Suicidio assistito: un diritto o una deriva? Il dibattito continua

Il dibattito sul fine vita e sul suicidio assistito continua a essere un tema centrale nel panorama politico e sociale italiano. Dopo l’approvazione della legge in Toscana lo scorso 11 febbraio, che ha regolamentato l’accesso al suicidio medicalmente assistito per pazienti in condizioni irreversibili, il confronto solleva interrogativi profondi sul piano religioso ed etico. La questione ha innescato polemiche e annunci di ricorso da parte del centrodestra.

L’involuzione legislativa in Italia

Il senatore di Fratelli d’Italia, Ignazio Zullo, relatore del disegno di legge all’esame delle commissioni Giustizia e Affari sociali del Senato, presenta uno schema preliminare sul fine vita per affermare due principi fondamentali. Il primo ribadisce l’inviolabilità della vita, stabilendo che “il diritto alla vita è inviolabile e indisponibile, determinato dall’essenza dei valori fondamentali sui quali si fonda la Carta costituzionale della Repubblica”. Il secondo specifica che l’accesso al percorso di fine vita assistito, disciplinato dalla proposta di legge, vale per “una persona maggiorenne affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che reputa intollerabili, tenuta in vita o dipendete da trattamenti di sostegno vitale [..]“.

Così afferma il segretario di Più Europa Riccardo Magi:

È bene che il parlamento si occupi di fine vita ma la bozza di testo presentata dal centrodestra oggi in Senato è piuttosto deludente. Se questa è la base di partenza, è preferibile non avere alcuna legge perché rappresenta un passo indietro rispetto a quanto stabilito dalla Consulta”.

Inserire il principio dell’inviolabilità e dell’indisponibilità della vita appare un’enunciazione ideologica, anziché un atto normativo. Ma rendere obbligatorio un percorso di cure palliative come condizione per accedere al suicidio assistito è una disposizione che non tiene conto della sofferenza reale delle persone e rende la legge regressiva rispetto a quanto stabilito dalla Corte.

Il diritto all’autodeterminazione sul proprio corpo e sulla propria vita, soprattutto in condizioni di sofferenza estrema. Una condizione essenziale che deve essere garantita, come afferma la senatrice di AVS Ilaria Cucchi. La stessa senatrice  ribadisce che il vuoto normativo su un tema così delicato rappresenta una privazione dei diritti fondamentali delle persone, private della possibilità di decidere come vivere con dignità fino all’ultimo momento. Dopo la recente approvazione della legge in Toscana , è ora che l’Italia superi pregiudizi e resistenze ideologiche. Agendo, come molti Paesi europei ,attraverso la tutela della dignità e della libertà di tutti i cittadini.

 

Difendere la vita, ripartendo dai valori

Storicamente, il riconoscimento del diritto al suicidio assistito per le persone affette da gravi malattie è annoverato tra le lotte per i diritti civili, che vengono portate avanti in tutto il mondo da gruppi e ONG progressiste. In Italia per esempio è noto l’impegno del Partito Radicale e dell’associazione Luca Coscioni, nonché dell’ex-parlamentare Marco Cappato. Mentre sono in generale contrari all’eutanasia attiva e al suicidio assistito soprattutto le organizzazioni di matrice religiosa, che li considerano come un attacco alla vita.

Quindi, all’indomani dell’approvazione della legge regionale sul suicidio medicalmente assistito approvata dalla regione Toscana, la Chiesa ribadisce, senza mezzi termini, la contrarietà nei confronti di un provvedimento che viene definito dalla Chiesa cattolica una “deriva pericolosa per la società“.

Questa posizione è già stata ribadita in diversi documenti ufficiali. L’enciclica Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II, promulgata nel 1995, esprime la posizione della Chiesa cattolica sul valore e l’inviolabilità della vita umana. Una priorità ribadita ancora oggi dalla Conferenza Episcopale Italiana, preoccupata “per le recenti iniziative regionali sul tema del fine vita”. La stessa CEI riferisce che non si tratta di fare una guerra contro tale legge, ma portare avanti il compito della Chiesa: aiutare i più giovani a misurarsi su delle tematiche che contengano alti valori.  La Chiesa Cattolica continua a promuovere il rispetto della vita umana in tutte le sue fasi, incoraggiando l’uso delle cure palliative per alleviare le sofferenze.

La vita è un diritto, non la morte“, ha detto Papa Francesco nella catechesi dell’udienza generale del 2022. Nella visione cristiana dignità e rispetto dovranno accompagnare le persone nel momento del fine vita. Talvolta, prolungare la vita fino alla fine, può comportare l’accettazione di una sofferenza insostenibile.

Cappato indagato per un nuovo caso di aiuto al suicidio: «La condizione del sostegno vitale una trappola dello Stato»

82 anni, ex giornalista toscano e residente a Peschiera Borromeo, il signor Romano era ormai costretto a vivere con forti dolori dovuti al Parkinsonismo atipico dal 2020, malattia che gli impediva di svolgere una qualsiasi attività in autonomia, ma non era tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale.

«Mio marito Romano è affetto da una grave malattia neurodegenerativa, una forma di Parkinson molto aggressiva che gli ha paralizzato completamente gli arti e che ha prodotto una disfagia molto severa che lo porterà a breve a una alimentazione forzata», ha affermato la moglie di Romano.

Per questo motivo, la famiglia ha scelto di supportare l’uomo nella decisione di porre fine alla sua vita, chiedendo a Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, di procedere con il suicidio assistito in Svizzera.

«Ho sempre fatto le mie scelte e ho sempre pensato che la nostra vita ci appartenga, prima ancora che questa frase diventasse centrale nella campagna dell’Associazione Luca Coscioni. Così ho iniziato ad informarmi sulle possibilità di organizzare il mio fine vita nel modo più dignitoso possibile, ma presto mi è stato chiaro che la situazione italiana è più complicata di come potessi pensare. L’opzione di recarmi in Svizzera in clandestinità mi spaventa perché non voglio assolutamente mettere i miei familiari nella condizione di rischiare di affrontare vicissitudini giudiziarie. Trovo però che sottrarre la libertà di scelta in questi casi sia anacronistico e crudele, e non mi arrendo all’idea di non essere libero».

Le condizioni per l’accesso al suicidio assistito

L’uomo, come più volte sottolineato, non era tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e quindi non rientrava nei casi previsti dalla sentenza 242/2019 della Corte costituzionale per l’accesso al suicidio assistito in Italia. Secondo quanto deciso dalla Consulta, infatti, il suicidio assistito sarebbe possibile e legale quando la persona malata che ne fa richiesta risponda a determinati requisiti verificati dal Sistema Sanitario Nazionale:
1) Affetta da una patologia irreversibile.
2) Fonte di intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche.
3) Pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli.
4) Tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale.

L’accusa di aiuto al suicidio

Non è la prima volta che ad un soggetto viene negato il trattamento in assenza di uno dei requisiti: è stato anche il caso della signora Elena Altamira, 69enne veneta malata terminale di cancro, aiutata a porre fine alla propria vita dallo stesso Marco Cappato, che risulta adesso nel registro degli indagati con l’accusa di aiuto al suicidio.

Per questo motivo Marco Cappato si è autodenunciato il 26 novembre presso i carabinieri della Compagnia Duomo a Milano per aver portato in una clinica in Svizzera l’uomo, rischiando fino a 12 anni di carcere.

Il tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni però afferma che «la trappola nella quale l’82enne stava per cadere definitivamente era quella di acquisire il cosiddetto quarto criterio previsto dalla Corte costituzionale – diventare dipendente dal trattamento di sostegno vitale, ma allo stesso tempo avrebbe perso la capacità di intendere e di volere che è una delle condizioni indispensabili per ottenere l’aiuto alla morte. Questa è una condizione di oggettiva violenza esercitata dallo Stato».

Ha ribadito nuovamente la sua posizione alla trasmissione di Radio 24 “Uno, nessuno, 100Milan”: «Romano aveva due possibilità: morire come non avrebbe mai voluto, cioè incapace di intendere e di volere, attaccato a una Peg come sarebbe stato a breve, oppure morire potendo salutare senza soffrire le persone che lo hanno amato, ovvero la moglie e i figli. Questo è un suicidio? Per me non lo è».

A riguardo è stata intervistata la figlia del signor Romano, Francesca: «Mio papà ha appena confermato la scelta di morire. Io sono arrivata dalla California per essere qui con lui in questi giorni. In California, la scelta che ha fatto mio papà è legale e, nel caso di una malattia come la sua, avrebbe potuto scegliere di morire in casa, circondato dai suoi cari e dalla sua famiglia. Noi abbiamo dovuto fare questo viaggio per venire in Svizzera perché lui potesse fare questa scelta e io spero che in Italia, presto, sia possibile per le persone poter fare questa scelta a casa propria e morire a casa propria, circondate dalle persone care». 

Federica Lizzio

Il caso dj Fabo-Cappato e le decisioni di fine-vita nel seminario “Il volto umano del diritto”

Lunedì 11 marzo, alle ore 9.30, l’Aula Magna del Rettorato ospiterà un seminario di studi intitolato “Il volto umano del diritto: visioni a confronto. Il caso Dj Fabo-Cappato e la decisione di fine-vita”.

Dopo i saluti istituzionali, il seminario sarà presentato ed introdotto dal prof. Giacomo D’Amico e dal prof. Alberto Randazzo. All’incontro interverranno, tra gli altri, l’Avv. Filomena Gallo e Marco Cappato, che porterà la propria testimonianza sul caso.

Le conclusioni sono affidate al prof. Luigi D’Andrea.

È prevista l’attribuzione di 0,25 cfu agli studenti e anche il riconoscimento di crediti agli avvocati.