allo schieramento del presidente (centro destra) vi sono unicamente i due blocchi di estrema destra (Le Pen) e di estrema sinistra (Mélenchon), uno scenario che, in vista delle elezioni legislative del 12 e 19 giugno, rende concreto il rischio di una cohabitation. Una possibilità che indebolirebbe non poco la posizione della Francia nello scacchiere europeo, essendo che il capo dell’esecutivo sarebbe “ostaggio” di una maggioranza parlamentare di segno diverso dal suo.

 

Filippo Giletto

Corsica: proteste e violenza dopo l’aggressione in carcere all’ex leader indipendentista Yvan Colonna

Yvan Colonna è uno storico membro del fronte indipendentista della Corsica condannato all’ergastolo nel 1998 per l’omicidio del prefetto francese Erignac. Pochi giorni fa, all’interno del carcere dove sta scontando la condanna, è stato aggredito in maniera violenta e senza ricevere alcun aiuto da parte degli agenti penitenziari; adesso è in coma. La vicenda sembra aver donato nuova linfa al Fronte di Liberazione Nazionale Corso. Nei giorni seguenti, infatti per le strade di alcune città dell’isola si sono svolti numerosi cortei, diventati molto spesso proteste violente che hanno causato un numero elevato di feriti.

Fonte: “tg24.sky.it”

Il Fronte di Liberazione Nazionale Corso

In Corsica era ormai da parecchio tempo che non si verificavano scenari del genere. Tuttavia, negli ultimi decenni del secolo scorso, si poteva assistere ad una grande quantità di proteste, spesso anche violente. Molti abitanti dell’isola manifestavano un forte desiderio di indipendenza dalla Francia che portò alla formazione del Fronte di Liberazione Nazionale Corso. Nato nel 1976, il gruppo militante indipendentista si è reso protagonista di un numero elevato di cortei violenti in alcune città francesi e di alcuni assalti armati. Il più ricordato è l’attacco alla base NATO a Solenzara (piccolo comune nel sud della Corsica) nel 1978. Nel corso degli anni però il desiderio d’indipendenza è andato via via a scemarsi sempre di più fino al 2014 quando il FLNC ha annunciato la fine della lotta armata.

Il Fronte di Liberazione Nazionale Corso. Fonte: “miglioverrde.eu”

Dopo il 2014 lo scenario in Corsica è divenuto stabile. Le proteste sono diminuite e non si sono più verificati atti di violenza da parte degli indipendentisti. Il contesto però è cambiato drasticamente dopo l’aggressione a Yvan Colonna. Migliaia di cittadini sono scesi nelle piazze delle maggiori città della Corsica a protestare per la mancata difesa da parte degli agenti penitenziari. Tali proteste denotano poca fiducia nella giustizia carceraria ma più in generale nello Stato francese che più volte, a mezzo di slogan, è stato definito “Assassino”.

L’assalto al Palazzo di Giustizia di Ajaccio

Non solo cortei e proteste nelle piazze. Pochi giorni fa è stato preso di mira anche il Palazzo di Giustizia di Ajaccio, una delle città più importanti della Corsica. Alcuni manifestanti in seguito all’attacco hanno anche provato a fare irruzione nella struttura, riuscendoci.

Assalto al Palazzo di Giustizia di Ajaccio. Fonte: “ilfattoquotidiano.it”

La violenta manifestazione a Bastia

“Tutto il popolo corso è mobilitato contro l’ingiustizia, la richiesta di verità e, oltre a ciò, di una vera soluzione politica”

Queste le parole del presidente autonomista del consiglio esecutivo corso Gilles Simeoni facendo riferimento a ciò che è accaduto a Bastia. Forse la manifestazione più violenta tra le tante di questi giorni. Secondo la prefettura le persone scese in piazza erano 7000, anche se gli organizzatori del corteo dichiarano di aver coinvolto un più alto numero di cittadini. I manifestanti erano muniti di molotov e hanno causato parecchi danni, attaccando edifici pubblici e aggredendo gli uomini della polizia. In tutto si contano 67 feriti, di cui 44 delle forze dell’ordine.

La volontà della Francia di calmare la situazione

Il clima teso della Corsica ovviamente preoccupa molto le autorità francesi. Il ministro dell’Interno Gérald Darmanin nei prossimi giorni si recherà sull’isola al fine di risolvere la questione in maniera diplomatica e pacifica. Si dichiara pronto ad “aprire un ciclo di consultazioni”. Il Governo “ha sentito le richieste dei rappresentanti locali della Corsica sul futuro istituzionale, economico sociale o culturale”. Ha però chiarito l’esigenza di un “un immediato ritorno alla calma” al fine di far iniziare la negoziazione. L’isola, dal canto suo, chiede lo statuto speciale autonomo.

Risulta probabile che questa possibile concessione – mai presa in considerazione dalla Francia prima di adesso – sia dovuta alla necessità di annullare ogni tipo di dissidio interno alla nazione per concentrarsi sui problemi riguardanti l’equilibrio mondiale legati alla situazione Russia – Ucraina.

Francesco Pullella

Cosa è successo in Francia: dall’obbligo vaccinale alle proteste in piazza

In Francia ieri, 21 luglio, sono entrate in vigore le nuove rigide restrizioni annunciate dal presidente francese Emmanuel Macron la scorsa settimana e volte al contenimento della diffusione della variante delta del coronavirus. Le misure prevedono l’obbligatorietà per l’ingresso in luoghi sia pubblici che privati del possesso di un “certificato COVID-19”. Certificazione che attesta l’avvenuta vaccinazione o l’essere risultati negativi al virus tramite un tampone molecolare o antigenico. Il certificato sarà necessario per poter salire su aerei, treni e pullman, per entrare nei ristoranti, nei bar, e per partecipare a festival, concerti e spettacoli teatrali a cui assistono più di 50 spettatori.

Contestualmente all’annuncio dell’obbligatorietà immediata del pass vaccinale, la settimana scorsa il presidente francese ha comunicato che entro il 15 settembre tutti gli operatori del settore sanitario, comprendenti non solo coloro che lavorano negli ospedali ma anche nelle case di cura e nelle cliniche private, dovranno essere completamente vaccinati, a prescindere dalla loro occupazione all’interno delle strutture.

Il presidente francese Emmanuel Macron, fonte: francesregions

Un paese scettico

Una mossa questa che si pone in contro tendenza con la strategia adottata dallo stesso governo francese agli inizi della campagna vaccinale. Nella prima fase era stata infatti assicurata piena libertà riguardo al vaccino contro il coronavirus, senza cioè imporlo per legge e prescrivendo che ogni cittadino potesse parlarne con un medico prima di decidere se vaccinarsi o meno. Il timore diffuso era che misure più stringenti potessero urtare la sensibilità di quella fetta della popolazione più ostile ai vaccini. La Francia è infatti uno dei paesi più scettici al mondo su questo argomento e ciò è facilmente intuibile a fronte di un’analisi della popolazione vaccinata precedente all’annuncio. Prima del 12 luglio ad avere ricevuto entrambe le somministrazioni erano stati 27,3 milioni di francesi, circa il 40 per cento della popolazione complessiva, mentre invece ad avere ricevuto una dose singola del vaccino era il 53 per cento. Numeri che non hanno convinto, specie se confrontati con quelli di altri paesi europei. In Italia ad oggi già il 50 per cento della popolazione è stato immunizzata mentre il 60 per cento ha ricevuto almeno una dose. Anche Germania, Spagna e Belgio hanno dati migliori rispetto a quelli della Francia.

Manifestanti per le strade di Parigi, fonte: ilfattoquotidiano.it

La reazione all’annuncio di Macron

La risposta collettiva all’annuncio è stata quanto mai immediata e nella sola notte fra lunedì 12 e martedì 13 quasi un milione di persone (925 mila) hanno effettuato la prenotazione necessaria per la somministrazione del vaccino. Un numero così elevato da mandare offline Doctolib, il sito destinato alla prenotazione per l’appuntamento in autonomia. Se da una parte le parole del presidente hanno ottenuto il risultato sperato dall’altro non sono mancate numerose risposte critiche. Fra sabato 17 e domenica 18, infatti, circa 144 mila manifestanti in tutta la Francia sono scesi in piazza dimostrando il loro dissenso per l’introduzione delle limitazioni. Alle dimostrazioni pacifiche hanno fatto seguito anche episodi di violenza: nella notte tra venerdì e sabato un centro vaccinale a Grenoble, nel sud-est della Francia, è stato vandalizzato mentre una clinica a Urrugne, vicino a Biarritz, è stata addirittura incendiata.

Il parere del Consiglio di Stato e la riduzione delle misure

Ad una settimana dal discorso di Macron, martedì pomeriggio il governo ha fatto sapere che renderà meno stringenti alcune di queste misure. Decisivo è stato il parere fornito all’esecutivo dal Consiglio di Stato, un organo consultivo che fornisce pareri giuridici sugli atti del governo. In particolare l’attenzione del Consiglio si è focalizzata sulle multe per i responsabili di ristoranti e negozi che non controlleranno accuratamente il “certificato COVID-19” all’ingresso. Nel disegno originario le sanzioni potevano arrivare fino ad un anno di carcere e 45 mila euro di multa mentre adesso saranno di almeno 1.500 euro per le persone fisiche e 7.500 per gli enti e le associazioni. Multe che però saliranno fino a 9000 euro e un anno di carcere in caso di recidiva. Verrà meno l’obbligatorietà per l’ingresso all’interno dei centri commerciali ove si dimostri che nella zona non ci siano altri negozi dove acquistare beni essenziali.

 

18 mila contagi in un giorno

Mentre il governo alleggerisce le restrizioni del certificato COVID-19, in Francia si registra un nuovo record di contagi. 18 mila in un giorno, come non avveniva da metà maggio e tutti legati alla variante delta. Un numero importante se si considera che nella sola settimana precedente ve ne sono stati 6 mila in totale. Il ministro della Salute Olivier Veran non ha esitato a definirla un’impennata “mai vista” e dovuta ad un aumento della circolazione del virus dell’ordine del 150% in una settimana. Dati a fronte dei quali non è sbagliato parlare di una “quarta ondata” del virus.

Filippo Giletto

In Francia è boom di prenotazioni per il vaccino dopo l’annuncio delle restrizioni per i non vaccinati: quasi un milione in poche ore

In Francia è subito corsa al vaccino: dopo il discorso in diretta tv, a reti unificate di Macron, quasi un milione di persone ha prenotato un appuntamento per vaccinarsi contro il coronavirus, nella notte fra lunedì e martedì.

Fonte: Il Messaggero

Nel messaggio di lunedì sera, rivolto alla nazione, il presidente francese ha infatti annunciato nuove restrizioni ai movimenti che riguarderanno soprattutto le persone non vaccinate, estendendo, a partire dal 21 luglio il green pass per accedere a luoghi pubblici, come ristoranti, centri commerciali, caffè e trasporti, e introducendo l’obbligo vaccinale per il personale sanitario. La decisione della Francia ha fatto nascere un dibattito sul tema in diversi Paesi, tra cui l’Italia e la Germania.

Green Pass e obbligo vaccinale

Da mercoledì 21 luglio, l’ingresso in diversi luoghi pubblici e privati come bar, musei, ristoranti e centri commerciali, sarà consentito esclusivamente a coloro che possiedono un certificato ‘’COVID-19’’, vale a dire a tutte quelle persone che saranno completamente vaccinate o risultate negative al virus tramite tampone antigenico o molecolare.
Macron ha spiegato che le misure restrittive si sono rese necessarie in seguito alla progressiva diffusione della variante Delta nel Paese:

“Al momento in cui vi parlo”, c’è una “forte ripresa” dell’epidemia legata al coronavirus che riguarda “tutte le nostre regioni”, ha spiegato il capo dell’Eliseo nel tanto atteso annuncio nazionale. ‘’Quando la scienza ci offre i mezzi per proteggerci, dobbiamo usarli con fiducia nella ragione e nel progresso’’, ha continuato, ‘’dobbiamo muoverci verso la vaccinazione di tutti i francesi, perché è l’unico modo per tornare alla vita normale’’.

Il discorso di Macron in diretta. Fonte: ANSA.it

La linea della Francia risulta essere molto chiara anche in merito al personale sanitario: il ministro della Salute francese, Olivier Véran, ha spiegato che chi non si sarà completamente vaccinato entro il 15 settembre non potrà più lavorare né verrà pagato. “Non è un ricatto”, ma una misura necessaria per evitare di “chiudere il Paese”, ha detto il ministro a Bfm-Tv.

La Francia è scettica sulle vaccinazioni

Nonostante l’indiscusso pericolo della sua contagiosità, la variante Delta non è l’unica ragione che motiverebbe la mossa di Macron, dal momento che quest’ultima ben si coniugherebbe con il basso tasso di persone vaccinate, inferiore a molti altri Paesi. La Francia sarebbe infatti considerata uno dei Paesi più scettici al mondo circa l’efficacia dei vaccini.

Una stima del ministero della Salute citata dal quotidiano francese Le Monde indica che al momento sono stati completamente vaccinati 27,3 milioni di francesi, quindi circa il 40% della popolazione complessiva; mentre il 53% ha ricevuto una singola dose del vaccino.
Dati decisamente migliori rispetto a quelli francesi sono riscontrabili in Germania, Spagna, Belgio ed anche in Italia, dove ad essere state completamente vaccinate sono il 45,01% delle persone e circa il 60% ad aver ricevuto almeno una dose.

Il boom di prenotazioni su Doctolib

Nonostante il forte scetticismo, il cosiddetto ‘’effetto Macron’’ ha sortito gli effetti sperati: dopo l’annuncio del presidente sono state registrate circa 20mila prenotazioni al minuto, tanto che Doctolib, la principale piattaforma per la prenotazione degli appuntamenti in autonomia, è andata ad un certo punto offline.

È stato il giorno in cui la Francia ha toccato il record assoluto di richieste di vaccinazioni dall’inizio della campagna, con un totale di 926 mila persone che si sono prenotate in quelle ore per il vaccino anti-Covid, di cui il 65% sotto i 35 anni, giovani che hanno positivamente accolto l’appello presidenziale con il timore di essere tagliati fuori dalla vita sociale.

La curva delle prenotazioni dei vaccini in Francia. Fonte: Huffpost

Secondo il capo di Doctolib, il numero di appuntamenti presi l’altro ieri sono:

“il doppio della giornata record dell′11 maggio e 5 volte in più rispetto a lunedì scorso. Abbiamo registrato sette milioni di connessioni in qualche minuto durante il discorso del presidente”. Il trend “proseguito durante la notte e che continua stamani. Ci sono ancora 100.000 appuntamenti disponibili questa mattina, in particolare, in alcuni grandi centri” della Francia. Per lui, “si crescerà presto a quattro, cinque milioni di iniezioni a settimana”. “In media – ha concluso – ci sono undici giorni tra la prenotazione e l’appuntamento, in questo modo, i francesi che hanno preso appuntamento ieri saranno integralmente vaccinati entro metà agosto o fine agosto”.

Le posizioni di Ue e Germania

Anche l’Ue è intervenuta sul tema obbligo vaccinale, la quale ha ribadito tramite portavoce:

le campagne vaccinali sono competenze nazionali, quindi se siano obbligatorie o meno è una decisione che spetta agli Stati membri”, ricordando in ogni caso l’importanza della vaccinazione come “via d’uscita dalla pandemia” e l’obiettivo dell’immunizzazione del “70% degli adulti”.

Per quel che riguarda invece la Germania, la cancelliera Angela Merkel ha ribadito di non stare programmando la resa obbligatoria della vaccinazione anti-Covid:

Non abbiamo intenzione di procedere sulla strada proposta dalla Francia. Abbiamo detto che non ci sarà un obbligo di vaccino”. La cancelliera ha poi però sottolineato che esiste la possibilità che vi siano nuove mutazioni anche più pericolose, ”già contro la variante Delta l’efficacia dei vaccini è un po’ più bassa”. Bisogna ”continuare a osservare la situazione” anche a livello globale – ha concluso- ricordando che ”finora le varianti sono arrivate in Germania da altri Paesi del mondo”.

Il ”modello Macron”: si accende il dibattito anche in Italia

Le strette francesi contro la variante hanno fatto accendere un dibattito tra favorevoli e contrari anche in Italia. Il modello Macron piace al commissario straordinario per l’emergenza coronavirus, generale Francesco Paolo Figliuolo, mentre incontra la forte opposizione del leader leghista Matteo Salvini.

Concordo con Macron sul fatto che la vaccinazione è una delle chiavi per il ritorno alla normalità. Per convincere gli ultimi irriducibili utilizzare il green pass per questo tipo di eventi potrebbe essere una buona soluzione. Potrebbe essere anche una spinta per la vaccinazione”, ha spiegato Figliuolo lunedì al Tg2 Post su RaiDue.

Il generale Figliuolo. Fonte: YouTG.NET

Continua poi dicendo:

“Dobbiamo raggiungere l’80% della popolazione vaccinata per la fine di settembre”, sottolineando “una serie di iniziative, pensiamo alle notte magiche, agli open day, open night, per avere vaccino senza prenotazioni”. “Siamo a 58 milioni di inoculazioni, intorno al 45% della popolazione – ha evidenziato – lo ritengo un dato importante, chiaramente non basta. Dobbiamo intercettare i cosiddetti indecisi, a livello europeo li chiamano esitanti“.

Gaia Cautela

Macron ammette la responsabilità della Francia nel genocidio in Ruanda

Ieri il Presidente della Repubblica Francese Emmanuel Macron, durante una visita nella capitale del Ruanda Kigali, ha ammesso la responsabilità della Francia nel genocidio del popolo dei tutsi avvenuto tra il 7 aprile e giugno del 1994. A distanza di 27 anni ed in onore dell’anniversario, il presidente francese ha visitato il Paese centrafricano dopo più di dieci anni dall’ultima visita ufficiale, ai tempi di Sarkozy. Lo sfondo è quello del Kwibuka27, ossia la giornata che (in lingua kinyarwanda) significa “commemorazione“, “resilienza“, “coraggio“.

Parla di responsabilità, il presidente, ma non di un diretto coinvolgimento. Poi specifica che tale responsabilità consiste nell’aver, per troppo tempo, «preferito il silenzio anziché il vaglio della verità». La colpa della Francia sarebbe, dunque, di aver fiancheggiato un regime genocidario pur non essendovi complice. D’altro canto, il Ruanda ha per molto tempo accusato la Francia di aver attivamente partecipato al genocidio e non è tuttavia un segreto che abbia, ai tempi, fornito armi e milizie che si sarebbero successivamente rese partecipi del genocidio.

Le scuse del Presidente, pur andando contro le aspettative di una “piena ammissione di colpa”, hanno tuttavia acceso le speranze di un dialogo tra i due paesi che non si aveva ormai da decenni. Il Presidente del Ruanda Paul Kagame – che, col suo Fronte Patriottico Ruandese, pose fine al genocidio – ha tuttavia ritenuto le parole del presidente Macron «più importanti delle scuse. Sono state la verità».

(fonte: dw.com)

L’importanza di un presidente giovane e la scelta delle parole

Perché è importante che sia stato proprio Macron a compiere l’ammissione di colpa della Francia? E perché si è parlato di “responsabilità” anziché di “diretto coinvolgimento” della Francia?

Nell’analizzare l’accaduto, la professoressa dell’Università di Firenze Mariastella Rognoni, ospite al programma RaiNews24, ha sottolineato la scissione temporale dell’establishment francese di oggi rispetto a quello di ieri.

Macron, spiega, ai tempi aveva solo 17 anni. Non poteva essere in alcun modo coinvolto nei fatti condotti dall’Eliseo. In più, il suo partito non esisteva ancora. Vi è una cesura nei fatti.

Il non aver parlato di un diretto coinvolgimento da parte della Francia significa, di fatto, l’escludere che chi ha agito abbia agito a nome del Paese. Ciò ha un importante rilievo dal punto di vista del diritto internazionale, in cui vige una regola precisa: uno Stato può essere ritenuto responsabile dei fatti commessi dai suoi cittadini se tali fatti si sono verificati sotto un diretto controllo del paese stesso. Controllo che, tuttavia, può manifestarsi nei modi più vari.

I fatti del 1994

Nel 1994, tra le 800mila ed il milione di persone persero la vita a causa di un genocidio che coinvolse le popolazioni interne dello Stato del Ruanda. In particolare venne perseguitata l’etnia dei Tutsi, come risultato di un odio interetnico tra Tutsi e Hutu residuo dell’occupazione belga; la discriminazione si basava su ragioni somatiche. Durante l’occupazione belga (1919-1962) agli Hutu venivano riservate mansioni umili e poco retribuite rispetto al potere attribuito ai Tutsi, causando un risentimento che lacerò inevitabilmente i rapporti tra le popolazioni.

(Memoriale dedicato ad alcune delle vittime del genocidio – fonte: dw.com)

Con la decolonizzazione, gli Hutu – che rappresentavano circa l’80% della popolazione ruandese – strapparono il potere ai Tutsi e nel 1973 l’Hutu Juvénal Habyarimana depose l’allora Presidente del Ruanda dando vita ad una dittatura che proseguì fino al 1994, anno della sua morte e pretesto per lo scoppio del massacro ruandese.

Dal 7 aprile iniziarono ad essere massacrati a colpi di machete i Tutsi e gli Hutu imparentati con questi, proseguendo per circa 100 giorni. Il ruolo della Francia fu importante: Mitterrand, l’allora Presidente della Repubblica, diede il proprio sostegno agli Hutu ed all’eredità di Habyarimana, istigandoli alla rivolta ed offrendo al commando degli Interahamwe un addestramento da parte dei soldati francesi.

Il genocidio dei Tutsi ebbe termine nel luglio 1994 in seguito alla presa di controllo del Fronte Patriottico Ruandese – guidato dall’oggi Presidente Kagame – ed alla sua vittoria sulle forze degli Hutu.

 

Valeria Bonaccorso

La Francia propone la risoluzione del conflitto in Palestina. Preoccupa l’esitazione USA

Il conflitto israeolo-palestinese non accenna a placarsi. Dopo nove giorni di scontri tra l’esercito israeliano e Hamas, il fervore con cui le notizie provenienti dal medioriente sono state recepite dall’opinione pubblica non ha mancato di stimolare le potenze occidentali. Ultima misura, in ordine di tempo, a emergere è stata quella presentata al tavolo delle Nazioni Unite dalla Francia e concordata con Egitto e Giordania. La proposta è arrivata al Consiglio di Sicurezza dell’ONU e punta a un cessate il fuoco in Palestina.

La risoluzione

Emmanuel Macron, insieme ad Egitto e Giordania, si appella all’Onu per cessare le violenze in Medioriente. Fonte: Huffingpost.

La proposta di tregua giunge in seguito all’ incontro fra il presidente francese Emmanuel Macron, l’egiziano Abdel Fatah Al-Sisi e, collegato in videoconferenza, il re Abdallah II di Giordania. Durante il meeting è emerso che

“i tre Paesi concordano su tre elementi: i lanci di razzi devono cessare, è giunto il momento di un cessate il fuoco e il Consiglio di sicurezza Onu deve prendere in mano la questione“.

L’Eliseo ha inoltre reso noti i motivi dell’accordo con i due paesi arabi: “Sono protagonisti influenti nei luoghi santi per la Giordania e su Gaza per gli egiziani”.

L’Egitto ha proposto “attraverso canali privati” un cessate il fuoco tra Israele e Hamas a partire dalle 6 di mattina (ora locale) di giovedì prossimo. Hamas avrebbe risposto favorevolmente mentre Israele, al contrario, non avrebbe manifestato alcun segno di resa.
La notizia, riportata dalla tv israeliana di Canale 12, è stata tuttavia prontamente smentita sul Times of Israel dal membro della leadership di Hamas, Izzat al-Rishq, che ha dichiarato:

“Non è vero ciò che alcuni media nemici hanno riferito, ovvero che Hamas abbia concordato ad un cessate il fuoco per giovedì. Nessun accordo o uno specifico calendario per questo è stato raggiunto” continua poi “Pur sottolineando che gli sforzi e i contatti dei mediatori sono seri e continui, le richieste della nostra gente sono chiare e ben note”.

L’ambiguità della posizione statunitense

La Cina fa sapere che sostiene senz’altro la proposta. Gli Stati Uniti hanno bloccato per otto giorni una dichiarazione sul conflitto e hanno giustificato il loro silenzio attraverso l’ambasciatrice americana Linda Thomas Greenfield: Non siamo stati in silenzio. Il nostro obiettivo è stato e continuerà ad essere quello di un intenso impegno diplomatico per porre fine a questa violenza”. Il presidente Joe Biden “ha espresso il sostegno per un cessate il fuoco”.

L’ambasciatrice americana ribadisce l’impegno nella risoluzione del conflitto ma gli Usa finora hanno bloccato dichiarazioni che secondo Washington potrebbero ostacolare o nuocere alla sua “diplomazia intensa ma discreta”. Fonte: ABC News.

Il sostegno di Biden, tuttavia, giunge dopo ben quattro telefonate al premier israeliano Benjamin Netanyahu nel corso delle quali ha ribadito più volte che Israele abbia il pieno diritto di difendersi contro “gli indiscriminati attacchi di razzi” di Hamas.

Una mossa, quella di Biden, che ha confuso la comunità internazionale e non ha mancato di apparire come un’attività diplomatica molto blanda. Dallo stesso Partito Democratico aumentano gli appelli rivolti al presidente per una presa di posizione più forte e netta per fermare Israele. Malgrado la gravità della situazione pare per il momento che la questione non rientri tra le priorità dell’agenda presidenziale .

La guerra continua

Nonostante gli appelli, aumentano le vittime in rapporto a nuovi attacchi perpetrati questa notte. Secondo quanto riferito dal portavoce dell’esercito israeliano Hidai Zilberman, i caccia dello Stato ebraico hanno sganciato 122 bombe in 25 minuti su circa 40 obiettivi sotterranei. L’attacco ha comportato la distruzione di oltre 12 chilometri di tunnel e numerosi depositi di armi e un centro di comando. Zilberman ha poi dichiarato: “Almeno 10 membri dei gruppi terroristici di Hamas e della Jihad islamica palestinese sono stati uccisi“. Ad essere preso di mira il quartiere Rimal, sobborgo residenziale di Gaza City, dove vivono “molti leader di Hamas”.

Razzi nello scontro tra Gaza e Israele. Fonte: AGI.

Le vittime complessive a Gaza, dall’inizio delle ostilità, sono ora 213, tra cui 61 bambini e 36 donne.
Questa mattina, invece, il lancio di razzi diretti verso un capannone agricolo israeliano, vicino alla linea di demarcazione, ha ucciso due operai thailandesi e ferito altre due persone. Ora il totale delle vittime in Israele è di 12 persone: 10 (tra cui 2 bambini) sotto i razzi e altre 2 per motivi collegati ai lanci.

Alessia Vaccarella