Materia e antimateria, lo Yin e lo Yang della fisica quantistica

Da Einstein e Schrödinger fino a Dirac: un viaggio alla scoperta dell’antimateria

Siamo agli inizi del ‘900, più precisamente nel 1905, quando viene presentata per la prima volta la Teoria della Relatività Ristretta di Albert Einstein, solo un paio di decenni prima della scoperta di Arthur Schrödinger dell’equazione madre della meccanica quantistica, branca della fisica che avrebbe dominato gli scenari futuri del mondo scientifico.

Fu a questo punto che i due fisici Klein e Gordon tentarono di adattare l’equazione di Schrödinger alla relatività ristretta di Einstein, senza tuttavia riuscire nel loro intento. Il loro approccio, infatti, non restituiva risultati accettabili per l’interpretazione della funzione d’onda (che rappresenta lo stato di un sistema fisico).

Qualche anno dopo, nel 1928, fu il fisico Paul Dirac ad ovviare alle problematiche della formula di Klein-Gordon, presentando alla comunità scientifica la sua nota equazione (la quale niente ha in comune con quella versione travisata, che tanto frutta ai tatuatori di tutto il mondo).

 

Equazione di Dirac, origine della meccanica quantistica relativistica

Risolvendo la sua equazione, Dirac si trovò davanti ad una scoperta sconvolgente: essa ammetteva soluzioni ad energia negativa, totalmente in opposizione ai dettami della fisica classica, fino ad allora imperante. Se fino a quel momento infatti tutte le leggi della fisica si basavano sul concetto di materia, adesso ci si trovava innanzi ad uno scenario nuovo ed affascinante, tutto incentrato sulla contrapposizione dicotomica di materia e antimateria.

Ma che cos’è quindi l’antimateria?

L’equazione di Dirac dimostrava l’esistenza, per ogni particella, di una “gemella” perfettamente identica, eccetto che per delle proprietà opposte. Ad esempio, per l’elettrone troviamo il positrone! Quando una particella di materia ed una di antimateria interagiscono tra loro, esse annichiliscono, scomparendo nel nulla, lasciando dietro sé pura energia e “strane” particelle.

 

Annichilazione elettrone-positrone. Fonte: Okpedia

 

Anche se tutto ciò può apparire frutto di pura astrazione, l’antimateria è sotto i nostri occhi molto più di quanto effettivamente possa sembrare. Basti pensare infatti ad alcune sofisticate ed utilissime tecnologie, come la PET (tomografia ad emissione di positroni), basata sul fenomeno dell’annichilazione tra elettrone e positrone, a seguito del quale si ottiene l’emissione di fotoni gamma (particelle di luce) che, come tante lampadine, illuminano la parte del corpo in esame.

 

Tomografia a Emissione di Positroni (PET)

Ciò che tutt’oggi conosciamo sul misterioso universo dell’antimateria è solo una piccola parte di un ben più complesso e misterioso scenario, che potrebbe sorprenderci ancora in futuro, dando vita a sempre nuove applicazioni della scienza nella nostra vita quotidiana.

 

Giovanni Gallo

Giulia Accetta

Stephen Hawking: l’uomo invincibile

Il 14 marzo di due anni fa ci lasciava Stephen Hawking, uno dei più celebri astrofisici della storia noto in particolare per i suoi studi sui buchi neri, sulla cosmologia quantistica e sull’origine dell’universo. Una personalità geniale che è riuscita a donare al mondo nozioni preziosissime in ambito scientifico, nonostante la presenza di una terribile malattia che lo ha ostacolato e abbattuto lentamente, giorno dopo giorno.

La sua vita è rappresentata nel film La teoria del tutto (2014) di James Marsh, ispirato al libro Verso l’infinito scritto Jane Wilde Hawking (moglie di Stephen).

Locandina del film La teoria del tutto (2014) – Fonte: pinterest.it

La trama

Università di Cambridge, 1963. Un giovane Stephen Hawking, ormai prossimo ad ultimare gli studi, è intenzionato ad elaborare un’equazione che sia in grado di spiegare la nascita dell’universo. È un ragazzo timido, dotato di un gran senso dell’umorismo e dalla mente brillante, che vive una vita normale all’interno del college inglese.

Ad un party universitario conosce Jane, una studentessa di lettere della quale si innamora a prima vista, e dopo alcune avances riesce a conquistarla. La loro relazione viene fin da subito messa a dura prova da una malattia del motoneurone (ancora oggi è dibattuto da quale patologia specifica fosse affetto) che affliggerà Stephen per il resto della sua vita.

Nonostante tutte le difficoltà a cui andrà in contro, con la moglie sempre accanto pronta a sostenerlo, continuerà le sue ricerche fino ad imporsi come uno dei più grandi astrofisici viventi.

Felicity Jones e Eddie Redmayne in una scena del film – Fonte: tpi.it

Il cast

Per il ruolo di Stephen Hawking la produzione scelse l’attore Eddie Redmayne, il quale aveva già recitato in grandi film come The Good Sheperd – L’ombra del potere (2006), Elizabeth: The Golden Age (2007) e Les Miserables (2012).

Per interpretare uno soggetto afflitto da atrofia muscolare progressiva, Eddie ha visitato il Queen Square Centre, un istituto dove vengono assistiti i pazienti affliti da MND (acronimo inglese per malattia del motoneurone).

L’attore stesso ha dichiarato che per rappresentare al meglio gli effetti della malattia l’ha approcciata come una danza, imparando ad accorciare i muscoli invece di allungarli. Il risultato finale è un’interpretazione magistrale mediante la quale è riuscito a trasmettere ogni piccola emozione semplicemente con il suo sguardo, dimostrando il suo innato talento attoriale che è stato premiato con l’Oscar per il miglior attore protagonista nel 2015.

L’attrice Felicity Jones veste i panni della moglie Jane Wilde Hawking, rivelandosi un’interprete eccezionale per il modo in cui è stata capace di rappresentare perfettamente la figura di una donna che, di fronte alle estreme difficoltà create dalla malattia del marito, riesce a tenere unita la famiglia. La sua prova d’attrice le è valsa una candidatura ai premi Oscar 2015 nella categoria per la miglior attrice protagonista.

Il lavoro svolto sia da Eddie Redmayne che da Felicity Jones è stato particolarmente apprezzato da Stephen Hawking. I due attori erano presenti al suo funerale, tenutosi in forma rigorosamente privata.

Eddie Redmayne insieme a Stephen Hawking sul set del film – Fonte: newscinema.it

Regia

Il regista James Marsh ha scelto di narrare l’intero racconto incentrandosi sulla storia d’amore tra i due protagonisti, senza analizzare dettagliatamente le scoperte scientifiche del professor Hawking. Decisione opinabile, ma visto il grande successo riscosso al botteghino ed il parere positivo della maggior parte della critica, è da ritenere sicuramente una scelta vincente.

Forza di volontà

La malattia del motoneurone che ha colpito Stephen Hawking è sicuramente tra le peggiori esistenti. Toglie qualsiasi cosa, in maniera lenta e spietata.

Il protagonista nella sua giovane età non credeva nemmeno in un dio, ma solo ed esclusivamente nella scienza. Nel momento in cui gli viene diagnosticata la malattia, la scienza stessa gli dice che non esiste la minima speranza di curarsi, con un’aspettativa di vita di soli 2 anni. In quell’istante, senza un dio e nonostante la sentenza della medicina, Stephen Hawking continua ad andare avanti e riesce ad estendere al mondo la sua conoscenza e le sue teorie.

Un film a dir poco magnifico, che racconta la storia altrettanto incredibile di un uomo, esempio della concretizzazione dell’invincibilità umana. Finché non moriamo non possiamo essere sconfitti, anche se siamo da soli senza un dio e senza un criterio razionale che ci sostenga.

Però abbiamo noi stessi, i nostri cari e la nostra vita; e finché c’è vita c’è speranza.

Vincenzo Barbera

 

Per approfondire l’aspetto scientifico: 

Dal big bang ai buchi neri, breve storia del tempo (Stephen Hawking, 1988)

La teoria del tutto, origine e destino dell’universo (Stephen Hawking, 2002)

La grande storia del tempo (Stephen Hawking, Leonard Mlodinow, 2005)

 

Come finirà l’universo?

Ammettiamolo: fin da piccoli siamo a conoscenza della teoria del Big Bang sull’origine dell’universo, ma sconosciamo del tutto quale possa essere il destino ultimo del cosmo.

In realtà, nemmeno la scienza è in grado di darci una risposta univoca, anzi: sono nate nel corso degli anni una notevole quantità di teorie, dalle più intuitive alle più bizzarre.

Fino a non molto tempo fa si riteneva che l’universo fosse statico, ovvero sempre uguale a se stesso, non in moto. Persino Albert Einstein inserì del tutto arbitrariamente un valore, la costante cosmologica, nella relatività generale per impedire che venisse confutata questa teoria, della quale era un grande sostenitore.

Di parere opposto erano sia Lemaître che Hubble: entrambi osservarono che la radiazione emessa dalle galassie vicine alla terra andava nel corso del tempo ad assumere sempre più un colore rosso. A meno che questa variazione cromatica non fosse dovuta a un capriccio astrofisico, questo fenomeno richiedeva una spiegazione: è il moto di allontanamento delle galassie a causarlo, dunque l’universo è in espansione. Questa prova, insieme a molte altre, ha di fatto eliminato definitivamente il modello di universo statico, con buona pace di Einstein.

Ma quali sono le forze in gioco in grado di spiegare questa espansione?

Intuitivamente verrebbe da pensare che la forza di gravità, responsabile dell’attrazione tra i corpi celesti, li avvicini sempre più tra loro, causando una contrazione dell’universo, piuttosto che un’espansione. Proprio per questo motivo Einstein inserì la costante cosmologica, che però secondo il fisico controbilanciava esattamente la gravità, rendendo l’universo statico.

Ovviamente la gravità agisce, ma deve essere presente una qualche forma di energia in grado di spiegare la tendenza all’espansione: questa energia, per via della sua origine sconosciuta, è stata chiamata energia oscura e la sua caratterizzazione rappresenta una delle maggiori sfide della fisica moderna.

Avrete sicuramente capito che il destino dell’universo dipenderà quindi dalla quantità di energia oscura, che si oppone alla tendenza “collassante” della gravità.

A ciò va aggiunto un altro parametro fondamentale: la forma dell’universo.

Abbiamo 3 possibilità, in base al valore della densità critica dell’universo stesso (Ω).

  1. Ω>1: universo sferico, chiuso.
  2. Ω<1: universo aperto a curvatura negativa, forma simile a una sella.
  3. Ω=1: universo piatto, come un foglio di carta.

In un universo chiuso, appare intuitivo che prima o poi la gravità prenda il sopravvento causando prima l’arresto dell’espansione, poi la contrazione fino a uno stato di estrema condensazione di tutta la materia (singolarità), il Big Crunch.

Da qui in poi è impossibile stabilire cosa accadrà. Un’ipotesi suggestiva prevede che essendo il Big Crunch di fatto uno stato identico al Big Bang, dopo esso l’universo possa nuovamente riformarsi, in un ciclo infinito. Da ciò nascono due teorie simili: l’universo oscillante di Penrose e il Big Bounce (grande rimbalzo), che stanno tuttavia perdendo importanza, in quanto oggi si ritiene che l’energia oscura sia talmente abbondante da mantenere l’espansione indefinitamente, anche in un universo chiuso.

Schema dell’ipotetico Big Bounce

Anzi, l’espansione si starebbe verificando sempre con velocità maggiore. Inoltre, la maggior parte dei dati indica che Ω=1.

Sono nate dunque altre due teorie (valide anche per Ω<1): il Big Freeze (“morte termica”) e il Big Rip.

La prima rappresenta una diretta conseguenza del secondo principio della termodinamica: l’entropia, ovvero il “disordine” che per definizione è in costante crescita, aumenta al punto tale da rendere impossibile l’esistenza di una qualsiasi forma di materia “ordinata”, dall’essere umano a una stella, dall’acqua a un cuscino. Alla fine di tale processo, la materia così come la conosciamo (composta da protoni, elettroni ecc.), verrebbe disgregata a tal punto da essere sostituita da una “nuvola” di fotoni, particelle prive di massa con vita infinita.

Ancora più “catastrofico” è il Big Rip (grande strappo): la velocità di espansione crescerebbe al punto tale da determinare un improvviso “strappo” dello spazio-tempo, con il venir meno della capacità delle forze gravitazionale, elettromagnetica e nucleare di tenere unita la materia. Le conseguenze sono simili al Big Freeze: un universo freddo e inerte, incompatibile con la vita. Oggi si ritiene che non ci sia tuttavia una quantità tale di energia oscura da giustificare questa ipotesi.

Concludiamo con la teoria forse più affascinante: il multiverso.

Quanti di voi hanno visto almeno un film o una serie tv che parla di universi paralleli?

Il fascino di questo argomento non ha risparmiato nemmeno la comunità scientifica, da Stephen Hawking ad Andrej Linde. Secondo alcuni fisici, l’esistenza di più universi sarebbe giustificata dalla cosiddetta inflazione caotica, sostenuta persino da conferme sperimentali (link a fondo pagina). Secondo la fisica quantistica, in realtà, il vuoto, inteso come “il nulla”, non esiste: esso è formato da una “schiuma quantistica”, nella quale c’è un continuo “ribollire” dello spazio dovuto a fluttuazioni energetiche del tutto casuali (da cui il termine “caotica”). Un po’ come in una coppa di spumante, nella quale si formano continuamente bolle in modo casuale. Questa teoria prende il nome di teoria delle bolle.

Se una di queste bolle possiede un’energia sufficiente, può avere origine un universo a sé stante dall’universo di partenza.

I due universi sarebbero inizialmente collegati da un wormhole (ponte di Einstein-Rosen, figura in basso), per poi diventare indipendenti.

Pur essendo questo un modello di universo senza fine, in quanto si formano infiniti universi, ogni singolo universo può andare incontro a un Big Freeze o un’altra sorte.

Ad ogni modo, se vi state preoccupando per la fine del cosmo, non disperate: nessun lettore di questo articolo vivrà tanto a lungo da poterla testimoniare.

Emanuele Chiara

Per approfondire:

https://www.cfa.harvard.edu/CMB/bicep2/papers.html

Buchi neri, grande passo avanti della scienza

Oggi per la prima volta nella storia vedremo le foto di un buco nero.
Un evento di portata storica.
È lo straordinario successo di un gruppo di ricerca formato da scienziati internazionali che ha riunito una rete di telescopi sparsi su tutta la Terra per raggiungere la risoluzione necessaria a “fotografare” il misterioso fenomeno.

La diretta della conferenza dell’Eso (European Southern Observatory) avrà inizio alle ore 15 e sarà trasmessa su Youtube nel canale della Commissione europea.
Su Focus lo speciale sarà trasmesso dalle ore 14:30 fino alle 16:00, e ancora in seconda serata questa sera alle 23:15.

I risultati del progetto, dal nome Event Horizon Telescope, segneranno una pietra miliare nell’astrofisica, che potrebbe confermare ma anche smentire alcune delle principali teorie che costituiscono la base della nostra comprensione del cosmo, inclusa la teoria della relatività di Albert Einstein.

 

 

 

I buchi neri si generano quando le stelle muoiono, collassano su se stesse e creano una “regione” dove la forza di gravità è così forte che nulla può sfuggire venendo risucchiati per sempre.

Fino ad oggi gli scienziati non sono mai stati in grado di fotografarli, ma sono riusciti solo ad ascoltarli: quando i buchi neri si scontrano l’uno con l’altro, rilasciano infatti enormi onde gravitazionali che sono state rilevate da appositi strumenti negli osservatori degli Usa e anche dell’Italia.

L’impossibilità di fotografare questi fenomeni è dovuta ad una serie di motivi.

La loro attrazione gravitazionale rende impossibile la fuga della luce.

Inoltre i buchi neri si trovano molto distanti dalla Terra.

Ciò che gli scienziati stanno cercando di catturare è “l’orizzonte degli eventi”, il confine di un buco nero e il punto di non ritorno oltre il quale tutto viene risucchiato per sempre.

 

 

 

Sebbene sia uno dei luoghi più violenti dell’universo, gli scienziati ritengono che i radiotelescopi possano catturare i fotogrammi dell’orizzonte degli eventi.

Oltre a mostrare l’immagine, gli scienziati sperano di fare chiarezza su alcuni dei temi più dibattuti in astronomia e fisica teorica. Uno di questi è la forma dei buchi neri: secondo la teoria della relatività, essi sono circolari, ma altri scienziati ritengono sia ‘prolata’, ovvero schiacciata lungo l’asse verticale, o ‘oblata’, schiacciata lungo l’asse orizzontale.

Se non fossero circolari, questo – secondo gli scienziati di Event Horizon Telescope – non vorrebbe dire che la teoria della relatività è sbagliata, ma che semplicemente “nella fisica c’è ancora molto da capire”.

Un evento di portata astronomica, proprio per restare in tema, che traccia un solco nello studio dell’astrofisica e che rischia di porre in discussione perfino il buon vecchio caro Albert Einstein.

Antonio Mulone

Il De Motu Animalium e la nascita della biomeccanica: l’eredità di Borelli.

E’ impossibile essere sicuri di qualcosa, se non della nascita di Borelli a Messina e del suo insegnamento nell’Ateneo peloritano, e sulla prima ho ancora dei dubbi.

Il perché, lo scoprirete continuando a leggere sulla vita di Giovanni Alfonso Borelli, altro celebre personaggio legato a Messina, forse, sin dalla nascita.

Matematico, astronomo, fisiologo e filosofo, il Borelli lascia poche notizie della sua vita; di fatto, tutto ciò che sappiamo, lo dobbiamo all’epistolario scambiatosi con personaggi noti dell’epoca, tra cui Marcello Malpighi, che anch’egli fu docente all’Università di Messina.

Nasce il 28 Gennaio del 1608 e, per quanto riguarda la città d’origine, troviamo a competere Castel Nuovo di Napoli e Messina, che potrebbe però essere la città natale del fratello minore.

In seguito all’esilio del padre e al conseguimento della laurea in medicina, Borelli si trasferisce a Roma. Qui inizia ad interessarsi alla fisica ed alla meccanica, interesse che lo aiuterà a sviluppare la metodologia di pensiero secondo la quale l’applicazione della matematica, della meccanica e del metodo sperimentale, può risolvere i problemi biologici.

Nel 1635 Borelli fu chiamato dal senato accademico dell’Università di Messina, al fine di occupare la nuova lettura de matematiche.

Tra il 1647 e il 1648, scoppiò un’epidemia in Sicilia che diede l’occasione a Borelli di scrivere la sua prima opera da medico: “Cagioni delle febbri maligne in Sicilia negli anni 1647-1648”.

Nella primavera del 1656 Borelli lasciò Messina al fine di occupare la cattedra di matematica all’Università di Pisa. Per sottolineare l’importanza del soggiorno pisano, è giusto considerare che il territorio di Pisa ha visto passare i più illustri scienziati del tempo, tra i quali Andrea Vesalio e Galileo Galilei. La tradizione galileiana traeva nuove risorse grazie alla fondazione dell’Accademia del Cimento che ha costituito un evento di notevole importanza per l’evoluzione del pensiero scientifico. Di questa facevano parte Vincenzo Viviani, Carlo Roberto Dati, Alessandro Segni, Francesco Redi, Evangelista Torricelli, Antonio Oliva e Giovanni Alfonso Borelli che diede un contributo notevole a ogni importante esperienza dell’accademia.

Parallelamente alle esperienze di matematica e fisica, Borelli si occupò di anatomia e soprattutto di fisiologia.

Quest’ultime compiono in questi momenti dei progressi significativi, soprattutto grazie all’applicazione del metodo sperimentale alla fisiologia. Grazie anche a Borelli, nasce un nuovo movimento: la scuola iatromeccanica, che postula l’applicazione delle leggi fisiche per l’interpretazione dei fenomeni fisiologici.

Tuttavia, già nel 1665 sorgevano i primi dissidi e le prime inimicizie tra gli accademici del Cimento, per cui Borelli cominciava a maturare il convincimento di ritornare a Messina.

Copertina della prima edizione, postuma (1710) del De Motu Animalium di Giovanni Alfonso Borelli, testo considerato l’atto di nascita della moderna biomeccanica

 

Qui riprese l’attività di docente impegnandosi sullo studio dei fenomeni riguardanti l’astronomia e la fisiologia, ma termina il suo periodo più fecondo di risultati. Durante il soggiorno messinese, Borelli frequentò la casa del Visconte Ruffo, luogo nel quale, a quanto sembra, si cospirava contro il regime spagnolo. Per le sue idee e per il suo operare in nome della libertà e dell’indipendenza, Borelli fu accusato di ribellione e dovette espiare la sua colpa a Roma, un territorio non dominato dalla corona spagnola.

Esule e povero, arrivò a Roma nel 1674. Nonostante tutto, non abbandonò l’attività letteraria e riuscì a portare a termine la sua più grande opera, il De Motu Animalium, pubblicata postuma,  con la quale cercò di spiegare il movimento del corpo animale basandosi su principi meccanici e tentando di estendere all’ambito biologico il metodo di analisi geometrico-matematico elaborato da Galileo in ambito meccanico. Grazie a questo trattato, Borelli è considerato il fondatore della moderna biomeccanica, tanto che ad oggi il premio istituito dalla American Society of Biomechanics per le migliori ricerche in questo settore scientifico porta il nome di “Borelli Award”.

A Roma morì il 31 dicembre 1679.

 

Erika Santoddì

Immagini:

https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Portrait_of_Giovanni_Alfonso_Borelli_Wellcome_L0010325.jpg

https://en.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Alfonso_Borelli#/media/File:Borelli_-_Motu_Animalium.jpg