Taormina Film Fest 70: Twisters

Twisters
Disaster movie che valorizza temi e rischi sottovalutati, legati ad eventi catastrofici come i tornado. Voto UVM: 5/5

 

Twisters è un sequel stand-alone e reboot di Twister uscito nel 1996 e diretto da Jan De Bont. Ritorna, dunque, in una nuova versione in cui la regia è a cura di Lee Isaac Chung, regista emergente ai film d’azione; egli è infatti noto per opere intimiste come Minari (2020), vincitore del Golden Globe per il miglior film straniero. La sceneggiatura è scritta da Mark L. Smith mentre la pellicola è prodotta da Patrick Crowley e dal premio Oscar Frank Marshall (Amblin Entertainment), quest’ultimo noto regista e produttore di successi come le saghe di Jurassic Park e Indiana Jones. Per quanto riguarda le riprese principali, sono state girate in Oklahoma e il primo trailer venne diffuso l’11 febbraio durante il Super Bowl LVIII; verrà proiettato nelle sale italiane il 17 luglio 2024.

Un cast completamente differente da quello originale

Uno dei personaggi principali è Glen Powell, visto di recente al cinema in Top Gun: Maverick (2022) e Tutti tranne te (2023). Al suo fianco, la candidata ai Golden Globe Daisy Edgar-Jones, divenuta nota grazie alla serie britannica Normal People (2020). Il resto del cast include Anthony Ramos, David Corenswet, Daryl McCormack (Isaiah Jesus nella serie tv Peaky Blinders), Kiernan Shipka (protagonista nella serie tv Le terrificanti avventure di Sabrina), Nik Dodani (Zahid Raja in Atypical) e Maura Tierney, vincitrice nel 2016 di un Golden Globe per la serie televisiva The Affair – Una relazione pericolosa.

La persistenza di una trama avvincente

Lee Isaac Chung con Twisters non ci delude; avvalora questo disaster movie intrecciando una storia d’amore ad un evento catastrofico e drammatico, adatto al clima estivo. Le tre parole chiave sono: instabilità, direzione del vento e umidità. Il film ruota, principalmente, attorno alla figura di una giovane donna, Kate Cooper (Daisy Edgar-Jones), ex cacciatrice di uragani segnata dall’incontro con un tornado dove perse la vita il suo fidanzato, Jeb (Daryl McCormack). Dopo 5 anni, si rifugerà in un ufficio di New York City ma farà ritorno nel settore, grazie alla spinta dell’amico Javi, per testare un avanzato sistema di tracciamento. Il suo rientro si incrocerà con Tyler (Glen Powell), il cosiddetto “domatore di tornado”, influencer noto per le sue imprese spericolate che insieme alla sua squadra non renderà facile la vita alla Storm Par. Ad entrambi verrà messa a dura prova la loro sopravvivenza nel capoluogo di Oklahoma City.

Ma non solo

Tyler: “Le paure non si affrontano; le paure si cavalcano”

Nella totalità della proiezione, dalla durata di 122 minuti, possiamo scorgere: avventura, azione, intensità, potenza drammatica, spirito di iniziativa e collaborazione ma soprattutto aiuto umanitario, nei confronti delle povere vittime di queste tempeste ambientali. Infatti, il film ci evidenzia la paura che rende consapevole il pubblico sulle conseguenze del rapporto incontrollato fra essere umano e natura. Nonostante questo, possiamo anche riscontrare la determinazione nel raggiungimento della sconfitta dei tornado, forte perturbazione atmosferica.

Tyler: Credevate di poter distruggere un tornado?!
Kate Cooper: Non avevamo speranze.
Tyler: Vuoi averne?

Non può mancare il sentimento d’amore

Addentrandoci nella trama di Twisters possiamo intravedere la nascita di un sentimento tra Kate e Tyler. Proprio come le tempeste, il loro inizio fu burrascoso e capriccioso per poi scorgere un cielo sereno tra i due. Nonostante la protagonista fosse scossa dalla perdita del suo precedente compagno, non può sottrarsi allo scatto della scintilla di desiderio con Tyler. Nella scena finale, Kate decide di tornare nella sua splendida New York City ma il segno del destino vuole che, a causa di forti venti, verrà previsto un ritardo sul volo. Ed ecco che, nel momento di questa annunciazione, spunta dietro di se proprio Tyler, pronto a coronare il loro trionfo d’amore, insieme.

 

Stefy Saffioti

Inside Out 2: sequel che ricorda la complessità delle emozioni

Inside Out 2
Pixar nella sua migliore forma, con Inside Out 2 ripropone la tematica delle emozioni e manda un messaggio più completo e coerente del primo film. – Voto UVM: 4/5

 

Inside Out 2 è un film d’animazione del 2024 diretto da Kelsey Mann, che segna il suo debutto alla regia. E’ il 28° lungometraggio d’animazione realizzato dalla collaborazione tra Disney e Pixar ed è il sequel del film uscito nel 2015.

Trama di Inside Out 2

In Inside Out 2 Riley ha 13 anni e fino a quel momento, le sue emozioni basilari (Gioia, Tristezza, Rabbia, Paura e Disgusto), nonostante qualche difficoltà riscontrata (basta guardare gli eventi del primo film), sono riuscite a gestire bene la personalità della ragazzina dal loro Quartier Generale al suo interno. Hanno anche creato una nuova sezione della sua mente chiamata “Senso di Sé”. Lì vengono custoditi i ricordi e i sentimenti che costituiscono la personalità fondamentale di Riley. Per di più Gioia ha inventato un meccanismo che lancia qualsiasi ricordo negativo nel retro della mente di Riley.

Ma l’inizio dell’adolescenza di Riley ha portato anche all’inserimento di nuove emozioni (Ansia, Invidia, Ennui, Imbarazzo e Nostalgia) all’interno del Quartier Generale. All’inizio sembrano amichevoli, ma poi Ansia getta il Senso di Sé nel retro della mente di Riley e, assieme alle nuove emozioni, liquideranno quelle “vecchie” e assumeranno il controllo del Quartier Generale. Questo porterà ad uno scombussolamento nella personalità di Riley, tanto da portarla ad assumere comportamenti insoliti nel momento in cui prende parte al week-end dove si terranno i provini per entrare nella squadra di Hockey. Con le amiche di sempre si comporterà diversamente e cercherà di apparire in un altro modo per farsi accettare dalle altre ragazze della squadra.

Gioia, assieme alle mozioni protagoniste del primo film, cercherà in tutti i modi di recuperare il “Senso di Sé” e riprendere il controllo della personalità di Riley, in modo da farla tornare ad essere la persona che è sempre stata.

Inside Out 2
Ansia, la nuova emozione attorno alla quale gira il film sequel – Fonte: Disney Pixar’s Inside Out 2

Il metodo della Pixar

La collaborazione tra Disney e Pixar ha segnato la storia dell’animazione, partendo da un punto di vista tecnico con l’adozione dello stile della computer grafica e ispirando poi altre case di produzione a realizzare film simili (per esempio Dreamworks con film come Shrek o Illumination come Cattivissimo Me o Super Mario Bros – Il Film). La differenza tra le varie case di produzione sta nel modus operandi adottato per la narrazione delle storie.

Pixar ha sempre realizzato dei film d’animazione capaci sia di divertire che di emozionare. Tratta, con un linguaggio semplice e a tratti anche delicato, tematiche ricorrenti. In questo modo possono arrivanre sia ad un pubblico di bambini e ragazzini, per educarli agli argomenti trattati, che ad adulti, per far avere loro degli spunti di riflessione e le risposte che cercavano (talvolta facendo anche commuovere).

La Pixar è tornata ad essere quella di un tempo?

Ultimamente la Pixar ha avuto delle difficoltà e non ha osato più di tanto, ha deciso dunque di puntare sui cavalli forti e tirare fuori un sequel di uno dei loro film migliori: “Inside Out”. Questa mossa può essere rischiosa e può portare a peccare sull’originalità, ma a volte tirare fuori dal cilindro i vecchi metodi e raccontare nuove storie su personaggi apprezzati dal pubblico è una buona occasione, se sfruttata. Ebbene, dopo anni, “Inside Out” ritorna con un sequel tutt’altro che forzato e risultando addirittura migliore del primo film.

Con “Inside Out 2”, Pixar ha dimostrato di essere in grado di fare del suo meglio ma è ancora presto per dire che è tornata come quella di una volta, perché lo si vedrà col tempo. Ma almeno, “Inside Out 2” può essere un buon punto di partenza (anzi di ripartenza)

Inside Out 2
Nuove Emozioni al comando di Riley – Fonte: Disney-Pixar’s Inside Out 2

Un sequel all’altezza del primo, anzi addirittura superiore 

Nonostante la Pixar sia rimasta nella zona di comfort e non abbia osato più di tanto, ha azzeccato senza ombra di dubbio la strategia vincente per il successo di questo sequel. Saranno anche passati nove anni, ma in realtà sembra che non sia passato neanche un giorno da Inside Out. Con una regia molto semplice e con delle sequenze coloratissime, hanno adottato un linguaggio semplificato alla portata di tutti, al di là dell’età, e ha trattato nel miglior modo possibile la tematica delle emozioni e la complessità che si ha con esse. Il nuovo film ripropone lo stesso messaggio riscontrato nel prequel, ma rappresentato come un’espansione di esso. Questo lo ha fatto rimanere coerente con il primo film e il messaggio è stato reso ancora più completo e realistico.

“Inside Out 2” ricorda la complessità delle emozioni ed invita ad accettare sia quelle positive che negative

Inside Out 2 invita tutti ad accettare tutte le sfumature all’interno di sé stessi e ad abbracciare sia il positivo che il negativo presenti. Non è un male provare certe emozioni, anzi vuole far capire che è assolutamente normale e l’accettazione è il primo passo importante per un equilibrio interiore sano e ben consolidato.

Tra gag divertenti e risate assicurate, tutti i personaggi hanno il loro spazio e giocano un ruolo fondamentale nel film. In più, la ciliegina sulla torta è stata aver realizzato magnificamente un paio di scene commoventi, arrivate al momento giusto e con l’intento di colpire la parte emotiva dello spettatore e portarlo ad un’attenta riflessione, al di là dell’età e dell’esperienza di cui dispone.

L’intento del film è stato raggiunto con successo trattando ancora più delicatamente un argomento piuttosto ricorrente negli ultimi anni: la gestione dell’ansia.

Inside Out 2
Incontro tra Ansia e le altre emozioni -Fonte: Disney Pixar’s Inside Out 2

L’ansia 

Tra le nuove emozioni introdotte, c’è stata Ansia. Un appunto va fatto al doppiaggio, e a Pilar Fogliati, un’artista in gamba che si sta mettendo in gioco in vari ambiti e si sta dimostrando un’artista completa e poliedrica. Ha avuto uno spazio leggermente maggiore e contestualizzato dall’altro scopo che avevano in mente, incastrandosi perfettamente a quello principale.

L’idea di rappresentarla come un’antagonista è stata geniale ed utile allo scopo, ovvero trattare con delicatezza un argomento molto ricorrente e di cui spesso si fa fatica a parlarne. Tutti soffrono d’ansia almeno una volta e si fa fatica ad accettarla, perché la si vede come una nemica.

“Inside Out 2” vuole anche invitare il pubblico all’accettazione dell’ansia ed è assolutamente normale provarla e il fatto di provare un attacco di panico non rende deboli, anzi è l’esatto opposto. E’ un argomento molto delicato e si fa fatica a parlarne, ma l’accettazione di esso è il primo passo.

Lo scontro tra Gioia e Ansia è la metafora del messaggio che vuole trasmettere il film e rappresenta due facce della stessa medaglia. Sono entrambe complementari e devono esserci entrambe, per raggiungere l’equilibrio interiore.

L’ansia può essere un’amica o una nemica, ma qui sta la chiave di tutto. E’ un argomento toccante e nel film è stata rappresentata in tutte le sfumature, con un linguaggio semplice e delicato. Riuscendo a far riflettere ogni spettatore, al di là del fatto che l’abbia vissuta sulla propria pelle oppure no.

 

Giorgio Maria Aloi

The Fall Guy: puro intrattenimento cinefilo

The fall guy è Intrigante, spettacolare e divertente. Voto UVM: 4/5

The Fall Guy è un film del 2024 diretto da David Leitch che torna sul grande schermo a due anni da Bullet Train. Leitch riesce a racchiudere in maniera perfetta azione, commedia e giallo in una cornice romantica, bilanciando tutti questi generi perfettamente. Il cast è ricco di nomi importanti, tra i quali Ryan Gosling (Blade Runner 2049) ed Emily Blunt come protagonisti insieme a Aaron-Taylor Johnson, che ha già lavorato con il regista nel suo ultimo film, e ad Hannah Waddingham.

The Fall Guy: la trama

Colt Seavers (Ryan Gosling) è un talentuoso stuntman di Hollywood in una relazione con l’operatrice di camera Jody Moreno (Emily Blunt), con cui lavora sui set. In una normalissima giornata di lavoro è però coinvolto in un incidente dal quale ne esce gravemente ferito. A seguito dell’incidente, di cui si sente responsabile, cade in una crisi che lo porta a tagliare tutti i rapporti con l’ambiente di lavoro, fidanzata inclusa.
Dopo essere guarito cerca di tirare avanti facendo l’autista, ma quando la produttrice Gail Meyer (Hannah Waddingham) lo informa che Jody sta girando il suo primo film come regista, lui decide di tornare in scena. Jody, non informata del suo arrivo, non lo accoglie calorosamente, rinfacciandogli il fatto che l’abbia lasciata senza farsi sentire. Intanto l’attore di cui Colt è la principale controfigura, Tom Ryder (Aaron-Taylor Johnson), è scomparso e sarà proprio lo stunt a doverlo cercare.

the fall guy
Ryan Gosling e David Leitch sul set. Fonte: gqitalia.it

David Leitch: da stuntman a regista

Il film nasce proprio con l’idea di mettere per la prima volta in evidenza sul grande schermo quegli attori “nascosti” fra i grandi nomi di Hollywood che però compiono le scene più adrenaliniche e contemporaneamente più pericolose: le controfigure. Il tutto è reso più avvincente se pensiamo che lo stesso regista è nato come stuntman e perciò ha potuto curare nel minimo dettaglio le riprese, affinché risultassero più spettacolari possibili.
David Leitch viene da una carriera immersa appieno nel mondo del genere action: dalle già citate presenze sullo schermo come stuntman, arriva poi a produrre l’intera saga di John Wick e a dirigere Deadpool 2 e Fast & Furious – Hobbs & Shaw.

Con questa opera fa quindi un tributo a una categoria come quella degli stuntman. Inoltre, qui si vedono riprese dal “dietro le quinte” nel finale del film, dando così lo spazio che tutti gli stunt si meriterebbero.

Un cast d’eccezione per attirare il pubblico

Emily Blunt e Ryan Gosling agli Oscar 2024. Fonte: hollywoodreporter.com

Come già anticipato, il cast vede gli importanti nomi di Ryan Gosling e Emily Blunt nei panni dei protagonisti: i due si rincontrano dopo la notte degli Oscar 2024. Nell’ultima edizione degli Academy entrambi si sono visti candidati nella categoria di Miglior attore e miglior attrice non protagonista. Spiacevolmente nessuno dei due è riuscito a portare a casa il premio, ma ci hanno dato l’occasione di vederli insieme all’opera in un piccolo siparietto organizzato per tirare fuori la tanto discussa rivalità fra Barbie e Oppenheimer.

In questi due film, che hanno sbancato il botteghino lo scorso anno, usciti entrambi il 23 luglio in America, gli attori hanno interpretato magistralmente personaggi chiave come Ken e Kitty Oppenheimer, tanto da ottenere la candidatura.
Potremmo stare ore a parlare delle immense carriere degli attori protagonisti ma il cast è composto anche da altri attori di spessore come Aaron-Taylor Johnson. Quest’ultimo già comparso in due film del “Marvel Cinematic Universe” nelle vesti di Quicksilver e in Godzilla nel 2014, dove è protagonista con il tenente Ford Brody. Torna ufficialmente alla ribalta grazie a Bullet Train dello stesso Leitch, dove riesce a imporsi scenograficamente anche grazie al carismatico personaggio di Tangerine.
Ultima, ma non per importanza, fra i grandi nomi è Hannah Waddingham, rinomata attrice nel mondo dello spettacolo che non si è mai limitata a un solo settore: ricordiamo la sua partecipazione in Ted Lasso. Di fatti, questo per lei è il primo grande ruolo in un lungometraggio, la quale è riuscita a immedesimarsi perfettamente nell’eccentrica figura di Gail.

In conclusione, il film si presenta veloce e pieno di colpi di scena, grazie ai quali si riesce ad articolare una trama particolare e mai banale. Il tutto inoltre è condito da riferimenti alla cultura pop cinematografica, che i più appassionati sicuramente riconosceranno durante la visione. La pellicola sarà ancora per poco disponibile al cinema, quindi accorrete perché ne vale la pena, e in seguito sarà disponibile su Amazon Video.

Giuseppe Micari

Drive-Away Dolls: le tante facce dell’America

Drive-Away Dolls è poco impegnativo, ma al tempo stesso intrattenente. Voto UVM: 4/5

Drive-Away Dolls è un film del 2024 diretto da Ethan Coen, che insieme al fratello Joel, ha vinto a suo tempo ben 4 Oscar. Nel cast spiccano i nomi di attrici emergenti nei ruoli principali, come Margaret Qualley, già presente in lungometraggi più rinomati come Povere creature! e C’era una volta a… Hollywood, Geraldine Viswanathan e Beanie Feldstein, ma anche quelli di personalità più famose al pubblico come Pedro Pascal, Matt Damon e Miley Cyrus, che con i loro personaggi compongono la cornice della trama e legano i pezzi di questa tra loro. La pellicola presenta una comicità surreale e a tratti pungente, dove si trattano non solo temi romantici e erotici, ma anche di spessore sociale.

Fonte: ew.com

Drive-Away Dolls: la trama

L’ambientazione dove si apre il film è la Philadelphia del 1999, dove la comunità queer in America è più in ascesa.

Nella primissima scena vediamo dei loschi individui uccidere un goffo personaggio (Pedro Pascal) e derubarlo di una valigetta, senza che ci vengano forniti ulteriori dettagli. Subito dopo viene presentata una delle due protagoniste: Jamie (Margaret Qualley) è una ragazza dallo spiccato accento texano che ama divertirsi e passare la notte con altre ragazze. Proprio per questo Sukie (Beanie Feldstein), la sua ragazza, la scarica e la caccia dal suo appartamento.

Jamie si ritrova così senza una fissa dimora, ospite dell’altra protagonista Marian (Geraldine Viswanathan), un’altra ragazza omosessuale che però è molto introversa e non ha una relazione da anni. Marian è in procinto di partire per Tallahassee, in Florida, per incontrare la zia e Jamie decide di accompagnarla. Per arrivarci, le due decidono di noleggiare un’auto, incominciando così un viaggio verso il profondo sud degli Stati Uniti, dove la mentalità è molto più conservatrice e tradizionalista.

Contemporaneamente tre criminali, che si dirigono per pura coincidenza a Tallahassee, vanno a ritirare una macchina, la stessa che si trova in mano alle protagoniste, ma che in realtà era destinata ai tre.

Jamie, sempre in cerca di avventure e di posti da visitare lungo la costa orientale, prende il viaggio come una gita, allungando il tragitto che doveva in realtà durare un giorno. Lungo le varie fermate, le due imparano pian piano a conoscersi sempre meglio, con Marian che fa fatica a uscire dal suo guscio. I tre scagnozzi hanno intanto iniziato a cercare la macchina, irrompendo a casa di Sukie che rivela loro l’identità di chi c’è alla guida. La macchina infatti nasconde al suo interno la valigetta della prima scena e un altro carico non ben specificato.

Le esperienze di Ethan Coen e le particolarità nel montaggio

Il regista viene da una carriera costruita fianco a fianco con il fratello Joel, con il quale ha vinto un Oscar nel 1998 per Fargo alla miglior sceneggiatura originale e altre tre statuette nel 2008 per Non è un paese per vecchi all’esordio per miglior film, oltre che per miglior regia e miglior sceneggiatura non originale. La stretta collaborazione che ha caratterizzato i loro film non è però presente in Drive-Away Dolls, dove Ethan Coen collabora con la moglie Tricia Cooke realizzando un film che non rappresenta l’apice della sua carriera, ma che sicuramente ha degli aspetti positivi.

Ethan Coen e la moglie Tricia Cooke al loro primo film insieme. Fonte: ciakmagazine.it

Lungo la pellicola appaiono flashback relativi al passato di Marian, mostrando il suo primo approccio all’omosessualità. Trip allucinogeni ripresi da Il Grande Lebowski spezzano il racconto colpendo lo spettatore, ma riescono ad ottenere un senso solamente verso la fine del film, risultando così un po’ sconnessi. Solamente una storia completa darà senso a queste scene, che sono anch’esse flashback.

L’unicità oltre gli stereotipi

La rappresentazione delle minoranze all’interno dell’opera è sicuramente un aspetto da menzionare, in quanto non sono più rappresentate da personaggi caratterizzati appositamente per quello e che cercano continuamente di emanciparsi, ma sono giustamente rappresentate come una semplice normalità che aiuta tantissimo lo spettatore ad entrarci in empatia.

La moltitudine di esperienze omosessuali che le protagoniste vivono e le varie sfaccettature della complessa e variegata società americana fanno capire come ognuno sia unico nel suo genere e ciò rende il film intrigante fino all’ultima scena, dove Jamie e Marian, dopo aver affrontato delle esperienze uniche che le hanno inevitabilmente legate, hanno capito di sentirsi a proprio agio l’una con l’altra e si dirigono insieme alla zia di Marian, abbiente donna di colore, in Massachusetts, dove il matrimonio tra donne è consentito.

Il film funziona oltre che per la sua velocità anche grazie alla presenza scenica di Margaret Qualley che riesce a rendere Jamie protagonista in ogni situazione. La Universal Pictures, per la distribuzione nei cinema, ha tristemente deciso di portare il film in Italia senza il doppiaggio nella lingua, ma aggiungendo solamente i sottotitoli. Questo però non lo rende un film non alla portata di tutti, anzi è perfetto per farsi quattro risate con gli amici senza momenti di noia totale.

Giuseppe Micari

Santocielo, che miracolo!

 

Ficarra e Picone tornano con Santocielo al cinema ancora una volta con la loro innegabile e bizzarra comicità -Voto UVM: 3/5

 

Salvatore Ficarra e Valentino Picone sono un duo comico, tra i più amati d’Italia, emerso nel 1993. La loro forza comica affonda le radici, non in campo televisivo, quanto più all’interno di pub e cabaret siciliani attraverso una formazione teatrale da autodidatti.

La loro fama è accresciuta con la partecipazione a programmi televisivi quali Zelig Circus e, in tempi più recenti, Striscia la notizia. Il loro primo film, Nati stanchi, uscì nelle sale nel 2001. Da allora, mostrarono, e tutt’oggi mostrano, una grande versatilità in vari ambiti artistici. Seguirono: La matassa, L’ora legale, il 7 e l’8 ed anche serie tv come Incastrati. Ora ritornano sul grande schermo con Santocielo!

 

Santocielo
 Valentino Picone in una scena del film. Fonte: siciliafan.it

Santocielo che inversione!

Dopo l’ultimo successo de La stranezza, Ficarra e Picone proseguono con l’uscita nelle sale cinematografiche, il 14 dicembre, del nuovo film intitolato Santocielo, dalla stravagante comicità, distribuito da Medusa Film e con la regia di Francesco Amato. Si tratta di una commedia natalizia adattata in accezione moderna dove tutto ruota intorno ad una questione riportata dagli angeli: l’egoismo e le azioni belliche da parte degli uomini. Per venire a capo ad una soluzione, gli angeli decidono di indurre una assemblea e proporre un sondaggio tra diluvio universale vs la nascita di un nuovo Messia. Con la vittoria della nuova venuta al mondo, verrà meno la portata decisionale di Dio, interpretato da Giovanni Storti del trio Aldo, Giovanni e Giacomo (Odio l’estate), evento mai accaduto prima.

Qui, per la prima volta, vedremo come figura principale Aristide (Valentino Picone) che si offrirà come volontario a questa missione per poter passare ad un livello più alto del semplice smistatore di preghiere dei fedeli. Il suo obiettivo, infatti, era arrivare al coro nel regno dei cieli.

Dio donerà ad Aristide una serie di poteri, in particolar modo, consacrerà la sua mano per poter ingravidare una donna e, in seguito la celebre frase: “vado ingravido e torno”, verrà catapultato nell’abisso terrestre. In questo luogo, ambientato a Catania e a lui sconosciuto, verrà a profilarsi un equivoco divino, dato dai vizi della società, che lo porterà a mettere incinto un uomo, Nicola Balistreri (Salvo Ficarra). Quest’ultimo è un maschilista sofferente per il divorzio dalla moglie che lo porta a scontrarsi con il rigidismo cattolico presente all’interno della scuola in cui ricopre la carica da vicepreside.

Ficarra e Picone, fonte: pagina Instagram @ficarraepicone

 

Santocielo: il potere della fede

Aristide cominciò a tener d’occhio gli sbalzi umorali di Nicola, dati dalla gravidanza, e nel frattempo si occupò di seguire un corso corale che pian piano lo porterà a legarsi ad una suora, Luisa, (Maria Chiara Giannetta). Ammaliata così tanto dalla fede emanata da Aristide, lo bacerà, mettendo in discussione inizialmente il suo percorso spirituale. Al tempo stesso, la notizia di uomo incinto cominciò a girare, costringendo Nicola e Aristide a rintanarsi in casa finché Suor Luisa non li aiutò a scappare nella ridente località di Montalbano Elicona dove risiedevano i suoi genitori. Qui trovarono un umile paese, indisposto a livello ospedaliero, ma pronto ad accoglierli e aiutarli. Al momento del parto però Nicola deciderà di non rinchiudersi nella vergogna e dare alla luce il nascituro in un ospedale pubblico.

Ma il nuovo Messia è una femmina

Ebbene, non ci saremmo mai aspettati che il nuovo Messia fosse in realtà una femmina. Aristide finalmente può, anche se a malincuore, tornare “lassù” al regno dei cieli e tutto improvvisamente prende forma nel momento in cui confessa alla suora la verità. Capisce, dunque, che il bacio con Aristide non era una perdita di spiritualità ma solo una maggiore attrazione ad essa. In sostanza, anche in questo caso assistiamo ad un rovesciamento dei canoni tradizionali in campo religioso: l’entrata di una donna Messia!

Santocielo
Ficarra e Picone, fonte: pagina Instagram @ficarraepicone

 

Uso dell’ironia dissacrante per rompere le barriere mentali

Santocielo si profila sicuramente come una commedia incentrata sul paradosso e lo stravagante, dal retrogusto amaro, ma che cerca fondamentalmente di abbattere i pregiudizi in primis sulla cristianità, senza fare la morale a nessuno. Al giorno d’oggi, la fede cristiana viene vista come una dottrina dominata da regole imprescindibili quando in realtà, come espliciterà Suor Luisa, la fede è uno strumento per sentirci meno soli dove non è importante se lassù qualcuno ci ascolta o meno. Parole che risuonano come incoraggiamento al senso di unione e comunità e di accettazione verso moderne regole. In conclusione, Santocielo inaugura un sentimento di una nuova speranza, soprattutto in questo tempo soggetto all’omologazione.

Stefy Saffioti

C’è ancora domani: il manifesto di un’emancipazione in bianco e nero

Paola Cortellesi torna in scena da regista con C’è ancora domani, esaltando ancora una volta la sua dote ironica – Voto UVM: 5/5

 

Paola Cortellesi è nata a Roma il 24 novembre 1973. Ha frequentato la Facoltà di Lettere ma la sua più grande passione è sempre stata la recitazione; pertanto, a diciannove anni inizia la sua carriera da artista.

Nel 1997 arriva il debutto in TV con il programma Macao. Seguiranno altre apparizioni televisive, come La posta del cuore (1998) e Teatro 18 (2000).

Il successo però arriva nel 2000, esordisce al cinema come protagonista femminile di Chiedimi se sono felice, con Aldo, Giovanni e Giacomo (odio l’estate), con cui collaborerà ancora in Tu la conosci Claudia? (2004). Nel 2004 la vedremo scendere la scalinata del Teatro dell’Ariston come presentatrice del Festival di Sanremo e ad aggiudicarsi il Premio Flaviano per il Teatro e la TV.

Come nasce l’idea di C’è ancora domani

C’è ancora domani è il film presentato in anteprima da Paola Cortellesi alla Festa del cinema di Roma 2023 vincendo tre riconoscimenti. Per la prima volta esordisce da regista e attrice al tempo stesso, la ritroviamo dunque come protagonista col nome di Delia.

L’idea nasce dai vecchi racconti di familiari delle sue nonne, bisnonne e zie, in particolare quella che è stata la loro giovinezza in un contesto storico in cui ancora son presenti le macerie del conflitto ma anche il forte desiderio di ricostruzione. Ambientato, dunque, nella Roma del dopoguerra, il film si presenta in bianco e in nero, scelta che richiama la sua infanzia, contrassegnata dal Neorealismo italiano, e data dall’immaginazione della stessa Cortellesi di questi reconditi ricordi.

C'è ancora domani
Fonte: foto di Romana Maggiora Vergano @Screenweek

 

C’è ancora domani: un racconto di un’Italia che non è passata

Il film si apre con una potente scena che ci fa già intravedere la tematica che verrà a sviscerarsi nel corso del film: la violenza domestica. Si parla di dramedy, ci si dota dell’ironia come antidoto alla brutalità dell’uomo, scelta dettata da un senso di profondità e di leggerezza.

Delia è una donna semplice, cresciuta nel culto di moglie dedita alla cura della casa e alla crescita dei figli ma soprattutto schiava e succube delle frustrazioni del marito, Ivano. Possiamo, fin dai primi secondi, notare che è una donna che inizia la sua giornata con uno schiaffo perché si è alzata troppo tardi, con sottofondo musicale: “Aprite le finestre“, evidenziando lo scorrimento della vita come nulla fosse.

La violenza da parte del marito Ivano (Valerio Mastandrea), padrone di questo regime patriarcale, viene ad essere giustificata dalla stessa Delia con la frase “sta nervoso, ha fatto due guerre”, simbolo di una manipolazione maschile che viene ad essere incitata anche dal suocero Sor Ottorino (Giorgio Colangeli). Si tratta di un uomo anziano che dà consigli al figlio su come addomesticare una donna che ha il “vizio” di parlare troppo.

Viene posto l’accento anche sulla figura della figlia, Marcella (Romana Maggiora Vergano), anch’essa vittima dell’obbedienza maschile e ad avere come unico obiettivo quello di accasarsi con un uomo ricco (e non alla sua volontà di studiare) per far sì che sia tutta la famiglia a beneficiarne. Ma sarà proprio lei a far acquistare la dignità di Donna alla madre.

Parliamo di una realtà ancora attuale, l’indifferenza e l’assenza di denuncia da parte dei vicini della porta accanto ma anche la solidarietà della condivisione del silenzio.

Delia: la presa di coraggio, la scelta del proprio benessere

A modificare questo insano stile di vita sarà l’arrivo inaspettato di una lettera a Delia, di cui non si conosce inizialmente il contenuto, ma presumiamo sia da parte del suo primo amore Nino che intende portarla via con sé al Nord. Se in un primo momento appare dubbiosa per la salvaguardia della figlia, successivamente decide di lasciare la famiglia e scegliere sé stessa. Prepara le sue cose in una borsa nascosta dal marito. Ma proprio quella mattina il suocero decide di morire. Delia si ritrova impossibilitata però non si arrende e col motto “c’è ancora domani” lascia un biglietto con dei soldi risparmiati alla figlia e va via.

Qualcosa però va storto, Ivano trova la lettera che è caduta dalla tasca di Delia e corre per raggiungerla. Nel frattempo, anche la figlia che ha compreso tutto, corre al soccorso della madre.

Fonte: instagram @rbcasting

2 giugno 1946: la libertà di poter cambiare un contesto (ancora) maschilista

Pensavamo fosse la lettera di Nino a cambiare il corso degli eventi, in realtà si trattava della scheda elettorale. Marcella riuscirà a raggiungerla e a porgerle il documento per poter votare. Infatti, il 2 giugno 1946 le donne hanno il diritto di scegliere tra Repubblica e Monarchia, manifesto di una emancipazione che ha acquistato finalmente un colore.

C’è ancora domani” porta a compimento una rivoluzione che venne a realizzarsi a bocca chiusa, così come cantava Daniele Silvestri nel 2013. Non ci resta che prender coscienza delle criticità (dis)umane e correggerle. Applaudire a questo capolavoro è un atto più che dovuto.

Stefy Saffioti

Killers Of The Flower Moon: Scorsese, DiCaprio e De Niro esplorano gli anni Venti

Killers of the flower moon è un film non perfetto e con una durata scoraggiante, ma che si merita una visione al cinema. – Voto UVM: 4/5

Killers Of The Flower Moon è un film del 2023 co-scritto e diretto da Martin Scorsese. Nel cast sono presenti Leonardo DiCaprio (Don’t look up), Robert DeNiro, Lily Gladstone, Jesse Plemons e Brendan Fraser (The whale). Il film è tratto dal romanzo “Gli Assassini Della Terra Rossa” scritto da David Grann e narra fatti realmente accaduti.

Killers of the flower moon: trama

Oklahoma, Anni 20. Ernest Burkhart (Leonardo DiCaprio) ha combattuto in guerra e torna nella nativa Fairfax in cerca di fortuna. Suo zio William Hale (Robert DeNiro) gli ha promesso un lavoro all’interno della Nazione Indiana degli Osage, un popolo divenuto improvvisamente ricco grazie all’apparizione del petrolio in grosse quantità, nel loro territorio. Su consiglio dello zio, Ernest sposa Molly (Lily Gladstone), una donna nativo-americana. Inizialmente, lo fa per appropriarsi delle sue ricchezze ma poi col tempo, se ne innamora perdutamente.

Nella Nazione Indiana, gli Osage si stanno ammalando e successivamente, morendo uno dopo l’altro. Quelle morti sono strategiche e stanno avvenendo anche nella famiglia di Molly, mentre la cittadina di Fairfax è piena di disperati pronti a commettere omicidi, furti e rapine, sapendo che la legge è dalla loro parte e non a favore dei “pellerossa”.

Killers of the flower moon
Lily Galdstone e Leonardo Di Caprio in una scena del film. Fonte: wikipedia.org

Scorsese non si è smentito neanche stavolta?

O lo si ami o lo si odi, c’è poco da dire: Martin Scorsese sa fare il regista e nonostante l’età e il continuo attaccamento alle vecchie tradizioni, riesce ancora a stupire il pubblico.

Scorsese è quel regista appartenente alla vecchia guardia e ci tiene ancora a certe cose, come fare un film in cui si punti soprattutto sulla qualità e non sul guadagno. A differenza di quei registi che hanno come unico obiettivo il prodotto realizzato per scopi commerciale, lui è uno di quelli autoriali che non abbraccia la modernità e che considera cinema solo un genere particolare di film. Considerazioni piuttosto discutibili, perché in realtà qualunque genere di film (da quello autoriale ai blockbuster, dalla commedia all’animazione) fa parte della Settima Arte. Però allo stesso tempo, il suo pensiero contorto esprime anche il suo amore per il cinema e lo trasmette in tutti i film che fa.

Ha una lunga carriera alle spalle e basti pensare a film come Taxi Driver, Toro Scatenato, Shutter Island, The Wolf Of Wall Street, The Irishman e molti altri. Ora è ritornato con “Killers Of The Flower Moon” ed anche stavolta, ha mantenuto i suoi principi e il suo modus operandi.

 

Nolan/Scorsese: film per il pubblico o per i cinefili?

Non si nega che il film sia monumentale e si può considerare un film di Scorsese al 100%, ma lungi dal considerarlo perfetto. Ha delle similitudini con Oppenheimer di Christopher Nolan. Entrambi raccontano una storia che apparentemente può risultare poco interessante, ma ciò che incuriosisce è il modo in cui la raccontano. Hanno molti punti in comune, come l’eccessiva durata che può scoraggiare, la presenza di un cast corale e un comparto tecnico ben strutturato. Ma c’è una differenza: Nolan, nonostante l’attaccamento a certi principi, sa cosa vuole il pubblico e riesce ad adeguarsi ad esso pur mantenendoli; Scorsese, invece, punta esclusivamente sulla qualità e i suoi film attirano solo un certo tipo di pubblico, ovvero i cinefili o i fan degli attori che coinvolge (ad esempio, Leonardo DiCaprio e Robert De Niro).

Lily Gladstone, Robert De Niro e Leonardo Di Caprio in una scena del film. Fonte: nytimes.com

Top o flop dell’anno?

E’ un film che merita senza ombra di dubbio, una possibilità. L’eccessiva durata di tre ore e mezza può scoraggiare, ma in realtà non è quello il problema. Il difetto riscontrato sta proprio nella scarsa gestione del minutaggio prolungato ed alcuni momenti specifici della narrazione. Mentre si prosegue nella visione, si può notare che la visione del regista su tale vicenda mostrata sia piuttosto evidente, ma c’è un mancato approfondimento su certi elementi narrativi che non sarebbe dispiaciuto avere e per di più, la storia prosegue con un ritmo piuttosto galoppante che si percepisce in qualche scena.

Nonostante questi piccoli difetti riscontrati, questo non significa che il film non sia bello. Anzi, forse lo si può addirittura considerare tra i migliori di quest’anno. E’ un film che parla di odio e questo lo rende paradossale, perché nonostante questo film parli di odio è capace allo stesso tempo di fare ricordare perché si ama il cinema. Ma durante la visione, non si può non provare disgusto di fronte a questi eventi storici ed alla crudeltà umana in quel periodo. Scorsese ha voluto esporre la sua visione su ciò che viene fatta agli Osage ed è una critica feroce a quella vicenda.

 

Il comparto tecnico

Il comparto tecnico è ben strutturato: la regia di Scorsese è spettacolare. Le inquadrature sono a macchina da presa fissa e sono costruite geometricamente in modo sofisticato, rivelando poco a poco ciò che sta succedendo. Ciononostante, qualche volta si passa da una scena all’altra senza un curato approfondimento di alcuni dettagli narrativi. Tutto questo, accompagnato da una fotografia coloratissima e dall’incredibile presenza del cast corale.

killers of the flower moon
Leonardo Di Caprio e Lily Gladstone in una scena del film. Fonte: Vox.com

Killers of the flower moon: il cast

Quello che spicca più di tutti è Leonardo DiCaprio. Ormai sono lontani gli anni in cui veniva considerato solo un sex symbol ed ora il fanciullo di Titanic ha dato prova in tantissime occasioni di essere un attore completo e camaleontico, capace di adattarsi a qualsiasi ruolo. Killers Of The Flower Moon è la sesta collaborazione di Scorsese e di DiCaprio: il personaggio di Ernest Burkhart rispecchia totalmente la maturità dell’attore nel campo della recitazione.

Un altro attore che non è da meno qui è Robert DeNiro (altro storico collaboratore di Scorsese):  nonostante le liti e le tensioni con DiCaprio sul set, nel film si nota un ottima sinergia tra le due performance. Anche se loro due sono  le  più note stelle del cast, non significa che tutti gli altri siano da meno, come ad esempio, Lily Gladstone e Jesse Plemons. Un altro attore bravo, seppur abbia un ruolo ridotto, è Brendan Fraser.

Giorgio Maria Aloi

The Palace: che fine ha fatto il genio registico di Polański?

The Palace è satirico, ma tremendamente troppo. Voto UVM: 2/5

 

Presentato in anteprima alla 80° edizione della Mostra del cinema di Venezia, The Palace segna il ritorno (nonostante la veneranda età del regista, 90 anni) sul grande schermo di Roman Polański , a quattro anni di distanza da L’ufficiale e la spia.

Quando si legge il nome del celebre regista polacco, vengono in mente due cose: le vicende giudiziarie che ha dovuto affrontare (è noto per essere stato accusato di molestie sessuali), e alcune pellicole che hanno riscosso un grande successo (per citarne alcune: Il pianista, Oliver Twist e Carnage).

Quest’ultima fatica, invece, non ha ricevuto un’accoglienza granché positiva, giudicata come una commedia stucchevole e priva di morale.

The Palace: trama

Ambientato il 31 dicembre1999, al Palace Hotel di Gstaad, in Svizzera, il film segue le vicende di un eccentrico gruppo di personaggi durante il giorno che porterà, al rintocco della mezzanotte, all’inizio di un nuovo millennio. La narrazione trova il suo centro nel soggiorno del lussuoso hotel, dove la clientela arriva per passare appunto un ultimo dell’anno indimenticabile. Tra la paura del millennium bug tanto paventato dai media e le assurde e pedanti richieste, Hansueli (Oliver Masucci), il manager dell’hotel, cerca di rimediare costantemente ad una serie di inconvenienti, con la speranza che tutti gli ospiti della struttura possano passare la miglior serata della loro vita.

Per sfruttare la carica satirica della pellicola, il regista ha scelto un cast che, ad eccezione di Mickey Rourke (un po’ in affanno), non è molto noto nel cinema. Tuttavia, spicca il nome di Luca Barbareschi (in veste anche di produttore) nei panni di un ex attore molto goffo e rincretinito dalla convinzione di essere ancora ricordato per le sue performance attoriali, e altri nomi come Fanny Ardant e John Cleese.

The palace
Parte del cast

Estetica del ridiculousness

La quasi totalità dei protagonisti fa dell’eccesso e del ridicolo la loro ragion d’essere. Tra qualche volto di plastica e rimandi continui al consumismo sfrenato, il regista lancia una forte invettiva contro quel tipo di modello dominante di una cultura capitalistica che ha fatto dell’ossessione per la giovinezza, per il fisico e dell’apparenza omologata ai canoni glamour e sovversivi, l’ideologia dominante di una classe sociale considerata altolocata. Tuttavia, i personaggi vengono messi costantemente in ridicolo, forse forzando un po’ troppo la mano.

Una satira che non convince

The palace
Scena tratta dal film

Bisogna ammetterlo: fare satira al giorno d’oggi non è un’operazione semplice. Non semplicemente per via del ridondante politically correct, ma anche e soprattutto per la sua costruzione filmica. In questo film (e duole dirlo), l’umorismo anziché lasciare spazi di riflessione produce un vuoto dal quale sembra impossibile uscirne.

L’albergo trabocca di gente ricca elitaria, rappresentata in maniera eccessiva. Giocando con il grottesco, le situazioni risultano esasperate poiché vengono messi a tutti i vizi insensati, le paure inguaribili e le richieste quasi “odiose”.

Tutto mette in mostra la miseria borghese, ma a guardar bene, emerge una visione troppo morbida, a tratti davvero vetusta ed antiquata di un gruppo sociale “semplicemente” stupido che alla fine non fa poi tanto male a nessuno.

Ciò che manca a The Palace è probabilmente quella mordacità ben calibrata e soprattutto moralistica che da sempre caratterizza la black comedy. Nonostante qualche risata l’abbia strappata, non sembra che traspaia (neanche nelle scene vuote) una morale che lasci il segno, una possibilità di riflettere.

 

Federico Ferrara

Experience Zola: la vita è autentica o soltanto un gioco delle parti?

La sirenetta
Un film a cui ci si deve affidare per essere trasportati nel flusso tra reale e immaginario! Voto UVM – 4/5

È tutto francese il nuovo film di Gianluca Matarrese, Experience Zola. Presentato alle Giornate degli Autori 2023, il film sta girando in una tourneè per tutta Italia. E si dà il caso che sia proprio Messina una delle cinque città in cui, oltre alla possibilità di vedere il film, si è avuto anche il piacere di ospitare Anne Barbot, co-autrice e attrice protagonista del film, lo scorso 27 settembre presso la Multisala Iris.

Experience Zola: il cinema parla di teatro

È doveroso fare un accenno al background della protagonista e del regista, provenienti direttamente dal mondo teatraleExperience Zola è la storia di Anne, da poco divorziata dal marito, che incontra Ben, un attore senza alcun ruolo (Benoît Dallongeville). È questo l’incipit di una storia che apparentemente potrebbe definirsi una classica storia d’amore, ma non è solo questo. Dopo il tentativo vano di Ben di conquistare la donna,  Anne stessa finisce per affidargli il ruolo di Coupeau nel suo L’assomoir di Zola, rivestendo lei  il ruolo  di Gervaise, l’amata di Coupeau. Dopo questa scelta il labile confine tra realtà e finzione si sfuma sempre di più e la storia d’amore tra i due arriva a un apice massimo di splendore per poi collassare su se stessa.

Experience Zola
I due protagonisti del film: Anne Barbot e Benoît Dallongeville. Fonte: Bellota Films e Stemal Entertainment

“Nel mio caso la menzogna è parte della verità”

Il film non dichiara mai apertamente quali siano le scene in cui si è di fronte alla finzione scenica e quelle in cui invece si rappresenta la vita quotidiana, lasciando così che sia lo spettatore stesso a perdersi tra i livelli della storia. Si distinguono fino a quattro piani: la narrazione dello spettacolo e dei personaggi di Zola, la loro storia come attori e compagni di lavoro, la loro nascente storia d’amore e un quarto e ultimo livello che diventa metacinematografico. Sono numerosi i momenti in cui la protagonista sfonda la quarta parete, rivelando così la presenza di un filtro – l’occhio del regista – attraverso cui vediamo la storia.

Dove finisce la realtà e inizia la finzione?

A generare confusione e a far funzionare il salto tra i piani sono le numerose volte in cui, soprattutto durante le scene particolarmente tese, uno dei due attori esclama dal nulla “Stop!”. È a questo punto che lo spettatore inizia a dubitare di tutto, passando la durata del film a interrogarsi sulla veridicità delle scene che si susseguono.

La ricerca spasmodica dell’autenticità è però inutile perché il “labile confine” tra finzione e realtà porta i due protagonisti a far coincidere i piani e a fare aderire in maniera quasi assurda la loro realtà alla storia dell’ AssomoirSi innesta un meccanismo tutto teatrale per cui durante i giorni intensi di prove prima dello spettacolo l’unico argomento di conversazione diventa la messa in scena e si arriva a dubitare della propria stessa identità. Si precipita in un vortice in cui non si sa più se sia Anne a influenzare Gervaise o Gervaise a influenzare Anne.

La quarta parete cade giù, cadono le maschere

Verso la fine della pellicola il meccanismo con cui il film è stato girato viene rivelato. A parlare è direttamente il regista, Gianluca Matarrese, che fa un breve cameo e di cui si sente la voce tramite dei messaggi vocali. È il momento in cui la storia tra Anne e Ben è arrivata al capolinea; in quel momento lo spettatore si accorge che davvero il regista si è reso conto della storia d’amore tra i due solo dopo la confessione dell’attrice. La particolarità di Experience Zola, infatti, sta nel fatto che sia frutto di un vero e proprio workshop, in cui nessuno all’inizio del progetto sapeva come sarebbe finito il film. L’idea era soltanto di filmare il processo di preparazione del nuovo spettacolo di Anne, L’assomoir.

Experience Zola
Gianluca Matarrese, il regista di Experience Zola, in una delle scene del film. Fonte: Bellota Films e Stemal Entertainment

Si scopre che la prima parte del film, quella in cui i due protagonisti si conoscono e si innamorano, che dovrebbe essere la rappresentazione dell’autentica realtà, è stata girata quando i due non si amavano più e quindi è più finta dello stesso spettacolo.

Se da questa analisi il film è parso una montagna russa, è perché seppur la narrazione in se non si sviluppi con dei veri e propri colpi di scena, il film risulta tutt’altro che lineare. Di tutto questo cosa resta? Per rispondere alla domanda del titolo, resta soltanto la consapevolezza che a volte la realtà possa essere più artefatta della finzione

Giulia Cavallaro

Tao Film Fest 69: I Peggiori Giorni

 

I Peggiori Giorni
I peggiori giorni: il perfetto sequel con un cast eccezionale! – Voto UVM: 5/5

 

La settima serata del Taormina Film Festival 69 ha visto la proiezione del film I Peggiori Giorni (sequel de I Migliori Giorni), diretto da Edoardo Leo e Massimiliano Bruno.

La serata è stata molto importante per entrambi, in particolare per Leo poiché, la sera precedente, ha ricevuto il premio Tao Art per “il suo talento e la sua abilità come regista” come detto dalla presentatrice. Sul palco, è salito la metà del cast: citiamo infatti Fabrizio Bentivoglio, Rocco Papaleo, Anna Foglietti, Anna Ferzetti, Marco Bonini e Sara Baccarini.

Il film è di tipo corale e propone 4 episodi, anche se, a detta di Rocco Papaleo, l’idea è più una rivisitazione del genere. Ciascuno di essi, ha un blocco narrativo e un ambientazione diversa tra loro, ma il tema dominante è la rappresentazione di momenti difficili, trattati con un velo di ironia per non lasciare lo spettatore con troppo rammarico. La cosa più interessante del progetto è proprio l’intenzione di cambiare il tono della commedia, la quale sembra inserire un po’ di poesia intorno alla disperazione.

Risate dolceamare

Il primo episodio è incentrato sostanzialmente sul rapporto padre-figli. Infatti, i protagonisti, che sono per l’appunto tre fratelli (Edoardo Leo, Massimiliano Bruno e Anna Foglietta), si ritrovano, proprio il giorno di Natale, a dover discutere su chi debba donare un rene al proprio padre (Renato Carpentieri). Tra i vari temi che vengono a galla durante la vicenda, emerge quello dello smarrimento per l’incapacità di comprendere quale sia la decisione giusta da prendere, soprattutto se ciò riguarda i nostri cari.

Il secondo episodio è una chiara dimostrazione dello scarso sistema che circonda anche chi sembra essere sul gradino più alto della scala sociale. Stefano (Fabrizio Bentivoglio) è un imprenditore sull’orlo della bancarotta, e per questo decide di compiere l’estremo gesto, durante la giornata della festa dei lavoratori. D’un tratto, arriva Antonio (Giuseppe Battiston), con addosso una maschera di Che Guevara con l’intento di tagliarli un orecchio se non avesse ottenuto la liquidazione dovuta ad un precedente licenziamento. Il tema del lavoro, di per sé abbastanza delicato, trova in questo episodio un’applicazione fortemente evocativa poiché, confrontandosi e rinfacciandosi varie questioni, si rendono conto di non essere del tutto diversi.

Fabrizio Bentivoglio. ©Federico Ferrara 

I Peggiori giorni: i temi

Il terzo episodio, ambientato a ferragosto, è una chiara denuncia al cyberbullismo, il complicato rapporto tra genitore e figlio e la superficialità nell’affrontare determinati problemi. Due famiglie (una interpretata da Neri Marcorè e Anna Ferzetti, l’altra da Ricky Memphis e Claudia Pandolfi), si scontrano per via di un gesto spiacevole. I figli della seconda coppia, hanno divulgato via internet delle foto umilianti della figlia dell’altra coppia. Questo ha suscitato una forte rabbia, culminata negli schiaffi del padre nei confronti dei figli. La particolarità di questo episodio sono gli scambi di battute, che pongono sullo stesso piano sia la serietà, che l’ironia dei discorsi. Molto interessante la scelta di citare Alcesti, una delle tragedie di Euripide.

Il quarto e ultimo episodio è ambientato ad Halloween. Il protagonista (Rocco Papaleo), ogni anno in questo giorno soffre la scomparsa della moglie, riguardando i momenti belli del passato tramite dei video. La figlia (Sara Baccarini) fa di tutto per rinvigorirlo, cercando di fargli capire che per quanto possa essere difficile, si deve trovare la forza di andare avanti. Il finale è molto significativo, in quanto prevale l’idea che non sono i soldi a rendere bella una persona, bensì la sua forza d’animo.

Rocco Papaleo e Sara Baccarini. ©Federico Ferrara

Siamo davvero così cinici?

Massimiliano Bruno ed Edoardo Leo. ©Federico Ferrara

Ciò che lega i quattro episodi è sicuramente una critica alla società di oggi, e al tempo stesso anche ai comportamenti sbagliati su cui, spesso e volentieri, dimentichiamo di soffermarci. La scelta di realizzare l’intero film in sequenza si è rivelata vincente perché, in questo modo, lo spettatore può immedesimarsi con il punto di vista di più personaggi.

In un’intervista, Edoardo Leo ha dichiarato:

L’idea di base era quella di raccontare gli italiani attraverso le feste comandate, i giorni che ognuno di noi, volente o nolente, è costretto a vivere.

Secondo noi ci sono riusciti benissimo! Rimane, però, una frase in una scena che ci ha colpito particolarmente sia per il significato, sia per il momento in cui è stata detta:

Aspetto che un meteorite colpisca il pianeta e stermini l’umanità!

A voi le considerazioni.

Asia Origlia
Federico Ferrara
Gabriele Galletta
Matteo Mangano