L.U.C.A.: un solo antenato per tutti i viventi

Ripercorrendo a ritroso la storia della vita su questo pianeta si nota che questa sembra convergere in un unico punto, rendendo noi organismi complessi fratelli di sangue, anzi di genoma. Tutto si origina da lui: L.U.C.A.

Cos’è e come nasce L.U.C.A.

L.U.C.A, acronimo di last universal common ancestor, è una teoria che riguarda l’antenato comune, da cui discenderebbero tutti gli organismi attualmente esistenti.
Non è detto, dunque, che si tratti del primo essere vivente, né che in principio esistesse solo questo organismo. Ciò che supponiamo è, invece, che tutti gli esseri che oggi popolano il nostro pianeta abbiano lui come antenato.
Ripercorrendo indietro le branche dell’albero della vita, infatti, è possibile notare come queste riportino a un’unica origine.
Per studiare la struttura di quest’organismo è necessario prima comprendere la genetica di tutti gli esseri viventi e capire quali sono gli elementi che hanno in comune. Ciò che sappiamo oggi è che tutti usano le medesime molecole di RNA, DNA e proteine. I mattoni del codice genetico sono universali, dai batteri agli uomini.

Primo modello: simili nell’RNA 

Il primo approccio di cui vi pariamo per trovare L.U.C.A. fu quindi quello di comparare i genomi di tutti gli esseri viventi per trovare i geni condivisi. Uno dei primi a seguire tale strada fu il biologo americano Carl Woese che nel 1977 scoprì gli archea. Si tratta di una delle suddivisioni della vita cellulare e, insieme a batteri ed eucarioti, rappresenta uno dei tre domini dell’albero della vita. Questi convergono in un unico punto, dove noi supponiamo si trovi L.U.C.A. Si tratterebbe di un proto-organismo molto semplice: piccolissime e primordiali molecole di materiale genetico racchiuse all’interno di una membrana che non erano nemmeno capaci di replicarsi efficacemente. Non possiamo, dunque, parlare di un organismo vero e proprio, ma intendiamo L.U.C.A. più come un processo che ha portato alle diramazioni della vita che oggi conosciamo. Durante questo procedimento piccoli pezzettini di RNA venivano mischiati caoticamente senza una vera e propria riproduzione o moltiplicazione di organismi.

Esempio di cellula base Fonte

Secondo modello: ricerca tramite geni

Un’altra via percorribile nella ricerca del nostro antenato comune è quella tramite geni, che tenta di dare una forma a questo organismo partendo dalla genetica che conosciamo oggi, in particolare cercando di capire cosa accomuna i geni di tutti i viventi.
Una ricerca tenutasi negli Stati Uniti nel 2003 ha portato alla conclusione che L.U.C.A. avrebbe posseduto tra 500 e 600 geni per garantire un minimo metabolismo e un genoma che possa essere considerato tale. Non era, però, capace di replicare il DNA.
Si tratta di un numero esiguo di geni che, secondo uno studio del 2006, non coinciderebbe con quello reale, più prossimo a 15000-16000 unità. Questo comporta che la prima unità vivente fosse già molto più complessa di quello che pensavamo. Possedeva un genoma basato sul DNA, ribosomi per tradurre il codice genetico e un metabolismo in grado di spezzare gli zuccheri per ricavarne energia.

Terzo modello: cerchiamo il più antico

Negli ultimi anni sta prendendo piede una nuova suddivisione dell’albero della vita che non sarebbe più costituito da tre rami, ma da due: batteri e archea. Trovare L.U.C.A., quindi, significa oggi ricercare l’antenato più antico, quel gene presente in entrambi. Si tratterebbe di un organismo che viveva in geyser sottomarini e metabolizzava idrogeno e diossido di carbonio in metano.

Geyser marini Fonte

Questa scoperta ha delle ripercussioni sulla nostra vita?

La ricerca sull’argomento, ad ogni modo, è ancora in corso. Vari sono gli approcci al problema e differenti le scoperte cui ognuno di questi porta. Man mano che andiamo avanti, tuttavia, riusciamo a identificare nuovi aspetti che accumunano gli organismi viventi presenti sul nostro pianeta e conosciamo qualcosa in più sui nostri possibili primi passi. Scopriamo di non essere solo simili ai grandi predatori o ai silenziosi roditori dei boschi, sappiamo oggi che anche il più piccolo batterio che si riproduce è in qualche modo nostro fratello.

Alessia Sturniolo e Matteo Mangano

Fonti

Vecchie ossa, nuovi animali

Il mondo della paleontologia, così come quello della scienza in generale, è in continua evoluzione. Animali che abbiamo imparato a conoscere nel corso degli anni possono, di colpo, cambiare fisionomia e diventare qualcosa di completamente diverso.

Indice dei contenuti

I fossili cambieranno sempre ai nostri occhi

D’altronde è davvero poco quello che può riemergere dai fossili che arrivano a noi: resti frammentati di organismi che non hanno, spesso, nessun legame con gli esseri viventi di oggi.
Pensiamo ad un animale con l’Hallucigenia: sembra un verme ma capire dov’è l’inizio del suo corpo e dov’è la sua fine non è stato semplice, così come capire se le punte che lo ricoprivano fossero le sue zampe o se si muovesse con i tentacoli sul lato opposto del suo corpo. Si tratta, forse, del caso più emblematico di enigma paleontologico, e ci aiuta a capire perché dare un’identità fissa ad un fossile sia una scelta sbagliata.

L’evoluzione dell’Hallucigenea. Fonte:HALLUCIGENIA HISTORY

Se si bazzica sull’internet non sarà difficile trovare discussioni di appassionati che prendono spesso posizione sulle nuove scoperte, alleandosi con queste e cancellando dalla loro memoria tutti i processi che hanno portato a ciò.
Considerare corretto e privo di errori uno studio solo perché è stato l’ultimo ad essere pubblicato è un errore sempre più comune ad oggi.

Abbiamo già parlato delle scoperte fatte sullo Spinosauro in un nostro articolo, ma citiamo di nuovo questo dinosauro, perché oggetto di continue modifiche alla sua fisionomia e al suo comportamento.
Il paleontologo Paul Sereno ed il suo team, sono stati gli ultimi a fare modifiche al paper precedente del 2020, riportando questo animale dall’acqua alla terraferma in pianta stabile. Probabilmente non sarà neanche l’ultima volta che rivedremo una reinterpretazione così radicale.

L’evoluzione dello Spinosauro dal 900 ad oggi. Fonte: Reddit

 

Le nuove scoperte su un predatore marino

L’esempio più recente che abbiamo oggi di analisi che ribaltano un immaginario vecchio decenni è quello del Dunkleosteus, un antico pesce della classe dei placodermi, i primi animali provvisti di mandibola e mascella. Ritrovato negli strati rocciosi appartenenti al Devoniano, viene considerato il pesce col morso più potente mai esistito.
Si tratta di un animale reso famoso dal suo aspetto così diverso dai pesci che vediamo noi oggi. Il fatto che si tratti di uno dei primi animali capaci di mordere davvero fa sì che il suo aspetto sembri molto più primitivo rispetto a quello degli animali a cui siamo abituati: una grande armatura ossea sul cranio, un morso enorme e dimensioni stimate altrettanto grandi.

Sono state proprio queste ultime ad aver subìto un cambiamento un mese fa circa con un paper pubblicato da Russel K. Engelman, studioso del dipartimento di Biologia alla Case Western Reserve University. Il gruppo di animali a cui appartiene l’esemplare studiato si trova, potremmo dire, a metà strada tra pesci cartilaginei (i moderni squali e razze, per esempio) e i pesci ossei e ciò comporta alcune difficoltà nel ritrovamento dei suoi resti: la cartilagine infatti è considerabile un tessuto molle, e così come gli organi interni o il rivestimento esterno al corpo è suscettibile all’azione degli agenti esterni. In poche parole, non arriva integro a noi attraverso la fossilizzazione. Gli unici resti che abbiamo di antichi peschi cartilaginei, infatti, sono spesso i denti che venivano persi di continuo e ricostruiti da questi animali.
Del Dunkleostues abbiamo quindi il capo e ossa della zona toracica. Non abbastanza per capire davvero le dimensioni dell’animale. Di conseguenza, si è finora utilizzato il classico metodo della comparazione con altri animali simili, o considerati tali, ma come in molte altre occasioni ha portato a degli errori dovuti alle differenti proporzioni corporee tra i vari animali.

Immagine del Dunkleosteus. Fonte: Wikipedia

 

Il nuovo metodo di misurazione

Il nuovo studio propone quindi un nuovo metodo di misurazione: mettere in relazione il margine esterno dell’orbita oculare al margine posteriore del capo. Gli studiosi hanno trovato questa misurazione più funzionale nel caso dello studio dei pesci, perché questa è l’area dove si raccolgono, branchie, cervello e orbite: tutti questi elementi sono infatti limitati nelle dimensioni dalla grandezza del resto del corpo. Se le branchie non sono proporzionate agli organi potrebbero non mandare abbastanza ossigeno, e le proporzioni tra testa, rostro e narice sono state utili per capire le abitudini alimentari e comportamentali di moltissimi animali.

Cranio fossile del Dunkleosteus. Fonte:Wikipedia

Il risultato di questa ricerca? Il Dunkleosteus è passato da una dimensione stimata, in età adulta, di 5-8 metri ad una di 3-3,5 metri.
Questa misurazione riduce l’aspettativa che questo animale non avesse rivali nelle acque del Devoniano ed apre alla possibilità che più predatori abitassero nello stesso habitat.

Conclusioni

Ciò che vogliamo comunicarvi con queste scoperte è la grande malleabilità che dobbiamo dare alle nostre interpretazioni di questi animali. Considerare la ricostruzione di un animale come eterna è sempre sbagliato: ciò che spesso il pubblico non riesce a capire è che gli studi scientifici sono comunque portati avanti da esseri umani, che lavorano a partire dal lavoro di altri loro colleghi cercando di fare congetture e interpretare pochi frammenti di conoscenza per ricostruire intere strutture. E questo vale soprattutto in paleontologia, quando bisogna ricostruire un intero animale partendo da una misera vertebra.

Matteo Mangano

Riferimenti

Energie rinnovabili #1 – Nuove e vecchie problematiche per un mondo in evoluzione

Il bisogno sempre maggiore di energia tiene in scacco il mondo: pro e contro delle attuali risorse energetiche.

Questo è il primo di una serie di articoli che realizzeremo intorno al tema cruciale delle energie rinnovabili, di cui analizzeremo gli aspetti più curiosi ed innovativi. Ma andiamo con ordine.

Una nazione che non può controllare le sue fonti di energia non può controllare il suo futuro.” (Barack Obama)

Cos’è l’energia?

Dare la definizione operativa di energia non è facile e tutt’oggi non è possibile darne una univoca e che soddisfi tutte le nostre esigenze. Tuttavia una possibile definizione è quella per cui l’energia è la proprietà quantitativa che dev’essere trasferita a un oggetto affinché esso esegua un lavoro.

Analizziamo i vari tipi di energia.

I tipi di energia

Al giorno d’oggi sono state classificate tantissime forme di energia, alcune tra le più importanti sono:

  • energia nucleare;
  • energia meccanica;
  • energia gravitazionale;
  • energia elettromagnetica;
  • energia termica;
  • energia chimica.

Ognuna di queste forme di energia è indispensabile nella nostra vita di tutti i giorni e ne fa parte attivamente.

Ormai siamo abituati ad averle facilmente a disposizione, ma sappiamo anche quanto sta costando produrle sia dal punto di vista ambientale che dal punto di vista geopolitico.

È opportuno distinguere le risorse energetiche in:

  • risorse primarie, adatte all’uso finale senza conversione in un’altra forma;
  • risorse secondarie, dove la forma utilizzabile di energia richiede una sostanziale conversione da una fonte primaria.

Un’altra importante classificazione delle risorse energetiche si basa sul tempo necessario per la loro rigenerazione, e possiamo distinguere:

  • risorse rinnovabili, che sono quelle che recuperano la loro capacità in un tempo significativo per le esigenze umane.
  • risorse non rinnovabili, le quali sono quelle che sono significativamente esaurite dall’uso umano e che non recupereranno il loro potenziale durante la vita umana.

Fonti energetiche

Esistono circa dieci principali fonti di energia diverse che vengono utilizzate nel mondo , ognuna di esse con la sua peculiarità. Mentre ci sono altre fonti che vengono scoperte continuamente, nessuna di esse è sufficientemente sviluppata per soddisfare il fabbisogno mondiale di energia.

Ecco una panoramica di ciascuna delle diverse fonti di energia in uso e qual è il potenziale problema per ognuna di esse:

1. Energia solare:

Pro: attraverso l’uso di pannelli fotovoltaici, è possibile convertire l’energia solare in elettricità.

Contro: questo tipo di energia è che solo alcune aree geografiche del mondo ottengono abbastanza energia diretta dal Sole tale da soddisfare la richiesta di energia. Un altro annoso problema è quello dello smaltimento dei materiali costituenti i pannelli fotovoltaici.

2. Energia eolica:

Pro: la rotazione di opportune pale, causata dall’azione del vento, viene convertita in energia da grandi turbine che attivano un generatore e un convertitore.

Contro: Mentre questa sembrava una soluzione ideale per molti, la realtà dei parchi eolici sta iniziando a rivelare un impatto ecologico imprevisto che potrebbe non renderlo una scelta sostenibile.

3. Energia geotermica:

Pro:alcuni elementi radioattivi (quali Uranio, Torio, ecc), attraverso il loro lento decadimento, producono energia. Questa energia riscalda le rocce nel sottosuolo, che a loro volta riscaldano i bacini idrici presenti nelle zone limitrofe: l’acqua presente in essi evapora, e il vapore prodotto viene raccolto e utilizzato per azionare delle turbine rotanti che azionano un generatore.

Contro: Il più grande svantaggio con l’energia geotermica è che può essere prodotto solo in siti selezionati in tutto il mondo.

4. Energia derivante dall’Idrogeno:

Pro: è uno degli elementi più comuni disponibili sulla terra. L’acqua contiene due terzi di idrogeno e può essere trovata in combinazione con altri elementi. Una volta separato, può essere utilizzato come combustibile. È completamente rinnovabile, può essere prodotto su richiesta (tramite i processi di elettrolisi e reforming) e non lascia emissioni tossiche nell’atmosfera.

Contro: questo sistema ha un basso rendimento energetico e in più per potere effettuare i processi, richiede serbatoi con una pressione elevata (250 bar) che naturalmente comportano problemi sia di sicurezza che di peso e ingombro.

5. Energia prodotta dalle maree e dalle onde marine:

Pro: usa l’aumento e la diminuzione delle maree e il movimento della massa acquosa derivante dalle onde per convertire l’energia cinetica del mare, è rinnovabile e non provoca danni all’atmosfera.

Contro: La generazione di energia attraverso le maree è prevalentemente diffusa nelle zone costiere, necessita di enormi investimenti e la disponibilità di siti è piuttosto limitata. La produzione di energia delle onde può danneggiare l’ecosistema marino e può anche essere fonte di disturbo per le navi private e commerciali. 

6. Energia idroelettrica:

Pro: il 16% dell’elettricità prodotta oggi nel mondo arriva da questa fonte. Grossi bacini d’acqua, racchiusi da una diga, forniscono una potenza che viene utilizzata per azionare i generatori in modo da produrre l’elettricità.

Contro: I problemi affrontati con l’energia idroelettrica in questo momento hanno a che fare con l’invecchiamento delle dighe: esse infatti hanno bisogno di importanti lavori di restauro per rimanere funzionali e sicure, e ciò costa enormi somme di denaro. Il drenaggio dell’approvvigionamento di acqua potabile del mondo non è a lungo sostenibile, poiché l’acqua utilizzata per la produzione di energia potrebbe servire per l’utilizzo diretto della popolazione.

7. Energia delle biomasse:

Pro: è prodotta da materiale organico ed è comunemente usata in tutto il mondo. La clorofilla presente nelle piante cattura l’energia del Sole convertendo l’anidride carbonica dall’aria e l’acqua dal terreno in carboidrati attraverso la fotosintesi. Quando le piante vengono bruciate, l’acqua e l’anidride carbonica vengono nuovamente rilasciati nell’atmosfera.

Contro: Questo tipo di energia produce una grande quantità di anidride carbonica nell’atmosfera.

8. Energia nucleare:

Pro:  è una delle principali fonti di energia non rinnovabile disponibile al mondo. L’energia viene creata attraverso una specifica reazione nucleare di fissione, che viene quindi raccolta e utilizzata per generare energia elettrica.

Controrimane un grande argomento di dibattito su quanto sia sicura da usare e se sia davvero efficiente dal punto di vista energetico,date le notevoli quantità di scorie radioattive prodotte, molto difficili da smaltire. Gli scienziati stanno cercando di risolvere i problemi relativi alla sicurezza delle centrali (tutti sappiamo l’impatto ambientale che hanno avuto i disastri delle centrali nucleari di Chernobyl e Fukushima) e allo smaltimento dei rifiuti. Inoltre, i fisici stanno lavorando da anni ad un modo alternativo di sfruttare l’energia nucleare per la produzione di energia elettrica, ovvero tramite la fusione piuttosto che tramite la fissione. La fusione nucleare, però, ha diverse problematiche, che saranno trattare in un prossimo articolo.

9. Combustibili fossili:

Pro: attualmente è la principale fonte di energia del mondo e sfrutta materiali primi come carbone e petrolio. Il petrolio viene convertito in molti prodotti, il più utilizzato dei quali è la benzina.

Contro: Per arrivare al combustibile fossile, però, è purtroppo necessario deturpare in maniera irreversibile l’ambiente. Inoltre, le riserve di combustibili fossili sono in esaurimento.

Numero di reattori nucleari per pease. Fonte : Iaea|Pris
Numero di reattori nucleari per paese. Fonte: Iaea|Pris

Non è facile determinare quale di queste diverse fonti di energia sia meglio utilizzare: tutte hanno i loro punti di forza e le loro criticità. La verità è che sono tutti imperfetti: ciò che deve accadere è uno sforzo concertato per cambiare il modo in cui consumiamo energia e creare un equilibrio tra le fonti da cui attingiamo.

Gabriele Galletta

Perché Darwin aveva ragione

Semplice, elegante, efficace. La teoria dell’evoluzione descrive come gli organismi di una popolazione si evolvono nel tempo ed in relazione alle condizioni dell’ambiente. Si tratta probabilmente di una fra le più importanie verità scientifiche raggiunte dall’uomo, in quanto in grado di metterne a nudo le origini, scuotendo in maniera profonda ogni visione antropocentrica della Natura. Attaccata e messa alla prova in diversi momenti e luoghi storici, ha ogni volta superato il vaglio del tempo, arricchendosi di evidenze sempre maggiori, chiare e nette, fino a rappresentare con la sintesi neodarwiniana le fondamenta del ragionamento scientifico biologico moderno.  

Il neodarwinismo integra le ipotesi di Darwin con le conoscenze della genetica moderna. È il modello accettato dell’evoluzione.

Eppure ancor oggi tale teoria è troppo spesso bersaglio di critiche, le quali possono essere frutto di incomprensioni. Si tratta di critiche fondate? Ricerchiamo chiarezza, discutendo che cos’è l’evoluzione, dei meccanismi che la guidano e delle evidenze scientifiche che corroborano la teoria. 

Che cos’è l’evoluzione?

Come detto, è la trasformazione degli organismi viventi che, nel corso delle generazioni, si adattano alle condizioni ambientali; in un’accezione più attuale, si potrebbe anche dire che è la variazione del numero di alleli in una popolazione.

Per comprendere la relazione tra queste due definizioni facciamo un passo indietro. Quando Darwin intuì i meccanismi evolutivi studiando alcune specie di uccelli dell’arcipelago delle Galapagos, mancava oltre un secolo alla scoperta del DNA. La molecola del DNA è un elemento cruciale in questa storia, costituendo la più importante conferma delle idee di Darwin. Il DNA infatti possiede alcune proprietà essenziali che rappresentano le basi molecolari affinché la teoria dell’evoluzione funzioni:  

  1. Contiene l’informazione genetica, responsabile della trasmissione dei caratteri dai genitori alla prole (un carattere è ad esempio il colore degli occhi);  
  2. Garantisce la variabilità di questa informazione attraverso le mutazioni dei geni (due forme alternative – mutate – dello stesso gene sono definite alleli). 

Queste due semplici proprietà sono fondamentali per spiegare i meccanismi coi quali l’evoluzione agisce. 

I meccanismi dell’evoluzione: mutazione e selezione naturale

Un organismo, i cui caratteri sono determinati dai suoi geni, è sottoposto a mutazioni random. Detta variabilità è un aspetto determinante. Quando una mutazione produce un nuovo allele che si associa ad un carattere vantaggioso, questo permette all’individuo una maggiore probabilità di sopravvivenza e di riprodursi nell’ambiente in cui vive. Ciò favorisce la diffusione di quell’allele e quindi la selezione del carattere ad esso associato. Mutazione e selezione naturale guidano dunque il processo evolutivo. 

Cosa significa questo? Con un esempio pratico, gli uccelli studiati da Darwin sulle isole Galapagos (i cosiddetti Darwin’s finches o fringuelli di Darwin), che originavano da un antenato comune, una volta separati da barriere geografiche (il mare) in isole diverse, hanno progressivamente sviluppato caratteri divergenti, che meglio ne permettevano la sopravvivenza. Così, dove le principali risorse alimentari erano rappresentate da semi, i fringuelli di Darwin mostravano becchi possenti in grado di rompere i semi per permettere il nutrimento; dove gli insetti erano la più abbondante fonte di cibo, gli uccelli avevano sviluppato lunghi artigli e becchi sottili che favorivano una più facile cattura delle prede, divergendo in tal modo dall’antenato comune.

Alla base delle modifiche che permettono l’adattamento all’ambiente vi è una variazione nei geni e in particolare nelle frequenze degli alleli. Gli alleli che contengono l’informazione per dei caratteri vantaggiosi saranno più facilmente trasmessi alla prole e quindi più diffusi. È in questo senso che l’evoluzione avviene quando cambia la frequenza degli alleli.

Le prove dell’evoluzione

Esistono numerose evidenze che confermano l’evoluzione per selezione naturale.

  1. L’evoluzione osservabile, ovvero quei casi in cui abbiamo osservato la selezione naturale in maniera diretta. Ne sono un esempio i Darwin’s finches, come appena descritto. Un altro famoso caso riguarda la Biston betularia, una specie di falene bianco-screziate. Nelle regioni industriali della Manchester del ‘900 si assistette alla diffusione di una forma di falene totalmente nera. L’inquinamento aveva annerito i licheni sui quali le falene riposavano. Gli esemplari bianco-screziati diventarono quindi facile bersaglio di uccelli ed altri predatori; le falene nere invece ben si mimetizzavano. Il risultato fu che nel giro di alcune generazioni le falene nere, precedentemente rare, si erano diffuse notevolmente. Un esempio più vicino a noi è l’antibiotico-resistenza. Da quando Fleming scoprì l’azione battericida della penicillina, la pressione evolutiva dovuta all’esposizione a questa molecola, ha permesso la selezione e la diffusione di ceppi batterici antibiotico-resistenti.
  2. La comparazione di strutture anatomiche di specie differenti rivela un elevato grado di omologia se le due specie sono vicine nell’albero filogenetico, dimostrando come queste siano potute divergere da un antenato comune.
  3. I fossili rivestono da sempre un tema scottante. Va sottolineato che le prove precedentemente riportate sono da sole consistenti e valide a confermare la teoria dell’evoluzione. I reperti paleontologici sono solo un’ulteriore dimostrazione. Il cosiddetto “missing link” ovvero la mancanza di fossili che mostrano forme transizionali è discussione ormai superata e pseudoscientifica in quanto è assurdo pretendere che i reperti di ogni singola specie vissuta sulla Terra si siano conservati fino ad oggi. Anzi siamo già fortunati a poterne osservare numerosi, perché è quasi un caso che siano perdurati per milioni di anni giungendo a noi. Nonostante tutto ciò, abbiamo molteplici esempi di linee evolutive complete che costituiscono un’evidenza schiacciante.

    L’evoluzione delle balene è supportata da numerosi fossili di forme transizionali.

Macchine per la sopravvivenza dei geni

In conclusione, i geni contengono l’informazione che costruisce i caratteri di un organismo. Richard Dawkins ne Il gene egoista si spinge ad affermare che i geni, o meglio, l’informazione che contengono è potenzialmente immortale. Geni che producono strutture ed organismi efficaci nel procurarsi le risorse essenziali per la sopravvivenza e la riproduzione avranno una diffusione pressoché illimitata. L’organismo perirà, ma l’informazione contenuta nei suoi geni sarà trasmessa in maniera indefinita. In questo senso saremmo delle macchine per la sopravvivenza dei geni e solo i geni “migliori” perdureranno.

Nonostante questa visione possa apparire deprimente, è proprio grazie all’evoluzione per selezione naturale che le più varie e magnifiche forme in natura si sono potute sviluppare. In questo scenario, l’uomo, sebbene oggetto fra gli oggetti, con le sue straordinarie capacità di produrre arte, comporre sinfonie e comprendere le leggi che regolano l’universo, è il risultato più affascinante di questo processo evolutivo.

 

Fonti: 

Il più grande spettacolo della Terra – Richard Dawkins 

Il gene egoista – Richard Dawkins 

Mattia Porcino