Frah Quintale e Amor Proprio – Perché non è mai facile volersi bene

Non so se ci si arriva mai davvero, all’amor proprio. Si parla tanto di accettazione, di equilibrio, di imparare a bastarsi, ma nessuno ti dice quanto sia complicato restare da soli in una stanza, senza distrazioni, con il rumore dei pensieri che si accavallano. Forse è per questo che il nuovo disco di Frah Quintale, Amor Proprio, mi ha colpito così tanto, perché non finge che sia una meta raggiunta, ma lo racconta come un cammino, a volte faticoso, spesso imperfetto, ma sempre umano.

Ascoltandolo, ho avuto la sensazione che Frah non stesse parlando “di sé”, ma “con sé stesso” e che, in fondo, stesse parlando anche con me. Come in quelle conversazioni silenziose che si fanno la sera, quando cerchi di capire dove hai sbagliato, cosa hai perso, cosa puoi ancora salvare.

1. Né oggi né domani

Apre il disco senza fretta, come uno sbadiglio che diventa promessa. La prima cosa che penso quando parte è che  non c’è la corsa alla risposta. La produzione tiene le mani indietro, la voce è vicino al microfono, quasi a sussurrata. Il testo spinge contro la frenesia del “risolvi subito”, è la lezione della lentezza, quella che Montale chiamerebbe “la fattura del vivere”, ma senza posa retorica. È un invito e una constatazione: il cambiamento non ha scadenze precise. Mi sembra la porta di casa che si chiude piano, lasciando il corridoio da esplorare.

2. Lampo

Qui arriva la folgorazione, breve ma netta. La canzone ha la qualità di un ricordo che torna improvviso: un’immagine, una frase, un senso di comprensione che dura il tempo di un battito. Mi colpisce come Frah sappia descrivere quell’attimo con poche pennellate. Insomma,  è la scintilla che illumina per un secondo una stanza altrimenti buia; dopo, tutto è diverso, ma non risolto. Qui la parola e il suono si incontrano nel punto preciso in cui ti rendi conto di essere stato visto — da te stesso — per la prima volta, o almeno così mi pare.

3. A prescindere (feat. Colapesce)

Quando entra Colapesce la canzone respira in modo diverso. Il dialogo vocale crea una prospettiva doppia, quasi una conversazione tra due versioni dello stesso io. “A prescindere” suona come un’affermazione di fedeltà non agli altri, ma a ciò che senti che ti appartiene comunque. In questo brano vedo un parallelo con il dialogo socratico: due voci che si interrogano, che si spiegano e che, nel confronto, cercano una verità pratica più che una teoria. È uno scambio misurato, senza competitività; la collaborazione non travolge, accompagna.

4. La notte

La notte è casa delle paure, si dice spesso, e qui la musica non cerca di addolcire quell’oscurità. Al contrario, la abita. È il pezzo in cui il registro si fa più intimo, quasi confidenziale, e la voce pare sdoppiarsi tra chi parla e chi ascolta dentro di sé. Penso a certe pagine di Virginia Woolf, dove il flusso interiore non chiede giudizio ma registrazione. Questa traccia è una registrazione di battiti, di respiri, di pensieri che vogliono piantare bandierine per dire “ci sono”.

So che ormai è troppo tardi per cercarti ancora
Ma sai già dove trovarmi se ti senti sola

5. Lunedì blu

Il pezzo che mi ha colpito di più ed è, per me, una cartolina. C’è una malinconia visiva che non scade nel melodramma: l’appartamento dei sogni ricorrenti, le stanze che si ripetono, la memoria che torna come una cartolina stropicciata. La melodia prende fiato e lascia spazio alle parole, sembra quasi una poesia in musica, con un’architettura di immagini che ricorda l’attenzione al quotidiano di Neruda, ma in tono più domestico e meno epico. È un pezzo che si attacca alla memoria dell’ascoltatore come una vecchia fotografia nella tasca di un giubbotto.

6. Occhi diamanti (feat. Joan Thiele)

Con Joan Thiele la canzone assume una pelle più lucente. “Occhi diamanti” è sensualità e fragilità insieme. Il diamante inteso come metafora della bellezza che taglia. In questo brano vedo il tema del guardarsi attraverso gli occhi dell’altro e il rischio, bellissimo, di scoprirsi fratturati e splendenti nello stesso tempo. Sembra quasi la risposta alla domanda “Come accade che due sconosciuti si incontrano?” o quel profumo che diventa odore di casa, magari Burberry London for Women.

Il tuo profumo velеno buono
Con te la vita è dolce
Mare azzurro in agosto
Un insolito dеstino ci ha travolto

Joan non ruba la scena, la incornicia; il suo timbro rende il dialogo ancora più dichiaratamente intimo, come due persone che si specchiano e si riconoscono per la prima volta.

7. 1 ora d’aria 1 ora d’ansia (feat. Tony Boy)

La canzone che mette in scena l’oscillazione più netta tra sollievo e apprensione. Il titolo è già un programma che richiama alternanze, un ritmo che diventa metafora di una condizione psicologica. Tony Boy porta una dinamica urbana che contrasta e insieme completa la sensibilità di Frah. Qui la sincerità è chirurgica,  il coro non anestetizza, la strofa non giustifica. È una delle tracce dove l’esperienza generazionale si fa più chiara, la difficoltà di respirare davvero in mezzo al rumore costante. Mi viene in mente la crudezza di Sylvia Plath quando descrive il peso del sentire.

8. Chiodi

“Chiodi” è immagine che punge,  radici dolorose, attaccamenti che non si strappano senza ferire. Qui il racconto si fa più sociale, più ancorato al concetto di migrazione e scelta di partire. Non è un pezzo solo personale ma contiene il tratto di chi parte e lascia dietro una porta chiusa, ma con i chiodi che ancora sporgono. Musicalmente è essenziale — la semplicità diventa forza — e liricamente si muove tra il respiro del cantautore e una dimensione più ampia, quasi civile. Questa traccia mi ricorda la poesia di chi scrive dell’esilio reale o figurato.

Tutto diverso in così poco
E in questi giorni fumo troppo e
Non riesco più a mettere a fuoco

9. Gelato

Nel flusso dell’album, questo è il momento di ossigeno. “Gelato” è dolce senza essere sdolcinato, e mi fa pensare a quei piccoli atti che ritornano in mente: comprare un brioche con il gelato e regalare il tuppo, guardare il mare, ripetere rituali semplici che salvano le giornate. È il promemoria che l’amore non passa mai del tutto, ma in qualche modo si trasforma. Sembra una scena rubata a una commedia malinconica: si ride piano e si raddrizzano le spalle.

10. Anni che non dormo

Ritorna l’insonnia, stavolta come accumulo e “anni che non dormo” suona come bilancio. È la traccia che fotografa lo scorrere del tempo senza riposo, pensieri che si stratificano, notti che si sommano. C’è stanchezza, certo, ma anche una chiarezza perversa: quando non dormi, vedi i dettagli che gli altri ignorano. Musicalmente è umbratile, con momenti di sospensione che mi ricordano le notti in cui si scrive a matita su fogli consumati. Mi ricorda molto una frase di Dino Campana, “Sangue travagliato La notte non dormo“.

11. Non scendo più

Per me è il punto in cui tutti i frammenti raccolti lungo il disco trovano una tregua. Non è vittoria trionfale, è piuttosto la scelta di tenere la propria postazione, restare, non cedere per comodità o per abitudine. Mi richiama la risolutezza di Pavese, quella pace aspra che si conquista sul filo dei giorni. È una frase che suona come promessa — a sé stessi — più che come proclama verso il mondo.

Cosa resta alla fine di questo viaggio?

Se dovessi dirlo con parole semplici — e lo dico come le direi a voce bassa a qualcuno che conosco — Amor proprio è un disco che non pretende di curare. Ti accompagna. È come quel parente che non ti dà consigli inutili ma ti prepara il brodo quando stai male, presenza discreta, efficacia misurata. Non è l’urlo della generazione né il manifesto di uno stile nuovo; è, piuttosto, la registrazione sincera di un cammino personale che suona universale perché parla di cose che tutti conosciamo: il sonno che non arriva, i ricordi che ritornano, la bellezza che fa male e la scelta di restare.

Gaetano Aspa

Banzai: il lato “arancio” di Frah Quintale

Un album non per i deboli di cuore, ma che in compenso lascia all’ascoltatore emozioni calde, come l’arancio  4.0 – Voto UVM: 4/5

Il colore arancione è un colore caldo, passionale, viene associato all’estate ed è l’unione tra il rosso e il giallo. Indica vitalità e amore, e proprio come l’arancione, il nuovo album di Frah Quintale è un viaggio d’amore e di passione, ma questi ultimi nascondono tanta sofferenza, sono sentimenti così grandi che trascinano noi esseri umani  in un mondo in cui tutti ci sentiamo al sicuro, ma viviamo con la paura costante di perderli. 

Frah Quintale durante un set fotografico per “Banzai (lato arancio)”  – Fonte: metropolitanmegazin.it

Banzai (Lato Blu) è stato pubblicato un anno fa, è molto più malinconico e nostalgico come il colore blu, un colore freddo a differenza dell’arancio. Lato Blu contiene 10 tracce in cui l’artista racconta le sue esperienze personali; è come una serie tv in cui pian piano scopriamo varie “puntate” della vita del cantante, esperienze che quasi tutti noi abbiamo vissuto o vivremo e ci rendono perciò partecipi del suo dolore.

Ma non stavamo parlando di Lato Arancio? Non preoccupatevi, ne parleremo, ma era giusto soffermarsi su Lato Blu prima: difatti quest’ultimo è la prima parte del progetto del rapper e bisogna ascoltarlo se si vuole seguire Lato Arancio, se si vuole capire fino in fondo il nuovo album. Due colori così diversi, uno freddo e uno caldo, ma che Frah Quintale ha unito quasi con un ponte.

         Con te ho smesso, però mi è rimasto il vizio
         E si capiva già la fine dall’inizio
         La pioggia e il cuore battono allo stesso ritmo
         E non lo vedi che ora scende a capofitto?

Banzai-Lato Arancio (2021)

Il 4 Giugno è uscito il terzo album del rapper Frah Quintale: il CD contiene dieci tracce e si va dal blues al pop, difatti il genere è contemporary R&B. C’era grande attesa per il nuovo album del rapper bresciano: dopo poche ore dalla pubblicazione, su varie pagine social comparivano i suoi testi e gli utenti postavano una storia condividendo la canzone da Spotify… Di certo l’album non è passato inosservato!

Lato arancio è il secondo atto del precedente Lato Blu, è come un film dei più grandi registi. Frah Quintale con la sua voce, i suoi testi e la sua musica ha incantato il pubblico, regalando cartoline immaginarie in cui l’ascoltatore si tuffa nei ricordi.

Le sigarette, l’umore tuo è un castello con le carte

Le dita gialle come luci dei semafori la notte

Le sigarette, l’umore tuo è un castello con le carte

 

Copertina ufficiale di “Banzai (lato arancio)”. Fonte: rockit.it

Come già citato sopra, l’album contiene dieci tracce: tutti i testi parlano di una metamorfosi, non solo dell’artista stesso ma di tutti noi: difatti Frah Quintale ha voluto sfruttare il tema del cambiamento che ha attraversato ognuno di noi da quando è scoppiata la pandemia, rendendoci persone nuove ma senza abbandonare il nostro vecchio stile.

I brani si alternano passando da un sound lento a uno stile più o meno ritmato. Interessante la traccia Chicchi di riso, con il featuring di Franco 126, l’unione dei due artisti è perfetta: due stili diversi ma allo stesso tempo simili.

Lato arancio, è “la parte” che completa l’anima del rapper: vediamo un’artista nuovo e più maturo nei suoi testi, ma la sua mano, quella che ci ha fatto innamorare, piangere e sognare è sempre li.

Il primo giorno di vacanze dopo
Metà dell’anno chiusi in casa
Ho lasciato scaricare il cellulare
E il mio orologio chissà dove
Godersi certi pomeriggi persi

Frah Quintale durante il set fotografico di Banzai (lato arancio). Fonte: hiphopstarztour.com

                                                                                                                       Alessia Orsa

Un Mish Mash Festival da “diesci”

Estate è tempo di festival musicali e anche quest’anno c’è stato il Mish Mash nella location da “diesci” (come direbbe il buon Alessandro Borghese) che è il Castello di Milazzo.
Giorno 2 agosto si è svolto il welcome day dal primo pomeriggio con visite guidate al castello. Durante la sera si è esibito il gruppo LeVacanze composto da Giuseppe Fuccio alla tastiera e chitarra, Giovanni Preziosa voce e chitarra e Mattia Farese alle percussioni, bravi e coinvolgenti con il loro elettro pop.

Seguiti da Ylyne e dal dj set a cura del Safarà e Resolution.
Il welcome day ha svelato la nuova organizzazione all’interno del castello: quest’anno si è optato per due stages , il main stage nel quale si sarebbero esibiti tutti gli artisti della line-up e un altro (che per i veterani era quello degli scorsi anni) dove si è svolto il dj set.

Andiamo al primo giorno, all’apertura dei cancelli ha seguito un “warm-up” by Sound Butik e dopo alle 21 lo spettacolo di visual art , interessante e coinvolgente dei Pixel Shapes.


È alle 22 che sul main stage si presenta l’occhialuto Galeffi, bravo, il pubblico è coinvolto e lui tiene molto bene il palco.
I protagonisti assoluti però sono i Coma Cose, il duo milanese che suonano musica alternativa con testi che non possono essere spiegati ma nei quali c’è tutto. Dichiaravano in una intervista “pensiamo che le nostre canzoni non vadano spiegate, quello che facciamo è costruire semantiche, se le recepisci vuol die che siamo connessi” e il pubblico era certamente connesso, portandoli a fare un bis. Un duo da seguire attentamente.
Dopo di loro arriva Myss Keta l’odalisca con il corpo di una Kardashian, ed è un tripudio. La rapper è brava, i suoi testi sono satirici fino a diventare sboccati con basi di elettronica potenti ma i video che passano sullo schermo dietro di lei durante l’esibizione danno un senso molto più articolato. La gestualità e il modo di parlare sono metafora del mondo che ci circonda ma la performance è tutt’altro che banale. Bis anche da lei.

La serata si conclude con il live set di Populous e anche lui non delude il pubblico è contento e lo richiama sul palco per avere un’ultima canzone.

Il secondo giorno ed ultimo di festival le persone sono raddoppiate.
Alle 20 al Chiostro c’è l’esposizione del Suq Magazine,  un gruppo di guide ambientali e fotografi che hanno creato un ibrido fra taccuino di viaggio e libro di fotografico in cui raccontano della Sicilia, quella lontana dalle etichette e clichè tipici.

Segue al Duomo antico una performance di danza e poi si va al Main Stage dove si esibisce per primo Francesco De Leo , bravissimo questo cantante  ex frontman de L’Officina della camomilla, racconta una realtà vicina a molto con sonorità similari a quelle di Mac DeMarco, ma c’è anche qualche richiamo alla  psichedelica.
I Selton si esibiscono successivamente col loro rock folk e testi divertenti, il pubblico balla e canta, sono tutti sorridenti.
Dopo di loro arriva Frah Quintale e il pubblico è in visibilio, un ragazzo mi dice “quest’ultimo live vale l’intero prezzo del biglietto”. Direi che c’è poco da aggiungere.
A chiudere il live set di Indian Wells.
Il Mish Mash migliora di anno in anno, forse l’organizzazione con due stage quest’anno ha comportato un po’ di dispersione del pubblico ma gli artisti e il luogo sono stati eccellenti. Questo è un festival che col tempo si farà conoscere sempre più perché ha tutte le potenzialità, entri fra le mura e ti senti in un luogo familiare e accogliente.
Ci vediamo l’anno prossimo!

 

Arianna De Arcangelis