L’esempio di Giuseppe Parisi: quando la passione per il cinema incontra i social

Da giovani appassionati di cinema, la nostra rubrica di Recensioni guarda sempre con attenzione a tutti quei progetti che, come quello di cui vi stiamo parlando oggi, portano avanti contenuti che mettono in mostra tutta la bellezza della settima arte.  A tal proposito, abbiamo avuto il piacere di parlare con Giuseppe Parisi, 24enne messinese e studente del corso di laurea di giurisprudenza all’UniMe, che grazie alla propria passione sta portando avanti una pagina Instagram, cinemania_italy, interamente dedicata al cinema; ad oggi vanta già quasi 24.000 follower. Un successo non da poco: la qualità del lavoro, oltre al riscontro del pubblico, rendono giustizia all’impegno profuso da Giuseppe per la realizzazione di una pagina che, al passo con le nuove piattaforme social e strategie comunicative, si pone gli stessi obiettivi della nostra rubrica, ovvero avvicinare sempre più persone al grande schermo, oltre ad aggregare i tanti appassionati del settore. Ecco la nostra intervista.

Logo della pagina

Come è nata l’idea di trasformare la tua passione per il cinema nella gestione di una pagina Instagram?

L’idea è nata nel 2014, nel momento in cui ho iniziato vedere che c’erano tante pagine, Facebook a quel tempo, che trattavano di cinema e dunque ho pensato di aprirne una anche io, ma su Instagram, che fortunatamente poi si è rivelato il social del momento.

La gestisci da solo oppure hai dei collaboratori? È stato difficile farla crescere così tanto?

La gestisco da solo, soltanto l’immagine del profilo è stata realizzata da un mio amico. La crescita è stata abbastanza difficile, ho 24.000 seguaci, che potrebbero sembrare pochi in confronto a tante altre pagine con molti più follower, ma per me sono tanti, considerando la difficoltà con la quale li ho raccolti e il fatto che non mi sia mai affidato a stratagemmi per farli aumentare più velocemente. Tutto questo è stato possibile anche grazie al fatto di cui parlavo prima, cioè grazie all’ottimo tempismo nell’introdurmi in questa nuova piattaforma: la mia è stata una delle prime pagine in Italia a trattare di cinema, su un social che a quel tempo era molto meno utilizzato rispetto ad oggi.

Giuseppe Parisi

So che questa domanda è sempre difficile per un appassionato di cinema, ma quali sono il tuo film e regista preferito?

Per il film preferito sono sicuro di risponderti “C’era una volta in America” di Sergio Leone, perché è il film che ogni volta che rivedo mi emoziona sempre di più e nonostante duri quattro ore il tempo vola. L’ho visto anche di recente e posso confermare nuovamente la mia scelta. Per quanto riguarda il regista, non ne ho solamente uno, tra i miei preferiti ci sono Kubrick, Lynch, Tarantino, Scorsese e ovviamente Sergio Leone.

Quando è nata la passione per il cinema ?

È nata da piccolo, non guardavo i classici film per bambini, ma film più importanti, adatti già a un pubblico più adulto. Anche mio padre ha avuto una grande influenza, da appassionato di cinema; così, crescendo ho iniziato a farmi una cultura sempre più ampia, conoscendo anche nuovi registi.

Cosa ne pensi della situazione che sta vivendo il cinema causa Covid-19?

La situazione non è delle migliori, purtroppo come abbiamo visto anche il cinema, come molte altre industrie, è stato colpito da questo orribile momento, vedendo rimandate tante produzioni a livello di lavorazioni e anche tanti  film già pronti per essere lanciati nelle sale. Spero, anche se qui in Italia qualcuno ha già riaperto, che al più presto si risolva la situazione, anche perché ancora alle case di distribuzione non conviene economicamente distribuire film se i cinema non tornano ad essere riaperti in tutto il mondo, affinché tutti possiamo tornare in sala e i film possano tornare ad essere distribuiti, per aiutare anche i piccoli imprenditori, che hanno cinema più di nicchia, possano tornare a respirare.

Quale è stata l’uscita nelle sale che attendevi di più ma che è stata, giustamente, rimandata?

Principalmente erano due: “007” che amo sempre andare a guardare, soprattutto l’ultima saga di Daniel Craig; questo dovrebbe essere l’ultimo film e sono molto curioso di vederlo. L’uscita era stata programmata ad aprile, ma ovviamente è stata rimandata in autunno, se non erro a novembre, spero non la rinviino nuovamente. L’altro film invece è “Tenent” di Nolan, del quale sono sempre curioso di scoprire cosa ha in serbo, dovrebbe uscire in estate (ad agosto) ma ovviamente non è nemmeno sicuro che uscirà.

Ringraziamo nuovamente il nostro collega Giuseppe per averci parlato del suo progetto: c’è sempre spazio per il cinema, anche in un momento di crisi come questo.

Giuseppe Currenti

La Dea Fortuna: il film che conferma in pieno lo stile del regista Ferzan Ozpetek

Fonte: MyMovies

Proiettato nelle sale a fine 2019 e con diverse nomination ai “Nastri d’argento”, La dea fortuna rappresenta l’ultima fatica cinematografica del regista Italo turco Ferzan Ozpetek.

La trama

Protagonisti della storia, ambientata a Roma, sono Alessandro (Edoardo Leo) e Arturo (Stefano Accorsi). Entrambi hanno una relazione stabile e convivono da molti anni. Arturo, l’intellettuale della coppia, in attesa di un miglior impiego si occupa di traduzioni di opere letterarie, mentre Alessandro è un idraulico. La normale routine della coppia, che oscilla tra i piccoli problemi della quotidianità e i ritrovi con gli amici di quartiere, viene quasi sconvolta dall’arrivo di Annamaria (Jasmine Trinca), una vecchia amica di Alessandro, con i suoi due figli. Annamaria si fermerà a Roma e affiderà temporaneamente i figli alla coppia.

Fonte: Artwave

Tematiche affrontate dal regista

Come in molti altri film di Ozpetek, anche ne “La dea fortuna” la sceneggiatura si concentra su una relazione omosessuale quale quella di Alessandro e Arturo. Chi conosce bene il regista sa che questo è stato molte volte un trend topic di molti suoi film di successo e apprezzati dalla critica.

I due protagonisti è come se quasi improvvisamente diventassero genitori. Forse in modo indiretto o forse invece in modo del tutto evidente, l’intento del regista stavolta non è stato quello di concentrarsi sulle problematiche  comuni ad ogni relazione sentimentale sia essa etero o gay, bensì affrontare un tema molto discusso quale quello dell’omogenitorialitá, e ancora di più riuscire ad affrontarlo in modo del tutto naturale. Infatti, nessuno guardando “La dea fortuna” si sentirebbe in grado di dire cosa sia giusto o sbagliato, insomma di prendere posizione. Tutto ciò passa in secondo piano grazie all’abilità di Ozpetek di incastrare le vicende della maggior parte dei suoi personaggi e di rappresentare i loro stati d’animo in una maniera tale da non lasciare spazio al pregiudizio.

Fonte: MyMovies

 

Analogie con i precedenti lavori

Conoscendo i precedenti lavori del regista non si può fare a meno di notare parecchie analogie soprattutto con uno dei suoi film, “Le fate ignoranti” (2001). Similitudini nel cast ma anche nell’ambientazione di molte scene significative.  Dall’appartamento dei protagonisti in cui si ritrovano con i loro “singolari” amici, che abitano nello stesso quartiere o addirittura nello stesso palazzo, alla terrazza in cui si organizzano eventi o si improvvisa qualche festa la sera con un po’ di musica turca per smorzare la tensione della giornata. Stesso spirito di solidarietà e di condivisione.

I figli di Annamaria diventano un po’ figli di tutti, i problemi di Alessandro e Arturo accomunano tutti.

Fonte: Radio Musik

In “La dea fortuna” come ne “Le fate in ignoranti” troviamo pure come protagonista Stefano Accorsi. Presenti in entrambi i lavori anche Serra Yilmaz, nota attrice turca e conosciuta in Italia grazie ai film di Ozpetek, e Filippo Nigro nel ruolo di amici della coppia.

 

Candidature Nastri d’Argento

La pellicola ottiene ben otto nomination alla nota manifestazione cinematografica riuscendo a portare a casa tre Nastri D’Argento, nella categoria miglior attrice protagonista a Jasmine Trinca, miglior cameo dell’anno a Barbara Alberti e migliore colonna sonora a Pasquale Catalano.

 

Sicuramente La dea Fortuna rispetta le aspettative degne di un film di un regista quale Ferzan Ozpetek: infatti, il suo stile non solo non si smentisce, ma ne esce maggiormente rafforzato.

 Ilenia Rocca

 

Film da “pazzi”: la psichiatria al cinema

La malattia mentale, affascinante e sconosciuta, ci ha sempre attratto. Il grande e il piccolo schermo ci hanno soddisfatto, con una moltitudine di capolavori disponibili.

Ma cosa è che affascina tanto il pubblico? E cosa è che spinge i produttori?

Sicuramente tra cinematografia e psichiatria c’è un filo conduttore, un qualcosa in comune che permette all’una di ispirarsi all’altra. Eh si, avete capito bene, anche il cinema ha il suo scopo terapeutico e didattico.

Ma a prescindere da ciò, le storie raccontate in prima persona e i sentimenti espressi così bene – quasi come se li stessimo provando noi – sembrano essere magnetici, e la malattia viene mostrata nella sua realtà e crudezza dandoci una nuova visione del mondo.

Così abbiamo scelto cinque tra i film che, secondo noi, rendono meglio le patologia psichiatrica, ma che allo stesso tempo riescono a tenerci incollati al divano.

Toc Toc – Disturbo ossessivo compulsivo

Un apparente errore burocratico riunisce un gruppo di pazienti nell’ambulatorio del dottor Palomero, un presunto terapeuta luminare che però ritarderà all’appuntamento. La sua sala d’aspetto sarà lo scenario del film, una commedia che in un’ora e trenta minuti ci presenterà i vari casi clinici.

Fonte: cuorementelab.it – i protagonisti del film

L’incontro – e lo scontro – tra le varie forme del disturbo si fa esilarante, ma allo stesso tempo non scadendo nei cliché, riesce a mostrare i disagi più profondi dei vari protagonisti.

Dalla scelta del titolo, Toc Toc che sta per Trastorno Obsesivo Compulsivo (in spagnolo, lingua originale) con la ripetizione delle parole tipica del disturbo di una delle pazienti, alla bravura degli attori: ci si immerge in un’esperienza leggera, reale e dal finale inaspettato.

Il lato positivo – Disturbo bipolare

Pat, il protagonista del film, appena uscito dalla clinica psichiatrica dovrà fare i conti con la vita di tutti i giorni. Il reinserimento sociale dopo la diagnosi di disturbo bipolare, dopo “l’incidente” a seguito del tradimento della moglie e dopo lo sgretolarsi di tutte le proprie certezze, rendono giustizia alla malattia. Questa viene trattata con delicatezza e con estrema precisione clinica, facendoci immergere completamente nella vita del paziente.

Fonte: ilmedioweek.com – Pat e Tiffany

L’essere consapevole della propria malattia, rende il protagonista sicuro di sé e lo spinge a cercare il lato positivo, ma non lo farà da solo. Tiffany sarà forse la via giusta per trovarlo?

In un concerto di emozioni e di bravura, Jennifer Lawrence e Bradley Cooper rendono questo film un capolavoro.

Brain on fire Encefalite autoimmune

Diversa dalle altre, questa patologia è quasi a cavallo tra la neurologia e la psichiatria. Una malattia sconosciuta, scambiata per un comune disturbo psichiatrico, rende quello della protagonista del film – nonché della storia reale – un particolare caso clinico.

Basato sull’autobiografia di Susannah Cahalan, questo film mostra la gravità del vivere una situazione sconosciuta e  l’insicurezza di una paziente che non sa se essere “neurologica” o “psichiatrica”. Con una profonda descrizione dell’evoluzione della malattia, questo film include lo spettatore nell’estremo disagio che prova la paziente, i suoi familiari e i medici.

Fonte: ultimenotizieflash.com – Susannah al suo ricovero

Nonostante sia stato molto criticato e poco pubblicizzato, questo film è l’occasione di vedere qualcosa di incredibile e – dal punto di vista scientifico – molto interessante.

Ma d’altronde il cervello che attacca se stesso, può essere noioso?

Into the Wild – Fuga psicotica

Film che racconta la storia vera (e divenuta un mito) di Christopher McCandless,  giovane neolaureato che decide di abbandonare la famiglia per intraprende un lungo viaggio attraverso gli Stati Uniti fino ad arrivare in Alaska.

Perché l’ha fatto? Sicuramente per sfuggire da una società consumista e capitalista nella quale non riesce più a vivere, ma forse c’è qualcosa in più.

Fonte: farnorthscience.com – Chris nel suo “appartamento”

Infatti, la sua storia e il suo comportamento potrebbero farci pensare ci sia qualcosa che va oltre la semplice ribellione: il ragazzo cambia nome, diventando Alexander Supertramp, dà fuoco alla sua macchina e al poco denaro che aveva, evita ogni rapporto umano e vive in un autobus abbandonato. Dietro le immagini romantiche del film, si nasconde la ben più triste storia di una fuga psicotica: Chris non scappava solo da un mondo che non sentiva proprio, ma scappava anche da se stesso.

The Truman Show – Delirio paranoide

The Truman Show, racconta la storia di Truman: un trentenne che scopre di vivere, fin dalla nascita, al centro di un reality show (che porta proprio il suo nome). Il film si presta a numerose interpretazioni e riflessioni filosofiche tra le quali, anche se  probabilmente non era nelle intenzioni del regista Peter Weir, c’è anche quella psichiatrica.

Fonte: dasscinemag.com – scena cult

Se si accettasse l’idea che il mondo falsificato in cui vive Truman sia in realtà il mondo reale, allora il film diventerà una rappresentazione esemplare di delirio paranoide.  Il protagonista crede di essere spiato, filmato, crede che tutte le persone nella sua vita siano attori ed arriverà addirittura ad incontrare Dio stesso. Sempre accettando questa interpretazione, vediamo come la vita felice e spensierata di Tuman venga sgretolata dalla malattia e sostituita da sospetto, paranoia e paura.

Così, abbiamo visto come ogni disturbo e ogni paziente riescano ad essere soggetti di grandi film (e di successo). Il vedere qualcuno che ha qualcosa di diverso,ma allo stesso tempo non così tanto, il notare i sacrifici per rimettere i tasselli della propria vita in ordine e il provare le loro emozioni, crea un effetto magnetico che ci fa sentire un po’ medici e un po’ pazienti.

Barbara Granata e Lorenzo La Scala 

Ennio Morricone: il maestro per eccellenza

In questi giorni il mondo del cinema vive un lutto enormemente spiacevole : Ennio Morricone, uno dei più grandi compositori della storia, si è spento a Roma all’età di 91 anni.

Noi di UniVersoMe siamo rattristati dalla scomparsa del maestro e vogliamo rendere omaggio alla sua memoria analizzando cinque delle sue migliori – e celebri – colonne sonore.

Ennio Morricone ai Nastri d’argento del 2010 – Fonte: archivio di ©Paolo Barbera

Trilogia del dollaro

Una delle collaborazioni più proficue di Ennio Morricone fu quella con il regista Sergio Leone.

I due, conoscenti sin dalla  5º elementare, si ritrovarono a lavorare insieme nel 1964; Morricone infatti, scrisse la colonna sonora per i film che compongono la Trilogia del dollaro: Per un pugno di dollari (1964), Per qualche dollaro in più (1965) ed Il buono, il brutto, il cattivo (1966).

Sergio Leone ed Ennio Morricone – Fonte: incursionicinemaniache.blogspot.com

Queste pellicole, diventate dei veri e propri cult, devono il loro successo anche al lavoro di Ennio; infatti, il maestro, mediante le note musicali è riuscito a donare ad ogni film dei tratti distintivi, che anche a distanza di anni permettono di ricordare perfettamente le varie scene.

C’era una volta in America (1984)

La collaborazione tra Morricone e Leone termina nel 1984 con l’ultimo film del regista: C’era una volta in America, che rappresenta una delle migliori opere cinematografiche della storia.

Locandina del film C’era una volta in America – Fonte: eaglepictures.com

Il contributo musicale del compositore incrementa esponenzialmente la qualità del film; infatti la malinconia, che è uno dei temi principali della pellicola,  è percepibile – oltre che dalle inquadrature scelte dal regista – grazie alla colonna sonora, che riesce a trasmettere i sentimenti a tal punto da farceli provare sulla pelle.

Morricone ha compreso perfettamente la visione narrativa di Leone; ciò che il regista ha comunicato tramite le scene, lui lo ha comunicato tramite la musica.

Nuovo Cinema Paradiso (1988)

Questo, uno dei film più belli della storia del cinema italiano, non sarebbe stato lo stesso senza la partecipazione del maestro Morricone.

Locandina del film Nuovo Cinema Paradiso – Fonte: sumavincenzo2009.blogspot.com

La pellicola si basa fortemente sul peso che la nostalgia ha sulle nostre vite e ci fa vedere come la musica la fa riaffiorare. Ascoltando la colonna sonora del film, è impossibile non pensare a ricordi passati; le note di Nuovo Cinema Paradiso sono in grado di narrare gran parte delle scene del film, e lo fanno in maniera del tutto autonoma.

The Untouchables – Gli intoccabili (1987)

Un gangster movie di altissimo livello diretto da Brian De Palma, con un cast che prevede attori del calibro di Robert De Niro, Sean Connery, Kevin Costner e Andy Garcia.

Le musiche di accompagnamento di Morricone riescono ad enfatizzare i momenti clou della pellicola.

Locandina del film The Untouchables – Gli Intoccabili – Fonte: pinterest.it

Anche in questa occasione, il maestro lascia la sua impronta indelebile arricchendo qualitativamente un’opera già meravigliosa.

Per questo film Ennio Morricone è stato candidato ai premi Oscar del 1988 per la miglior colonna sonora.

The Hateful Eight (2015)

Quentin Tarantino, da fan sfegatato di Sergio Leone, ha sempre desiderato di poter lavorare con Ennio Morricone e il suo sogno si è realizzato nel 2015 con il film The Hateful Eight.

In fase di pre-produzione l’unica direttiva data dal regista al compositore era «il film si svolge tutto in mezzo alla neve».

Morricone perciò ha composto una colonna sonora fortemente caratterizzata da tonalità cupe e sinistre, capace di trasmettere un senso di forte ansia e di imprevedibilità: proprio come se ci si trovasse nel bel mezzo di una tempesta di neve, dove può accadere qualsiasi cosa.

Quentin Tarantino ed Ennio Morricone – Fonte: repubblica.it

In fase di montaggio, Tarantino ha magistralmente connesso le musiche con le scene girate, riuscendo così ad esaltare profondamente i crescendo dei momenti più importanti del film.

Per The Hateful Eight Morricone è stato premiato con l’Oscar nel 2016.

 

Che dispiacere aver perso un grandissimo artista come Ennio Morricone, l’eredità lasciataci dal maestro è un tesoro dal valore inestimabile.

Saremo sempre grati ad Ennio per quello che ha fatto e vogliamo salutarlo con le parole di Tarantino: “Il Re è morto, lunga vita al Re!”.

Vincenzo Barbera

 

 

Le caratteristiche di cinque tra i più grandi “caratteristi”

Quello di attore caratterista è  – nonostante non esista un unico modo per definirlo – un termine riferito a tutti gli interpreti di personaggi singolari, che devono avere la capacità di rimanere impressi nella mente di chi guarda, anche se comparsi per poco tempo sulla scena.

Importantissimi per la riuscita di un buon film, gli attori caratteristi hanno sicuramente contribuito, sin dagli inizio, all’evoluzione del cinema.

Noi di UniVersoMe vogliamo farveli conoscere, e lo faremo analizzando l’operato dei cinque tra i più grandi attori caratteristi degli ultimi anni. Dalla top five è stato escluso Harvey Keitel, uno dei maggiori esponenti, ma solo perché ne abbiamo già parlato (giusto qualche articolo fa).

1) Steve Buscemi

Lo strambo per eccellenza.

Fonte: memecult.it – Steve Buscemi nel film Il grande Lebowski 

Generalmente, Steve Buscemi interpreta soggetti esuberanti e dalla battuta sempre pronta che conquistano immediatamente la simpatia del pubblico.

Ha dimostrato di essere un attore talentuoso e tecnicamente eccellente in diversi capolavori come Le Iene (1992), Armageddon (1998), Fargo (1996). Una delle sue migliori performance però, è sicuramente quella ne Il grande Lebowski (1998) dei fratelli Coen.

Nel film interpreta Donny, uno dei due più cari amici di Jeffrey Lebowski: personaggio fuori dagli schemi tipici di Steve, ma che ci dimostra quanto sia importante essere un bravo attore per fare il caratterista. Donny è taciturno e timido, eppure Buscemi riesce a donargli una presenza scenica mastodontica,  grazie alle sue doti attoriali.

In quanti altri film abbiamo visto personaggi simili a Donny, che magari parlano raramente o sono particolarmente introversi? Moltissimi, ma non abbiamo nessun ricordo di loro. Il personaggio di Buscemi invece lascia il segno e questo significa essere caratterista.

2) Cristopher Lloyd

Chi non conosce il Doc di Ritorno al futuro?

Fonte: ilpost.it – Christopher Lloyd, Doc

Christopher Lloyd è entrato nell’immaginario collettivo come l’eccentrico scienziato della famosissima saga di Robert Zemeckis. Non ha bisogno di presentazioni: con quegli occhi costantemente aperti e vispi  ed il suo consueto “Grande Giove” è certamente uno dei personaggi più apprezzati dal pubblico di ogni età e nazione.

Ma non finisce qui: è stato anche “autore” della profonda e celebre interpretazione in Qualcuno volò sul nido del cuculo (1975), dove, al fianco di Jack Nicholson,  ha ricoperto il ruolo di un uomo affetto da seri disturbi mentali.  Quindi, lo ritroviamo in un contesto drammatico e ben diverso dal clima di Ritorno al futuro, ed è questo il modo con cui  Chistopher  dimostra la sua versatilità, mettendo a segno una performance di altissimo livello.

3) Rowan Atkinson

Sì, non si chiama Mr Bean nella vita reale.

Fonte: indianaexpress.com – Rowan Atkinson nei panni di Mr Bean 

Genio assoluto della comicità inglese, Rowan Atkinson non è solo un grande caratterista, ma è anche inventore di uno stile recitativo del tutto innovativo.

Infatti, i film o i mediometraggi in cui appare non seguono gli schemi dei film tradizionali: le scene che si susseguono, rappresentano momenti di vita quotidiana nei quali l’attore interagisce goffamente con gli oggetti o con altri individui, farfugliando parole poco chiare e accentuando buffe espressioni facciali.

Risultato? Uno dei comici inglesi più famosi del mondo che è riuscito a lavorare – ed in pochi ce l’hanno fatta – anche con l’irraggiungibile gruppo comico Monty Python.

4) Mario Brega

Anche il cinema italiano, vanta una lunga lista di attori caratteristi degni di nota e Mario Brega è sicuramente uno dei più apprezzati dal pubblico.

Mario, “lanciato” da Sergio Leone come attore nei suoi western – in cui interpretava  lo scagnozzo dell’antagonista – verrà poi “rimodellato” da Carlo Verdone che lo ripropone come il tipico romano d’estrazione popolare.

Passano alla storia alcune sue battute come “Arzate a cornuto arzateee” in Borotalco (1982) o “So comunista così!” in Un sacco bello (1980).

Fonte: ilmattino.it – Mario Brega nel film Borotalco 

A livello tecnico però, Mario Brega non era un interprete di alto calibro.

Il punto di forza, che lo rende uno dei migliori caratteristi di sempre, risiede nella sua “spontaneitàdurante le riprese: la battuta di Un sacco bello (precedentemente citata) è frutto di un’improvvisazione dell’attore durante un ciak. Verdone ha deciso di lasciarla nel film, proprio perché rappresenta il personaggio: un uomo rude ma bonaccione, che, allargando le braccia, pronuncia quelle parole; trasmetterà così tutta la sensibilità e la bonaria ignoranza del personaggio.

5) Franco “Bombolo” Lechner

Franco Lechner, in arte Bombolo, è stato uno dei migliori caratteristi di sempre.

Fonte: spettacolo.periodicodaily.com – Franco “Bombolo” Lechner

Lo ricordiamo insieme a Tomas Milian nei panni di er Monnezza, con il quale ha preso parte a diversi film che li hanno resi celebri come “coppia del cinema” nel panorama italiano.

Solitamente, Bombolo interpreta lo stesso personaggio, le cui caratteristiche sono: la particolare mimica facciale e l’uso del dialetto romanesco. Esorbitante la quantità di schiaffi che il povero Franco ha ricevuto nel corso della sua carriera!

Ma pur di far ridere era pronto a tutto.

 

Quindi, come abbiamo visto, gli attori caratteristi costituiscono una parte fondamentale del cinema. Sono grandi interpreti che, nei pochi minuti a disposizione, devono dare qualcosa di significativo al proprio personaggio così da essere ricordati.

Ad oggi non ne esistono – almeno non più come un tempo – e la loro figura è mutata così come è mutato il cinema stesso; ma ciò che non cambia e che probabilmente non cambierà mai è il concetto di  essere attore e di farlo bene: come Mr Wolf (Harvey Keitel) ci insegna

Just because you are a character doesn’t mean that you have character”.

Vincenzo Barbera

Studio Ghibli: 5(+1) film per entrare nella magia di Hayao Miyazaki

Quando si parla di animazione è veramente difficile superare i Giapponesi: ne sa qualcosa lo Studio Ghibli, fondato nel 1985 a Tokyo. Il suo nome si è fatto largo in Occidente e nel grande cinema grazie ad Hayao Miyazaki, cofondatore dello studio e suo regista di punta. Nelle sue creazioni il maestro affronta tematiche di grande spessore attraverso gli occhi dei protagonisti, spesso bambini. Questo fa sì che i film dello Studio Ghibli siano godibili sia da un pubblico giovanissimo sia da quello più avanti con l’età.

In occasione della loro recente aggiunta al catalogo di Netflix, vi proponiamo 5(+1) opere che meglio rappresentano il regista giapponese.

1) Il mio vicino Totoro (1988)

Giappone anni ‘50, Setsuki e la sorellina Mei si stanno trasferendo insieme al padre in un piccolo villaggio di campagna per meglio assistere la madre ricoverata in un ospedale lì vicino. La nuova casa è di fianco a un bosco dove le due sorelline faranno la conoscenza di Totoro, spirito buono della natura e custode della foresta. Quest’ultimo accompagnerà le fortunate bambine alla scoperta di una natura affascinante e viva. Si dimostrerà anche essere un amico fedele e pronto ad aiutarle nel momento del bisogno, quando ogni speranza sembrava persa. Il personaggio di Totoro ha riscosso così tanto successo da essere stato scelto come logo dello studio.

Setsuki, Mei e Totoro alla fermata del bus. Fonte: mamamo.it

2) Porco Rosso (1992)

Marco è un ex pilota dell’aeronautica italiana che, dopo aver rischiato la morte durante la prima guerra mondiale, si ritrova trasformato in un maiale. Dopo l’avvenimento decide di ritirarsi a vita privata e diventare un cacciatore di pirati, lasciandosi alle spalle il suo passato. Il film è rappresentativo dello smisurato amore del regista per gli aerei (viene anche citato il bimotore Ghibli, velivolo che ha ispirato Miyazaki per il nome dello studio). Spiccano anche altri temi cari al regista come il rifiuto della guerra e la forza delle donne, che saranno di fondamentale aiuto al protagonista, trattati con la leggerezza e l’ironia che contraddistinguono le opere dello studio.

Marco sul suo aereo. Fonte: anime.everyeye.it

3) Principessa Mononoke (1997)

Il giovane principe Ashitaka è costretto a uccidere uno spirito-cinghiale maledetto che aveva attaccato il suo villaggio. Durante lo scontro, però, si ferisce a un braccio e viene contagiato dalla maledizione dello spirito. Partito alla ricerca di una cura per il male che altrimenti lo porterebbe alla morte, il principe si imbatte in San, una ragazza cresciuta dai lupi ed educata al rispetto della natura e all’odio verso gli umani. Superate le iniziali tensioni, i due collaboreranno per contrastare la Città del Ferro che minaccia la foresta dove vivono San e il Dio-Cervo, l’unico a poter sciogliere la maledizione. Spettatori dell’eterno scontro tra l’uomo e la natura, la pellicola ci lascia con un interrogativo: è davvero impossibile una convivenza tra queste due parti?

Ashitaka e San. Fonte: mardeisargassi.com

4) La città incantata (2001)

Opera in assoluto più famosa di Miyazaki, è stato anche il primo e unico anime ad aggiudicarsi un Oscar. Chihiro e i suoi genitori si imbattono in una città apparentemente deserta composta solo da locali e ristoranti, in cui i genitori della bambina iniziano a servirsi da mangiare. Chihiro, allontanatasi un momento, scopre al suo ritorno che i genitori si sono trasformati in maiali e, come se non bastasse, che di notte la città si popola di spiriti di ogni genere. Sarà un ragazzo di nome Haku a soccorrerla e a svelarle l’unico modo per sopravvivere in quel luogo: trovare un impiego presso la strega Yubaba che controlla la città. Chihiro intraprenderà dunque un percorso interiore che la trasformerà da timida e impaurita a forte e risoluta: basterà per salvare se stessa e i suoi genitori?

Chihiro e Haku. Fonte: nospoiler.it

5) Il castello errante di Howl (2004)

Liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Diana Wynne Jones, narra le vicende di Sophie Hatter, una giovane cappellaia che, dopo essere stata tramutata in vecchia dalla Strega delle Lande, incontra il misterioso mago Howl e inizia a vivere nel suo castello. Per sdebitarsi dell’ospitalità ricevuta offrirà i suoi servizi come donna delle pulizie e la convivenza le permetterà di venire a conoscenza dell’oscuro passato del mago e del perché conduca una vita da eremita. Il suo aiuto però andrà ben oltre le pulizie e Howl inizierà ad assumersi le proprie responsabilità. Smetterà infatti di scappare dai doveri che lo vedrebbero impegnato nella guerra che incombe sul regno in cui vive e inizierà a combattere per le persone che vuole proteggere.

Sophie e Howl. Fonte: anipponnight.wordpress.com

5+1) Nausicaä della Valle del vento (1984)

Sebbene prodotto un anno prima della fondazione dello studio, il film è perfettamente in linea per stile e tematiche con le altre opere di Miyazaki targate Ghibli. Tratto dall’omonimo manga del regista, il film ci mostra la Terra devastata da una guerra termonucleare avvenuta millenni prima della storia che vediamo. Nausicaä è la principessa di uno degli ultimi insediamenti di umani che vivono liberi dai miasmi emanati dal Mar Marcio, una foresta in continua espansione abitata da insetti mutanti. Andando contro il pensiero di tutti, la ragazza dimostrerà che anche una natura apparentemente così inospitale, se capita e rispettata, può nascondere un cuore sano e capace di accogliere gli umani.

Nausicaä in una scena del film. Fonte: cinema.fanpage.it

A tutti coloro che sono in trepida attesa della prossima uscita firmata Hayao Miyazaki, dobbiamo dire di pazientare ancora un po’. In una recente intervista Toshio Suzuki, produttore dello Studio Ghibli, ha infatti affermato che per l’uscita del suo prossimo film dovremo aspettare almeno tre anni. Pensate un po’, è necessario un mese di lavoro per disegnare i fotogrammi che compongono un solo minuto di film! È bello come, in un mondo che si avvia sempre più verso la digitalizzazione, c’è chi ancora valorizza le abilità manuali e le tradizioni.

Davide Attardo

Le 5 meraviglie di Johnny Depp

Johnny Depp è sicuramente una delle star hollywoodiane più amate dal pubblico internazionale.

Con i suoi 57 anni appena compiuti e nonostante le ultime vicende relative alla sua vita privata, Johnny Depp continua a mostrare interpretazioni eccelse, tra incassi plurimilionari ed alcuni veri e propri cult-movie.

Andiamo ad analizzare cinque film che ci fanno comprendere l’estro e l’intelligenza di questo formidabile attore.

Johnny Depp 

Edward mani di forbice (1990), Tim Burton

La pellicola è una sorta di rivisitazione del romanzo Frankenstein di Mary Shelley ambientata in un borgo americano degli anni ’80.

La scrupolosa regia di Tim Burton e le scenografie gotiche sono ciò che rendono questa pellicola uno dei capisaldi della filmografia burtoniana.

Edward (Johnny Depp) è un “ragazzo artificiale” che al posto delle mani possiede delle forbici. Questa sua connotazione fisica lo fa sentire inevitabilmente diverso dagli altri, ragion per cui vive isolato in una villa. Nel corso della storia conoscerà Peggy (Dianne West), la quale lo convincerà a mostrarsi in pubblico e ad inserirsi in società.

Johnny Depp in una scena del film – Fonte: nospoiler.it

Johnny Depp è riuscito a trasmettere ad Edward un costante stato di timore ed un’innocua timidezza, che traspaiono dallo sguardo e dalla gestualità del personaggio.

Nel film pronuncia solo 169 parole, quindi l’attore ha dovuto fare ricorso ad altri strumenti per esternare ciò che Edward provava dentro se stesso e lo ha fatto meravigliosamente.

Buon compleanno Mr Grape (1993), Lasse Hallstrom

Uno dei film più toccanti che esistono.

Dopo la visione se ne esce fragorosamente frastornati ma con qualcosa che arricchisce dentro.

La pellicola narra la storia di Arnie (Leonardo Di Caprio), un ragazzino con problemi mentali, e della sua famiglia in seguito ad una terribile tragedia: il suicidio del padre.

Gilbert (Johnny Depp) è il figlio maggiore che ha il compito di mandare avanti la famiglia e di badare alla madre impossibilitata a muoversi a causa dello spropositato stato di obesità in cui si trova.

Leonardo Di Caprio e Johnny Depp in una scena del film – Fonte: quinlan.it

La prova d’attore che spicca fra tutte è sicuramente quella di un giovanissimo Leonardo Di Caprio, al quale ovviamente vanno riconosciuti tutti i meriti; ma senza Johnny Depp forse non avrebbe raggiunto gli stessi risultati.

La chimica instauratasi tra i due attori nasce originariamente dalla volontà di Johnny di voler ricoprire un ruolo che, anche se non offriva al suo interprete la possibilità di mettersi in mostra, risultava essere fondamentale per la realizzazione della pellicola e per far recitare Di Caprio nel modo migliore.

Martin Scorsese ha raccontato che un pomeriggio – mentre faceva zapping in TV – vide parte del film; rimase colpito dalla performance di Leo e chiamò Robert De Niro invitandolo a sintonizzarsi su quel canale per osservarlo.

Johnny Depp ha quindi messo in atto un’ottima interpretazione ed allo stesso tempo è riuscito a far emergere tutto il talento di Di Caprio, aprendogli di fatto le strade di Hollywood.

Paura e delirio a Las Vegas (1998), Terry Gilliam

Il film più cult dei film cult.

La storia narra il viaggio del giornalista Raoul Durke (Johnny Depp) e del suo avvocato il Dottor Gonzo (Benicio del Toro), i quali nel 1971 si recano a Las Vegas per scrivere la cronaca di una gara motociclistica.

Nel corso del racconto vedremo i nostri protagonisti perennemente strafatti di qualsiasi droga immaginabile, che affronteranno situazioni del tutto normali in maniera estremamente comica, ma mai demenziale.

Benicio del Toro e Johnny Depp completamente strafatti in una scena del film – Fonte: nuovocinemalocatelli.com

Il personaggio di Raoul è ispirato ad Hunter Stockton Thompson, lo scrittore di Paura e disgusto a Las Vegas, il libro autobiografico dal quale è tratto il film.

Johnny Depp ha deciso di approcciarsi al ruolo con il metodo Stanislavskij ed ha vissuto per quattro mesi con Thompson così da studiarne le movenze. L’attore si è immerso completamente nel personaggio riuscendo a porre in essere una delle sue migliori interpretazioni; performance resa celebre anche per l’uso della mimica facciale mediante cui l’attore è riuscito a rappresentare tutta la paranoia del giornalista in modo buffo.

Un plauso anche a Benicio del Toro, ingrassato per il ruolo di 25 kg, che ha messo a segno un’interpretazione brillante.

La maledizione della prima luna (2003), Gore Verbinski

Il film segna l’inizio di una delle più celebri e splendide saghe cinematografiche della storia.

Johnny Depp nei panni del pirata rappresenta la perfezione assoluta nel mondo attoriale. L’interprete è fortemente calato nella parte, è circondato da un cast di attori di fama internazionale in grado di reggere il suo passo, ha ideato un modo di camminare e di muoversi del tutto innovativo che si sposa perfettamente con il personaggio.

Johnny Depp nei panni di Jack Sparrow – Fonte: cinema.everyeye.it

Jack Sparrow grazie al talento ed alla tecnica di Johnny Depp è diventato uno dei personaggi più iconici della storia. Per questo ruolo l’attore ha ricevuto la candidatura ai premi Oscar del 2004 come miglior attore protagonista.

Sweeney Todd – Il diabolico barbiere di Fleet Street (2007), Tim Burton

Un capolavoro assoluto. Ne abbiamo già parlato in un articolo precedente.

Johnny Depp è un maestro nell’utilizzo della mimica facciale per creare quelle micro espressioni che arricchiscono notevolmente una performance attoriale (come ha fatto in Paura e delirio a Las Vegas).

Johnny Depp mentre interpreta Sweeney Todd – Fonte: ravepad.com

In questa pellicola invece, nei panni del barbiere non traspare la benché minima espressione dal suo pallido volto, ma solo ira e malvagità dal suo sguardo. Nel corso del film infatti lo vediamo sempre con una faccia seria e impassibile, tranne quando accenna una risata in un momento cruciale del racconto; dove proprio quel sogghigno esalta esponenzialmente l’enfasi di quell’attimo.

Per questo film ha vinto il Golden Globe nel 2008 come miglior attore in un film commedia o musicale.

 

Johnny Depp ultimamente ha ricevuto molteplici critiche, sia per le vicende accadute con l’ex compagna Amber Heard, che per l’eccessivo abuso di alcol. Non è né la prima né l’ultima star a finire nell’occhio del ciclone per vicende controverse; non è nostro compito giudicare la persona in questa sede, ma l’attore: pertanto, godetevi tutte le meraviglie cinematografiche che quest’uomo ha prodotto.

Vincenzo Barbera

 

 

 

3 film di Troisi per vivere meglio

In questi tempi sicuramente non tranquilli per quello che sta accadendo nel mondo, ci manca qualcosa o qualcuno capace di tirarci su.

In Italia abbiamo avuto la fortuna di avere chi è in grado di risollevarci il morale, ma che purtroppo ci ha salutato troppo presto.

Il 4 giugno del 1994 Massimo Troisi moriva alla sola età di 41 anni: l’attore e regista è riuscito comunque ad arricchirci immensamente lasciandoci in eredità tutta la sua arte.

Massimo Troisi – Fonte: peopleforplanet.it

Ricomincio da tre (1981)

Il film segna il debutto sul grande schermo di Troisi sia come attore che regista.

Massimo Troisi e Lello Arena nel film Ricomincio da tre – Fonte: vesuviolive.it

La pellicola narra la storia di Gaetano, un giovane napoletano che vuole andarsene dalla sua città natale per estendere i suoi orizzonti. Più volte nel corso del film viene identificato come “emigrante” ma lui stesso afferma che vuole solamente viaggiare per fare nuove esperienze, senza comunque distaccarsi dalle sue radici partenopee.

Così facendo Troisi crea un personaggio del tutto nuovo rispetto al passato. Fin lì i napoletani venivano rappresentati come appunto degli emigranti in cerca di lavoro, membri di famiglie assai numerose e un po’ furbacchioni. Gaetano invece è un timido ragazzo, desideroso di mettersi in viaggio solo ed esclusivamente per confrontarsi con realtà diverse.

La sua mentalità è profondamente segnata dal passato, ma egli non si tira indietro quando gli si presenta una novità; anzi la affronta con tutta la simpatia e l’innocenza che appartengono alla sua forma mentis napoletana.

Troisi infatti, mediante la napoletanità, ironizza su tutto ciò che lo circonda, riuscendo ad analizzare tematiche di primaria importanza (come l’emancipazione delle donne o l’instabilità mentale) ed allo stesso tempo far ridere a crepapelle lo spettatore.

Non ci resta che piangere (1984)

La pellicola narra la storia di Mario (Massimo Troisi) e Saverio (Roberto Benigni).

I due amici lavorano nella stessa scuola e durante un viaggio in macchina discutono sulle problematiche amorose della sorella di Saverio, la quale è stata lasciata dal fidanzato americano. Ad un certo punto la macchina va in panne e i due sono costretti a passare la notte in una locanda.

Al risveglio vedono un uomo intento ad urinare dalla finestra, ma quest’ultimo viene trafitto da un lancia. Chiedendo spiegazioni alla gente che si trova al piano di sotto, comprendono di essersi ritrovati negli anni del Rinascimento.

Mario e Saverio alla dogana nel film Non ci resta che piangere – Fonte: altrapsicologia.it

Il film è un agglomerato di sketch comici in cui Troisi e Benigni danno il meglio di loro stessi.

Mario è costantemente spaventato dai numerosi pericoli di quell’epoca storica e pone in essere comportamenti assai buffi; allo stesso tempo corteggia una ragazza di nome Pia cantandole Yesterday, l’inno di Mameli ed altre canzoni decisamente fuori luogo con quegli anni.

Saverio vuole a tutti i costi impedire a Cristoforo Colombo di scoprire l’America così che il fidanzato di sua sorella non la possa far soffrire.

Memorabile la scena della dogana dove i due protagonisti non riuscivano a smettere di ridere durante le riprese (la scena era improvvisata), emblema di un cinema che fa divertire non solo gli spettatori, ma in primis gli attori stessi.

Il postino (1994)

Il postino racconta la storia di Mario Ruoppolo (Massimo Troisi), un disoccupato che abita su un’isola del Sud Italia.

Mario per vivere potrebbe seguire la tradizione di famiglia diventando un pescatore, ma l’idea non lo aggrada.

Un giorno viene condotto in esilio sull’isola il celebre scrittore cileno Pablo Neruda e Mario viene assunto come postino per consegnargli la posta; piano piano tra i due si instaurerà un rapporto ancor più intenso di una solida amicizia.

Lo scrittore infatti accenderà l’amore per la poesia nell’animo del postino, il quale a sua volta riconoscerà in Pablo una sorta di mentore e gli chiederà consigli per conquistare la bella Beatrice.

Massimo Troisi e Philippe Noiret nel film Il postino – Fonte: mam-e.it

L’interpretazione di Troisi è fuori dagli schemi: sublime e profonda. È completamente immerso nel personaggio ma non rinuncia a donare a Mario i caratteri distintivi della propria personalità.

Philippe Noiret ancora una volta è autore di una prova d’attore magistrale e non è un caso che sia presente in diversi capolavori del cinema italiano (lo troviamo anche in Amici miei del 1975 e Nuovo Cinema Paradiso del 1988).

Il postino inoltre lancia la carriera di una giovane e favolosa Maria Grazia Cucinotta che nel film ha dato prova di essere tranquillamente all’altezza di una qualsiasi diva hollywoodiana.

Il film ha ottenuto 5 nomination ai premi Oscar del 1996 tra le quali quella a miglior attore protagonista per Massimo Troisi ed ha vinto la statuetta per la miglior colonna sonora.

 

Massimo Troisi ha dato sé stesso al cinema nel vero senso della parola. I suoi personaggi, se pur con sfumature diverse, presentano molti aspetti del suo carattere che vengono enfatizzati esponenzialmente nei vari film. La dote principale di Troisi è quella di creare spensieratezza dinnanzi ad una qualsiasi problematica, anche la più grave, approcciandola di petto ma ridendoci e scherzandoci su. Noi abbiamo bisogno di un Massimo Troisi, soprattutto ora, ma non può essercene un altro. Non ci resta che ricominciare da tre.

Vincenzo Barbera

5 film di Tornatore: il regista che ci rende fieri di essere siciliani (e italiani)

Il 27 maggio del 1956 nasce a Bagheria Giuseppe Tornatore, regista, sceneggiatore e produttore cinematografico. Se la grandezza di un artista è quella di creare opere universali capaci di parlare in ogni tempo e luogo, Tornatore ci è sicuramente riuscito; la sua ultima fatica cinematografica (La corrispondenza – 2016) ruota attorno a un tema più che attuale: è possibile continuare a stare vicini a chi amiamo grazie alla tecnologia?

Nel consigliarvi cinque tra i suoi film più belli –  compito arduo in mezzo a una carriera così straordinaria- noi di UniVersoMe partiamo però dalla sua Sicilia, che ha saputo raccontare come pochi altri, da Baarìa (Bagheria) che non è solo un paesino, ma anche “un suono antico, una parola magica, una chiave”.

1) Baarìa (2009)

Una sontuosa produzione che fruttò diversi riconoscimenti (2 premi su 14 nomination ai David di Donatello, 1 nomination al Golden Globe come miglior film straniero, e 1 Nastro d’Argento) ma costò molte critiche e proteste.  I costi di produzione sono stati troppo dispendiosi a fronte dei guadagni al botteghino? E la scelta di girare la scena d’uccisione di un toro per dissanguamento in Tunisia è stato un tentativo di aggirare le leggi italiane per la protezione animale? Al di là di queste perplesstià, che causarono qualche grana giuridica al nostro Tornatore, Baaria è una di quelle grandi narrazioni alla C’era una volta in America, ormai rare nel cinema odierno.

Baaria: locandina. Fonte: aforismi-meglio.it

La pellicola si snoda senza linearità temporale attorno alla storia di emancipazione di Peppino Torrenuova (Francesco Scianna), partendo da un’infanzia di stenti durante l’epoca fascista, passando per l’incontro con la bella Mannina (Margaret Madè) fino ad arrivare alla sua affermazione come segretario di sezione del Partito Comunista Italiano.

La vita di Peppino è però solo lo spioncino attraverso cui Tornatore getta lo sguardo su quella civiltà contadina che non esiste più e che ama raccontare tra magia e realismo, epica e narrazione popolare. Paesani che posano per farsi ritrarre sulla volta della chiesetta nelle vesti di apostoli, mostri di pietra così deformi da non poterli guardare (pena il parto di figli storpi), mosche intrappolate dentro trottole di legno, sembrano quadretti tinteggiati nelle leggende raccontate dai nostri nonni attorno al braciere.

La villa di Palagonia con i suoi “mostri”. Fonte:cinematographe.it

Azzeccata e in sintonia con la trama la scelta di attori siculi d’eccezione. Oltre a Madè e Scianna, Beppe Fiorello, Lo Cascio e altri: chi si aspettava di trovare in un film prevalentemente drammatico talenti comici come Nino Frassica, Ficarra e Picone o ancora Aldo Baglio?

2) La leggenda del pianista sull’oceano (1998)

Stavolta Tornatore si serve di un cast internazionale e delle musiche di Morricone per trasformare in pellicola il monologo teatrale Novecento di Alessandro Baricco. Il 1 gennaio 1900 il macchinista Danny Boodman (Bill Nunn) scova un neonato abbandonato sul transatlantico Virginian, cui darà il nome di Novecento.

Il bambino crescerà sulla nave allietando l’intero equipaggio grazie a una dote particolare: suonare il piano divinamente.

Novecento al piano. Fonte: popcorntv.it

 

La storia di Novecento (Tim Roth), narrata magistralmente da Tornatore, non è altro che l’esempio surreale di tutte quelle vite che non sanno camminare al passo con gli uomini normali e allora tentano di volare!  Musicisti affermati, uomini in cerca di fortuna, belle ragazze, famiglie disperate e soldati salgono e scendono dal Virginian dimenticandosi dell’oceano come fosse solo un effimero ponte di passaggio, proprio come ci si dimentica dell’infanzia.

Novecento nella cabina del Virginian. Fonte: tumblr

 

Novecento sembra guardarli tutti dallo scudo dei suoi “fancul*”, dall’oblò della sua ingenua genialità, quell’oblò dorato messo così bene a fuoco dalla fotografia di Lajos Koltai (vinse non a caso un David di Donatello e uno European Films Awards).

 L’uomo delle stelle (1995)

Se pensiamo all’amore per il cinema messo in scena da Tornatore, ci viene in mente Nuovo cinema paradiso. C’è pero un’altra perla  che racconta l’illusione magica della settima arte: questo film ha per protagonista Sergio Castellitto nei panni di Joe Morelli, agente del cinema in cerca di nuovi talenti. Morelli vaga a bordo del suo furgone per i paesini della Sicilia, “girando” provini a destra e a manca in cambio di 1500 lire a chiunque sogni di diventare una stella.

Davanti alla sua cinepresa accorrono in tanti a raccontarsi: il parrucchiere (Leo Gullotta) stanco delle derisioni per il suo essere “jarrusu” (gay), il brigadiere dei carabinieri (Franco Scaldati) che declama la Divina Commedia in siciliano, l’orfana Beata (Tiziana Lodato) che ha perso il conto dei suoi anni, il pastore (Vincent Navarra) che “talia” le stelle e con esse ci ragiona, proprio come in una lirica di Leopardi.

Il filosofo Walter Benjamin – a proposito del cinema- affermava: “ogni uomo contemporaneo avanza la pretesa di venire filmato”. E guardando L’uomo delle stelle possiamo dire che aveva ragione.

4) Nuovo Cinema Paradiso (1988)

Nuovo Cinema Paradiso è il secondo film di un giovanissimo Giuseppe Tornatore, il quale nonostante non avesse ancora molta esperienza, è comunque riuscito a creare un’opera d’arte cinematografica.

Tramite questa pellicola il regista omaggia la storia ed esalta l’essenza stessa del cinema; ci fa comprendere che dinnanzi alla proiezione di un film siamo tutti uguali e non possiamo fare altro goderci lo spettacolo offertoci.

La regia di Tornatore è magistrale: egli riesce perfettamente ad alternare il dramma alla commedia, scombussolando di continuo lo stato emotivo dello spettatore mantenendosi comunque entro certi limiti, riuscendo così ad esaltare in toto ogni aspetto della storia.

Alfredo e Salvatore mentre lavorano con il proiettore – Fonte: ciakclub.it

Da lodare sicuramente anche il lavoro svolto dal maestro Ennio Morricone, autore della colonna sonora che ci accompagna per l’intero film. La musica esalta i momenti cruciali del racconto e quella vena malinconica, udibile dalle sue note, rafforza esponenzialmente il concetto dell’importanza della memoria, uno dei principali temi del film. Non a caso la scena in cui Totò vede la sequenza dei baci precedentemente tagliati dal parroco,  rappresenta il fulcro dell’intera opera: ci fa comprendere l’immortalità e l’impossibilità di fermare il cinema.

Tutti gli attori presenti nel film mettono in atto delle interpretazioni convincenti e realistiche, soprattutto Marco Leonardi, nei panni di Salvatore da adolescente, e Philippe Noiret, nel ruolo di Alfredo, che hanno incantato ed emozionato il pubblico.

Osannato dalla critica internazionale, il film è stato premiato con l’Oscar ed il Golden Globe per il miglior film straniero nel 1990.

Una pura formalità (1994)

È impossibile analizzare il punto cardine di questo film perché inevitabilmente si cadrebbe in uno spoiler gigantesco. La regia anche stavolta è sublime, tant’è che ancora oggi in molte scuole di regia europee vengono studiate nel dettaglio le tecniche utilizzate in Una pura formalità.

Gérard Depardieu e Roman Polanski in una scena del film – Fonte: it.wikipedia.org

Ambientato in un’atmosfera onirica, il film presenta una serie di scenografie prettamente teatrali, dentro le quali si svolgono dialoghi sofisticati e pieni di metafore, funzionali per lo scorrimento del racconto.

Inoltre, le fenomenali interpretazioni di Gérard Depardieu e di Roman Polanski e l’attenzione maniacale del regista per i dettagli elevano questo film allo stato di capolavoro.

 

Giuseppe Tornatore appartiene ad una serie di registi che purtroppo segnano la fine di un’era del cinema italiano.

La sua capacità di saper narrare una semplice storia come se fosse una poesia è una caratteristica distintiva del suo genio.

Non ha mai rinnegato la sua terra d’origine, anzi ha esaltato le meraviglie, gli usi e i costumi della nostra splendida Sicilia. Quando guardiamo un suo film, oltre che gustarcelo, dentro di noi dovremmo essere fieri di essere siciliani.

Angelica Rocca, Vincenzo Barbera

 

Da tradito a “Traditore”: ritratto dell’uomo che svelò Cosa nostra a Falcone

Esattamente un anno fa veniva proiettata nelle sale italiane la pellicola “Il traditore” del regista Marco Bellocchio, incentrata sulla figura del boss pentito Tommaso Buscetta. Emblematica la data scelta per l’esordio, il 23 maggio, ricorrenza della strage di Capaci in cui persero la vita il magistrato Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta. Una provocazione dunque? Decisamente no. È noto a tutti infatti il ruolo che Buscetta giocò nel far conoscere a Falcone personaggi, vita, segreti e comportamenti di Cosa nostra.

 Fonte: Periodico Daily                      

Il traditore non vuole essere il classico biopic che racconta staticamente la vita di un determinato personaggio dalla nascita fino alla morte. Bellocchio tira fuori un ritratto psicologico anziché biografico di Don Masino, non lo assolve del tutto, come molta letteratura ha fatto, e non lo condanna, ma mostra semplicemente l’uomo o – per meglio dire – l’uomo d’onore.

La trama

La trama si concentra sulle vicende più significative che porteranno poi Buscetta a diventare collaboratore di giustizia, passando dai colloqui con Falcone fino a giungere al maxiprocesso. Il film comincia in medias res nel pieno folklore della festa palermitana di Santa Rosalia. Il mafioso Buscetta capisce che i Corleonesi con a capo Totò Riina stanno prendendo il sopravvento su Cosa Nostra e sulle famiglie dei mandamenti palermitani (di cui lui fa parte) e decide di scappare in Brasile: sarà noto alle cronache infatti come “il boss dei due mondi”.

Siamo al tempo della seconda guerra di mafia, Totò Riina fa uccidere molti familiari di Don Masino tra cui i figli. In Brasile Buscetta viene arrestato ed estradato In Italia. Totò Riina e Don Masino entrambi mafiosi ma anche così diversi: Bellocchio quasi gioca nel contrapporli. Riina vuole emergere in Cosa nostra mentre Don Masino preferisce godersi la vita,come una sorta di edonista.

Fonte: Sentieri selvaggi – Buscetta in Brasile

Cosa nostra si è trasformata, gli ideali di Don Masino e della vecchia mafia che non faceva del male a donne e bambini (cliché che tutti conosciamo e più volte rimarcato nella pellicola) non esistono più. Adesso gli affiliati fanno affari con il mercato della droga che uccide i giovani. Don Masino si sente tradito da Cosa nostra e da tradito decide di divenire il Traditore, linfame. Dunque uno degli interrogativi che il film ci lascia potrebbe essere questo: Tommaso Buscetta si sta pentendo della vita da criminale oppure si pente di aver fatto parte di un’organizzazione che non è più quella di quando egli stesso si era affiliato?

Fonte: Linkabile – Incontro tra i due schieramenti

L’incontro con Giovanni Falcone

Giungiamo così alle scene più emotivamente cariche di tutto il film. L’uomo dello Stato e delle istituzioni ha davanti a sé l’uomo dell’Antistato che confessa e svela nomi e segreti di una delle organizzazioni criminali più potenti di sempre. Due figure così diverse, così distanti, due figure che vengono accomunate dai gesti quotidiani, come offrire una sigaretta durante l’interrogatorio. L’uno rispettoso della dignità che l’altro a suo modo ha e viceversa. Insomma Falcone seduto alla scrivania di fronte a Don Masino che “racconta i fatti di Cosa nostra”. E qui si procede con qualche flashback.

Fonte: Dules.it – Falcone interroga Buscetta

                                   

È Fausto Russo Alesi a calarsi nel difficile compito dell’interpretazione del magistrato, il quale ha affermato di non aver scelto la strada dell’imitazione così da cercare di dare una carica quanto più realistica ad un personaggio di tale calibro.

L’interpretazione di Pier Francesco Favino

L’attore romano supera sé stesso. Diviene Don Masino e ora deve esprimersi in siciliano, ora in portoghese sino a giungere ad uno stentato italiano durante l’interrogatorio con Falcone e nel corso del maxiprocesso; il tutto avviene con una tale naturalezza da non sembrare neanche che Favino stia recitando.

Si passa poi ad una accurata mimica facciale e gestualità che imprimono quasi un certo elegante carisma ad un personaggio per sua natura rozzo. Grazie a questa sublime prova attoriale Favino ha conquistato un sacco di riconoscimenti tra cui il David di Donatello al miglior attore protagonista.

Fonte: Anonima Cinefili – Favino interpreta Buscetta nella scena del maxiprocesso

                    

Innumerevoli sono state le nomination e i premi cinematografici nazionali e internazionali per Il Traditore: ai David di Donatello riesce a portare a casa ben sei statuette tra cui miglior film, miglior regia, miglior attore protagonista, miglior attore non protagonista a Luigi Lo Cascio, miglior montaggio e miglior sceneggiatura originale.

 

Perché proprio in questa ricorrenza parliamo de “Il traditore” e di una figura come quella di Buscetta? Sicuramente per l’apporto che diede alle indagini di Falcone, ma non solo: conoscere il fenomeno mafioso è il primo passo per scardinarne le basi, nel ricordo di chi – nel farlo – ha dato tutta la sua vita.

                                                                                                                                                                                      Ilenia Rocca