Effetto Werther: il tragico fascino del suicidio

L’effetto Werther è un fenomeno psicologico e sociologico secondo cui la rappresentazione romantica del suicidio nei media può indurre comportamenti emulativi, soprattutto tra i giovani e le persone vulnerabili. Il termine nasce dal romanzo I dolori del giovane Werther (1774) di Johann Wolfgang von Goethe, in cui il protagonista, sopraffatto da un amore impossibile, si toglie la vita con un colpo di pistola. Continua a leggere “Effetto Werther: il tragico fascino del suicidio”

Baustelle “El Galactico”: il viaggio del disincanto

El Galactico è un album lucidissimo e necessario, fotografia di una profondità esistenziale. I Baustelle raccontano la società moderna attraverso una serie di brani dall’alta caratura testuale e musicale. Voto UVM: 5/5

 

I Baustelle tornano con “El Galactico“, un album che non è semplicemente un disco, ma un teorema esistenziale.  Quest’opera, che si muove come una costellazione nello spazio della memoria collettiva e individuale, esplora l’inevitabile collisione tra passato e presente, tra illusioni e la cruda realtà del quotidiano, dei miti che ci siamo raccontati per sopravvivere.

Lo specchio della temporalità

Con un sound che richiama la psichedelia californiana degli anni ’60 e la tradizione cantautorale italiana, la band di Francesco Bianconi, Rachele Bastreghi e Claudio Brasini conferma ancora una volta la sua capacità di rinnovarsi senza perdere la propria identità.

El Galactico segue un dualismo quasi inconciliabile, un “viaggio senza meta” condotto su due binari diversi. Da un lato, la musica che si stratifica come la geologia di un pianeta abbandonato: troviamo tracce di glam rock, new wave, baroque pop, chansone francese e colonne sonore immaginarie. Dall’altro lato, grazie a una scrittura profondamente cinematografica, i Baustelle ci proiettano in un film esistenzialista, in cui i protagonisti si interrogano sulla natura del reale, del tempo che fugge e della memoria, vista non come mera riproduzione del passato, ma piuttosto nella sua reinvenzione.

In sostanza, il trio di Montepulciano intreccia la filosofia continentale al pop italiano, Godard alla nostalgia postmoderna, Pavese ai synth anni Ottanta, creando un tempo non lineare, ma circolare, o forse spezzato, dove ogni canzone sembra arrivare da un futuro che ha già fallito, una distopia malinconica in cui le macerie del vintage diventano materiale da costruzione per nuove utopie emotive.

   

Una poetica della disillusione…

C’è un istante, poco prima che parta la musica, in cui tutto è silenzio. È lì che comincia il viaggio. Non verso un luogo, ma verso una memoria che non abbiamo mai avuto eppure ci appartiene.

Il brano di apertura, Pesaro, riunisce in sé quell’atavico binomio eros-thanatos, che si mescola in un gioco di luci e ombre, alternando immagini potenti e contrastanti, e lo fanno con una liricità quasi pavesiana unita alla tragicità di Godard.

In Spogliami, il brano si carica di sensualità e disincanto, di echi elettronici e toni languidi che pongono il corpo al centro del brano, una discesa nei meandri della fragilità e della bellezza fisica. Il testo riflette sulla superficialità del desiderio in un mondo dove il corpo è diventato solo una merce di consumo, in cui spogliarsi diventa un atto simbolico di rivelazione e non di profonda intimità. La canzone si può leggere come una critica alla cultura postmoderna e al pensiero di Baudrillard sul simulacro: ci spogliamo degli strati esterni senza mai svelare il nostro vero io.

La Canzone verde, amore tossico è una riflessione politica mascherata da elegia postmoderna del disastro ambientale e morale. A tratti sembra di vedere un racconto di Pasolini, un paesaggio contaminato che perde la sua funzione poetica e diventa discarica del silenzio e dell’ipocrisia.

In Filosofia di Moana, la famosa pornodiva diventa musa e merce, corpo sacro e profanato, in una società che ha fatto dell’erotismo un atto automatico.

E non mi innamoro mai, Porno è la bellezza se lo sfascio va veloce

In questo testo viene evidenziata l’eleganza con cui Moana attraversa “l’Impero dell’Oscenità”, che può sostanzialmente paragonarsi alle figure della modernità di Benjamin, quali il flâneur, l’angelo della Storia o, come in questa in questa canzone, la pornodiva che osserva lo spettacolo del mondo che crolla, come un Ofelia postmoderna che affoga nel disprezzo altrui. La canzone è permeata da un’estetica tragica, simile a Diane Arbus, dove la bellezza è intrisa di malinconia e, il sesso, diventa un forma di linguaggio alienante.

Prosegue con Una Storia, titolo fortemente generico che dimostra la propria forza nel fatto che ognuno può facilmente identificarsi. Questo brano è il racconto di una violenza, ambigua e devastante, che si consuma nel silenzio, nella colpa, nella connivenza silenziosa dello sguardo pubblico. Il tema è attualissimo: la spettacolarizzazione del trauma e del dolore. La vittima involontaria diventa protagonista di una tragedia condivisa, ma al contempo banalizzata dal male mediatico, il circolo digitale che diventa mero contenuto social. In tutto questo c’è un’impotenza strutturale, una ballata di De André filtrata al contemporaneo, post-Instagram, post-TikTok.

                                 

…e dell’esistenza

L’imitazione dell’amore è una delle canzoni più sottili dell’album, forse la più politica in senso estetico. Qui, i Baustelle, smascherano l’industria culturale dell’amore, denunciando l’omologazione dei sentimenti.  L’amore non è più eroico, erotico, tragico o politico, ma banalmente un prodotto da consumare.

Con L’arte di lasciare andare si entra in una zona poetica classica, quasi montaliana. L’idea del viaggio, dell’irrequietezza , del girare a vuoto, evoca una condizione umana ancestrale: l’angoscia del tempo nell’uomo moderno che non trova pace nella lentezza. Sembra quasi che, in questo brano, venga svelato il vero problema moderno l’impossibilità di stare al mondo, ovunque, è questo sfiora il camusiano.

Una delle più emotive e immediate dell’album è Giulia come stai, che presenta una costruzione molto sofisticata e ricercata. Questa è una canzone d’amore universale per tutte quelle “Giulie” presenti nelle vite di ciascuno, quella persona importante da amare e proteggere. Sembra poco, ma è tutto. In un mondo in cui la parola è diventata rumore, la gentilezza diventa il vero atto rivoluzionario. Il testo non dice molto, ma ascolta, senza egoismo, diventando un abbraccio contro l’isolamento.

Infine Lanzarote, una Azzurro (di Celentano) disidratata, che è la rappresentazione dell’abbandono, ma senza il dramma conseguente. Il brano è esilio e spaesamento, il luogo lontano che si fa simbolo di mancanza, sia fisica che morale, in sostanza, la noia moraviana.

   

Fotografia del nostro tempo

Mi viene in mente un frammento di Borges: Il tempo è un fiume che mi trascina, ma io sono il fiume.

Ecco, ascoltando El Galactico, mi sembra di scivolare dentro quel fiume, di diventare quel tempo. Ogni ascolto svela nuovi strati di significato, come se le canzoni fossero specchi deformanti attraverso i quali osserviamo noi stessi. I Baustelle non offrono risposte facili, né cercano di rassicurare,  al contrario, ci mettono di fronte alle nostre contraddizioni e ai nostri desideri irrisolti.

In un’epoca in cui la musica è spesso ridotta a mero intrattenimento, “El Galactico” è un’opera necessaria, un viaggio in cui ogni canzone è una tappa di un pellegrinaggio interiore, alla ricerca di quel senso che forse non esiste, ma che continuiamo ostinatamente a cercare.

 

Gaetano Aspa

Il sapere in vendita

Il sapere di plastica

Viviamo nel 2025.
Viviamo in un mondo in cui vediamo marketing ovunque guardiamo. Viviamo costantemente all’ombra di enormi cartelloni pubblicitari.

Le grandi aziende ci promettono sempre oggetti nuovi, un modo di fare nuovo, uno stile di vita nuovo, una forma mentis nuova, un mondo nuovo.

Tutto sembra ormai contenibile in una confezione di plastica. Tutto può essere etichettato, quindi tutto può essere venduto.

Da oggi, sugli scaffali dei supermercati, in mezzo a migliaia di tanti altri, si aggiunge un nuovo prodotto. Una nuova busta, contenente la possibile cura per ogni male: il sapere.

I sofisti: la prima scintilla

Possiamo ipotizzare che la scintilla da cui si generò la mentalità per cui il sapere possa essere un oggetto di lucro sia il pensiero sofista, sviluppatosi nell’antica Grecia.

Ad Atene, i sofisti erano spesso denigrati dagli intellettuali, che li consideravano come dei mercenari del sapere. Mettevano, infatti, a disposizione il loro sapere, impartendo lezioni di retorica ai nobili e facendosi pagare (spesso anche profumatamente).
Possiamo considerare questo fenomeno come uno dei primi esempi di capitalizzazione del sapere.

Con i sofisti, «il cuore […] rimase un servo del mondo, sempre affetto da desideri mondani». Questo è ciò che scrisse Max Stirner in L’unico e la sua proprietà, spiegando come per i sofisti l’intelletto fosse un potente mezzo di raggiungimento di scopi legati unicamente al mondo materiale come fama e potere.

Tutto ciò costituisce il seme di una mentalità tramandata fino ad oggi.

L’uomo macchina: l’attualità

Che la figura del lavoratore sia spesso associata a quella di una banale macchina è ormai noto dal XIX secolo.
Ci si può permettere di variare il suo salario, farlo lavorare più del dovuto, sfruttarlo fino al midollo, perché a differenza delle normali macchine è possibile pagarlo meno del dovuto.

La mercificazione dell’uomo, oggi, è stata portata su un ulteriore stadio. Oltre l’uomo in sé come mezzo fisico, si dà importanza alle conoscenza di quest’ultimo, rendendo anch’essa un prodotto da vendere.
Il sapere di ciascuno di noi può essere giudicato e “valutato” da un datore di lavoro, può letteralmente essere acquistato alla stregua di un banale servizio.

La mentalità del mercato, la continua ricerca di un sapere che possa soddisfare delle richieste di mercato, stanno generando un clima molto preoccupante.

L’intelletto schiavo del soldo: la conseguenza

Siamo la generazione degli schiavi per eccellenza.
Va specificato che il termine “schiavi” non va utilizzato come viene spesso fatto dalle precedenti generazioni. Non siamo realmente schiavi dei cellulari o dei social, come vuole far intendere chi parla in televisione con aria saccente.
La nostra condizione di schiavitù è legata ad un problema di gran lunga più viscerale. Bisogna scavare ancora più a fondo per trovare la fonte del problema, per poter additare il despota che ci stringe il cappio al collo.

Prima che di ogni altra cosa, ognuno di noi sta diventando schiavo del proprio utile. Una mentalità utilitarista, generata da una società in cui il capitalismo sta raggiungendo il suo apice, non può che recarci un danno non indifferente.

Si pensa sempre meno all’inestimabile valore astratto del sapere e si tende sempre più ad inchiodare la cultura ad uno stipendio. Gli unici campi del sapere che generano un interesse sempre crescente sono quelli che conferiscono una paga maggiore.

Non va frainteso il precedente discorso: ogni campo del sapere è immensamente interessante e degno di essere approfondito. Ciò che va condannata è la maniacale ossessione nel dare a tutti i costi un valore monetario al sapere, quasi come se andasse venduto come un qualsiasi prodotto.

Nessuno dovrebbe pensare di poter mettere all’asta la teoria delle idee di Platone o l’eterno ritorno di Nietzsche.

Il mondo: la soluzione tra materia e idee

L’unico appello che risulta sensato, in una società fatta di interessi, parte dai giovani ed è indirizzato ai giovani: non dobbiamo cercare una ragione di vita in ciò che è puramente materiale, e non dobbiamo lasciarci assuefare da ciò che è totalmente astratto.

La grandezza del concetto di cultura sta nel fatto che il sapere offre enormi benefici sia dal punto di vista astratto sia per la vita mondana.

Non si può negare che chi risulta più competente in un determinato ambito del sapere possa essere maggiormente ricercato da un determinato datore di lavoro. È totalmente errato, però, pensare che l’unico fine dello studio possa essere la ricerca di un lavoro redditizio.

La nostra speranza è quella di poter squarciare questo velo di plastica che ricopre il sapere, di poter fare a pezzi l’illusione che il sapere debba essere “spendibile”.

Adesso sta a noi utilizzare per questo scopo l’unica arma a nostra disposizione: il sapere stesso.

Fonti e bibliografia

Max Stirner, L’unico e la sua proprietà, Milano, Adelphi, 1979

Immagini:

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Salvatore Pio Andreoli

 

Il Concetto filosofico di Arte

PREMESSA

Il concetto di Arte è da sempre oggetto di discussione. In particolare, ci si è interrogati se questa possa avere un posto nell’Olimpo della verità, o se vada rifiutata fuori dalle mura delle proprie città.

Per analizzare tali possibilità, quello che seguirà sarà un excursus dei più importanti pensieri filosofici della storia, considerando il periodo che va da Platone a Hegel.

PLATONE

Per dare una connotazione di carattere generale, basti sapere che Platone basa la verità delle cose sulle Idee. Intangibili ed empiree, sono quelle da cui le cose materiali prendono forma e “ispirazione”. Diventano, quindi, una diretta copia delle prime, allontanando, di fatto, l’anima dalla verità.

Da qui, sembra chiara la posizione rispetto l’Arte di Platone.

Le cose come appaiono sono copia delle Idee delle cose. L’Arte, essendo rappresentazione delle cose, è (per mimemis) copia della copia. Ne deriva che essa debba essere rigettata fuori dalle mura della città ideale, un clima politico filosofico concettualizzato nella Repubblica.

Non c’è spazio per l’Arte nel luogo delle verità per Platone.

Essa è mera imitazione, che distoglie l’anima dalla verità ideale, e per questo ha un’accezione più che negativa per il filosofo greco.

Opera d'Arte: La città ideale, di Leon Battista Alberti
              La città ideale, di Leon Battista Alberti

ARISTOTELE

Se per Platone l’Arte aveva un carattere completamente negativo, per Aristotele è esattamente il contrario.

L’Arte, e in  particolare la tragedia, ha per quest’ultimo un ruolo catartico, capace di rappresentare sentimenti umani (come la rabbia, la pietà ecc.) affinché l’uomo possa averne una migliore comprensione.

Ha anche un fondamentale scopo educativo e morale, oltre ad essere non solo imitazione della realtà, ma imitazione della “realtà possibile”. Per cui l’operare dell’artista imita l’operare della natura.

AGOSTINO

Pur non essendo un filosofo dell’Arte, le celeberrime Confessioni offrono uno sguardo più critico.

Per quanto l’Arte sia espressione della bellezza divina (e in quanto tale va apprezzata), ammirare le opere artistiche come tali non deve distogliere l’uomo dall’apprezzamento della bellezza di Dio.

Sembra quasi un tentativo di conciliazione tra arte e religione, dove comunque vi è una subordinazione alla ricerca della verità spirituale.

TOMMASO D’AQUINO

Filosofo medievale, Tommaso d’Aquino concepisce l’Arte come manifestazione della perfezione divina. L’artista, infatti, può essere considerato un “co-creatore“, che riproduce la bellezza divina nel mondo.

Oltre a un fare estetico, per Tommaso è uno strumento utile per l’elevazione spirituale. In particolare, l’arte visiva delle chiese permetterebbe al fedele di concentrarsi meglio su Dio.

IconografiaFonte: https://resinflamedecoart.com/wp-content/uploads/2021/07/jesus-christ-4152894_640.jpg
Iconografica esemplificativa

IMMANUEL KANT

Figura fondamentale, Kant sviluppa una teoria estetica nella critica del giudizio, mettendo in evidenza il giudizio estetico come contemplazione disinteressata. Il che non significa esserne “disinteressato” in senso assoluto, bensì distaccarsi completamente da ogni fare e volere utilitario.

Questo giudizio permette all’uomo di esprimere il sublime e il bello (naturale) in modo universale.

La bellezza, quindi, trascende la sfera pratica e si lega alla capacità di risvegliare un senso di armonia universale.

FRIEDRICH HEGEL

Hegel concepisce l’Arte come il primo luogo di manifestazione dello Spirito, la pura libertà umana.

Nelle sue lezioni di Estetica (1820), il filosofo analizza l’arte come l’espressione umana del Bello. Questa, infatti, è il punto di congiunzione perfetto tra sensibilità (mondo sensibile) e razionalità (Spirito).

Chiaramente, non tutta l’arte permette all’uomo di incontrare lo Spirito, bensì solo un contenuto storicamente determinato.

È un contenuto preciso, collocato nell’arte greca, il Partenone.

Di fronte a tale visione, l’uomo non vede la sola forma. L’uomo vede il Bello ideale.

Dall’arte greca in poi, essa non ha più la funzione di dover elevare l’uomo a Spirito intuendolo. Da qui, nasce la concezione della “morte dell’arte” di Hegel.

PartenoneFonte: https://affascinarte.altervista.org/wp-content/uploads/2017/04/P_20170419_101826_1.jpg
                                       Il Partenone

CONCLUSIONE

L’Arte, oltre ad essere da sempre stata apprezzata, ha avuto modo di essere reinterpretata nel suo Concetto, mostrando a noi diverse concezioni artistiche/estetiche.

Il pensiero di questi filosofi ha influenzato per molto tempo l’uomo occidentale nella visione dell’Arte, con il culmine “filosofico” nell’Olimpo della verità da parte di Hegel, partendo dalla gettata fuori dalle mura delle Città di Platone.

FONTI

La Repubblica di Platone

Le Confessioni di Sant’Agostino

Critica del Giudizio di Kant

Lezioni di Estetica di Hegel

 

Kant GPT: la filosofia del limite nell’epoca delle IA

Lo spartiacque nella storia della Filosofia

Il pensiero di Immanuel Kant è senz’altro una pietra miliare nella storia della Filosofia.

La filosofia kantiana è allo stesso tempo il prodotto di secoli di storia della filosofia e la chiave di volta per la comprensione dei giganti dei secoli successivi (come ad esempio Hegel).

«Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria conoscenza», questo è quanto detto da Kant nella sua celebre definizione di Illuminismo, pubblicata nel 1783 sulla rivista Berlinische Monatsschrift. 

Ciò che per l’uomo è “conoscenza”, scaturisce dall’operazione di unificazione di diverse categorie e forme pure attuata dall’unità mentale detta Io, presente nella mente di ogni uomo. L’attenta indagine sul metodo conoscitivo stesso è caratteristica in gran parte del pensiero di Kant.

L’epoca delle IA

Oggi siamo abituati a sentire parlare continuamente di Intelligenze Artificiali (IA). Alla luce del loro immenso successo, sembrerebbe che le IA siano attualmente lo strumento di conoscenza più potente in mano all’essere umano. Disporre di un software capace di reperire informazioni molto rapidamente da un’immensa banca dati è sicuramente di grande utilità.

La domanda sorge spontanea: le IA sarebbero uno strumento conoscitivo valido nella filosofia kantiana?

Il limite nel pensiero kantiano

Il “limite” che Kant pone alla conoscenza umana è sicuramente centrale per rispondere al nostro interrogativo.

Kant distingue tutto ciò che fa parte della realtà in fenomeno (ciò che si manifesta) e noumeno (la cosa in sé). Tramite il nostro Io possiamo analizzare in modo efficace il fenomeno, ma il noumeno è destinato a rimanere ignoto poiché totalmente inosservabile. L’uomo può analizzare soltanto ciò che riesce ad osservare, quindi il suo sguardo resta “superficiale”.

Le IA operano tramite algoritmi ideati dall’essere umano. Immaginate di provare a creare qualcosa che possa ragionare tramite un Io che gli è stato fornito da noi. Come possiamo pretendere che ciò ci conduca ad un maggiore livello di comprensione riguardo ciò che ci circonda? La convinzione che le IA possano essere una fonte esatta ed indispensabile di conoscenza è un’illusione che porta l’uomo a credere di potersi servire di un mezzo artificiale per comprendere la natura delle cose.

Gli altri strumenti in mano all’uomo

Va detto che le IA non sono l’unico strumento che l’uomo utilizza per comprendere ciò che lo circonda. Tutte le scienze “esatte”, le scienze “della natura” (Matematica, Fisica, Chimica ecc.) si sono rivelate un potente ed efficace strumento in mano all’uomo per comprendere ed analizzare ciò che avviene nella vita di tutti i giorni.

Anche le già citate scienze sono effettivamente fatte di calcoli ed approssimazioni basati su una fitta rete di convenzioni stabilite nel corso dei secoli. Ciò non le rende, però, meno valide per analizzare la natura.

La cosa essenziale è che l’uomo utilizzi questi strumenti nella totale consapevolezza di essi: non posso chiaramente affidarmi a calcoli di tipo matematico per rispondere a domande di tipo esistenziale. Come per ogni strumento, rendere la Scienza l’unica entità in cui si ripone una fede cieca si potrebbe rivelare un errore madornale.

Il punto di incontro

Proprio come Kant ha posto ogni cosa sotto giudizio presso il tribunale della ragione, anche noi dobbiamo essere capaci di utilizzare nel modo giusto ogni nostro strumento.

Arricchire la propria conoscenza nozionistica tramite le IA può essere un grande aiuto. Il nostro compito è quello di approfondire tali nozioni, ragionarci su, interpretarle e metterci del nostro. Rendere “soggettive” le nozioni acquisite tramite lo studio e la lettura è fondamentale per evitare un mondo in cui tutto è monotono.

Non possiamo monopolizzare il sapere riponendo ogni nostra fiducia nelle IA, possiamo però utilizzarle per arricchire le nostre conoscenze di base da approfondire successivamente.

In conclusione, sarebbe proprio utile, al giorno d’oggi, avere un KantGPT che possa effettuare una nuova Critica della ragion pura riguardante i metodi conoscitivi delle IA.

Nietzsche è ancora vivo e probabilmente ascolta Jazz

Un gigante tra passato e presente

Sebbene sia ormai morto da quasi duecento anni, Friedrich Nietzsche ha scosso le fondamenta della Filosofia contemporanea, provocando grande divisione, nel corso degli anni, tra i suoi più accaniti sostenitori e coloro che non sopportano la brutale onestà con cui la sua oscura penna sputa sentenze sulla bianca carta dei libri.

Un solo aspetto del celebre filosofo nichilista riesce a mettere d’accordo tutti: egli rappresenta un punto di non ritorno nella storia della Filosofia. Il grande successo delle sue opere è sicuramente dovuto alla grande attualità dei temi affrontati: il modo che ha l’uomo di fronteggiare il dolore, la sottile linea che separa la fede cieca dall’illusione e il contrasto tra la morale imposta dalla società e la volontà del singolo individuo sono soltanto alcune delle tematiche che Nietzsche tratta nelle sue opere.

Possiamo dunque affermare che il pensiero di Nietzsche non va relegato al semplice studio accademico, bensì va considerato come un importante chiave di lettura per l’esistenza dell’essere umano in tutte le epoche.

L’apollineo contro il dionisiaco

Il concetto su cui si basa l’intera concezione che Nietzsche ha dell’universo che ci circonda è lo scontro tra l’apollineo e il dionisiaco.

Apollo era il dio greco delle arti e dei canoni, simbolo della razionalità umana. Dioniso era un dio introdotto dai greci nei loro culti a causa di influenze dei popoli asiatici con cui si sono rapportati nel corso del tempo.

Dioniso, a differenza di Apollo, non rispetta alcun canone. Non è razionale, bensì si abbatte sugli uomini come un vento impetuoso. Li spinge ad abbandonarsi ai loro istinti più primitivi, li fa sprofondare nella tentazione e li mette in contatto con la natura.

Inutile dire che la totale irrazionalità di Dioniso non può che divorare le fragili regole imposte da Apollo agli uomini.

Per Nietzsche, dunque, il mondo è stato, è e sarà sempre Dioniso e la sofferenza umana è dovuta dalla difficoltà che l’uomo ha ad accettare il disordine.

All’inizio del secolo scorso è nato un nuovo genere musicale che come tema centrale ebbe proprio il disordine: il Jazz.

Tra ordine e caos: il Jazz

Quando la popolarità di un nuovo genere musicale chiamato Jazz (si pensa il nome derivi da un vocabolo francese che richiama una sensazione di allegria e movimento) esplose a New Orleans, intorno al 1915, Friedrich Nietzsche era già morto da quindici anni.

Ci sono, però, incredibili somiglianze tra il messaggio contenuto nella filosofia di Nietzsche e la musica Jazz.

Questo nuovo genere musicale ha da subito colpito il pubblico per l’utilizzo di svariati virtuosismi e scale musicali alternative, capaci di suscitare nell’ascoltatore un grande senso di disordine e caos. Un richiamo verso gli istinti primordiali dell’uomo, un innato senso di movimento che getterebbe nella confusione anche la più razionale delle menti.

Il Jazz fa uso di un attento studio di scale musicali e virtuosismi per veicolare verso le orecchie dell’ascoltatore quella che è la natura umana: il disordine.

Proprio lo stesso senso di disordine e spaesamento si trova all’inizio del percorso che, secondo Nietzsche, deve portare l’uomo a diventare Übermensch, ovvero oltre-uomo.

La tappa iniziale di questo arduo cammino è segnata dalla morte di Dio, ovvero dalla morte di ogni certezza metafisica. Che essa sia una cieca fede in qualsivoglia religione o un’incrollabile fede nella scienza e nel progresso, ogni convinzione che serva a portare avanti il fragile ottimismo dell’uomo nei confronti della vita è destinata a crollare di fronte alla brutale verità. L’esistenza è sofferenza. L’uomo non può fare uso di alcun costrutto razionale per consolare sé stesso.

La musica come linguaggio universale

E coloro che furono visti danzare, vennero giudicati pazzi da quelli che non potevano sentire la musica.

Nietzsche F., La gaia scienza e idilli di Messina

Con questo aforisma della Gaia scienza, una delle sue più celebri raccolte di aforismi, Nietzsche evidenzia innanzitutto la centralità della musica come linguaggio nell’esistenza umana.

Come affermato da lui stesso ne La nascita della tragedia, una delle sue prime opere, la musica è uno dei pochi mezzi di cui l’uomo dispone per «andare in concerto di fronte alla propria anima», comprendere sé stesso in modo autentico e senza alcun filtro esterno, libero dai dettami morali di una società schiava delle illusioni.

In un mondo in cui gli uomini cercano disperatamente la consolazione, tramite mezzi razionali che non hanno alcuna efficacia, la musica è un’arte comunicativa, svincolata dalla parola umana, che necessita della conoscenza preliminare di una lingua per essere compresa. Ma arriva in modo diretto all’ascoltatore, suscitando immediatamente sensazioni forti e innate nell’anima umana.

Proprio partendo dall’evoluzione nella concezione greca delle opere teatrali, Nietzsche effettua un’approfondita disamina del cambiamento del rapporto tra l’uomo e il disordine.

Mentre, in un periodo iniziale della produzione di tragedie in Grecia, l’uomo si rapportava in modo diretto e spietato col dolore, come vorrebbe il Dioniso, in un secondo momento la tragedia greca è stata appesantita da artifici scenici ed elementi narrativi come il deus ex machina. Greci hanno dunque provato ad introdurre Apollo nella loro produzione tragica, allontanandosi dalla comprensione della vita come puro caos.

Il viaggio dell’uomo: dal dolore all’accettazione

Risulta quasi immediato il passaggio della centralità del caos, come base dell’esistenza e della sofferenza, nella filosofia di Nietzsche, alla centralità del disordine e dell’apparente insensatezza nei componimenti Jazz.

L’aggettivo apparente non è usato in modo superficiale: c’è un attento studio schematico dietro la musica Jazz, proprio come c’è una parvenza di ragione nel caos della filosofia di Nietzsche.

Senza anni di teoria musicale e senza lo studio delle complicate scale che ne costituiscono le fondamenta, sarebbe impossibile comporre un pezzo Jazz.

Allo stesso modo Nietzsche individua una via di fuga dalla ripetitività della sofferenza nell’esistenza umana. Una volta constatato il tramonto di tutte le certezze (la morte di Dio), l’unico modo che ha l’uomo per andare avanti è costruire i propri valori, obbedire unicamente alla propria morale, in modo tale da diventare oltre-uomo. Tutto ciò deve avvenire secondo una ragione interna all’uomo, che apre le porte al concetto di prospettivismo: non esiste qualcosa di oggettivamente giusto, ma i concetti di buono cattivo dipendono dalla prospettiva soggettiva da cui vengono osservati.

Filosofia e musica: la cura per l’anima

Gli anni della pandemia e del lock-down hanno gettato la società nel silenzio più totale. Non si sentiva alcun veicolo circolare in strada, niente serate nei locali, nessun evento sociale che coinvolgesse grandi gruppi di persone. Il silenzio assoluto.

Noi, in quanto esseri umani, abbiamo provato un grande sconforto nel vedere una società figlia del positivismo e della razionalità collassare su sé stessa.

Tutto ciò che la ragione aveva costruito stava crollando davanti ai nostri occhi e noi non potevamo accettarlo.

Ciò che venne teorizzato da Nietzsche nel XIX secolo non fa che ripetersi ciclicamente. Le convinzioni che l’uomo costruisce tramite la ragione crollano una dopo l’altra al presentarsi di nuovi problemi, causandoci sofferenza.

Negli anni del covid-19, è stata proprio la musica ad avere un ruolo centrale nella vita della maggior parte della popolazione globale.

Nietzsche continua a spronarci a trovare il nostro equilibrio personale nel caos, e il mezzo più potente che abbiamo per farlo è sicuramente la musica.

Possiamo, dunque, concludere, alla luce della grande attualità del suo pensiero, che Nietzsche è ancora vivo e probabilmente ascolta Jazz.

Bibliografia:
Nietzsche F., Così parlò Zarathustra, Firenze, Giunti, 2021
Nietzsche F., Genealogia della morale, Trento, Rusconi, 2023
Nietzsche F., La gaia scienza, Milano, Adelphi, 1977
Nietzsche F., La nascita della tragedia, Milano, Adelphi, 1977
Nietzsche F., Tutto sarà allora Dioniso, Firenze, Giunti, 2023
Storia del Jazz: https://www.elegancecafe.it/storia-del-jazz-le-origini/?srsltid=AfmBOoo1hBV-T2HUjr8EJEswe2wLtnOsIL_4HW0Vbvl00RPX0mvD558y

 

MEDICINA E FILOSOFIA: UN BINOMIO INASPETTATO

Oggi, non ci sembra facile collegare medicina e filosofia, ma, se volgiamo uno sguardo al passato, ci accorgiamo che anche la medicina nasce dal pensiero di filosofi, che si sono occupati della ψυχή, l’anima, e del σώμα, il corpo. Platone, Aristotele, Ippocrate e Galeno rappresentano il punto di partenza di un percorso scientifico che ha portato fino alle scienze mediche.

LA FILOSOFIA INCONTRA LA MEDICINA

La medicina è una scienza che mette al suo centro l’uomo: compito del medico è curare gli esseri umani e la relazione medico-paziente è la base della medicina stessa. Ovviamente, non bisogna dimenticare che l’uomo non è solo un insieme di organi e funzioni vitali, anche se, oggi, forse a causa dell’avvento di nuove tecniche e nuovi mezzi, si finisce per focalizzare l’interesse sullo studio della malattia e non sull’uomo nella sua interezza.

Tornando al passato, sappiamo bene che, nell’Antica Grecia, non esistevano delle vere e proprie strutture in cui ospitare i “pazienti” o delle strutture in cui i medici potevano essere istruiti. La maggior parte di questi ultimi cercava di lavorare in maniera autonoma, basandosi sui propri studi e sulle proprie osservazioni.

Jacques-Louis David, La morte di Socrate, 1787, olio su tela, 129,5 x 196,2 cm. New York, Metropolitan Museum of Art. FONTE

PLATONE: IL FILOSOFO DELL’ATTUALITÀ

Nel IV libro delle Leggi, Platone illustra in modo semplice e chiaro l’organizzazione che regola i rapporti tra i medici nella Grecia del IV secolo a. C. Vi è una vera e propria gerarchia tra medici e assistenti. Gli assistenti possono utilizzare l’arte medica  solo in base alle indicazioni e alle competenze dei loro superiori. Si limitano ad obbedire ai medici che assistono, non agiscono in virtù di una competenza propria, non sono in grado di prendere decisioni in autonomia.

ARISTOTELE: L’ANIMA COME PRINCIPIO VITALE

L’anima (ψυχή) è il principio vitale che dà forma agli organismi viventi (non c’è separazione tra anima e corpo). L’anima è costituita da diverse facoltà:

  • l’anima vegetativa governa la crescita e la riproduzione (proprie di tutti i viventi);
  • l’anima sensitiva, governa le percezioni (ha sede nel cuore)
  • l’anima razionale (propria solo degli umani).

Nel V secolo, in Grecia, i medici non praticavano dissezioni di corpi, né umani né animali, quindi non conoscevano la conformazione degli organi interni. Aristotele, con i suoi studi sugli animali, contribuì a una notevole rivoluzione in medicina.

IPPOCRATE: IL FONDATORE DELLA MEDICINA SCIENTIFICA IN GRECIA

Ippocrate, nel V secolo a.C., fonda la Scuola di Kos: i primi testi di medicina furono scritti dai medici frequentanti la cerchia ippocratica e proprio ad Ippocrate viene attribuita una raccolta, definita Corpus Hippocraticum”. La raccolta è costituita da circa settanta opere, scritte nel corso di vari secoli, che trattano vari temi, soprattutto medici.

La medicina ippocratica, che considerava il corpo nella sua interezza e non nelle sue singole parti, si fondava su due elementi fondamentali:

  • L’equilibrio
  • Gli umori, contraddistinti in sangue, proveniente dal cuore, flegma, proveniente dal cervelletto, bile gialla, proveniente dal fegato e bile nera, proveniente dalla milza. Se la salute è identificata con il perfetto equilibrio degli umori, la malattia invece con il loro squilibrio e la presenza insufficiente o eccessiva di uno dei quattro principi.

IL RAPPORTO MEDICO-PAZIENTE

Il dialogo con i malati era fondamentale nella medicina ippocratica e i medici avevano ottime capacità prognostiche. Ponendo domande, osservando i visi, i corpi e le secrezioni potevano prevedere con grande precisione il decorso della malattia. L’esigenza di ritornare a metodi ippocratici  si sta dimostrando una necessità. Il medico deve allacciare una relazione e instaurare un’interazione con il paziente, in mancanza della quale la malattia è destinata ad avere conseguenze sempre più gravi. Al di là delle conoscenze scientifiche, il medico deve rappresentare un punto di riferimento per il paziente e deve ispirare fiducia in quest’ultimo. Solo in questo modo è possibile entrare in contatto con il paziente e dargli le cure necessarie. Ricordiamo, infatti, che una stretta di mano, uno sguardo in più, un semplice “come stai?” possono far sentire il nostro paziente a suo agio con il medico stesso, vedendolo come una persona familiare. Nonostante Ippocrate sia vissuto in tempi lontanissimi, ci ricorda che l’empatia è un valore che nessun professionista del settore sanitario deve perdere di vista durante il corso della sua carriera.

“La vostra felicità sta nel bene che farete, nella gioia che diffonderete, nel sorriso che farete fiorire, nelle lacrime che avrete asciugato.” FONTE

IL GIURAMENTO DI IPPOCRATE

Ippocrate, in diverse sue opere, insiste sul fatto che il medico debba condurre una vita riservata senza speculare sulle malattie dei pazienti. Infatti, i medici dovevano curare gratuitamente i pazienti e i bisognosi, stabilendo un legame vero e puro con i malati. Tale pensiero si ritrova nel celebre Giuramento di Ippocrate, scritto dal grande medico di Kos per definire i requisiti necessari praticare l’arte medica. Nel testo, ritroviamo tutti i principi fondamentali che devono seguire i medici:

  • la diffusione responsabile del sapere;
  • l’impegno a favore della vita;
  • il senso del proprio limite;
  • rettitudine e segreto professionale

Ippocrate ha formulato le regole della vera arte di curare, la cui chiave è ricordata dalla classica frase “natura medicatrix”, ossia “è la natura che cura”. É innegabile che qualche professionista del settore, con un modo di agire antinaturale, finisca per danneggiare il corpo, rendendolo un deposito di farmaci.

GALENO: IL CURATORE DEL RAPPORTO TRA SALUTE E FARMACO

Galeno di Pergamo è, insieme ad Ippocrate, uno dei padri della medicina antica. Nato da una famiglia di vocazione scientifica, fu medico anche farmacologo, costruì le basi della medicina sia araba che occidentale. Nel 162 d.C. si trasferì a Roma dove fu medico di gladiatori e di imperatori.

Galeno fornisce le basi anche della farmacoterapia affermando che alcune sostanze possiedono dynameis interne, ossia possono modificare lo stato del corpo in virtù delle qualità che posseggono. Alle qualità primarie, Galeno accosta nuove osservazioni sulla valutazione del grado di intensità dell’azione terapeutica di una sostanza. Si disegna, quindi, un complesso sistema farmacologico, in cui la sperimentazione, che deve valutare l’interazione di proprietà naturali con una serie di variabili, tra cui lo stato del corpo, la stagione, il genere e l’età dei pazienti, ha parte fondamentale. Ne deriva l’importante principio che non esiste la cura per tutti, ma ogni singolo malato richiede un trattamento specifico, adatto solo al suo caso.

Elena Nastasi

BIBLIOGRAFIA

https://www.studenti.it/filosofia-e-medicina-arte-medica-da-ippocrate-a-galeno.html

/cap-4-medicina-e-filosofia-limportanza-della-riflessione-e-della-formazione-multidisciplinare/

https://www.raicultura.it/filosofia/articoli/2022/05/Ritornare-a-Ippocrate-c7f637ab-9570-45fb-a01e-a90fd68fe35f.html

Pensiamo alla salute. 20 regole per un uso corretto dei farmaci. Consigli del Ministero della Salute – Forattini

La Medicina Naturale alla portata di tutti – Libro di Manuel Lazaeta Acharàn – Accademia Naz. Galilei, 18° edizione

L’umanità e il ciclo della guerra

L’Insegnamento del Dolore

 

Fonte: https://www.elconfidencial.com/cultura/2018-10-23/robert-capa-fotografia-segunda-guerra-mundial-frank-scherschel_1634364/

 

L’essere umano, sin dai suoi albori, ha vissuto l’atrocità della guerra come un marchio indelebile sulla propria storia. 

Le cronache antiche raccontano di battaglie sanguinose e conflitti che hanno segnato il destino di intere civiltà.
Da Omero, che nella “Iliade” descrive il dolore e la perdita di vite umane, a Tolstoj, il cui “Guerra e Pace” offre una riflessione profonda sulla condizione umana in tempo di conflitto. La letteratura ha sempre cercato di catturare l’essenza della sofferenza causata dalla guerra.

Eppure, la storia sembra ripetersi.
Le attuali guerre in Ucraina e Palestina riaccendono la discussione su quanto, realmente, abbiamo imparato dal nostro passato.

Il sangue versato nel corso dei secoli potrebbe suggerire che, in effetti, l’umanità tende a ripercorrere gli stessi sentieri di violenza. L’atroce ciclo della guerra sembra non avere fine, e ci si chiede: perché l’uomo continua a imporsi con violenza?

La risposta è complessa e affonda le radici nella nostra natura.

Come scrisse Erich Fromm, “l’uomo è un animale sociale, ma è anche un animale aggressivo”.

Questa dualità ci porta a esplorare le ragioni che spingono le nazioni e i popoli a risolvere le proprie divergenze attraverso l’uso della forza. L’umanità, anziché apprendere dalla sofferenza, sembra a volte rimanere intrappolata in un ciclo di vendetta e ritorsione.

Il conflitto in Ucraina e la situazione in Palestina evidenziano il dramma di popoli oppressi e combattenti, ognuno con le proprie ragioni, le proprie sofferenze, ma anche le proprie speranze. La questione è se, davanti a tanta desolazione, si possa davvero intraprendere un percorso di dialogo e comprensione reciproca.

Gandhi, con la sua filosofia di non violenza, ci ricorda che “la vera forza non consiste nel colpire, ma nel resistere alla tentazione di farlo”.

Eppure, la tentazione è spesso irresistibile.

Il dolore e la perdita che derivano dalla guerra hanno la capacità di risvegliare in noi una compassione profonda, ma il rischio è quello di trasformare questa empatia in una reazione di difesa e aggressività.

L’insegnamento del passato, quindi, non dovrebbe essere solo un monito, ma un’opportunità di riflessione.

Come scrisse Primo Levi, “se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”, perché solo attraverso la conoscenza possiamo sperare di spezzare il ciclo della violenza.

Fonte: https://glamourdaze.com/2018/05/heroic-hardass-women-of-ww11.html
Fonte: https://glamourdaze.com/2018/05/heroic-hardass-women-of-ww11.html

Abbiamo la responsabilità di guardare alla storia non solo come un catalogo di atrocità, ma come un insieme di lezioni da apprendere. Ogni conflitto, ogni guerra, dovrebbe insegnarci a cercare alternative alla violenza, a promuovere il dialogo e la pace.

La vera sfida è quella di trasformare il dolore in comprensione, di utilizzare la sofferenza come carburante per costruire ponti anziché muri.

In questo momento critico, in cui la guerra continua a mietere vittime, è fondamentale che l’umanità si fermi a riflettere.

Dobbiamo chiederci: cosa abbiamo imparato? Possiamo costruire un futuro in cui la guerra non sia più una risposta?

La risposta è nelle nostre mani. Solo attraverso il dialogo e la comprensione reciproca possiamo sperare di superare il passato e costruire un mondo in cui il sangue versato non sia stato vano, ma diventi il seme di una nuova era di pace e coesistenza.

 

Soldato in guerra Fonte: https://cherrieswriter.com/bdf1c94a093ab348eec161f2057bfd14/
Fonte: https://glamourdaze.com/2018/05/heroic-hardass-women-of-ww11.html

Nel cuore dell’Europa, dove la storia è costellata di cicatrici profonde, la nostra società si trova oggi di fronte a una sfida cruciale: la difesa dei diritti umani.

Gli eventi che hanno segnato il Novecento ci ricordano che il sangue versato per la libertà non deve essere dimenticato. Ogni passo indietro in termini di diritti civili è un passo verso l’oscurità, un’involuzione che nessuno di noi può permettersi.

In un momento in cui il mondo sembra essere lacerato da conflitti e divisioni, l’Italia deve essere un faro di speranza.

Dobbiamo rispondere all’odio con l’amore, alla paura con la compassione. Ogni persona merita di essere ascoltata, ogni storia merita di essere raccontata. Non possiamo lasciare che la narrazione sia dominata dalla disumanizzazione e dall’indifferenza.

Riflettiamo, dunque, sulle nostre scelte e sul futuro che vogliamo costruire.

L’umanità ha pagato un prezzo altissimo per i diritti che oggi diamo per scontati. Non dimentichiamo, non voltiamo le spalle. Lottiamo insieme per un’Italia che rappresenti davvero tutti, dove il rispetto e la dignità siano i pilastri su cui costruire la nostra società. La nostra voce è potente; usiamola per promuovere la pace e i diritti di ogni individuo.

Il sogno

Cos’è un sogno?       

Il sogno, dal latino somnium, è un fenomeno psichico legato al sonno e in particolare alla fase REM, detta anche sonno del paradosso o pensiero notturno e caratterizzata dalla percezione di immagini e suoni riconosciuti come apparentemente reali dal soggetto sognante.

Il sogno ha da sempre attratto la curiosità di scienziati e ricercatori ed è stato oggetto di studio della filosofia, della psicologia e della fisiologia.

Le moderne tecniche di neuroimmagine, poi, hanno permesso di approfondire i processi neurobiologici che avvengono durante il sogno, dando vita a una nuova fase di ricerca basata non più solo su ipotesi psicologiche, ma su riscontri fisici verificabili.

Nonostante i vari studi, però, non abbiamo ancora una vera motivazione sul perché avvenga.

Qual è la funzione dei sogni?

Ci sono molte ipotesi relative alla funzione dei sogni.

Durante la notte ci possono essere molti stimoli esterni. La mente li rielabora e ne fa parte integrante dei sogni, nell’ordine in cui il sonno procede.

La mente, tuttavia, sveglia l’individuo nel caso si dovesse trovare in pericolo, o se qualificata a rispondere a certi suoni; ad esempio, quello di un bambino che piange.

I sogni possono permettere anche alle parti represse della mente di essere soddisfatte attraverso la fantasia, tenendola lontana da pensieri che ne causerebbero un risveglio improvviso.

Freud suggerì che gli incubi lasciano al cervello la funzione di controllare le emozioni. Essi sono il risultato delle esperienze “dolorose”. I sogni lasciano esprimere alla mente le sensazioni che sarebbero normalmente soppresse da svegli, tenendoci così in armonia.

Ci sarebbe quindi una continuità tra la vita psicologica diurna e quella notturna, che permetterebbe al sonno di avere anche un effetto positivo sulla regolazione delle nostre emozioni e sulla soluzione di problemi rimasti irrisolti durante la veglia.

Possiamo vivere un sogno consciamente?

La risposta breve è sì.

Può capitare di trovarsi nel bel mezzo di un sogno e, ad un certo punto, rendersi conto che si sta sognando. Questo fenomeno viene identificato come “sogno lucido”, uno stato in cui si è per l’appunto consapevoli durante il sogno.

A discapito di quanto si possa pensare, sognare in maniera lucida può essere appreso. I sogni lucidi rappresentano un metodo efficace per esplorare la mente e permettere alle persone di affinare la conoscenza di loro stessi, oltre ad essere un’efficacissima strategia per incrementare la creatività.

Il sogno lucido, inoltre, risulta essere una terapia efficace per trattare gli incubi.

A livello clinico, infatti, è impiegato anche per il trattamento degli incubi ricorrenti, che colpiscono all’incirca il 4% della popolazione adulta.

Per quanto riguarda l’attività e le aree cerebrali coinvolte nel processo dei sogni lucidi, c’è ancora tanto da indagare. Ciò che però si è scoperto fino ad ora è che un sogno lucido può durare tra i 30 secondi e i due minuti circa, ed è stato dimostrato che le aree prefrontali (responsabili del pensiero critico, autodiretto e della metacognizione) ricoprono un ruolo importante nella loro generazione.

Il sogno come strada che porta alla ragione

Il sogno è spesso sentito come verità, quando non è confuso con la realtà stessa. È il momento di massima incoscienza dell’uomo, ed è proprio questo aspetto, legato alla coscienza di chi sogna, ad aver contribuito a una tale visione sacrale.

Il sogno può essere indotto dagli dèi, per esaltare, ingannare o stupire l’animo; oppure, può essere il frutto del turbamento di un eroe che al suo interno vede il motivo del proprio turbamento o ne scorge possibili soluzioni.

I sogni, secondo la mitologia greca, proprio per questa forte connessione con il divino, possono svolgere diverse funzioni.

Per esempio, alla morte di Patroclo, Achille dà conto della sua disperazione, urlando e piangendo per tutto il campo. Alla fine, esausto, si getta sulla spiaggia e si addormenta. In quel momento, è proprio l’amato defunto a comparirgli in sogno (Iliade, XXIII 60-71).

Un sogno può essere ingannatore e spingere alla “scelta sbagliata”. Ancora nell’Iliade, infatti, una vera e propria divinità, Sogno, si poggia sulla testa di Agamennone dormiente.

È proprio Zeus, che segretamente si augura la disfatta del fiero generale acheo, a mandare la divinità, la quale è da subito definita come menzognera.

Il sogno è anche un terreno fertilissimo per l’espressione di simbolismi, alle volte molto complessi. Queste simbologie così ricche non sono mai ingenue, ma preannunciano l’imminente verificarsi di qualcosa di straordinario. Si pensi ai sogni tra lo spaventoso e l’incomprensibile dei genitori di Alessandro il Grande prima della sua nascita.

La realtà del sogno nella religiosità ‘pagana’, tanto variegata e complessa, non si perse con l’arrivo del cristianesimo.

Il sogno come falso specchio

Il sogno per Freud si compone di un contenuto manifesto e un contenuto latente. Quest’ultimo nasconde il vero significato del sogno, mascherato dalla censura che ne impedisce l’accesso alla coscienza.

Quando sogniamo, pensiamo cose che nella vita diurna sono assolutamente inconcepibili o insensate. Freud, infatti, afferma che ci sono dei pensieri, realmente presenti nella mente, che non possono diventare coscienti e che vengono quindi rimossi nel sogno, deformandolo dal suo contenuto originario e travestendolo.

La principale causa di questa deformazione onirica è attribuita alla censura, la cui funzione è quella di lasciare passare solamente ciò che piace, respingendo tutto il resto.

Ciò di cui siamo consapevoli è solo il contenuto onirico manifesto, a partire dal quale possiamo decifrare i sogni e il loro reale significato.

Freud sosteneva che il regno dell’inconscio penetra nei nostri sogni e questa teoria ha costituito il primo esempio e modello sul tema.

Conclusione

Nonostante gli studi e la ricerca nel provare a comprendere la sua origine, il sogno resta a volte un escamotage per descrivere delle sensazioni che derivano da eventi che per qualche ragione rimangono nella memoria.

 

Fonti:

Wikipedia

https://it.m.wikipedia.org/wiki/Sogno

Unobravo 

https://www.unobravo.com/post/la-genialita-delle-intuizioni-freudiane-e-linterpretazione-dei-sogni

State of mind 

https://www.stateofmind.it/2020/12/sogni-significati-psicologia/

CasaMedica

 https://www.casamedica.it/2019/07/03/il-sogno-secondo-freud/

“A 68 anni ho riiniziato l’università” … la meravigliosa storia di Fulvio!

Non sopporta che gli si dia del “lei”, perché: “tra colleghi ci si dà del ‘tu’ “; non accetta quasi la referenza che i suoi vicini di banco, spesso di decenni più piccoli, gli riconoscono in onore della sua veneranda esperienza; vuole costantemente accreditarsi giovane tra i giovani, avendo tutte le carte in regola per esserlo…

Fulvio Arena, un allegro studente-nonno dell’Università degli studi Messina, è una realtà da conoscere!

Uno speciale rappresentante dei valori eterni della cultura e della dottrina del “tutto è possibile” … a qualsiasi età!

 La storia di Fulvio: la passione nascosta ma mai abbandonata

Fulvio, messinese doc, dopo aver conseguito, da adolescente, la maturità classica presso i padri gesuiti, fu spinto dal padre a intraprendere gli studi universitari in Scienze Biologiche.

Al tempo – dichiara lui stessogli ordini di scuderia non erano discutibili. Pertanto, mi dovetti adeguare a studiare ciò che mio padre pensava fosse meglio per me e per il mio futuro”.

Così ripose in un cassetto la sua passione letteraria e il suo desiderio di darle qualsiasi adito accademico per vivere una vita di altri impegni: costretti, onerosi, ma mai sino in fondo distruttivi.

Il primo periodo universitario, comunque, fu per Fulvio una vera odissea: collezionai bocciature in fila in svariate materie, riuscii a proseguire solo grazie ai continui sacrifici a cui mi sottoposi”. Quando, però, nel giugno del 1977 finì il primo tortuoso viaggio, riuscì di colpo a volgere la sua vita, dando un taglio ai maggiori patimenti fino ad allora subiti.

Il nuovo lavoro, che lo ha accompagnato per diversi decenni, non gli pesò quanto i rigidi studi scientifici. E anzi, per la sua flessibilità, gli concesse pure dei modi per riprendere le sue passioni letterarie.

Passioni che, alla soglia della pensione, ha potuto finalmente sfogare!

Ai 62 anni, infatti, Fulvio si è finalmente riscritto all’UniMe, nell’occasione, nel corso di studi da lui bramato: ovvero filosofia!

Così, in meno di un triennio ha conseguito la sua laurea, mantenendo fede alla promessa che da piccolo si era fatto.

Dulcis in fundo, da settembre, al momento in cui di anni ne ha compiuti 68, ha riiniziato l’ennesimo ciclo didattico: corso di lettere, curriculum storico.

Immolandosi di fatto nella sua terza sfida culturale: “più tosta della precedente” – per quanto afferma l’esperto studente – ma a cui sono certo che non abdicherà.

Fulvio
La seconda laurea di Fulvio

Un esempio da seguire

Chi, oggi, frequenta le lezioni assieme a Fulvio afferma che fra tutti gli studenti, lui, è “probabilmente il più curioso e certamente il più partecipe con domande e interventi mai fuori luogo”.

Una descrizione, mi vien da pensare, coerente rispetto alla realtà che ci si può immaginare.

D’altronde, chi studia solo per amore dello studio come potrebbe comportarsi se non in questa maniera?

Raccontando di lui ho avuto il piacere di far miei dei dogmi fondamentali:

-Mai niente potrà impedirci di rivivere o ripartire, in nessun tempo!

-Il momento che cerchiamo potrà esserci distante, ma possiamo essere sicuri che, se vorremo, ci apparterrà!

-L’amore per le persone, o la passione per le cose muovono il mondo e spesso lo fanno in senso positivo.

Che tu sia da stimolo per i tanti giovani che ti conoscono e ti conosceranno, grazie per l’esempio che sei Fulvio.

Gabriele Nostro