Film da “pazzi”: la psichiatria al cinema

La malattia mentale, affascinante e sconosciuta, ci ha sempre attratto. Il grande e il piccolo schermo ci hanno soddisfatto, con una moltitudine di capolavori disponibili.

Ma cosa è che affascina tanto il pubblico? E cosa è che spinge i produttori?

Sicuramente tra cinematografia e psichiatria c’è un filo conduttore, un qualcosa in comune che permette all’una di ispirarsi all’altra. Eh si, avete capito bene, anche il cinema ha il suo scopo terapeutico e didattico.

Ma a prescindere da ciò, le storie raccontate in prima persona e i sentimenti espressi così bene – quasi come se li stessimo provando noi – sembrano essere magnetici, e la malattia viene mostrata nella sua realtà e crudezza dandoci una nuova visione del mondo.

Così abbiamo scelto cinque tra i film che, secondo noi, rendono meglio le patologia psichiatrica, ma che allo stesso tempo riescono a tenerci incollati al divano.

Toc Toc – Disturbo ossessivo compulsivo

Un apparente errore burocratico riunisce un gruppo di pazienti nell’ambulatorio del dottor Palomero, un presunto terapeuta luminare che però ritarderà all’appuntamento. La sua sala d’aspetto sarà lo scenario del film, una commedia che in un’ora e trenta minuti ci presenterà i vari casi clinici.

Fonte: cuorementelab.it – i protagonisti del film

L’incontro – e lo scontro – tra le varie forme del disturbo si fa esilarante, ma allo stesso tempo non scadendo nei cliché, riesce a mostrare i disagi più profondi dei vari protagonisti.

Dalla scelta del titolo, Toc Toc che sta per Trastorno Obsesivo Compulsivo (in spagnolo, lingua originale) con la ripetizione delle parole tipica del disturbo di una delle pazienti, alla bravura degli attori: ci si immerge in un’esperienza leggera, reale e dal finale inaspettato.

Il lato positivo – Disturbo bipolare

Pat, il protagonista del film, appena uscito dalla clinica psichiatrica dovrà fare i conti con la vita di tutti i giorni. Il reinserimento sociale dopo la diagnosi di disturbo bipolare, dopo “l’incidente” a seguito del tradimento della moglie e dopo lo sgretolarsi di tutte le proprie certezze, rendono giustizia alla malattia. Questa viene trattata con delicatezza e con estrema precisione clinica, facendoci immergere completamente nella vita del paziente.

Fonte: ilmedioweek.com – Pat e Tiffany

L’essere consapevole della propria malattia, rende il protagonista sicuro di sé e lo spinge a cercare il lato positivo, ma non lo farà da solo. Tiffany sarà forse la via giusta per trovarlo?

In un concerto di emozioni e di bravura, Jennifer Lawrence e Bradley Cooper rendono questo film un capolavoro.

Brain on fire Encefalite autoimmune

Diversa dalle altre, questa patologia è quasi a cavallo tra la neurologia e la psichiatria. Una malattia sconosciuta, scambiata per un comune disturbo psichiatrico, rende quello della protagonista del film – nonché della storia reale – un particolare caso clinico.

Basato sull’autobiografia di Susannah Cahalan, questo film mostra la gravità del vivere una situazione sconosciuta e  l’insicurezza di una paziente che non sa se essere “neurologica” o “psichiatrica”. Con una profonda descrizione dell’evoluzione della malattia, questo film include lo spettatore nell’estremo disagio che prova la paziente, i suoi familiari e i medici.

Fonte: ultimenotizieflash.com – Susannah al suo ricovero

Nonostante sia stato molto criticato e poco pubblicizzato, questo film è l’occasione di vedere qualcosa di incredibile e – dal punto di vista scientifico – molto interessante.

Ma d’altronde il cervello che attacca se stesso, può essere noioso?

Into the Wild – Fuga psicotica

Film che racconta la storia vera (e divenuta un mito) di Christopher McCandless,  giovane neolaureato che decide di abbandonare la famiglia per intraprende un lungo viaggio attraverso gli Stati Uniti fino ad arrivare in Alaska.

Perché l’ha fatto? Sicuramente per sfuggire da una società consumista e capitalista nella quale non riesce più a vivere, ma forse c’è qualcosa in più.

Fonte: farnorthscience.com – Chris nel suo “appartamento”

Infatti, la sua storia e il suo comportamento potrebbero farci pensare ci sia qualcosa che va oltre la semplice ribellione: il ragazzo cambia nome, diventando Alexander Supertramp, dà fuoco alla sua macchina e al poco denaro che aveva, evita ogni rapporto umano e vive in un autobus abbandonato. Dietro le immagini romantiche del film, si nasconde la ben più triste storia di una fuga psicotica: Chris non scappava solo da un mondo che non sentiva proprio, ma scappava anche da se stesso.

The Truman Show – Delirio paranoide

The Truman Show, racconta la storia di Truman: un trentenne che scopre di vivere, fin dalla nascita, al centro di un reality show (che porta proprio il suo nome). Il film si presta a numerose interpretazioni e riflessioni filosofiche tra le quali, anche se  probabilmente non era nelle intenzioni del regista Peter Weir, c’è anche quella psichiatrica.

Fonte: dasscinemag.com – scena cult

Se si accettasse l’idea che il mondo falsificato in cui vive Truman sia in realtà il mondo reale, allora il film diventerà una rappresentazione esemplare di delirio paranoide.  Il protagonista crede di essere spiato, filmato, crede che tutte le persone nella sua vita siano attori ed arriverà addirittura ad incontrare Dio stesso. Sempre accettando questa interpretazione, vediamo come la vita felice e spensierata di Tuman venga sgretolata dalla malattia e sostituita da sospetto, paranoia e paura.

Così, abbiamo visto come ogni disturbo e ogni paziente riescano ad essere soggetti di grandi film (e di successo). Il vedere qualcuno che ha qualcosa di diverso,ma allo stesso tempo non così tanto, il notare i sacrifici per rimettere i tasselli della propria vita in ordine e il provare le loro emozioni, crea un effetto magnetico che ci fa sentire un po’ medici e un po’ pazienti.

Barbara Granata e Lorenzo La Scala 

Ennio Morricone: il maestro per eccellenza

In questi giorni il mondo del cinema vive un lutto enormemente spiacevole : Ennio Morricone, uno dei più grandi compositori della storia, si è spento a Roma all’età di 91 anni.

Noi di UniVersoMe siamo rattristati dalla scomparsa del maestro e vogliamo rendere omaggio alla sua memoria analizzando cinque delle sue migliori – e celebri – colonne sonore.

Ennio Morricone ai Nastri d’argento del 2010 – Fonte: archivio di ©Paolo Barbera

Trilogia del dollaro

Una delle collaborazioni più proficue di Ennio Morricone fu quella con il regista Sergio Leone.

I due, conoscenti sin dalla  5º elementare, si ritrovarono a lavorare insieme nel 1964; Morricone infatti, scrisse la colonna sonora per i film che compongono la Trilogia del dollaro: Per un pugno di dollari (1964), Per qualche dollaro in più (1965) ed Il buono, il brutto, il cattivo (1966).

Sergio Leone ed Ennio Morricone – Fonte: incursionicinemaniache.blogspot.com

Queste pellicole, diventate dei veri e propri cult, devono il loro successo anche al lavoro di Ennio; infatti, il maestro, mediante le note musicali è riuscito a donare ad ogni film dei tratti distintivi, che anche a distanza di anni permettono di ricordare perfettamente le varie scene.

C’era una volta in America (1984)

La collaborazione tra Morricone e Leone termina nel 1984 con l’ultimo film del regista: C’era una volta in America, che rappresenta una delle migliori opere cinematografiche della storia.

Locandina del film C’era una volta in America – Fonte: eaglepictures.com

Il contributo musicale del compositore incrementa esponenzialmente la qualità del film; infatti la malinconia, che è uno dei temi principali della pellicola,  è percepibile – oltre che dalle inquadrature scelte dal regista – grazie alla colonna sonora, che riesce a trasmettere i sentimenti a tal punto da farceli provare sulla pelle.

Morricone ha compreso perfettamente la visione narrativa di Leone; ciò che il regista ha comunicato tramite le scene, lui lo ha comunicato tramite la musica.

Nuovo Cinema Paradiso (1988)

Questo, uno dei film più belli della storia del cinema italiano, non sarebbe stato lo stesso senza la partecipazione del maestro Morricone.

Locandina del film Nuovo Cinema Paradiso – Fonte: sumavincenzo2009.blogspot.com

La pellicola si basa fortemente sul peso che la nostalgia ha sulle nostre vite e ci fa vedere come la musica la fa riaffiorare. Ascoltando la colonna sonora del film, è impossibile non pensare a ricordi passati; le note di Nuovo Cinema Paradiso sono in grado di narrare gran parte delle scene del film, e lo fanno in maniera del tutto autonoma.

The Untouchables – Gli intoccabili (1987)

Un gangster movie di altissimo livello diretto da Brian De Palma, con un cast che prevede attori del calibro di Robert De Niro, Sean Connery, Kevin Costner e Andy Garcia.

Le musiche di accompagnamento di Morricone riescono ad enfatizzare i momenti clou della pellicola.

Locandina del film The Untouchables – Gli Intoccabili – Fonte: pinterest.it

Anche in questa occasione, il maestro lascia la sua impronta indelebile arricchendo qualitativamente un’opera già meravigliosa.

Per questo film Ennio Morricone è stato candidato ai premi Oscar del 1988 per la miglior colonna sonora.

The Hateful Eight (2015)

Quentin Tarantino, da fan sfegatato di Sergio Leone, ha sempre desiderato di poter lavorare con Ennio Morricone e il suo sogno si è realizzato nel 2015 con il film The Hateful Eight.

In fase di pre-produzione l’unica direttiva data dal regista al compositore era «il film si svolge tutto in mezzo alla neve».

Morricone perciò ha composto una colonna sonora fortemente caratterizzata da tonalità cupe e sinistre, capace di trasmettere un senso di forte ansia e di imprevedibilità: proprio come se ci si trovasse nel bel mezzo di una tempesta di neve, dove può accadere qualsiasi cosa.

Quentin Tarantino ed Ennio Morricone – Fonte: repubblica.it

In fase di montaggio, Tarantino ha magistralmente connesso le musiche con le scene girate, riuscendo così ad esaltare profondamente i crescendo dei momenti più importanti del film.

Per The Hateful Eight Morricone è stato premiato con l’Oscar nel 2016.

 

Che dispiacere aver perso un grandissimo artista come Ennio Morricone, l’eredità lasciataci dal maestro è un tesoro dal valore inestimabile.

Saremo sempre grati ad Ennio per quello che ha fatto e vogliamo salutarlo con le parole di Tarantino: “Il Re è morto, lunga vita al Re!”.

Vincenzo Barbera

 

 

Le caratteristiche di cinque tra i più grandi “caratteristi”

Quello di attore caratterista è  – nonostante non esista un unico modo per definirlo – un termine riferito a tutti gli interpreti di personaggi singolari, che devono avere la capacità di rimanere impressi nella mente di chi guarda, anche se comparsi per poco tempo sulla scena.

Importantissimi per la riuscita di un buon film, gli attori caratteristi hanno sicuramente contribuito, sin dagli inizio, all’evoluzione del cinema.

Noi di UniVersoMe vogliamo farveli conoscere, e lo faremo analizzando l’operato dei cinque tra i più grandi attori caratteristi degli ultimi anni. Dalla top five è stato escluso Harvey Keitel, uno dei maggiori esponenti, ma solo perché ne abbiamo già parlato (giusto qualche articolo fa).

1) Steve Buscemi

Lo strambo per eccellenza.

Fonte: memecult.it – Steve Buscemi nel film Il grande Lebowski 

Generalmente, Steve Buscemi interpreta soggetti esuberanti e dalla battuta sempre pronta che conquistano immediatamente la simpatia del pubblico.

Ha dimostrato di essere un attore talentuoso e tecnicamente eccellente in diversi capolavori come Le Iene (1992), Armageddon (1998), Fargo (1996). Una delle sue migliori performance però, è sicuramente quella ne Il grande Lebowski (1998) dei fratelli Coen.

Nel film interpreta Donny, uno dei due più cari amici di Jeffrey Lebowski: personaggio fuori dagli schemi tipici di Steve, ma che ci dimostra quanto sia importante essere un bravo attore per fare il caratterista. Donny è taciturno e timido, eppure Buscemi riesce a donargli una presenza scenica mastodontica,  grazie alle sue doti attoriali.

In quanti altri film abbiamo visto personaggi simili a Donny, che magari parlano raramente o sono particolarmente introversi? Moltissimi, ma non abbiamo nessun ricordo di loro. Il personaggio di Buscemi invece lascia il segno e questo significa essere caratterista.

2) Cristopher Lloyd

Chi non conosce il Doc di Ritorno al futuro?

Fonte: ilpost.it – Christopher Lloyd, Doc

Christopher Lloyd è entrato nell’immaginario collettivo come l’eccentrico scienziato della famosissima saga di Robert Zemeckis. Non ha bisogno di presentazioni: con quegli occhi costantemente aperti e vispi  ed il suo consueto “Grande Giove” è certamente uno dei personaggi più apprezzati dal pubblico di ogni età e nazione.

Ma non finisce qui: è stato anche “autore” della profonda e celebre interpretazione in Qualcuno volò sul nido del cuculo (1975), dove, al fianco di Jack Nicholson,  ha ricoperto il ruolo di un uomo affetto da seri disturbi mentali.  Quindi, lo ritroviamo in un contesto drammatico e ben diverso dal clima di Ritorno al futuro, ed è questo il modo con cui  Chistopher  dimostra la sua versatilità, mettendo a segno una performance di altissimo livello.

3) Rowan Atkinson

Sì, non si chiama Mr Bean nella vita reale.

Fonte: indianaexpress.com – Rowan Atkinson nei panni di Mr Bean 

Genio assoluto della comicità inglese, Rowan Atkinson non è solo un grande caratterista, ma è anche inventore di uno stile recitativo del tutto innovativo.

Infatti, i film o i mediometraggi in cui appare non seguono gli schemi dei film tradizionali: le scene che si susseguono, rappresentano momenti di vita quotidiana nei quali l’attore interagisce goffamente con gli oggetti o con altri individui, farfugliando parole poco chiare e accentuando buffe espressioni facciali.

Risultato? Uno dei comici inglesi più famosi del mondo che è riuscito a lavorare – ed in pochi ce l’hanno fatta – anche con l’irraggiungibile gruppo comico Monty Python.

4) Mario Brega

Anche il cinema italiano, vanta una lunga lista di attori caratteristi degni di nota e Mario Brega è sicuramente uno dei più apprezzati dal pubblico.

Mario, “lanciato” da Sergio Leone come attore nei suoi western – in cui interpretava  lo scagnozzo dell’antagonista – verrà poi “rimodellato” da Carlo Verdone che lo ripropone come il tipico romano d’estrazione popolare.

Passano alla storia alcune sue battute come “Arzate a cornuto arzateee” in Borotalco (1982) o “So comunista così!” in Un sacco bello (1980).

Fonte: ilmattino.it – Mario Brega nel film Borotalco 

A livello tecnico però, Mario Brega non era un interprete di alto calibro.

Il punto di forza, che lo rende uno dei migliori caratteristi di sempre, risiede nella sua “spontaneitàdurante le riprese: la battuta di Un sacco bello (precedentemente citata) è frutto di un’improvvisazione dell’attore durante un ciak. Verdone ha deciso di lasciarla nel film, proprio perché rappresenta il personaggio: un uomo rude ma bonaccione, che, allargando le braccia, pronuncia quelle parole; trasmetterà così tutta la sensibilità e la bonaria ignoranza del personaggio.

5) Franco “Bombolo” Lechner

Franco Lechner, in arte Bombolo, è stato uno dei migliori caratteristi di sempre.

Fonte: spettacolo.periodicodaily.com – Franco “Bombolo” Lechner

Lo ricordiamo insieme a Tomas Milian nei panni di er Monnezza, con il quale ha preso parte a diversi film che li hanno resi celebri come “coppia del cinema” nel panorama italiano.

Solitamente, Bombolo interpreta lo stesso personaggio, le cui caratteristiche sono: la particolare mimica facciale e l’uso del dialetto romanesco. Esorbitante la quantità di schiaffi che il povero Franco ha ricevuto nel corso della sua carriera!

Ma pur di far ridere era pronto a tutto.

 

Quindi, come abbiamo visto, gli attori caratteristi costituiscono una parte fondamentale del cinema. Sono grandi interpreti che, nei pochi minuti a disposizione, devono dare qualcosa di significativo al proprio personaggio così da essere ricordati.

Ad oggi non ne esistono – almeno non più come un tempo – e la loro figura è mutata così come è mutato il cinema stesso; ma ciò che non cambia e che probabilmente non cambierà mai è il concetto di  essere attore e di farlo bene: come Mr Wolf (Harvey Keitel) ci insegna

Just because you are a character doesn’t mean that you have character”.

Vincenzo Barbera

Studio Ghibli: 5(+1) film per entrare nella magia di Hayao Miyazaki

Quando si parla di animazione è veramente difficile superare i Giapponesi: ne sa qualcosa lo Studio Ghibli, fondato nel 1985 a Tokyo. Il suo nome si è fatto largo in Occidente e nel grande cinema grazie ad Hayao Miyazaki, cofondatore dello studio e suo regista di punta. Nelle sue creazioni il maestro affronta tematiche di grande spessore attraverso gli occhi dei protagonisti, spesso bambini. Questo fa sì che i film dello Studio Ghibli siano godibili sia da un pubblico giovanissimo sia da quello più avanti con l’età.

In occasione della loro recente aggiunta al catalogo di Netflix, vi proponiamo 5(+1) opere che meglio rappresentano il regista giapponese.

1) Il mio vicino Totoro (1988)

Giappone anni ‘50, Setsuki e la sorellina Mei si stanno trasferendo insieme al padre in un piccolo villaggio di campagna per meglio assistere la madre ricoverata in un ospedale lì vicino. La nuova casa è di fianco a un bosco dove le due sorelline faranno la conoscenza di Totoro, spirito buono della natura e custode della foresta. Quest’ultimo accompagnerà le fortunate bambine alla scoperta di una natura affascinante e viva. Si dimostrerà anche essere un amico fedele e pronto ad aiutarle nel momento del bisogno, quando ogni speranza sembrava persa. Il personaggio di Totoro ha riscosso così tanto successo da essere stato scelto come logo dello studio.

Setsuki, Mei e Totoro alla fermata del bus. Fonte: mamamo.it

2) Porco Rosso (1992)

Marco è un ex pilota dell’aeronautica italiana che, dopo aver rischiato la morte durante la prima guerra mondiale, si ritrova trasformato in un maiale. Dopo l’avvenimento decide di ritirarsi a vita privata e diventare un cacciatore di pirati, lasciandosi alle spalle il suo passato. Il film è rappresentativo dello smisurato amore del regista per gli aerei (viene anche citato il bimotore Ghibli, velivolo che ha ispirato Miyazaki per il nome dello studio). Spiccano anche altri temi cari al regista come il rifiuto della guerra e la forza delle donne, che saranno di fondamentale aiuto al protagonista, trattati con la leggerezza e l’ironia che contraddistinguono le opere dello studio.

Marco sul suo aereo. Fonte: anime.everyeye.it

3) Principessa Mononoke (1997)

Il giovane principe Ashitaka è costretto a uccidere uno spirito-cinghiale maledetto che aveva attaccato il suo villaggio. Durante lo scontro, però, si ferisce a un braccio e viene contagiato dalla maledizione dello spirito. Partito alla ricerca di una cura per il male che altrimenti lo porterebbe alla morte, il principe si imbatte in San, una ragazza cresciuta dai lupi ed educata al rispetto della natura e all’odio verso gli umani. Superate le iniziali tensioni, i due collaboreranno per contrastare la Città del Ferro che minaccia la foresta dove vivono San e il Dio-Cervo, l’unico a poter sciogliere la maledizione. Spettatori dell’eterno scontro tra l’uomo e la natura, la pellicola ci lascia con un interrogativo: è davvero impossibile una convivenza tra queste due parti?

Ashitaka e San. Fonte: mardeisargassi.com

4) La città incantata (2001)

Opera in assoluto più famosa di Miyazaki, è stato anche il primo e unico anime ad aggiudicarsi un Oscar. Chihiro e i suoi genitori si imbattono in una città apparentemente deserta composta solo da locali e ristoranti, in cui i genitori della bambina iniziano a servirsi da mangiare. Chihiro, allontanatasi un momento, scopre al suo ritorno che i genitori si sono trasformati in maiali e, come se non bastasse, che di notte la città si popola di spiriti di ogni genere. Sarà un ragazzo di nome Haku a soccorrerla e a svelarle l’unico modo per sopravvivere in quel luogo: trovare un impiego presso la strega Yubaba che controlla la città. Chihiro intraprenderà dunque un percorso interiore che la trasformerà da timida e impaurita a forte e risoluta: basterà per salvare se stessa e i suoi genitori?

Chihiro e Haku. Fonte: nospoiler.it

5) Il castello errante di Howl (2004)

Liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Diana Wynne Jones, narra le vicende di Sophie Hatter, una giovane cappellaia che, dopo essere stata tramutata in vecchia dalla Strega delle Lande, incontra il misterioso mago Howl e inizia a vivere nel suo castello. Per sdebitarsi dell’ospitalità ricevuta offrirà i suoi servizi come donna delle pulizie e la convivenza le permetterà di venire a conoscenza dell’oscuro passato del mago e del perché conduca una vita da eremita. Il suo aiuto però andrà ben oltre le pulizie e Howl inizierà ad assumersi le proprie responsabilità. Smetterà infatti di scappare dai doveri che lo vedrebbero impegnato nella guerra che incombe sul regno in cui vive e inizierà a combattere per le persone che vuole proteggere.

Sophie e Howl. Fonte: anipponnight.wordpress.com

5+1) Nausicaä della Valle del vento (1984)

Sebbene prodotto un anno prima della fondazione dello studio, il film è perfettamente in linea per stile e tematiche con le altre opere di Miyazaki targate Ghibli. Tratto dall’omonimo manga del regista, il film ci mostra la Terra devastata da una guerra termonucleare avvenuta millenni prima della storia che vediamo. Nausicaä è la principessa di uno degli ultimi insediamenti di umani che vivono liberi dai miasmi emanati dal Mar Marcio, una foresta in continua espansione abitata da insetti mutanti. Andando contro il pensiero di tutti, la ragazza dimostrerà che anche una natura apparentemente così inospitale, se capita e rispettata, può nascondere un cuore sano e capace di accogliere gli umani.

Nausicaä in una scena del film. Fonte: cinema.fanpage.it

A tutti coloro che sono in trepida attesa della prossima uscita firmata Hayao Miyazaki, dobbiamo dire di pazientare ancora un po’. In una recente intervista Toshio Suzuki, produttore dello Studio Ghibli, ha infatti affermato che per l’uscita del suo prossimo film dovremo aspettare almeno tre anni. Pensate un po’, è necessario un mese di lavoro per disegnare i fotogrammi che compongono un solo minuto di film! È bello come, in un mondo che si avvia sempre più verso la digitalizzazione, c’è chi ancora valorizza le abilità manuali e le tradizioni.

Davide Attardo

Le 5 meraviglie di Johnny Depp

Johnny Depp è sicuramente una delle star hollywoodiane più amate dal pubblico internazionale.

Con i suoi 57 anni appena compiuti e nonostante le ultime vicende relative alla sua vita privata, Johnny Depp continua a mostrare interpretazioni eccelse, tra incassi plurimilionari ed alcuni veri e propri cult-movie.

Andiamo ad analizzare cinque film che ci fanno comprendere l’estro e l’intelligenza di questo formidabile attore.

Johnny Depp 

Edward mani di forbice (1990), Tim Burton

La pellicola è una sorta di rivisitazione del romanzo Frankenstein di Mary Shelley ambientata in un borgo americano degli anni ’80.

La scrupolosa regia di Tim Burton e le scenografie gotiche sono ciò che rendono questa pellicola uno dei capisaldi della filmografia burtoniana.

Edward (Johnny Depp) è un “ragazzo artificiale” che al posto delle mani possiede delle forbici. Questa sua connotazione fisica lo fa sentire inevitabilmente diverso dagli altri, ragion per cui vive isolato in una villa. Nel corso della storia conoscerà Peggy (Dianne West), la quale lo convincerà a mostrarsi in pubblico e ad inserirsi in società.

Johnny Depp in una scena del film – Fonte: nospoiler.it

Johnny Depp è riuscito a trasmettere ad Edward un costante stato di timore ed un’innocua timidezza, che traspaiono dallo sguardo e dalla gestualità del personaggio.

Nel film pronuncia solo 169 parole, quindi l’attore ha dovuto fare ricorso ad altri strumenti per esternare ciò che Edward provava dentro se stesso e lo ha fatto meravigliosamente.

Buon compleanno Mr Grape (1993), Lasse Hallstrom

Uno dei film più toccanti che esistono.

Dopo la visione se ne esce fragorosamente frastornati ma con qualcosa che arricchisce dentro.

La pellicola narra la storia di Arnie (Leonardo Di Caprio), un ragazzino con problemi mentali, e della sua famiglia in seguito ad una terribile tragedia: il suicidio del padre.

Gilbert (Johnny Depp) è il figlio maggiore che ha il compito di mandare avanti la famiglia e di badare alla madre impossibilitata a muoversi a causa dello spropositato stato di obesità in cui si trova.

Leonardo Di Caprio e Johnny Depp in una scena del film – Fonte: quinlan.it

La prova d’attore che spicca fra tutte è sicuramente quella di un giovanissimo Leonardo Di Caprio, al quale ovviamente vanno riconosciuti tutti i meriti; ma senza Johnny Depp forse non avrebbe raggiunto gli stessi risultati.

La chimica instauratasi tra i due attori nasce originariamente dalla volontà di Johnny di voler ricoprire un ruolo che, anche se non offriva al suo interprete la possibilità di mettersi in mostra, risultava essere fondamentale per la realizzazione della pellicola e per far recitare Di Caprio nel modo migliore.

Martin Scorsese ha raccontato che un pomeriggio – mentre faceva zapping in TV – vide parte del film; rimase colpito dalla performance di Leo e chiamò Robert De Niro invitandolo a sintonizzarsi su quel canale per osservarlo.

Johnny Depp ha quindi messo in atto un’ottima interpretazione ed allo stesso tempo è riuscito a far emergere tutto il talento di Di Caprio, aprendogli di fatto le strade di Hollywood.

Paura e delirio a Las Vegas (1998), Terry Gilliam

Il film più cult dei film cult.

La storia narra il viaggio del giornalista Raoul Durke (Johnny Depp) e del suo avvocato il Dottor Gonzo (Benicio del Toro), i quali nel 1971 si recano a Las Vegas per scrivere la cronaca di una gara motociclistica.

Nel corso del racconto vedremo i nostri protagonisti perennemente strafatti di qualsiasi droga immaginabile, che affronteranno situazioni del tutto normali in maniera estremamente comica, ma mai demenziale.

Benicio del Toro e Johnny Depp completamente strafatti in una scena del film – Fonte: nuovocinemalocatelli.com

Il personaggio di Raoul è ispirato ad Hunter Stockton Thompson, lo scrittore di Paura e disgusto a Las Vegas, il libro autobiografico dal quale è tratto il film.

Johnny Depp ha deciso di approcciarsi al ruolo con il metodo Stanislavskij ed ha vissuto per quattro mesi con Thompson così da studiarne le movenze. L’attore si è immerso completamente nel personaggio riuscendo a porre in essere una delle sue migliori interpretazioni; performance resa celebre anche per l’uso della mimica facciale mediante cui l’attore è riuscito a rappresentare tutta la paranoia del giornalista in modo buffo.

Un plauso anche a Benicio del Toro, ingrassato per il ruolo di 25 kg, che ha messo a segno un’interpretazione brillante.

La maledizione della prima luna (2003), Gore Verbinski

Il film segna l’inizio di una delle più celebri e splendide saghe cinematografiche della storia.

Johnny Depp nei panni del pirata rappresenta la perfezione assoluta nel mondo attoriale. L’interprete è fortemente calato nella parte, è circondato da un cast di attori di fama internazionale in grado di reggere il suo passo, ha ideato un modo di camminare e di muoversi del tutto innovativo che si sposa perfettamente con il personaggio.

Johnny Depp nei panni di Jack Sparrow – Fonte: cinema.everyeye.it

Jack Sparrow grazie al talento ed alla tecnica di Johnny Depp è diventato uno dei personaggi più iconici della storia. Per questo ruolo l’attore ha ricevuto la candidatura ai premi Oscar del 2004 come miglior attore protagonista.

Sweeney Todd – Il diabolico barbiere di Fleet Street (2007), Tim Burton

Un capolavoro assoluto. Ne abbiamo già parlato in un articolo precedente.

Johnny Depp è un maestro nell’utilizzo della mimica facciale per creare quelle micro espressioni che arricchiscono notevolmente una performance attoriale (come ha fatto in Paura e delirio a Las Vegas).

Johnny Depp mentre interpreta Sweeney Todd – Fonte: ravepad.com

In questa pellicola invece, nei panni del barbiere non traspare la benché minima espressione dal suo pallido volto, ma solo ira e malvagità dal suo sguardo. Nel corso del film infatti lo vediamo sempre con una faccia seria e impassibile, tranne quando accenna una risata in un momento cruciale del racconto; dove proprio quel sogghigno esalta esponenzialmente l’enfasi di quell’attimo.

Per questo film ha vinto il Golden Globe nel 2008 come miglior attore in un film commedia o musicale.

 

Johnny Depp ultimamente ha ricevuto molteplici critiche, sia per le vicende accadute con l’ex compagna Amber Heard, che per l’eccessivo abuso di alcol. Non è né la prima né l’ultima star a finire nell’occhio del ciclone per vicende controverse; non è nostro compito giudicare la persona in questa sede, ma l’attore: pertanto, godetevi tutte le meraviglie cinematografiche che quest’uomo ha prodotto.

Vincenzo Barbera

 

 

 

3 film di Troisi per vivere meglio

In questi tempi sicuramente non tranquilli per quello che sta accadendo nel mondo, ci manca qualcosa o qualcuno capace di tirarci su.

In Italia abbiamo avuto la fortuna di avere chi è in grado di risollevarci il morale, ma che purtroppo ci ha salutato troppo presto.

Il 4 giugno del 1994 Massimo Troisi moriva alla sola età di 41 anni: l’attore e regista è riuscito comunque ad arricchirci immensamente lasciandoci in eredità tutta la sua arte.

Massimo Troisi – Fonte: peopleforplanet.it

Ricomincio da tre (1981)

Il film segna il debutto sul grande schermo di Troisi sia come attore che regista.

Massimo Troisi e Lello Arena nel film Ricomincio da tre – Fonte: vesuviolive.it

La pellicola narra la storia di Gaetano, un giovane napoletano che vuole andarsene dalla sua città natale per estendere i suoi orizzonti. Più volte nel corso del film viene identificato come “emigrante” ma lui stesso afferma che vuole solamente viaggiare per fare nuove esperienze, senza comunque distaccarsi dalle sue radici partenopee.

Così facendo Troisi crea un personaggio del tutto nuovo rispetto al passato. Fin lì i napoletani venivano rappresentati come appunto degli emigranti in cerca di lavoro, membri di famiglie assai numerose e un po’ furbacchioni. Gaetano invece è un timido ragazzo, desideroso di mettersi in viaggio solo ed esclusivamente per confrontarsi con realtà diverse.

La sua mentalità è profondamente segnata dal passato, ma egli non si tira indietro quando gli si presenta una novità; anzi la affronta con tutta la simpatia e l’innocenza che appartengono alla sua forma mentis napoletana.

Troisi infatti, mediante la napoletanità, ironizza su tutto ciò che lo circonda, riuscendo ad analizzare tematiche di primaria importanza (come l’emancipazione delle donne o l’instabilità mentale) ed allo stesso tempo far ridere a crepapelle lo spettatore.

Non ci resta che piangere (1984)

La pellicola narra la storia di Mario (Massimo Troisi) e Saverio (Roberto Benigni).

I due amici lavorano nella stessa scuola e durante un viaggio in macchina discutono sulle problematiche amorose della sorella di Saverio, la quale è stata lasciata dal fidanzato americano. Ad un certo punto la macchina va in panne e i due sono costretti a passare la notte in una locanda.

Al risveglio vedono un uomo intento ad urinare dalla finestra, ma quest’ultimo viene trafitto da un lancia. Chiedendo spiegazioni alla gente che si trova al piano di sotto, comprendono di essersi ritrovati negli anni del Rinascimento.

Mario e Saverio alla dogana nel film Non ci resta che piangere – Fonte: altrapsicologia.it

Il film è un agglomerato di sketch comici in cui Troisi e Benigni danno il meglio di loro stessi.

Mario è costantemente spaventato dai numerosi pericoli di quell’epoca storica e pone in essere comportamenti assai buffi; allo stesso tempo corteggia una ragazza di nome Pia cantandole Yesterday, l’inno di Mameli ed altre canzoni decisamente fuori luogo con quegli anni.

Saverio vuole a tutti i costi impedire a Cristoforo Colombo di scoprire l’America così che il fidanzato di sua sorella non la possa far soffrire.

Memorabile la scena della dogana dove i due protagonisti non riuscivano a smettere di ridere durante le riprese (la scena era improvvisata), emblema di un cinema che fa divertire non solo gli spettatori, ma in primis gli attori stessi.

Il postino (1994)

Il postino racconta la storia di Mario Ruoppolo (Massimo Troisi), un disoccupato che abita su un’isola del Sud Italia.

Mario per vivere potrebbe seguire la tradizione di famiglia diventando un pescatore, ma l’idea non lo aggrada.

Un giorno viene condotto in esilio sull’isola il celebre scrittore cileno Pablo Neruda e Mario viene assunto come postino per consegnargli la posta; piano piano tra i due si instaurerà un rapporto ancor più intenso di una solida amicizia.

Lo scrittore infatti accenderà l’amore per la poesia nell’animo del postino, il quale a sua volta riconoscerà in Pablo una sorta di mentore e gli chiederà consigli per conquistare la bella Beatrice.

Massimo Troisi e Philippe Noiret nel film Il postino – Fonte: mam-e.it

L’interpretazione di Troisi è fuori dagli schemi: sublime e profonda. È completamente immerso nel personaggio ma non rinuncia a donare a Mario i caratteri distintivi della propria personalità.

Philippe Noiret ancora una volta è autore di una prova d’attore magistrale e non è un caso che sia presente in diversi capolavori del cinema italiano (lo troviamo anche in Amici miei del 1975 e Nuovo Cinema Paradiso del 1988).

Il postino inoltre lancia la carriera di una giovane e favolosa Maria Grazia Cucinotta che nel film ha dato prova di essere tranquillamente all’altezza di una qualsiasi diva hollywoodiana.

Il film ha ottenuto 5 nomination ai premi Oscar del 1996 tra le quali quella a miglior attore protagonista per Massimo Troisi ed ha vinto la statuetta per la miglior colonna sonora.

 

Massimo Troisi ha dato sé stesso al cinema nel vero senso della parola. I suoi personaggi, se pur con sfumature diverse, presentano molti aspetti del suo carattere che vengono enfatizzati esponenzialmente nei vari film. La dote principale di Troisi è quella di creare spensieratezza dinnanzi ad una qualsiasi problematica, anche la più grave, approcciandola di petto ma ridendoci e scherzandoci su. Noi abbiamo bisogno di un Massimo Troisi, soprattutto ora, ma non può essercene un altro. Non ci resta che ricominciare da tre.

Vincenzo Barbera

5 film di Tornatore: il regista che ci rende fieri di essere siciliani (e italiani)

Il 27 maggio del 1956 nasce a Bagheria Giuseppe Tornatore, regista, sceneggiatore e produttore cinematografico. Se la grandezza di un artista è quella di creare opere universali capaci di parlare in ogni tempo e luogo, Tornatore ci è sicuramente riuscito; la sua ultima fatica cinematografica (La corrispondenza – 2016) ruota attorno a un tema più che attuale: è possibile continuare a stare vicini a chi amiamo grazie alla tecnologia?

Nel consigliarvi cinque tra i suoi film più belli –  compito arduo in mezzo a una carriera così straordinaria- noi di UniVersoMe partiamo però dalla sua Sicilia, che ha saputo raccontare come pochi altri, da Baarìa (Bagheria) che non è solo un paesino, ma anche “un suono antico, una parola magica, una chiave”.

1) Baarìa (2009)

Una sontuosa produzione che fruttò diversi riconoscimenti (2 premi su 14 nomination ai David di Donatello, 1 nomination al Golden Globe come miglior film straniero, e 1 Nastro d’Argento) ma costò molte critiche e proteste.  I costi di produzione sono stati troppo dispendiosi a fronte dei guadagni al botteghino? E la scelta di girare la scena d’uccisione di un toro per dissanguamento in Tunisia è stato un tentativo di aggirare le leggi italiane per la protezione animale? Al di là di queste perplesstià, che causarono qualche grana giuridica al nostro Tornatore, Baaria è una di quelle grandi narrazioni alla C’era una volta in America, ormai rare nel cinema odierno.

Baaria: locandina. Fonte: aforismi-meglio.it

La pellicola si snoda senza linearità temporale attorno alla storia di emancipazione di Peppino Torrenuova (Francesco Scianna), partendo da un’infanzia di stenti durante l’epoca fascista, passando per l’incontro con la bella Mannina (Margaret Madè) fino ad arrivare alla sua affermazione come segretario di sezione del Partito Comunista Italiano.

La vita di Peppino è però solo lo spioncino attraverso cui Tornatore getta lo sguardo su quella civiltà contadina che non esiste più e che ama raccontare tra magia e realismo, epica e narrazione popolare. Paesani che posano per farsi ritrarre sulla volta della chiesetta nelle vesti di apostoli, mostri di pietra così deformi da non poterli guardare (pena il parto di figli storpi), mosche intrappolate dentro trottole di legno, sembrano quadretti tinteggiati nelle leggende raccontate dai nostri nonni attorno al braciere.

La villa di Palagonia con i suoi “mostri”. Fonte:cinematographe.it

Azzeccata e in sintonia con la trama la scelta di attori siculi d’eccezione. Oltre a Madè e Scianna, Beppe Fiorello, Lo Cascio e altri: chi si aspettava di trovare in un film prevalentemente drammatico talenti comici come Nino Frassica, Ficarra e Picone o ancora Aldo Baglio?

2) La leggenda del pianista sull’oceano (1998)

Stavolta Tornatore si serve di un cast internazionale e delle musiche di Morricone per trasformare in pellicola il monologo teatrale Novecento di Alessandro Baricco. Il 1 gennaio 1900 il macchinista Danny Boodman (Bill Nunn) scova un neonato abbandonato sul transatlantico Virginian, cui darà il nome di Novecento.

Il bambino crescerà sulla nave allietando l’intero equipaggio grazie a una dote particolare: suonare il piano divinamente.

Novecento al piano. Fonte: popcorntv.it

 

La storia di Novecento (Tim Roth), narrata magistralmente da Tornatore, non è altro che l’esempio surreale di tutte quelle vite che non sanno camminare al passo con gli uomini normali e allora tentano di volare!  Musicisti affermati, uomini in cerca di fortuna, belle ragazze, famiglie disperate e soldati salgono e scendono dal Virginian dimenticandosi dell’oceano come fosse solo un effimero ponte di passaggio, proprio come ci si dimentica dell’infanzia.

Novecento nella cabina del Virginian. Fonte: tumblr

 

Novecento sembra guardarli tutti dallo scudo dei suoi “fancul*”, dall’oblò della sua ingenua genialità, quell’oblò dorato messo così bene a fuoco dalla fotografia di Lajos Koltai (vinse non a caso un David di Donatello e uno European Films Awards).

 L’uomo delle stelle (1995)

Se pensiamo all’amore per il cinema messo in scena da Tornatore, ci viene in mente Nuovo cinema paradiso. C’è pero un’altra perla  che racconta l’illusione magica della settima arte: questo film ha per protagonista Sergio Castellitto nei panni di Joe Morelli, agente del cinema in cerca di nuovi talenti. Morelli vaga a bordo del suo furgone per i paesini della Sicilia, “girando” provini a destra e a manca in cambio di 1500 lire a chiunque sogni di diventare una stella.

Davanti alla sua cinepresa accorrono in tanti a raccontarsi: il parrucchiere (Leo Gullotta) stanco delle derisioni per il suo essere “jarrusu” (gay), il brigadiere dei carabinieri (Franco Scaldati) che declama la Divina Commedia in siciliano, l’orfana Beata (Tiziana Lodato) che ha perso il conto dei suoi anni, il pastore (Vincent Navarra) che “talia” le stelle e con esse ci ragiona, proprio come in una lirica di Leopardi.

Il filosofo Walter Benjamin – a proposito del cinema- affermava: “ogni uomo contemporaneo avanza la pretesa di venire filmato”. E guardando L’uomo delle stelle possiamo dire che aveva ragione.

4) Nuovo Cinema Paradiso (1988)

Nuovo Cinema Paradiso è il secondo film di un giovanissimo Giuseppe Tornatore, il quale nonostante non avesse ancora molta esperienza, è comunque riuscito a creare un’opera d’arte cinematografica.

Tramite questa pellicola il regista omaggia la storia ed esalta l’essenza stessa del cinema; ci fa comprendere che dinnanzi alla proiezione di un film siamo tutti uguali e non possiamo fare altro goderci lo spettacolo offertoci.

La regia di Tornatore è magistrale: egli riesce perfettamente ad alternare il dramma alla commedia, scombussolando di continuo lo stato emotivo dello spettatore mantenendosi comunque entro certi limiti, riuscendo così ad esaltare in toto ogni aspetto della storia.

Alfredo e Salvatore mentre lavorano con il proiettore – Fonte: ciakclub.it

Da lodare sicuramente anche il lavoro svolto dal maestro Ennio Morricone, autore della colonna sonora che ci accompagna per l’intero film. La musica esalta i momenti cruciali del racconto e quella vena malinconica, udibile dalle sue note, rafforza esponenzialmente il concetto dell’importanza della memoria, uno dei principali temi del film. Non a caso la scena in cui Totò vede la sequenza dei baci precedentemente tagliati dal parroco,  rappresenta il fulcro dell’intera opera: ci fa comprendere l’immortalità e l’impossibilità di fermare il cinema.

Tutti gli attori presenti nel film mettono in atto delle interpretazioni convincenti e realistiche, soprattutto Marco Leonardi, nei panni di Salvatore da adolescente, e Philippe Noiret, nel ruolo di Alfredo, che hanno incantato ed emozionato il pubblico.

Osannato dalla critica internazionale, il film è stato premiato con l’Oscar ed il Golden Globe per il miglior film straniero nel 1990.

Una pura formalità (1994)

È impossibile analizzare il punto cardine di questo film perché inevitabilmente si cadrebbe in uno spoiler gigantesco. La regia anche stavolta è sublime, tant’è che ancora oggi in molte scuole di regia europee vengono studiate nel dettaglio le tecniche utilizzate in Una pura formalità.

Gérard Depardieu e Roman Polanski in una scena del film – Fonte: it.wikipedia.org

Ambientato in un’atmosfera onirica, il film presenta una serie di scenografie prettamente teatrali, dentro le quali si svolgono dialoghi sofisticati e pieni di metafore, funzionali per lo scorrimento del racconto.

Inoltre, le fenomenali interpretazioni di Gérard Depardieu e di Roman Polanski e l’attenzione maniacale del regista per i dettagli elevano questo film allo stato di capolavoro.

 

Giuseppe Tornatore appartiene ad una serie di registi che purtroppo segnano la fine di un’era del cinema italiano.

La sua capacità di saper narrare una semplice storia come se fosse una poesia è una caratteristica distintiva del suo genio.

Non ha mai rinnegato la sua terra d’origine, anzi ha esaltato le meraviglie, gli usi e i costumi della nostra splendida Sicilia. Quando guardiamo un suo film, oltre che gustarcelo, dentro di noi dovremmo essere fieri di essere siciliani.

Angelica Rocca, Vincenzo Barbera

 

Da tradito a “Traditore”: ritratto dell’uomo che svelò Cosa nostra a Falcone

Esattamente un anno fa veniva proiettata nelle sale italiane la pellicola “Il traditore” del regista Marco Bellocchio, incentrata sulla figura del boss pentito Tommaso Buscetta. Emblematica la data scelta per l’esordio, il 23 maggio, ricorrenza della strage di Capaci in cui persero la vita il magistrato Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta. Una provocazione dunque? Decisamente no. È noto a tutti infatti il ruolo che Buscetta giocò nel far conoscere a Falcone personaggi, vita, segreti e comportamenti di Cosa nostra.

 Fonte: Periodico Daily                      

Il traditore non vuole essere il classico biopic che racconta staticamente la vita di un determinato personaggio dalla nascita fino alla morte. Bellocchio tira fuori un ritratto psicologico anziché biografico di Don Masino, non lo assolve del tutto, come molta letteratura ha fatto, e non lo condanna, ma mostra semplicemente l’uomo o – per meglio dire – l’uomo d’onore.

La trama

La trama si concentra sulle vicende più significative che porteranno poi Buscetta a diventare collaboratore di giustizia, passando dai colloqui con Falcone fino a giungere al maxiprocesso. Il film comincia in medias res nel pieno folklore della festa palermitana di Santa Rosalia. Il mafioso Buscetta capisce che i Corleonesi con a capo Totò Riina stanno prendendo il sopravvento su Cosa Nostra e sulle famiglie dei mandamenti palermitani (di cui lui fa parte) e decide di scappare in Brasile: sarà noto alle cronache infatti come “il boss dei due mondi”.

Siamo al tempo della seconda guerra di mafia, Totò Riina fa uccidere molti familiari di Don Masino tra cui i figli. In Brasile Buscetta viene arrestato ed estradato In Italia. Totò Riina e Don Masino entrambi mafiosi ma anche così diversi: Bellocchio quasi gioca nel contrapporli. Riina vuole emergere in Cosa nostra mentre Don Masino preferisce godersi la vita,come una sorta di edonista.

Fonte: Sentieri selvaggi – Buscetta in Brasile

Cosa nostra si è trasformata, gli ideali di Don Masino e della vecchia mafia che non faceva del male a donne e bambini (cliché che tutti conosciamo e più volte rimarcato nella pellicola) non esistono più. Adesso gli affiliati fanno affari con il mercato della droga che uccide i giovani. Don Masino si sente tradito da Cosa nostra e da tradito decide di divenire il Traditore, linfame. Dunque uno degli interrogativi che il film ci lascia potrebbe essere questo: Tommaso Buscetta si sta pentendo della vita da criminale oppure si pente di aver fatto parte di un’organizzazione che non è più quella di quando egli stesso si era affiliato?

Fonte: Linkabile – Incontro tra i due schieramenti

L’incontro con Giovanni Falcone

Giungiamo così alle scene più emotivamente cariche di tutto il film. L’uomo dello Stato e delle istituzioni ha davanti a sé l’uomo dell’Antistato che confessa e svela nomi e segreti di una delle organizzazioni criminali più potenti di sempre. Due figure così diverse, così distanti, due figure che vengono accomunate dai gesti quotidiani, come offrire una sigaretta durante l’interrogatorio. L’uno rispettoso della dignità che l’altro a suo modo ha e viceversa. Insomma Falcone seduto alla scrivania di fronte a Don Masino che “racconta i fatti di Cosa nostra”. E qui si procede con qualche flashback.

Fonte: Dules.it – Falcone interroga Buscetta

                                   

È Fausto Russo Alesi a calarsi nel difficile compito dell’interpretazione del magistrato, il quale ha affermato di non aver scelto la strada dell’imitazione così da cercare di dare una carica quanto più realistica ad un personaggio di tale calibro.

L’interpretazione di Pier Francesco Favino

L’attore romano supera sé stesso. Diviene Don Masino e ora deve esprimersi in siciliano, ora in portoghese sino a giungere ad uno stentato italiano durante l’interrogatorio con Falcone e nel corso del maxiprocesso; il tutto avviene con una tale naturalezza da non sembrare neanche che Favino stia recitando.

Si passa poi ad una accurata mimica facciale e gestualità che imprimono quasi un certo elegante carisma ad un personaggio per sua natura rozzo. Grazie a questa sublime prova attoriale Favino ha conquistato un sacco di riconoscimenti tra cui il David di Donatello al miglior attore protagonista.

Fonte: Anonima Cinefili – Favino interpreta Buscetta nella scena del maxiprocesso

                    

Innumerevoli sono state le nomination e i premi cinematografici nazionali e internazionali per Il Traditore: ai David di Donatello riesce a portare a casa ben sei statuette tra cui miglior film, miglior regia, miglior attore protagonista, miglior attore non protagonista a Luigi Lo Cascio, miglior montaggio e miglior sceneggiatura originale.

 

Perché proprio in questa ricorrenza parliamo de “Il traditore” e di una figura come quella di Buscetta? Sicuramente per l’apporto che diede alle indagini di Falcone, ma non solo: conoscere il fenomeno mafioso è il primo passo per scardinarne le basi, nel ricordo di chi – nel farlo – ha dato tutta la sua vita.

                                                                                                                                                                                      Ilenia Rocca

 

L’esperimento carcerario di Stanford

La mente umana è piena di lati oscuri e di misteri ai quali forse non daremo mai una spiegazione razionale in toto.

Tuttavia gli studi condotti fino ad oggi risultano essere indispensabili al fine di comprendere, seppur in minima parte, quali possano essere i determinanti di uno specifico comportamento e se questi siano influenzati o meno da vari fattori.

L’esperimento carcerario di Stanford offre una nuova chiave di lettura sull’importanza che hanno i fattori esterni circa il comportamento umano in determinate situazioni. Ciò può offrire degli spunti rilevanti per la psicologia e per la sociologia, ma ha fornito materiale anche per svariati film dei quali vogliamo parlarvi oggi.

Gli studenti durante l’esperimento – Fonte: simplypsychology.org

I fatti

Venne condotto nel 1971 nell’Università di Stanford a Palo Alto dal professor Philip Zimbardo.

Il professore pose alla base dell’intero esperimento la teoria della deindividuazione. Secondo Zimbardo, soggetti facenti parte di un gruppo coeso, in determinate situazioni, tendono a perdere l’identità personale ed il senso di responsabilità per mettere in atto comportamenti aggressivi e violenti, che in altri contesti non porrebbero mai in essere a causa di questioni morali o vincoli personali.

Egli selezionò 24 studenti che avrebbero dovuto trascorrere 14 giorni all’interno del seminterrato dell’Università adibito a carcere. Infatti, l’esperimento prevedeva una simulazione vera e propria di vita carceraria per studiare i comportamenti dei giovani, i quali vennero quindi suddivisi casualmente in due gruppi da 12 fra detenuti e guardie.

I prigionieri erano obbligati a indossare divise tutte uguali tra loro e dovevano sottostare alle regole imposte dalle guardie.

I carcerieri avevano in dotazione anch’essi una divisa con l’aggiunta di un paio di occhiali da sole, che non permettevano ai detenuti di guardarli negli occhi. Erano inoltre provvisti di manganello, manette e fischietto e soprattutto erano liberi di stabilire i metodi da attuare per mantenere l’ordine.

Il professor Zimbardo con alcuni studenti che interpretano i detenuti poco prima di iniziare l’esperimento – Fonte: science.howstuffworks.com

Inizialmente fu preso come una sorta di gioco da ambedue le parti.

Il secondo giorno i detenuti decisero per divertimento di attuare una ribellione. Si strapparono i vestiti e si barricarono tutti insieme in alcune celle mentre insultavano i carcerieri. Le guardie sedarono la rivolta e decisero di spezzare il legame di solidarietà tra i detenuti. Di lì in poi il clima all’interno del carcere non fu più lo stesso. Gli agenti infatti iniziarono a punirli con percosse e li costrinsero a cantare canzoni oscene, a defecare in dei secchi che non venivano poi lavati, a pulire le latrine a mani nude. Insomma, in pochissimo tempo le guardie si trasformarono in degli autentici aguzzini ed i prigionieri diventarono vittime passive delle loro angherie.

Due detenuti dopo solo 3 giorni vennero rilasciati in quanto manifestarono preoccupanti segni di crisi. Un detenuto ebbe un’eruzione cutanea di origine psicosomatica quando gli fu rifiutata la richiesta di essere rilasciato. Alcuni prigionieri, fortemente spaventati, decisero di obbedire meticolosamente a qualsiasi ordine impartito dalle guardie.

Vi fu anche un tentativo di evasione di massa che venne contrastato a fatica dalle guardie e dallo stesso professor Zimbardo.

Dopo soli 5 giorni il professore fu costretto ad interrompere l’esperimento dato che i prigionieri mostrarono segni di disgregazione individuale e la loro percezione della realtà era compromessa da forti disturbi emotivi, mentre le guardie continuavano a comportarsi in modo sadico.

Considerazioni

L’esperimento di Stanford conferma la fondatezza della teoria della deindividuazione dell’individuo.

Quando l’esperimento inizia a dare i suoi frutti – Fonte: angolopsicologia.com

Si è dimostrato che assumere una funzione di controllo su altri soggetti nell’ambito di un’istituzione (in questo caso il carcere) induce a riconoscere le regole di quella determinata istituzione come unico valore al quale adeguarsi.  Ciò comporta un mutamento della psicologia umana. Chi deve far rispettare le regole (guardie) agisce senza vincoli come pietà o sensi di colpa, che in un altro contesto ne frenerebbero le azioni. Chi è obbligato a rispettare le regole (detenuti) invece non è più padrone di un’autonomia personale, ma l’unica cosa che può fare è uniformarsi al volere collettivo del gruppo.

A questo fenomeno il professore diede il nome di effetto Lucifero.

Cinema

Sull’esperimento di Stanford furono girate tre pellicole: The Experiment – Cercarsi cavie umane (2001) di Oliver Hirschbiegel, The Experiment (2010) di Paul Scheuring, Effetto Lucifero (2015) di Kyle Patrick Alvarez.

Il primo è un film di produzione tedesca che si discosta parecchio dalle reali vicende del 1971. Innanzitutto non furono scelti degli studenti per condurre l’esperimento, bensì persone comuni dopo un annuncio pubblicato sul giornale. La trama risulta essere fortemente romanzata, tant’è che il film ad un certo punto si trasforma in un action movie. Risultato: film mediocre.

The Experiment del 2010 presenta nel cast attori di alto calibro come Adrien Brody e Forest Whitaker. Il film è un remake della pellicola tedesca, quindi anche in questo caso non vengono scelti degli studenti per mandare avanti l’esperimento e non viene analizzato approfonditamente il tema della vicenda, ma si trasforma anch’esso in un action (si basa più sulla volontà del personaggio interpretato da Brody di trattenere il suo istinto violento). È un prodotto più elaborato del primo film e gli attori sono autori di eccellenti interpretazioni.

Effetto Lucifero del 2015 è il film maggiormente incentrato sull’esperimento. I ruoli da detenuti e da guardie vengono ripartiti tra studenti.

Scena del film Effetto Lucifero del 2015 – Fonte: programma.sorrisi.com

Nel corso della pellicola si assiste ad una graduale alterazione comportamentale di tutti i soggetti, ma resta un film psicologico, non diventa un film d’azione come gli altri (dove mancava solo Bruce Willis). È l’unica delle tre pellicole che conduce un’attenta analisi sulle varie fasi dell’esperimento stesso e ne approfondisce i contenuti, non utilizza il lavoro di Zimbardo come una scusante per girare una pellicola e guadagnarci. Inoltre la fotografia e le luci del film destano stupore.

 

È giusto condurre un esperimento su giovani menti che magari ancora non sono del tutto mature per scopi scientifici? A voi l’ardua risposta.

Vincenzo Barbera

Tyler Rake, l’arte dell’action movie

Dopo l’esperienza particolarmente fruttuosa ed efficace con il Marvel Cinematic Universe, i fratelli Russo e Chris Hemsworth tornano a collaborare per un action-thriller prodotto e distribuito dal colosso Netflix, che pare sia l’unico movie- brand a non aver subito le conseguenze economiche del coronavirus.

Fonte: www.allstreamingmovie.com

Chris Hemsworth, per i profani “Thor”, interpreta Tyler Rake un mercenario spietato, schivo e solitario impegnato in una difficile e pericolosa missione.

Tyler Rake (Extraction) rappresenta l’esordio registico di Steve Hargrave, che  aveva già lavorato con i fratelli Russo come direttore degli stuntman in Captain America: Civil War e Avengers: Endgame.

Anthony e Joe Russo compaiono invece in veste di produttori e direttori creativi della pellicola tratta da Ciudad, una graphic novel concepita proprio dalla creatività dei due fratelli.

Plus narrativo dello sceneggiatura del film è il racconto del passato di Tyler Rake segnato da una tragedia che lo ha portato all’elaborazione della solitudine come meccanismo di difesa.

Tyler viene incaricato di salvare Ovi, figlio del più grande signore della droga dell’India, rapito da Amir Asif boss del narcotraffico del Bangladesh.

Fonte: www.cinemasession.com

La complessità della missione costringerà il soldato Rake ad attingere tutte le abilità belliche e di combattimento dalla sua faretra di mercenario.

Dacca è controllata dai soldati di Asif, che controlla persino le autorità locali; ad avviluppare ulteriormente la vicenda action  è il mercenario incaricato (David Harbour, celebre per la serie tv mondiale Stranger Things) dal padre di Ovi di controllare Rake.

La costruzione delle scene in cui il protagonista, assieme al suo protetto, corre, fugge, guida in strade caotiche, spara, uccide e lotta incessantemente, è realizzata in modo da trasmettere una costante scarica di adrenalina che tiene col fiato sospeso lo spettatore, immerso negli inseguimenti e nelle sequenze d’azione.

Le rare occasioni di pausa e di rallentamento dall’azione incalzante e spasmodica, sono meccanismo narrativo che permette di approfondire il focus introspettivo del film sul rapporto tra il taciturno Rake ed il ragazzino, che stimola la coscienza del mercenario che si vede dunque costretto  a rivalutare quanto è accaduto sin qui nella sua vita.

www.homemovies.com

Chris Hemsworth è un protagonista azzeccato, credibile drammaticamente e fisicamente, che riesce ad aderire perfettamente al ritmo registico imposto dalle scene d’azione pregne di primi piani ed inquadrature a mezzo busto, che trasportano lo spettatore dentro le dinamiche con la sensazione di diventare protagonisti dell’esperienza visiva.

Acrobatismo muscolare e combattimenti dinamici fanno scorrere Tyler Rake con un ritmo battente, che esplode nella lunga scena di undici minuti realizzata come unico piano sequenza.

Dacca, viva, caotica e pulsante fa da sfondo sonoro e visivo alla velocità tipica dell’action movie.

Definire Tyler Rake un film sarebbe riduttivo; è piuttosto un prodotto d’intrattenimento eccitante ed appagante, confezionato come un giocattolo cinematografico che vuole squisitamente divertire e trascinare il fruitore, senza annoiarlo con fronzoli narrativi che esulerebbero dalla tipicità del genere.

Fonte: www.moviedescription.com

Tyler Rake è un lavoro energico che soddisferà i gusti degli action lovers, dando comunque modo anche al pubblico più eterogeneo d’esser coinvolto in un film che funziona nel contesto dell’entertainment.

Armi, lotta, sangue, inseguimenti e tanto altro a portata di telecomando.

Pronti per una serata scoppiettante?

Antonio Mulone