Messina nel 1780: il quartiere “San Giovanni”

Ritorna l’appuntamento dedicato al viaggio nella Messina del 1780. L’architetto Giannone oggi ci accompagna nel quartiere “San Giovanni”.

Il quartiere

La contrada di San Giovanni era situata nella parte settentrionale della città, tra il torrente Boccetta e il Borgo inferiore. Fino al 1537 era denominato Borgo di San Giovanni, in quanto l’antico confine della città era circoscritto al Boccetta.                                                                                                                                                  Nell’Ottocento la grande piazza fu trasformata in un giardino pubblico, successivamente Villa Mazzini, obbligando la demolizione dell’antico lavatoio delle sete. Dopo le distruzioni del 1908, il nuovo piano decretò la demolizione del complesso di Sant’Andrea e di San Giovanni.

Mappa del quartiere “San Giovanni” – Fonte: “Messina nel 1789. Viaggio in una capitale scomparsa” ©Luciano Giannone, 2021

Chiesa di San Giovanni di Malta

La chiesa era a pianta rettangolare, a tre navate separate da file di sette robusti pilastri in pietra, vi erano altrettante cappelle laterali per ogni lato le quali ospitavano un gran numero di altari, opere pittoriche e scultoree e diversi monumenti funebri e sepolture. La facciata, in marmo bianco e pietra rossa, riprendeva il modello incompiuto del San Lorenzo del Buonarroti, maestro di Del Duca, adottando la conformazione della facciata a due ordini con nicchie laterali e inframezzate da coppie di paraste. Al centro della facciata vi era un pronao formato da due colonne e un arco al di sopra del quale, nel secondo ordine, vi era una grande finestra balconata.
La facciata era posizionata su un alto basamento che compensava il differente livello con la parte absidale, ad esso si accedeva tramite quattordici gradini semicircolari ed era cinto da una balaustrata.

Messina nel 1780
Vista chiesa San GIovanni di Malta – Fonte: “Messina nel 1789. Viaggio in una capitale scomparsa” ©Luciano Giannone, 2021

Il terremoto del 1908 danneggiò gravemente la Chiesa: crollarono i muri perimetrali, la volta, la parte sinistra della facciata, mentre la tribuna ebbe danni limitati.
Nel piano regolatore del 1910 la chiesa fu sottoposta a vincolo di conservazione, che però fu rimosso dal piano Borzì: i resti dell’edificio furono distrutti con la dinamite, per permettere la costruzione del Palazzo del Governo; venne tuttavia risparmiata la tribuna, che venne restaurata e riaperta nel 1926.

La Chiesa di San Giovanni di Malta dopo il terremoto del 1908 – Fonte: “Messina nel 1789. Viaggio in una capitale scomparsa” ©Luciano Giannone, 2021

Gran priorato dei cavalieri di Malta

Il Priorato nacque come convento della chiesa di San Giovanni nel VI secolo e anch’esso venne danneggiato e abbandonato durante la dominazione araba.  Esistono descrizioni dettagliate dell’edificio, presso il quale “si accedeva da un grande portale ad arco in pietra sovrastato dallo stemma del priore Naro. Sul lato destro vi era un’antica porta grande ad arco (murata) che corrispondeva ad un ampio magazzino con una apertura che si affacciava sul piano di S. Giovanni; A sinistra dell’ingresso erano due stanze ‘terrane’, di cui una utilizzata come carcere, ed una camera con piano superiore. Seguiva il muro del giardino con 27 merli e porta d’ingresso con lo stemma del priore Gattinara, un pozzo e camere il primo piano i cui ingressi mostravano ancora le insegne familiari.

Danneggiato dal sisma del 1783, venne restaurato e al suo interno furono trasferite le funzioni appartenute al distrutto Palazzo Reale. Dopo l’Unità d’Italia fu acquistato dalla Provincia divenendo il palazzo del Prefetto e venendo difatti ricostruito nel 1877 dagli architetti Leone Savoia e Giuseppe Bonaviri.
Così come per la Chiesa di San Giovanni, il Priorato venne seriamente danneggiato dal terremoto del 1908 e demolito con la dinamite nel 1912, permettendo la costruzione della nuova Prefettura progettata da Cesare Bazzani.

Fontana e gran beveratura di San Giovanni

La fontana era alta cinquanta palmi e le sue fattezze sono facilmente interpretabili dall’accurato rilievo di Hitorf e Zanth pubblicato nel 1835: in una prima grande vasca ottagonale, ornata da quattro mascheroni e il citarista Arione cavalcante un delfino che comunicava con il lavatoio. Era presente anche un secondo corpo di impianto quadrangolare ai cui lati vi erano altrettanti leoni che versavano l’acqua dentro grandi vasi. Al di sopra, si appoggiava l’alto candelabro formato da un grande fusto circolare.

Sulla cima del candelabro vi era una statua raffigurante Messina, raffigurata dall‘Hittorff e dall’Houel in vesti militari.
Il lavatoio invece era lungo circa trenta metri ed era in marmo rosso; fu costruito al fine di permettere ai tintori e ai setaioli di lavare le proprie mercanzie nell’acqua dolce, essendo prima di allora costretti a farlo in mare.

 

Jean Laurent Houel , IV.e vue de Messine. Place de S.t Jean, 1784 – Fonte: “Messina nel 1789. Viaggio in una capitale scomparsa” ©Luciano Giannone, 2021

 

Fontane dei Cavallucci                                                                                     

Le quattro fontane sono state erette nel 1742, in occasione dell’anniversario secolare della consegna della lettera della Madonna ai messinesi, nella piazza di Santa Maria La Porta, probabilmente su disegno del sacerdote Gaetano Ungaro e scolpite da Giovan Battista Marino. Le fontane, identiche e simmetriche tra loro, erano posizionate su un basamento ornato con volute e un mascherone che versava l’acqua in una coppa. Sopra di esso si poggiava una vasca allungata, all’interno della quale sorgeva la scultura di un delfino cavalcato da un putto, dalla quale le fontane trassero il loro nome popolare.

Danneggiate dai bombardamenti del 1848, le fontane furono rimosse dalla Piazza e spostate nei pressi della Chiesa di San Francesco di Paola, separandole dai “cavallucci“, ricollocati nel laghetto artificiale del giardino a mare, dove restarono almeno fino al 1940.  Due delle quattro vasche ancora oggi sono posizionate presso largo di San Giacomo, alle spalle del Duomo.

Vista della Piazza Cavallucci e del Convento S. Andrea Avellino – Fonte: “Messina nel 1789. Viaggio in una capitale scomparsa” ©Luciano Giannone, 2021

 

Chiesa e convento di Sant’Andrea Avellino                                             

Il progetto della chiesa fu realizzato da Domenico Martinelli nei primi decenni del secolo, ma la fabbrica parti molti anni dopo la sua morte sotto la direzione di Giuseppe Donia. Successivamente Antonio e Francesco Saverio Basile ne rinnovarono il disegno. Il terremoto del 1783 fermò drasticamente il cantiere che ripartì molti decenni più tardi. La chiesa venne aperta al culto solamente nel 1851 su nuovo progetto di Antonio Tardi in forme strettamente neoclassiche e con una cupola ribassata.

Il terremoto del 1908 lasciò sorprendentemente quasi indenne la chiesa. In seguito venne ugualmente abbattuta con la dinamite per permettere la biforcazione tra Corso Cavour e via Garibaldi; anche il convento, danneggiato in maniera maggiore, venne demolito.

Foto d’epoca precedente al 1908 del Convento S. Andrea Avellino – Fonte: “Messina nel 1789. Viaggio in una capitale scomparsa” ©Luciano Giannone, 2021

Alla prossima!

Terminata anche questa tappa, vi diamo appuntamento alla prossima puntata, in cui “visiteremo” il quartiere “Caperrina”.

 

Marta Cloe Scuderi

Fonti:

Luciano Giannone, Messina nel 1780. Viaggio in una capitale scomparsa, Giambra Editori, Terme Vigliatore (ME), 2021.

https://www.youtube.com/@lucianogiannone9299

 

Il Parlamento ha eletto i nuovi presidenti di Camera e Senato: sono Lorenzo Fontana e Ignazio la Russa

Il 25 settembre gli italiani sono stati chiamati alle urne per il rinnovo dei componenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Le elezioni politiche 2022 si sono concluse con la netta vittoria della coalizione di centrodestra, trainata da Giorgia Meloni e dal suo partito Fratelli d’Italia, prima forza politica con il 26% dei voti. Primo impegno per la XIX legislatura e banco di prova “politico” per la coalizione, è stata l’elezione dei presidenti dei due rami del Parlamento. Camera e Senato si sono riuniti per la prima volta ieri 13 ottobre per il primo passaggio istituzionale necessario per consentire l’avvio delle successive consultazioni al Quirinale e la formazione del prossimo esecutivo.

 

Liliana Segre apre la seduta al Senato nel ricordo del passato come ausilio per il presente

«Oggi sono particolarmente emozionata di fronte al ruolo che in questa giornata la sorte mi riserva. In questo mese di ottobre, nel quale cade il centenario della marcia su Roma, che dette inizio alla dittatura fascista, tocca proprio a me assumere momentaneamente la Presidenza di questo tempio della democrazia che è il Senato della Repubblica».

Queste le parole di Liliana Segre, senatrice a vita sopravvissuta all’Olocausto, chiamata a presiedere la prima seduta del Senato. Quella bambina che in un giorno nell’ottobre del 1938 è stata costretta dalle leggi razziali a lasciare la scuola, oggi invece si trova «sul banco più prestigioso del Senato». Accolta con grandi applausi ha rivolto un saluto a Mattarella, Papa Francesco e Giorgio Napolitano che sarebbe dovuto essere al suo posto ma assente per motivi di salute. L’intervento della senatrice è stato definito come fortemente politico, antifascista, partigiano e repubblicano. Ha affermato quanto «le grandi democrazie mature dimostrano di essere tali, al di sopra delle divisioni, poiché sanno ritrovarsi unite in un nucleo di valori condivisi. In Italia l’unità deve manifestarsi sulla Costituzione, che non è solo un pezzo di Carta, ma il testamento di centomila caduti nella lunga lotta per la libertà». Il buon augurio della senatrice è quello «di lasciare fuori da questa Assemblea la politica urlata che tanto ha contribuito a far crescere la disaffezione dal voto, interpretando invece una politica alta e nobile. Si apra sinceramente all’ascolto e si esprima con gentilezza».

Una grande testimonianza di pace e giustizia quella di Liliana Segre, per la lotta contro la diffusione del linguaggio dell’odio, la violenza dei pregiudizi e delle discriminazioni. Tutti hanno applaudito, ma la destra però sembrerebbe lo abbia fatto troppo timidamente, quando la senatrice ha fatto riferimento all’uccisione di Giacomo Matteotti e al 25 aprile.

 

Il neoeletto presidente del Senato Ignazio La Russa porge un mazzo di rose alla senatrice a vita Liliana Segre, fonte: Micromega

 

Ignazio La Russa nuovo presidente del Senato

Con 116 voti, su una maggioranza di 104, Ignazio Benito Maria La Russa è stato eletto nuovo presidente del Senato. Ha raggiunto i voti necessari per l’elezione ancora prima che terminasse la votazione e lo ha fatto nonostante il non voto deciso da Forza Italia. «La senatrice a vita Segre ha parlato di tre date alle quali non voglio fuggire: 25 aprile, il primo maggio e il 2 giugno. Io vorrei aggiungere la data di nascita del Regno d’Italia che prima o poi dovrà assurgere a festa nazionale. Queste date tutte insieme vanno celebrate da tutti perché solo un’Italia coesa e unita è la migliore precondizione per affrontare ogni emergenza e criticità».

Queste le parole del neo eletto presidente nonché esponente di punta di Fratelli d’Italia con alle spalle una lunga storia politica. A partire dal Fronte della Gioventù, la sezione giovanile del Movimento Sociale Italiano, fino alla vicepresidenza della Camera dal 1994 al 1996 e il Ministero della Difesa nel 2008, incarichi ricoperti prima di fondare, insieme a Giorgia Meloni e Guido Crosetto, Fratelli d’Italia nel 2012.

«Il mio è un compito di servizio, oggi non devo cercare applausi o captare la vostra benevolenza. Lo dovrò fare ogni giorno con i miei atti. Non c’è bisogno di parole che suscitino un applauso, ma solo di una sincera promessa, vi giuro che cercherò con tutte le mie forze di essere presidente di tutti».

L’elezione è avvenuta in un clima tesissimo tra gli alleati di centrodestra. Forza Italia non ha partecipato alla votazione, come segnale di protesta per il poco peso nel futuro governo. Solo Berlusconi ha votato perché da fondatore della coalizione ha voluto dare un segnale di apertura, nonostante la posizione contraria del gruppo.

 

Lorenzo Fontana nuovo presidente della Camera dei Deputati

Contestualmente all’elezione di La Russa, nella Camera dei Deputati dopo tre scrutini non è stato raggiunto nessun quorum. Oggi, per il quarto scrutinio, è bastata una maggioranza assoluta dei votanti, cioè più della metà, per giungere all’elezione del nuovo presidente della Camera: Lorenzo Fontana. Il vicesegretario della Lega ha vinto sulle candidature di Maria Cecilia Guerra, proposta dal PD, di Matteo Richetti, proposto dal Terzo Polo, e Federico Cafiero de Raho, candidato del Movimento 5 Stelle. Membro della Lega e particolarmente vicino a Matteo Salvini, nel suo discorso di ringraziamento ha ricordato il Capo dello Stato, il suo predecessore Fico, il Papa e persino Umberto Bossi.

“Onorevoli colleghi, è con forte gratitudine e grande commozione che mi rivolgo per la fiducia, ringrazio chi mi ha votato e chi no. Sarà mio onore dirigere il Parlamento”.

Di riconosciute posizioni conservatrici e cattoliche, ha voluto però rassicurare immediatamente che nelle sue nuove vesti di presidente della Camera si metterà fin da subito al servizio della stessa. “La Camera rappresenta le diverse volontà dei cittadini: la nostra è una nazione multiforme con diverse realtà storiche e territoriali che l’hanno formata e l’hanno fatta grande: la grandezza dell’Italia è la diversità. Interesse dell’Italia è sublimare le diversità”

 

Lorenzo Fontana (Lega), presidente della Camera dei Deputati, fonte: L’Arena

Marta Ferrato

Messina nel 1780: il quartiere “Palazzo Reale”

Nell’ultimo mese dell’anno passato abbiamo avuto il piacere di intervistare -per la rubrica #NextGenerationMe-  il giovane architetto Luciano Giannone, autore del volume “Messina nel 1780: viaggio in una capitale scomparsa”.

Da quell’esperienza abbiamo pensato di “viaggiare nel tempo” insieme a lui, per scoprire nel dettaglio come si presentava la città dello Stretto in uno dei suoi periodi di massimo splendore, prima del funesto terremoto del 1783. Accompagnati dall’autore è quello di mostrarci, attraverso minuziose e fedeli ricostruzioni, le architetture e i  quartieri nel periodo d’oro del Rinascimento e poi del Barocco.

Il nostro viaggio inizia dal quartiere “Palazzo Reale“.

Mappa del quartiere “Palazzo Reale” – Fonte: “Messina nel 1780. Viaggio in una capitale scomparsa”  ©Luciano Giannone, 2021

Dov’è il Palazzo Reale?

Spero di non essere stata l’unica studentessa fuori sede a pormi questa domanda: quando, una delle prime volte che visitai Messina mi ritrovai alla fermata del tram “Palazzo Reale”, mi chiesi subito dove fosse per poterlo vedere, per poi scoprire che si un Palazzo Reale c’era, ma prima del 1783, quando, in seguito al terremoto, il palazzo crollò per non essere più ricostruito.

Sin da tempi remoti la struttura ha avuto il ruolo di fortezza e di Palazzo Reale; danneggiata nel corso della guerra del Vespro, venne ricostruita da Federico III di Sicilia, che la abbellì con decori in pietra nera e in stile gotico, in particolare nella facciata ovest, rimasta pressoché integra fino al 1783 e rappresentata dal Saint-Non come una teoria di larghe finestre ad arco trilobato alternate da paraste.

Nel 1567 la città stava attraversando una sensibile fioritura in campo artistico ed economico, nonché un travolgente sviluppo urbanistico e architettonico; l’architetto della città era Andrea Calamech, il quale ricevette l’incarico di ristrutturare il palazzo dal viceré Garcia di Toledo. Camalech aveva il compito di trasformare l’austera fortezza in un’architettura civile, mantenendone però l’impostazione planimetrica e seguendo le indicazioni della committenza.

Descrizione del palazzo

La facciata, di cui esistono numerose e minuziose rappresentazioni, era costituita da quattro livelli: nel corpo principale, ultimato nel 1649 per opera dell’Architetto Giovanni Antonio Ponzello, si scorgono dodici finestre per i primi due piani, separate dal portale principale a dai due laterali, mentre nel piano piano nobile le finestre sono quattordici, balaustrate e concluse da timpani triangolari e ad arco alternati.

Il piano attico è costituito da finestre quadrate più piccole e concluso da un fregio appoggiato a mensoloni. Il portale centrale, disegnato dal Calamech, era composto da marmi bianchi e neri. Nel secondo ordine un arco spezzato era sorretto da due cariatidi, probabilmente raffiguranti vittorie alate, e al centro dell’arco vi era lo stemma del regno.

Nella parte laterale vi erano due torri relativamente ai prospetti est e ovest: solamente il prospetto nord venne completato, poiché rappresentava la vista privilegiata di cui doveva godere il palazzo, ovvero dal mare.

Ricostruzione virtuale del Palazzo Reale, visto dal mare – Fonte: “Messina nel 1780. Viaggio in una capitale scomparsa”  ©Luciano Giannone, 2021

Monumento a Don Giovanni d’Austria

Nel 1572 il Senato messinese commissionò a Calamech la costruzione di una statua celebrativa della vittoria della Lega Santa nella battaglia di Lepanto del 1571 e del suo condottiero, Don Giovanni d’Austria .

Nella statua di bronzo Don Giovanni, in armatura di guerra, è rappresentato nell’atto di calpestare Alì Pascià, comandante degli ottomani; nella mano destra tiene il bastone a tre fasci simbolo della triplice alleanza e nel basamento di marmo sono affissi quattro rilievi in bronzo: un cartiglio celebrativo, la raffigurazione dei due schieramenti, le fasi finali dello scontro e il ritorno della flotta nel porto di Messina.

La statua era originariamente posta al centro del piano del Palazzo Reale. Dopo il terremoto del 1908 il monumento venne collocato nella Piazzetta dell’Annunziata del Guarini, sua sede attuale, e ad oggi rappresenta l’unica opera superstite di Calamech a Messina.

Fontana di Piazza Palazzo Reale

Una prima fontana nella Piazza Palazzo Reale fu fatta edificare nel 1612, presso la chiesa del Piliero, ma venne distrutta durante il combattimento tra le fazioni dei Merli e dei Malvizzi; venne ricostruita nel medesimo posto dall’ordine dei Trinitari Scalzi, per poi essere distrutta nel terremoto.

Ne conosciamo la struttura poiché è ben rappresentata nell’incisione del De Ghendt (“Vue de la place de Messine avec une partie du Port e du Palais des Vice-Roi” 1785 ca). Poggiata su scalini, il corpo principale era costruito da una grande nicchia affiancata da due coppie di pilastri; al centro della composizione vi era un altro pilastro dentro il quale erano scolpite tre nicchie decorate da pesci dalle cui bocche sgorgava l’acqua che si raccoglieva in piccole vasche.

Le principali chiese del quartiere

Il quartiere presentava numerose chiese, delle quali faremo una rapida rassegna.

La Chiesa e il monastero di San Girolamo, edificati con magnificenza nel 1542 dalla ricostruzione delle piccole chiese intitolate a San Girolamo e Sant’Aloe, furono distrutte dal terremoto del 1783. Il portale del convento sopravvisse fino alla successiva catastrofe del 1908, che distrusse le parti residuali del complesso, ad eccezione di alcune murature tuttora presenti all’interno dell’isolato 279A.

La Chiesa di San Carlo fu costruita in seguito al ritrovamento di un’icona della Vergine Maria con il bambin Gesù; fu intitolata al Santo dopo l’acquisizione della struttura (1684) da parte di Padri Trinitari Scalzi. In seguito alla distruzione del 1783, l’edificio fu ricostruito, ma non ebbe molto fortuna: nel 1849 fu incendiato durante i moti, nel 1866 fu espropriato da parte dello Stato, divenendo un ufficio delle poste, e nel 1908 crollò definitivamente.

La Chiesa della Candelora, di origine antica, venne così denominata nel 1507. Al suo interno sorgeva la tela raffigurante la Purificazione ad opera di Girolamo d’Alibrandi, squarciata dai bombardamenti del 1848. La struttura fu demolita due anni dopo.

La via Austria con le chiese di San Giuseppe e San Carlo e la Statua di Don Giovanni d’Austria – Fonte: “Messina nel 1780. Viaggio in una capitale scomparsa”  ©Luciano Giannone, 2021

Alla prossima!

Terminata la nostra prima tappa, vi diamo appuntamento alla prossima puntata, in cui “visiteremo” il cuore della città di Messina: il quartiere Duomo.

 

Marta Cloe Scuderi

Fonti:

Luciano Giannone, Messina nel 1780. Viaggio in una capitale scomparsa, Giambra Editori, Terme Vigliatore (ME), 2021.

Fase 2: ecco come e perchè le Regioni si schierano contro la linea di Palazzo Chigi

Da quando il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha annunciato che il 4 maggio avrebbe avuto inizio la Fase 2 sono state numerose le critiche rivolte alla strategia del Governo. Alcuni Presidenti di Regione hanno infatti deciso di contestare pubblicamente il contenuto di alcuni punti del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri rivendicando una più ampia sfera di autonomia decisionale.

Tali proteste si sono tradotte, nelle scorse settimane, in una aperta “sfida” verso le posizioni dell’esecutivo. Basti pensare al documento firmato dai Presidenti di Regione espressione di forze politiche opposte a quelle della maggioranza parlamentare (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Molise, Piemonte, Sardegna, Sicilia, Umbria e Veneto, Provincia Autonoma di Trento) in cui si richiede una revisione dell’ultimo DPCM datato 26 Aprile.

Proprio in quest’ultimo è importante sapere che il Governo riconosce agli enti locali la capacità di adottare misure maggiormente restrittive, rispetto a quelle aventi carattere nazionale, ove si rendessero necessarie.

Ciò che le Regioni chiedono è, però, l’esatto opposto ovvero la possibilità, sulla base di valutazioni autonome, di allentare tali misure riconoscendo quindi una maggiore apertura.

La sfida più azzardata è partita poi dalle dichiarazioni di Jole Santelli, la neoeletta governatrice della Calabria, che ha approvato un’ordinanza con cui autorizza, nella sua regione, la riapertura di bar e servizi al tavolo all’aperto prima ancora della fine della fase 1,  in netto contrasto con la linea di Palazzo Chigi.

Il Presidente Conte ha respinto le richieste delle Regioni definendo queste azioni come illegittime, profilando dunque l’ipotesi di un ricorso davanti al Tribunale Amministrativo competente, e il Presidente della Camera Fico non ha mancato di sottolineare come, in un periodo straordinario come quello che stiamo vivendo, qualsiasi decisione circa l’allargamento delle maglie delle restrizioni deve essere frutto di una decisione centrale.

Le Regioni, sebbene godano nel nostro ordinamento di un grado di autonomia più o meno intenso a seconda del settore di riferimento, della natura del loro statuto e di apposite previsioni della Costituzione, sono comunque enti derivati che trovano il fondamento delle loro attribuzioni in un sistema che ha nello Stato la sua istituzione più elevata.

Questa “sfida” al Governo, oggetto di interviste, prese di posizione e servizi televisivi, smuove l’opinione pubblica e suscita acceso dibattito tra i cittadini o sulla necessità di una pronta riapertura per non fare soffrire l’economia o sull’importanza di congelare le nostre vite in favore di un’immediata difesa della salute. Ma, facendo ben attenzione a superare gli “ami” della politica e le battaglie fondate sulla ricerca del consenso, si rimane con una trista realizzazione: l’assenza di un progetto nazionale che si basi, oltre che sugli appelli alla responsabilità dei cittadini, su una vera strategia comune.

In Sicilia il Presidente Nello Musumeci, ha più volta ricordato che, con l’arrivo della stagione estiva, la riapertura del Paese possa comportare un nuovo esodo, di portata ben maggiore di quello avvenuto cinque settimane fa, sposando dunque una linea di chiusura con il resto della penisola.

E quindi, se per Luca Zaia “il Veneto potrebbe riaprire già domani” e il Presidente della Lombardia, Attilio Fontana, riapre i mercati all’aperto, se il Governatore della Campania “chiude i confini” e in Calabria vengono riaperti i bar perché la stagione estiva è alle porte, a noi cittadini non ci resta che aspettare che interessi più grandi si allineino con i nostri.

Filippo Giletto

Luci ed ombre di Piazza Cairoli: chiusura pista di ghiaccio e nuova fontana

 

Quest’anno l’atmosfera natalizia si è fatta sentire più del solito, nessuno osa negarlo.

Le iniziative e gli addobbi sono stati ben pensati, in un itinerario di programmi e progetti.

Una testimonianza è il cartellone degli eventi natalizi cittadini, consultabile qui sul sito del comune e riportato da varie testate locali.

Non sono mancati però gli intoppi.

Con ancora aperta la questione del Giardino delle luci di Piazza Cairoli, un altro inconveniente è già dietro l’angolo.

Stiamo parlando della famosa pista di ghiaccio, sita nella piazza del centro.

Ieri la polizia municipale ha potuto constatare l’assenza di licenza per l’attrazione, la quale è stata subito chiusa. La pista infatti sembrava essere già in “funzione” pur non avendo concluso l’iter di autorizzazione di due fasi: a mancare era infatti l’autorizzazione da parte della questura.

L’attrazione era stata inaugurata il 5 dicembre.

Gazzettadelsud.it

 

D’altra parte però la piazza incassa il colpo e torna con una novità: la riattivazione della famosa fontana. Inaugurata sabato sera risulta essere frutto della professionalità di AMAM.

Gazzettadelsud.it

 

Giochi d’acqua unici, resi possibili da un nuovo sistema di luci, questa fontana è stata definita dal sindaco un “capolavoro”. Questi, infatti, ha ribadito il suo impegno contro chi proverà a danneggiare l’attrazione.

 

Angela Cucinotta

Artitudine: un viaggio alla riscoperta delle bellezze messinesi

Passeggiando per Messina, osservando con attenzione, è possibile notare diversi segni del passato millenario della città dello stretto. Il problema è che la maggior parte di noi non ha le conoscenze necessarie per interpretarli. Per soddisfare il desiderio di chi vuole gli strumenti per conoscere la storia e la bellezza della città è nato Artitudine. L’associazione culturale ARB organizzerà, nell’ambito del progetto Artitudine-Messina città che parla, delle visite guidate con docenti ed esperti locali, con uno sconto dedicato agli studenti universitari.

Il primo incontro si terrà domenica 18 marzo a cura della professoressa Mariateresa Zagone e riguarderà un tema molto caro all’unità di Cultura locale del nostro giornale, ossia le fontane storiche. Messina è fondata su una miriade di torrenti che hanno sempre fornito alla città una riserva inesauribile di acqua dolce. Questo ha permesso la costruzione di moltissime fontane, alcune delle quali particolarmente rilevanti dal punto di vista artistico a tal punto da essere diventate simboli della città stessa. La visita inizierà presso la sede dell’associazione in via Romagnosi 18 alle ore 9:30.

La prima tappa sarà la splendida fontana montorsoliana del Nettuno, ci si sposterà poi verso la fontana garibaldina, e a seguire fontana della pigna, fontana Falconieri, fontana Senatoria, fontane dei 4 cavallucci, 4 fontane, fontana di Orione e fontana del Gennaro.

La nostra rubrica Messina da scoprire si occupa ormai da anni di abituare i lettori a guardarsi intorno e ad esplorare una città misteriosa e ricca di indizi di una cultura molto interessante. È quindi con immenso piacere che vogliamo promuovere un progetto che mette in atto ciò che fino ad ora abbiamo cercato di trasmettere.

Vi invitiamo quindi a non mancare, prenotandovi subito tramite facebook, attraverso il numero 3357841234 o via mail (info.arb.service@gmail.com) ; se poi non volete presentarvi impreparati potrete avere un assaggio di quello che vi aspetta rileggendo i nostri articoli dedicati all’argomento della passeggiata: 

– Arte, storia e mito nella Fontana di Orione del Montorsoli 

– Messina, signora dello Stretto: la Fontana del Nettuno

– Giochi d’acqua e pietra: le fontane storiche messinesi, parte I

– Giochi d’acqua e pietra: le fontane storiche messinesi, parte II

Renata Cuzzola

ph: Martina Galletta, Giulia Greco

Giochi d’acqua e pietra: le fontane storiche messinesi, parte 2

La scorsa settimana avevamo iniziato il nostro giro virtuale per le strade di Messina sui sentieri dell’acqua e della pietra, alla ricerca di alcune fra le più belle delle tante fontane che adornavano questa città ricca di corsi d’acqua, in parte risparmiate da terremoti e distruzioni. Avevamo interrotto il nostro cammino davanti all’ingresso laterale di Palazzo Zanca, all’incrocio con la via Consolato del Mare, fermi ad ammirare una piccola fontana seicentesca dai cui bordi affiorano ai nostri occhi, velati dalle nebbie dei secoli, i nomi curiosamente familiari dei sei senatori che la fecero costruire: la Fontana Senatoria.

È da lì che riprendiamo il percorso, e salendo dalla via Consolato del Mare, costeggiamo i fianchi del grande palazzo municipale fino al quadrivio di piazza Antonello, e da lì proseguiamo nella stessa direzione, lato monte, lungo la via S.Agostino. Al termine di una breve salita, ci attende una rotonda, piazza Basicò, al centro della quale troneggia una bizzarra fontana ottagonale: è la Fontana Nuova, detta anche Fontana Falconieri, dal nome dello scultore, Carlo Falconieri, che, nel 1842, in occasione dei festeggiamenti per il diciottesimo centenario della consegna della Lettera di Maria ai Messinesi (che la pia tradizione pone appunto al 42 d.C.), la edificò per decorare piazza Ottagona, oggi Piazza Juvarra, vicino al torrente Trapani; fu trasferita qui nel secondo dopoguerra, precisamente nel 1957.  Dal centro della grande vasca marmorea si alza una stele che sorregge le due vasche superiori, sempre più piccole, sormontate in cima da volute e conchiglie marine; dai bordi della vasca, ad alternare, quattro basamenti accolgono le statue in ferro di altrettanti mostri marini, sotto le quali si trovano altre quattro vasche più piccole. Tutto è decorato da motivi floreali, riccioli, volute, foglie d’acanto; stilemi decorativi che sembrano precorrere l’eclettismo che predominerà poi nei primi del ‘900.

Torniamo adesso sui nostri passi e percorriamo, in discesa, la via S.Agostino, fino a raggiungere l’incrocio con la via XXIV Maggio, l’ex “via dei Monasteri”. Percorrendola diretti verso il torrente Boccetta incontreremo il complesso del Monte di Pietà, al cui interno, proprio al centro dell’architettonica scalinata, si trova una altra fontana storica, la fontana dell’Abbondanza, opera di Ignazio Buceti del 1742. Proseguendo sulla nostra strada, raggiungiamo finalmente l’incrocio col viale Boccetta, la grande arteria del traffico cittadino; e da lì, scendendo verso il mare, all’incrocio con la via Cavour, fa capolino, quasi dimenticata in mezzo al caos delle macchine e dei passanti, l’elegante Fontana della Pigna. Opera di autore e data ignota, ma per lo stile ascrivibile al pieno ‘700, nei secoli passati ornava verosimilmente il cortile del Seminario Arcivescovile che si trovava proprio in questa zona; il suo profilo aggraziato con le sue tre vasche mistilinee, che tanto ricordano le valve di una grande conchiglia, culmina in cima con la grossa pigna a cui deve il nome.

Lasciamo alle nostre spalle questa fontana per proseguire verso il lungomare cittadino, in quello che è forse uno dei suoi scorci più suggestivi sulla baia del porto con la zona falcata, la stele della Madonna della Lettera, il molo e la Calabria sullo sfondo, mentre di fronte al Palazzo del Governo, sede della Prefettura, la statua del Nettuno, fra Scilla e Cariddi, scruta l’orizzonte dall’alto della bella fontana del Montorsoli. Il nostro cammino prosegue lungo la Passeggiata a Mare fino a raggiungere una delle strutture più discusse della Messina contemporanea: la Fiera Campionaria. Sorta a partire dal 1938 nella sede in cui si trovava il Giardino a Mare Umberto I, un grande e pittoresco parco pubblico che, fra le tante cose, includeva anche due fontane, che tutt’ora si trovano all’interno degli spazi destinati alla fiera. Una, visibile anche dall’esterno della Fiera, è una fontana in ghisa di fattura artigianale, in stile neorinascimentale, fatta costruire appositamente a fine ‘800 per il giardino pubblico; l’altra, più antica e pregiata, fu fatta trasportare nel Giardino a Mare nel 1897, e proveniva originariamente dal chiostro del monastero annesso alla chiesa di san Gregorio, oggi interamente perduto. È datata 1739, e pare sia stata commissionata da una nobile badessa, suor Severina Ruffo, il cui stemma gentilizio, sorretto da un puttino, si trova infatti in cima alla vasca superiore della fontana, retta da un basamento su cui si appoggiano le code guizzanti di tre cavallucci marini. L’opera, come testimonia una scritta incisa sul bordo della vasca maggiore, fu realizzata da Ignazio Brugnani, un “enfant prodige” della scultura nella Messina del ‘700, che la realizzò all’età di 20 anni. Resterebbe da chiedersi come mai per una opera simile non sia ancora stata trovata una sede più adeguata; ma sono riflessioni che certamente non andrebbero fatte in questa sede…

 

Concludiamo infine il nostro cammino per la città e attraverso i secoli proseguendo sul Viale delle Libertà, oltre la Fiera, fino a raggiungere la cosiddetta “rotonda di San Francesco“, vicino agli sbarchi dei traghetti: proprio sotto la bizzarra facciata novecentesca della chiesa parrocchiale di santa Maria dell’Arco, una aiuola ospita pochi, informi resti, completamente irriconoscibili, di quella che anticamente doveva essere una fontana. È questo ciò che rimane della Fonte del Lauro, la più antica fontana di Messina, citata già in documenti risalenti al 1348; probabilmente ricostruita nel 1514 e poi rinnovata, secondo il La Farina, nel 1724, le sculture che la ornavano furono smontate nel 1934 e da allora non ne resta più notizia: molto verosimilmente furono trafugate, e chissà che oggi non facciano parte di qualche collezione privata…

Gianpaolo Basile

Ph: Giulia Greco