Lilo & Stitch (2025): più Live-Action così, Disney!

Un live-action tratto dal classico Disney divertente ed emozionante che trova un compromesso con la modernità, riuscendo a conversare lo spirito del cartone. Da vedere! Voto UvM: 4/5

Lilo & Stitch” è un film del 2025 diretto da Dean Fleischer Camp. Nel cast sono presenti Maia Kealoha, Sydney Elizabeth Agudong, Chris Sanders (che presta la voce a Stitch nella versione originale, come nella versione animata), Zach Galifianakis, ecc. È il Remake In Live-Action di “Lilo & Stitch”, l’omonimo film d’animazione uscito nel 2002.

Trama

Una solitaria bambina hawaiana di nome Lilo (Maia Kealoha), sorellina della giovane Nani (Sydney Elizabeth Agudong), stringe un forte legame di amicizia con un alieno, l’esperimento 626 di nome Stitch, credendo si tratti di un cane ma che in realtà è stato creato dallo strambo scienziato Jumba Jookiba per essere un’arma di distruzione planetaria ed è giunto sulla Terra per sfuggire al suo controllo. Ora Stitch dovrà vedersela sia con gli umani che con gli alieni che lo inseguono, ma la permanenza sulla Terra e la compagnia della sua famiglia adottiva lo aiuteranno a scoprire il valore dell’amicizia e della famiglia.

 

Il fenomeno dei live-action Disney, tra alti e bassi

La Disney continua a realizzare Live-Action tratti dai suoi Classici, che hanno segnato l’infanzia (e non solo quella) di tante generazioni. Le nuove versioni non hanno soddisfatto pienamente il pubblico, arrivando anche a sfiorare il pregiudizio. Questo ha anche creato una sorta di paradosso: se sono completamente identici, non hanno molto senso. Qualora invece, risultino totalmente diversi dagli originali, non hanno senso ugualmente. Però, ci sono due aspetti oggettivi: i classici animati resteranno un passo avanti ed è giusto che i remake abbiano una propria impronta.

Se si realizza un remake, si cerca sempre di riproporre quella storia ma non verrà mai completamente identico all’originale. Ma è giusto così, perché chi realizza un film è sempre un autore e deve sempre lasciare una propria impronta. La differenza sta nel modus operandi adottato e non è vero che tutti i remake sono fatti allo stesso modo. Alcuni sono riusciti bene (es. Aladdin nel 2019); altri hanno diviso l’opinione pubblico (es. La Sirenetta nel 2023); altri hanno puntato sull’approfondimento di alcuni personaggi (Mufasa); altri sono stati un disastro (il recente Biancaneve). Adesso, è il turno di un remake su uno de i Classici Disney più amati di tutti i tempi: Lilo & Stitch.

Lilo & Stitch. Fonte: Cineocchio

 

Più live-action come Lilo e Stitch

Dopo la visione di questo remake, si può constatare che si ha davanti uno dei live-action Disney più carini e più riusciti di questo filone. Se si conosce a memoria il cartone animato del 2002, il remake non deluderà e farà anche salire la nostalgia ai fan di lunga data. Oppure, se i probabili nuovi fan si vedono direttamente il Live-Action senza aver visto la versione precedente, dopo avranno sicuramente voglia di recuperarlo. Ancora meglio, se si è proprio scettici nei confronti dei Live-Action in generale, questo di “Lilo & Stitch” (2025) ha tutte le carte in tavola per far abbattere il scetticismo di alcune persone diffidenti.

“Lilo & Stitch” è il Live-Action giusto per far ricredere su questo e dimostrare anche ai più scettici che se si mette passione ed impegno, il risultato può essere solo sorprendente. Fa esattamente quello che pochissimi Live-Action sono riusciti a fare finora, senza rincorrere la nostalgia ma addirittura venire incontro ad essa e abbracciarla forte. E’ un film fatto proprio da chi adora il cartone e trova un compromesso con ogni generazione, risvegliando il bambino interiore alle vecchie generazioni e attirando i bimbi e i ragazzini di oggi.

Stitch
Fonte: comingsoon

Lilo e Stitch e co. hanno sempre lo stesso carisma

“Lilo & Stitch” è uno dei Classici Disney più amati di tutti i tempi e ci vorrebbe una lunga lista per elencare le motivazioni, ma ci si sofferma sui più importanti. Appartiene ad una delle epoche d’oro della Disney, dove le storie divertivano ed emozionavano (ancora oggi). C’era anche lo spazio per dei bei messaggi, sempre attuali, e la possibilità di scoprire ed affezionarsi a dei personaggi divenuti iconici, nel tempo. “Lilo & Stitch” non è da meno, anzi è uno di quelli che riescono bene nell’impresa.

Lilo è una bambina stramba, ma in realtà è molto dolce e ha tanto amore da dare e sente il bisogno di riceverne, a sua volta. Sente molto la solitudine e soffre molto la perdita dei genitori. Dall’altra parte, c’è Stitch, un alieno tanto selvaggio quanto coccoloso, che scappa dai suoi creatori e cerca di sopravvivere e trovare una propria dimensione. Inizialmente, pensa che la soluzione sia un altro luogo fisico ma in realtà la sua dimensione è metaforico e una casa con le persone che ama e che lo amano, a sua volta.

Imparerà ad essere più umano degli uomini stessi e a conoscere i sentimenti. Lilo e Stitch sono completamente diversi solo nell’involucro, ma in realtà entrambi sono più simili di quanto sembrano e vogliono solo essere accettati. Questo rende la loro amicizia completa e unica e in questo remake, è pure più approfondita rispetto alla versione di “Lilo & Stitch” uscita nel 2002. C’è anche un’altra grande protagonista verso cui provare empatia: Nami, la sorella maggiore di Lilo che ha messo da parte sé stessa per lei. Una ragazza che lotta contro tutti e soprattutto, contro la paura di perdere anche Lilo, visto la dipartita dei suoi genitori.

Fonte: Nerdface.it

“Ohana” significa “Famiglia”. Lo spirito di Lilo e Stitch resta intatto

“Lilo & Stitch” è una storia che bilancia divertimento e dramma, lasciando spazio anche per la tenerezza. Ma la cosa importante sta nell’insegnamento del valore dell’amicizia e della famiglia, dell’accettazione e dell’emarginazione, a prescindere se si è umani o alieni. Il remake ripropone tutto questo, senza cascare nella superficialità e rimanendo nella semplicità. Trova il giusto compromesso con la modernità e ha delle sottili differenze che non stonano. Ma tralasciando quelle, la nuova versione conserva comunque la trama e lo spirito del film. I puristi potrebbero storcere il naso su queste differenze, ma il remake ha sempre una sua impronta e non è detto che alcuni elementi presenti nel cartone animato avrebbero funzionato allo stesso modo in live-action. Però, si sta parlando di differenze così poco importanti e la storia resta sempre la stessa, ossia divertente e commovente.

Il messaggio è sempre lo stesso e ci sta riproporre le stesse tematiche affrontate nella versione di “Lilo & Stitch” del 2002, oggi più che mai in una società che sembra che abbia dimenticato il valore di tali tematiche. E’ un film per famiglie è quello giusto per riproporle, con un linguaggio semplice, divertente e commovente. Anche perché, parte tutto da esse.

Ohana significa famiglia e nessuno viene abbandonato o dimenticato.

Un altro punto a favore nel remake sta nel cast, che comprende attori risultati adatti per i personaggi umani e il personaggio di Stitch risulta sempre coccoloso e tenero. La colonna sonora è praticamente la stessa, ma la CGI non è curatissima per gli alieni comprimari come lo è stata per Stitch, ma per alcuni di loro si è trovata una soluzione alternativa (rientra tra le differenze che non stonano) per non ricorrere troppo ad essa.

Da vedere assolutamente in sala.

 

Giorgio Maria Aloi

Thunderbolts*: un viaggio Marvel tra le emozioni umane

La Marvel potrebbe aver creato uno dei film migliori dopo Endgame Voto UVM: 4/5

 

La quinta fase dell’universo cinematografico della Marvel si conclude con il film giusto al momento giusto. Dopo molti bassi e pochi alti, Thunderbolts* regala ai fan una storia in pieno stile Marvel (quello che funziona fino ad End Game) portando sul grande schermo tematiche tanto importanti quanto difficili da affrontare in un cinecomic. E occhio alle scene post credit, fondamentali per il futruro del MCU!

Un’ultima missione prima di cambiare vita

Yelena Belova, sorella della compianta Natasha Romanoff, passa la vita ad eseguire missioni clandestine per conto dell’ex direttrice della CIA Valentina Allegra de Fontaine. Le sue giornate sembrano non avere uno scopo reale, e tutto ciò che prova è solo una grande apatia che cerca di annegare nell’alcol e nel lavoro. Un giorno, dopo una visita a Red Guardian suo padre putativo, decide di abbandonare la vita da agente segreto per dedicarsi alle pubbliche relazioni. Prima di ritirarsi però, decide di svolgere un’ultima missione per conto di Valentina.

La missione si rivela essere presto una trappola e la Vedova si ritrova bloccata in un edificio con gli altri agenti che hanno lavorato per Valentina: U.S Agent, Taskmaster e Ghost. Nell’edificio c’è anche un ragazzo che soffre di amnesia di nome Bob. Bob non sembra avere alcun superpotere ma, quando tocca gli altri fa rivivere loro alcuni di momenti più traumatici delle loro vite. Ben presto gli agenti di Valentina si troveranno a dover lottare per la propria vita e per quella dell’intero pianeta contro un’oscura minaccia.

Thunderbolts* Regia: Jake Schreier Distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures
Thunderbolts* Regia: Jake Schreier Distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures

 

Thunderbolts* è una storia di antieroi

Ciò che il regista Jake Schreier mette in scena con Thunderbolts*, è una storia di antieroi. Yelena, U.S Agent, Ghost, Red Guardian, il Soldato di Inverno e Bob/Sentry hanno tutti in comune un passato burrascoso. Tra chi è stata cresciuta come assassina, chi si è macchiato le mani del sangue di innocenti e chi ha passato la vita a servire il proprio paese per poi essere dimenticato non c’è spazio per veri eroi. E anche Bob/Sentry, ha passato la vita tra l’abuso di droghe e abusi emotivi che lo hanno inevitabilmente segnato. Nessuno è acclamato dalla folla e nessuno ha grandi poteri: sono solo esseri umani armati di pistola e superforza che ogni giorno cercano di affrontare sé stessi e i propri demoni.

 

Un racconto audace ma in pieno stile Marvel

Jake Schreier realizza una delle migliori pellicole dell’universo cinematografico Marvel del post End Game e, per farlo torna al passato. Niente multiverso, niente salti temporali e niente storie di origini. Thunderbolts* al contrario, riprende quella formula rodata del film corale che ha fatto la fortuna di Avengers e de I Guardiani della Galassia. Il regista riprende la stessa struttura vincente dei film di James Gunn e dei fratelli Russo con tanto di omaggi alle loro opere, dirigendo una pellicola dove le interazioni tra i personaggi sono alla base del funzionamento della storia.

Nonostante il dichiarato tono più serio della pellicola, non manca l’umorismo in pieno stile Marvel. A sorreggere la linea comica della pellicola è il Red Guardian di David Harbour, personaggio al quale non mancano anche i momenti di profonda riflessione. Schreier alla rodata formula Marvel aggiunge con audacia, una profonda riflessione sull’animo umano in parte simile a quella vista in Guardiani della Galassia Volume 3.

Thunderbolts* Regia: Jake Schreier Distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures
Thunderbolts* Regia: Jake Schreier Distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures

L’unione fa la forza

Il più grande pregio di Thunderbolts* è quello di raccontare la storia più umana di tutte. La pellicola di Jake Schreier sfrutta i supereroi, o meglio gli antieroi e Bob, per raccontare l’esistenza dell’animo umano e dei suoi demoni. Solitudine, depressione, alcolismo, vergogna e inadeguatezza sono raccontate attraverso gli antieroi protagonisti della pellicola. Ognuno di noi, chi più chi meno, come i membri dei Thunderbolts, a volte sente un vuoto interiore che alcune volte sembra avere la meglio. Ma allo stesso modo di come i Thunderbolts devono unire le proprie forze per superare gli ostacoli sul loro cammino, da certe situazioni si esce solo con l’aiuto di chi ci è vicino. Un abbraccio può essere il vero superpotere per sconfiggere quel vuoto che a volte ci attanaglia. In fin dei conti, questa pellicola della Marvel altro non è che una storia degli esseri umani dietro la maschera da eroe.

 

Thunderbolts*, un cast centrato guidato da Florence Pugh

La nuova squadra di antieroi trova nel cast uno dei suoi punti di forza. Torna Sebastian Stan nei panni di Backy, con un’interpretazione forse un po’ troppo mono espressiva. Florence Pugh regala un’interpretazione solida e convincente, che consacra ulteriormente l’attrice inglese anche nei ruoli d’azione. David Harbour (Red Guardian) e Wyatt Russell (U.S Agent) si trovano perfettamente a loro agio nel ruolo del super soldato pieno di rimorsi e, Julia Louis-Dreyfus riprende in maniera convincente il ruolo di Valentina Allegra de Fontaine. Bill Pullman, figlio d’arte come anche Wyatt Russell, interpreta un ottimo Bob/Sentry che tornerà nelle prossime pellicole del MCU già dal prossimo Avengers.

Francesco Pio Magazzù

 

“La casa degli sguardi”: Luca Zingaretti per la prima volta alla regia

“La casa degli sguardi” ci insegna a rielaborare un dolore facendo pace con la vita. Voto UVM: 4/5

 

L’11 Aprile è uscito al cinema “La casa degli sguardi”, un film in cui vediamo Luca Zingaretti, uno degli attori italiani più amati, in una posizione diversa dal solito, ovvero quella di regista oltre che di attore. Questa sua opera prima, presentata in anteprima alla Festa del cinema di Roma, è tratta dal romanzo d’esordio (oltre che autobiografico) di Daniele Mencarelli (pubblicato nel 2018), stessa penna di “Tutto chiede salvezza”, dal quale è stata tratta la serie Netflix di grande successo, divisa in due stagioni (la prima uscita nel 2022 e la seconda nel 2024) per la regia di Francesco Bruni.

Trama de “La Casa degli Sguardi”

Marco (interpretato da una delle “nuove leve” del cinema italiano, Gianmarco Franchini), 23enne romano rimasto solo col padre dopo la perdita della madre avvenuta qualche anno prima, causa un incidente con il rischio di finire in galera. A seguito di ciò, proprio grazie al padre (Luca Zingaretti) e un suo amico editore (Filippo Tirabassi) riuscirà a trovare un lavoro da inserviente presso l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. Proprio sul posto, dopo un accoglienza non proprio calorosa, conoscerà i suoi compagni di lavoro e/o di turno, che inizialmente lo metteranno alla prova, ma che presto si riveleranno essere anche degli amici, ovvero Giovanni (Federico Tocci), Claudio (Alessio Moneta), Luciano (Riccardo Lai) e Paola (Chiara Celotto).

Fonte: Today
Fonte: Today

Tra le varie amicizie di Marco c’è quella con un bambino (di nome Alfredo detto “Toc Toc”) ricoverato nella struttura. I due riescono a comunicare dalla finestra della sua stanza, attraverso disegni e/o gesti. Non si conoscono molto bene, ma questo non impedisce all’affetto di prendere il sopravvento.

L’elaborazione del dolore

“Secondo me questa storia parla della capacità straordinaria che hanno tutti gli esseri umani di rialzarsi dopo che la vita gli ha dato una bastonata”

Così l’attore e regista si è espresso durante la presentazione del suo film a Messina. La storia di Marco, impersonificato strepitosamente da Gianmarco Franchini (conosciuto per il ruolo di Manuel in “Adagio”, diretto da Stefano Sollima, uscito nel 2023) può essere la storia di ognuno di noi. Questo, prima ancora di Zingaretti con il film, lo fa intendere molto bene Daniele Mencarelli con il romanzo, poiché è proprio grazie alla storia del protagonista che lui racconta un momento difficile della sua vita.

La vita di Marco, a seguito della perdita della madre, è un pendolo che oscilla tra l’abuso di alcool e droga e la passione per la poesia. A causa della dipendenza, sviluppa uno stato di incoscienza così profondo da non lasciar trasparire nemmeno l’angoscia di esistere. Si ritrova ad essere un ragazzo in fuga da se stesso prima ancora che dal dolore, e proprio per questo viene abbandonato dagli amici e dalla fidanzata. A stargli accanto, nonostante le difficoltà, c’è il padre, che prova ad aiutarlo in ogni modo possibile.

Fonte: Lucky Red
Fonte: Lucky Red

 

La Casa degli Sguardi: fare pace con la vita

Quello che “La casa degli sguardi” ci insegna, attraverso la penna di Mencarelli prima e la regia di Zingaretti poi, è che osservare da vicino il dolore può aiutare ognuno di noi a riappacificarci con la vita. E’ proprio attraverso l’accettazione del dolore, parte ineludibile della nostra esistenza, che è possibile ritrovare  la voglia di vivere e di andare avanti, inseguendo i nostri sogni e le nostre passioni. Non è poi un caso se il film si conclude con un pezzo, composto appositamente da Michele Brega, dal titolo “Fate largo ai sognatori”, lasciando così nessuna certezza ma grandi speranze per un ragazzo che ha voglia di riprendere in mano le redini della sua vita.

 

 

Rosanna Bonfiglio

Marracash e l’incomunicabilità: l’Uomo, la Società e il Vuoto Contemporaneo

L’arte, quando è profonda, si manifesta come una riflessione sul tempo in cui nasce e sulle tensioni che lo attraversano. Negli ultimi tre album di Marracash (Persona, Noi, loro, gli altri ed È finita la pace), il rapper milanese ha costruito un percorso concettuale che non è solo autobiografico, ma si allarga a una visione esistenziale e politica della società contemporanea. Questo trittico musicale, nelle sue tematiche e nella sua costruzione narrativa, trova una corrispondenza sorprendente con la Trilogia dell’Incomunicabilità di Michelangelo Antonioni (L’avventura, La notte, L’eclisse), ma anche con film come Persona di Ingmar Bergman.

Persona: la frattura dell’io

L’album Persona (2019) è un’opera-manifesto, in cui Marracash scompone il proprio io come fosse un personaggio pirandelliano o un uomo immerso in un dramma esistenziale alla Bergman. Il titolo stesso rimanda al concetto di persona come maschera, un tema centrale nel cinema di Bergman, e in particolare nel suo film Persona (1966), dove il confine tra sé e l’altro si sfalda fino a diventare indistinguibile.

Non sono come te. Non mi sento come te. Sono Suor Alma, sono qui solo per aiutarti. Non sono Elisabet Vogler. Tu sei Elisabet Vogler.

In Persona, Marracash affronta questa crisi attraverso i titoli delle canzoni, che rimandano a parti del corpo, quasi a suggerire un tentativo di ricomporre un’identità fratturata. Il racconto si fa profondamente intimo: si parla di successo, depressione, amore tossico e della percezione pubblica di sé.

Non so se è amore o manipolazione
Desiderio od ossessione
Se pigrizia o depressione
Che finisca per favore, che esaurisca la ragione

Il parallelismo calza a pennello con il film di Bergman, dove la protagonista, un’attrice che smette improvvisamente di parlare, si sdoppia nella sua infermiera, fino a fondersi con lei. Allo stesso modo, Marracash esplora la sua identità artistica e umana, smascherando le contraddizioni tra ciò che è davvero e l’immagine che gli altri hanno di lui. Il risultato è un’opera che riflette sul tema dell’identità personale nel mondo dello spettacolo e oltre.

Noi, loro, gli altri: il senso di estraneità

Il secondo capitolo, Noi, loro, gli altri (2021), sposta il focus dall’individuo alla società, dalla dimensione personale a quella collettiva. Marracash ragiona su come la realtà esterna influenzi l’identità, analizzando il divario tra noi (chi sente di appartenere a una comunità), loro (l’élite o il potere) e gli altri (gli emarginati, gli esclusi).

Questo discorso trova un parallelo perfetto con la Trilogia dell’Incomunicabilità di Antonioni, in particolare con L’eclisse (1962), film che mostra il progressivo svuotamento emotivo dei personaggi, incapaci di trovare un senso nel mondo moderno.

Così come nel film, anche nell’album di Marracash domina un senso di disillusione: il successo e il potere non colmano il vuoto, mentre la società è sempre più frammentata.

Volevo davvero questo? Tutta la vita che ci penso (Dubbi)

Nel brano Dubbi, ad esempio, si avverte l’angoscia di una realtà in cui le divisioni sociali ed economiche rendono impossibile la comunicazione tra le classi, esattamente come i personaggi di Antonioni che, pur parlando, non riescono davvero a comprendersi.

Chissà perché si fanno tante domande? Io credo che non bisogna conoscersi per volersi bene. E poi, forse, non bisogna volersi bene.

Il finale di L’eclisse, con la dissolvenza su strade deserte e lampioni che si accendono, suggerisce un mondo privo di significato, e lo stesso si può dire per l’album di Marracash, che lascia più domande che risposte.

È finita la pace: il collasso dell’illusione

Con È finita la pace (2024), Marracash completa il percorso spostando il focus sul presente: la pace interiore e sociale è ormai perduta. L’album non parla più solo della crisi dell’individuo (Persona) o delle strutture che lo circondano (Noi, loro, gli altri), ma dell’impossibilità di ristabilire un equilibrio. Il titolo stesso suggerisce un punto di non ritorno, un’irreversibilità della crisi.

In questa fase, il parallelo cinematografico potrebbe essere con La notte (1961) di Antonioni, dove il rapporto tra i protagonisti (una coppia in crisi) riflette un malessere esistenziale più ampio.

Se stasera ho voglia di morire, è perché non ti amo più. Sono disperata per questo. Vorrei essere già vecchia per averti dedicato tutta la mia vita. Vorrei non esistere più, perché non posso più amarti.

Anche Marracash affronta il tema della fine delle illusioni: le relazioni affettive sono logorate, il sistema è irrecuperabile, il tempo non porta redenzione.

Escono di casa uno straccio, senza neanche un abbraccio, con il cuore d’intralcio quelli come me.

Un altro parallelo interessante è con Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pasolini (1975), in cui il potere e la violenza diventano l’unica legge. È finita la pace sembra suggerire che la realtà attuale, tra guerre, disuguaglianze e alienazione, è diventata un luogo in cui non si può più trovare una via d’uscita.

Marracash

Marra Stadi 25: Messina attende il King del Rap

È l’artista delle sfide, dei record e delle ambizioni sempre più alte. Marracash non smette mai di superarsi, conquistando pubblico e critica con ogni nuovo traguardo. Dopo aver vinto la Targa Tenco e creato un festival unico per il rap italiano, è pronto a scrivere un’altra pagina di storia: con MARRA STADI 2025, sarà il primo rapper a portare un intero tour nei grandi stadi italiani.

Anche la Sicilia sarà protagonista di questo evento straordinario. Il 5 luglio 2025, Messina accoglierà la tappa imperdibile del tour allo Stadio San Filippo – Franco Scoglio, pronta a trasformarsi in un’arena di pura energia.

L’evento è organizzato da Puntoeacapo, in collaborazione con il Comune di Messina, sotto la guida del Sindaco Federico Basile, e l’Assessorato agli Spettacoli e Grandi Eventi Cittadini, rappresentato da Massimo Finocchiaro.

Gaetano Aspa

Milazzo film festival 2025: tra cinema, musica e teatro

Il Milazzo Film Festival si è appena concluso, ma anche quest’anno ha regalato grandi emozioni a tutti gli appassionati di cinema e non, grazie a un intenso programma ricco di ospiti di spessore.

La diciannovesima edizione del festival è iniziata il 5 Marzo,  caratterizzata da un connubio di cinema, musica e teatro in un evento coinvolgente. La kermesse si è aperta con uno spettacolo dell’attore e regista Sergio Rubini ed è proseguita con un gran numero di proiezioni di ogni genere. Il pubblico ha potuto assistere ai cortometraggi in concorso poi premiati, ai corti di repertorio provenienti direttamente dal Museo Nazionale del Cinema di Torino, che hanno mostrato al pubblico la Sicilia di una volta. Inoltre, sono state effettuate le grandi proiezioni, come L’uomo nero di Sergio Rubini, L’arminuta di Giuseppe Bonito, il docufilm Pino Daniele – Nero a metà di Marco Spagnoli e tanti altri.

Milazzo Film Festival
I presentatori del Milazzo Film Fest intervistano Sergio Rubini. Ph: Marco Castiglia

Tra gli ospiti hanno presenziato personaggi come Vanessa Scalera, il regista Marco Tullio Giordana, di cui il festival ha proiettato alcuni film come Lea e La vita accanto. Presente anche Sonia Bergamasco che, in questa occasione, ha presentato il suo ultimo libro Un corpo per due e il docufilm che l’ha vista alla regia, Duse.

Tra incontri con le scuole, conferenze e consegne di premi,  il festival ha mantenuto alta l’attenzione fino alla sua conclusione, avvenuta il 9 Marzo con l’ultima proiezione, Familia di Francesco Costabile, alla quale ha preso parte anche il giovane Francesco Gheghi, anch’egli ospite della manifestazione.

Anche quest’anno, il Milazzo Film Festival ha confermato il suo valore e, al pari delle edizioni precedenti, è stato in grado di suscitare grandi emozioni.


Marco Castiglia

 

Milazzo Film Fest 2025: La Vita Accanto

La Vita Accanto è un film del 2024, co-scritto (insieme a Marco Bellocchio) e diretto da Marco Tullio Giordana. È l’adattamento cinematografico del romanzo di Mariapia Veladiano e vanta un cast composto da Sonia Bergamasco, Valentina Bellè, Paolo Pierobon, Beatrice Barison, Sara Ciocca, Viola Basso e altri.

Trama

Il film è ambientato tra gli anni Ottanta e il Duemila e racconta di un’influente famiglia vicentina composta da Maria (Valentina Bellè), suo marito Osvaldo (Paolo Pierobon) e la gemella di quest’ultimo, Erminia (Sonia Bergamasco), affermata pianista. La loro vita viene sconvolta da un evento imprevedibile: Maria dà alla luce Rebecca.

La neonata, per il resto normalissima e di straordinaria bellezza, presenta un vistosa macchia purpurea che le segna metà del viso. Quella macchia, che nulla può cancellare e rende i genitori impotenti e infelici, diventa per Maria un’ossessione tale da precipitarla nel rifiuto delle sue responsabilità di madre. L’intera adolescenza di Rebecca sarà segnata dalla vergogna e dal desiderio di nascondersi dagli altri.

Eppure, fin da piccola, Rebecca rivela straordinarie capacità musicali. La zia Erminia riconosce il suo talento: Rebecca diventa sua allieva e il bisogno di cancellare la “macchia” la spingerà ad affermarsi attraverso la musica.

Il tocco elegante di Giordana

Marco Tullio Giordana è un regista italiano affermato, che ha saputo spaziare tra il cinema, televisione e teatro. Ha sempre raccontato le storie con una maestria particolare, senza cadere nel banale, anche quando si è trovato ad adattare sceneggiature non originali.

Spesso, pensando alle pellicole di Giordana, vengono in mente film come La meglio gioventù, I cento passi, Lea e altre opere che, da una prospettiva ben definita, affrontano dinamiche sociali o fatti di cronaca. Questa volta, è stato il romanzo di Mariapia Veladiano a catturare l’attenzione del regista, o forse è stato il libro a scegliere lui, come se il destino avesse voluto che le loro strade si incrociassero. E Giordana, ha usato il tocco giusto.

La Vita Accanto
Fonte: MyMovies.it

La “vita accanto” e la macchia della famiglia

La macchia rossa in questione è quella della piccola Rebecca, la protagonista del film. Una bambina bellissima, nata dall’unione di Maria e Osvaldo, che però, fin dal  momento della  nascita, non viene accolta dalla madre. Questo segna profondamente la bambina, poiché la madre dovrebbe essere la figura più importante della sua vita. Invece, Maria si rivela un personaggio contraddittorio e oscuro con cui, inizialmente, si fa fatica ad entrare in empatia. Utilizza le sue fragilità e la sua depressione come una sorta di scusa per allontanare la figlia e farla sentire inadeguata, colpevolizzandola per via di quella macchia che, secondo lei, avrebbe rovinato quella bambina tanto voluta.

Giordana mirava proprio a questo: entrare in quelle quattro mura e, sfiorando a tratti un tocco teatrale, raccontare una famiglia appartenente all’alta borghesia, spezzandone le ipocrisie e mostrando le loro fragilità e paure. Tutto questo, si incarna figura della madre, venendo fuori quando sprofonda nella depressione post-parto che si fa totalmente schiacciare da essa e dalla paura del giudizio altrui, tanto da voler tenere sua figlia nascosta, come se fosse il Gobbo di Notre Dame.

Dall’altra parte, Rebecca ha quella macchia, ma trova forza nel suo talento musicale, incoraggiata dalla zia Erminia. La musica diventa l’unico modus operandi per esprimere il peso che porta dentro e colmare il senso di vuoto. Man mano che cresce, si fa sempre più forte, mentre la sua evoluzione è in corso, nella madre sta avvenendo l’involuzione, fino a percepirla sempre più distante. Una “vita accanto” che scorre fino a quando un evento drammatico spinge la piccola a prendersi sulle spalle altre colpe.

La Vita Accanto
Fonte: Articolo21.org

Il finale che segna una rinascita

Il film scorre con una regia elegante, spesso in contrasto con un montaggio non sempre fluido, che crea passaggi bruschi tra le diverse fasi della vita della protagonista, talvolta sovrapponendo gli anni e generando qualche disorientamento temporale.

Tuttavia, è il corpo il vero fulcro della narrazione del regista, che si sofferma sull’identità imprescindibile e sull’apparenza sociale. Tutto è reso efficacemente in scena, a tratti statica, anche grazie alla presenza di bravissimi attori.

Tutto questo, sfiorando persino la dimensione della fantasia, conduce a un finale che, in un certo senso, segna la rinascita della protagonista. Quel dialogo con quel fantasma che è rimasto accanto a lei per tutta la vita, sia fisicamente che mentalmente, rappresenta il momento decisivo. La continua ricerca di consapevolezza segna la fine di quel passaggio difficile, e dalle ceneri rinasce una nuova Rebecca, più consapevole e pronta per la “normalizzazione”. Si può dire che la sua vita inizia in quel momento, non perché la macchia sia sparita, ma perché ha raggiunto l’equilibrio interiore e si è, finalmente, liberata di quei pesi. La macchia era il simbolo metaforico del peso di una madre che non è mai stata davvero accanto a lei, ma ora che ha scoperto la verità, Rebecca la guarda da un’altra prospettiva ed è finalmente pronta a vivere davvero, spiccando il volo.

 

Giorgio Maria Aloi

 

Salò o come Pasolini raccontò del fascismo

Salò o come Il fascismo sia lo stupro dell’anima. Voto UVM: 5/5

Salò o le 120 giornate di Sodoma è un film scritto e diretto da Pierpaolo Pasolini nel 1975. Il terribile capolavoro è tratto dal romanzo incompiuto del Marchese Donatien Alphonse François de Sade scritto in prigione nel 1785. Pasolini concepì questo film come primo lungometraggio di una trilogia detta “della morte”, iniziata subito dopo il termine della trilogia della vita la quale comprende Il Decameron; I racconti di Canterbury e Il fiore delle Mille e una notte. Sfortunatamente Salò vide la luce in sala solo un anno dopo l’omicidio del grande poeta e regista. Oggi il nostro cult viene considerato un Dogma da chi fu in grado di vederlo e un oscuro mistero viscido da tutti gli altri.

UNA TRAMA DANTESCA

Il nostro film si apre nell’Antinferno con uno sguardo limpido sulla Repubblica fascista di Salò tra il 1944 e 45. In questo scenario drammatico 4 Signori rappresentanti del potere fascista, un Duca, un Monsignore, un Eccellenza e un Presidente, incaricano i soldati della Repubblica di rapire 9 ragazzi e 9 ragazze provenienti da famiglie Antifasciste. I nostri giovani martiri verranno rinchiusi in una villa e saranno sottoposti per 120 giorni a delle esperienze di sodomia al di là della dignità del genere umano; il tutto gestito dai racconti di 4 prostitute che proprio come Virgilio nella Divina Commedia dipingeranno i gironi che le nostre vittime affronteranno, il girone delle Manie, della Merda e del Sangue. Non mi pronuncerò ulteriormente sulla trama poiché:
trasumanar significar per verba non si poria; però l’essemplo basti a cui esperienza grazia serba.
Paradiso; Canto I: vv70-72

Salò o le 120 giornate a Sodoma
I 4 Signori della Repubblica di Salò. “Salò o le 120 giornate a Sodoma” (1975) di Pierpaolo Pasolini. Alberto Grimaldi per PEA/Les Productions Artistes Associés.

PASOLINI O IL CINEMA DELLA CRUDA VERITÀ

Pierpaolo Pasolini fu il Vate della denuncia cinematografica della seconda metà del ‘900. Accattone (1962) e seguenti furono tutti film di eccezionale critica sociale. Pasolini raccolse i semi del Neorealismo Italiano per descrivere le pagine più infelici della povertà, della rabbia e della frustrazione italiana dando sfogo ai sentimenti che i più deboli non riuscirono mai a mostrare. Per questo e altri mille motivi il regista fu sempre un personaggio scomodo e giudicato da molti per il suo metodo necessario e anticonformista di esprimere la verità.

I PERSONAGGI DI PASOLINI

Una caratteristica dei personaggi che incontriamo all’interno dei film di Pasolini è la loro derivazione, la maggior parte di essi sono attori raccolti dalla strada, attori che più di altri possono incarnare la vera disperazione umana, molti di loro hanno voci fastidiose e non sanno neanche parlare in italiano ma sono proprio loro i soggetti che egli predilige. Se entrare in empatia con un professionista è facile, immaginate farlo con qualcuno che non ha mai letto un libro ma riesce ugualmente a palesare la stessa sofferenza di un attore.

LA CREAZIONE DI UN MOSTRO O IL TESTAMENTO PER ECCELLENZA DI PASOLINI

Pasolini dichiara apertamente che Salò sarebbe stato un film sbagliato, un film che non sarebbe mai stato apprezzato né dalla sua né dalle generazioni successive poiché usare la violenza carnale per descrivere cosa sia stato il fascismo in Italia e nel mondo non sarebbe mai stato valutato in modo positivo e costruttivo, ma il regista non avrebbe potuto utilizzare altre maniere se non quelle per descrivere a pieno tutto ciò che ancora oggi vien preso sottogamba. Se si riesce a trascendere dal pensiero estremista-comunista di Pasolini, e di conseguenza se si guarda la pellicola con neutralità politica, si comprende a pieno quanto di più orribile il potere può fare se vi si trova nelle mani sbagliate.

UN BIGLIETTO PER L’INFERNO

La cosa che più inquieta della pellicola è la sua capacità di riportarci a quegli anni respirando la densa tensione della guerra e della violenza che ha un inizio ma non si sa se avrà mai una fine. Nessuno saprà mai se quegli atti di violenza siano stati riprodotti realmente e occultati in seguito o se mai sia stato fatto qualcosa anche lontanamente simile e ciò, insieme alla presenza di attori non attori, rende la visione ancora più disturbante.

Salò o le 120 giornate a Sodoma
Il matrimonio. “Salò o le 120 giornate a Sodoma” (1975) di Pierpaolo Pasolini. Alberto Grimaldi per PEA/Les Productions Artistes Associés

IL FILM ESTREMO PER ECCELLENZA

Quando penso ad un film grottesco ed eccessivo, nonostante gli infiniti cataloghi che ci sono, la prima cosa che mi viene in mente è Salò o le 120 giornate di Sodoma. Questo film è talmente capace di farti entrare all’interno di quella villa infernale che inevitabilmente porta lo spettatore a dover fare una pausa durante la visione perché si rischia di non riconoscere più la realtà, e questo potrebbe procurare grande disturbo, disgusto e forti attacchi di panico. Il film era solo il primo di una trilogia che non ha mai potuto vede la luce e ancora oggi ci interroghiamo di quale terribile visione siamo stati privati per colpa dell’omicidio Pasolini. Forse il pubblico non avrebbe sopportato tale violenza.

Salò o le 120 giornate a Sodoma
I signori si presentano ai ragazzi rapiti “Salò o le 120 giornate a Sodoma” (1975) di Pierpaolo Pasolini. Alberto Grimaldi per PEA/Les Productions Artistes Associés

«Deboli creature incatenate, destinate al nostro piacere, spero non vi siate illuse di trovare qui la ridicola libertà concessa dal mondo esterno. Siete fuori dai confini di ogni legalità. Nessuno sulla Terra sa che voi siete qui. Per tutto quanto riguarda il mondo, voi siete già morti.»
(Il Duca)

Pierfrancesco

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Conclave: un thriller filosofico-politico sulle debolezze umane

Conclave, un un thriller filosofico e politico sulle debolezze umane. Voto UVM: 5/5

Il regista tedesco Edward Berger, dopo il successo di Niente di nuovo sul fronte occidentale, torna a raccontare l’essere umano e le sue debolezze. Ma se nella pellicola vincitrice di 4 Oscar, la guerra faceva da sfondo, in Conclave è il mondo ecclesiastico ad essere protagonista.

Morto un Papa…

La sede pontificia è vacante, il Papa è morto e i cardinali devono riunirsi il più presto possibile in conclave per eleggere il nuovo pontefice. Ad assicurarsi che tutto proceda secondo la volontà di Dio è il Decano britannico Thomas Lawrence, che presto si renderà conto di quanto ben poco di divino ci possa essere dentro un conclave. A contendersi la guida del Vaticano ci sono diversi cardinali, tutti espressione di una diversa visione della Chiesa. L’italiano ultraconservatore Goffredo Tedesco, il progressista Aldo Bellini, l’africano Joshua Adeneya e l’americano Trembley sono i pretendenti al sacro scranno papale. Sullo sfondo anche lo sconosciuto cardinale sudamericano Vincent Benitez, ordinato in pectore dal Papa in persona mentre era in istanza a Kabul.

Conclave Regia: Edward Berger Distribuzione: Eagle Pictures

Conclave: uno scontro umano e politico

Berger, nell’adattamento del romanzo da cui è tratta la sua pellicola, non risparmia pesanti critiche alla Chiesa. In un contesto sociale in subbuglio, in una Roma assediata dalle bombe, il regista tedesco ci racconta di un conclave animato da strategie politiche e visioni contrastanti. Alcuni cardinali sono pronti a tutto pur di diventare Papa, e il Decano Thomas Lawrence interpretato magistralmente da Ralph Fiennes si troverà ben presto a dover fare i conti con una realtà fatta di essere umani. E come ogni essere umano, anche i cardinali non mancano di segreti, di pensieri e di peccati. D’altronde il papato è anche una figura politica, e i cardinali fanno politica in nome della loro visione di Dio e della Chiesa. Conclave non perde occasione per mostrare i conflitti e le contraddizioni dei cardinali e nel farlo ci pone spesso dei quesiti filosofici.

Quale futuro per la Chiesa?

Ad essere conteso non è solo il ruolo di Papa, ma è anche e soprattutto il futuro della Chiesa. Conclave infatti ci racconta lo scontro filosofico e teologico che da secoli coinvolge la Chiesa e che nel nostro secolo sembra più forte che mai. I fedeli diminuiscono sempre di più, lo scontro di religioni ha raggiunto Roma e i cambiamenti sociali che investono la società non possono più essere ignorati. Quale futuro allora per la Chiesa? Ritornare ad un passato conservatore di protezione o aprirsi alla società contemporanea e ai suoi cambiamenti? Il susseguirsi della votazione e delle fumate nere portano con sé un crescendo di tensione emotiva che tiene il fiato sospeso.

Un cast eccezionale che muove la pellicola

La forza di Conclave sta tutta nel suo eccezionale cast. Accanto ad un magistrale Ralph Fiennes, troviamo Stanley Tucci che interpreta il cardinale progressista Bellini e Sergio Castellitto che dà vita al cardinale italiano ultraconservatore Tedesco. John Litgow nei panni del cardinale Trembley e Isabella Rossellini nei panni di suor Agnes completa un cast d’eccezione che muove e che dà forza alla pellicola di Berger. Sono infatti le interpretazioni a caratterizzare umanamente i cardinali e loro idee e a mostrarci la loro visione della Chiesa. Il contrasto e il confronto nel conclave sono prima di tutto umani, e le varie interpretazioni si muovono all’unisono convincendo e creando quella tensione emotiva che accompagna tutta la pellicola.

Conclave Regia: Edward Berger Distribuzione: Eagle Pictures

Conclave, un finale forse troppo politically correct

Come in Niente di nuovo sul Fronte Occidentale, anche in Conclave il reparto tecnico è eccezionale. Una splendida fotografia e una potente colonna sonora evocativa accompagnano lo spettatore tra i corridoi vaticani e nelle riflessioni dei cardinali. Ancora una volta Berger non lascia niente al caso realizzando un’opera che sul piano tecnico è quasi magistrale. Ma se sul lato tecnico la pellicola non ammette alcuna critica, la scrittura del film è forse la parte dove il regista avrebbe potuto osare di più. Scegliendo di rimanere fedele all’opera letterale da cui è tratta la sceneggiatura, Berger confeziona un finale forse fin troppo politically correte dove manca il coraggio di osare con la stessa forza con la quale è mossa la critica alla Chiesa.

Un thriller filosofico e politico che convince

Nel complesso Conclave è un thriller filosofico e politico che convince. Tra misteri e segreti le solide interpretazioni e la storia raccontata creano una tensione emotiva continua nello spettatore e creano numerosi quesiti filosofici al cui sicuramente ciascuno darà una propria risposta. La pellicola di Berger, pur schierandosi apertamente in una critica non troppo moderata verso gli esseri umani che reggono la Chiesa, non cade nella facile demonizzazione della stessa mostrandoci che al suo interno ci sono diverse scuole di pensiero. Sta poi allo spettatore decidere quale abbracciare, tenendo sempre presente che le divisioni non portano mai a nulla di positivo.

 

Francesco Pio Magazzù

La guerra dei Rohirrim: si torna sempre dove si è stati bene

Rhoirrim
questo film d’animazione in stile anime da un lato rincorre l’epicità dei film di Peter Jackson, dall’altro cade sotto i colpi di una narrazione non sempre eccellente e di un’animazione a dir poco scadente. – Voto UVM 2/5

Tornare dove si è stati bene non è sempre facile, e La guerra dei Rohirrim ne è stata la prova. lo sa Frodo Baggins, tornato nella Contea dopo un viaggio che lo ha cambiato indelebilmente, e lo sa chi ha salutato per l’ultima volta la Terra di Mezzo nel 2014, quando nelle sale uscì Lo Hobbit: La battaglia delle cinque armate. Da allora forse anche noi siamo cambiati, scossi dalla bellezza di quei film, tanto che i tentativi di ritornare nell’universo creato dal professor J.R.R. Tolkien, non sono sempre riusciti nel loro intento di coinvolgerci in nuove storie. Ce lo ha insegnato la controversa serie tv Gli anelli del potere, ce lo conferma questo film d’animazione in stile anime che da un lato rincorre l’epicità dei film di Peter Jackson, dall’altro cade sotto i colpi di una narrazione non sempre eccellente e di un’animazione a dir poco scadente.

Sinossi

La nostra storia prende spunti da alcune appendici scritte da Tolkien per approfondire l’epopea di Helm Mandimartello, nono sovrano del regno di Rohan; un racconto mitologico dunque, che viene arricchito dalla storia di Héra e del suo coraggio nel guidare la resistenza del popolo di Rohan contro i selvaggi Dunlandiani, desiderosi di impossessarsi del trono; tra questi vi è Wulf, amico d’infanzia della protagonista che adesso brama il trono di Rohan e per ottenerlo chiede proprio la mano di Héra. Un’escalation di eventi che ci conduce verso un conflitto su ampia scala, che porterà la protagonista a caricarsi del peso della sua stirpe e del destino del suo regno.

Rohirrim
Héra ne La Guerra dei Rohirrim – © New Line Cinema

La Guerra dei Rohirrim tra alti e bassi

Sulla carta i personaggi di questo racconto mitologico sono tutti interessanti e molti spettatori sicuramente apprezzeranno il buon miscuglio tra fantasy e intrigo politico, unito all’epicità delle battaglie campali. L’approfondimento dei personaggi però non è del tutto convincente, colpa anche della trama che punta su un ritmo più incalzante. La conseguenza è che le scelte, sia dei protagonisti che degli antagonisti, risultano sovente incomprensibili e prive di razionalità per un’avventura piuttosto densa di avvenimenti ma che avrebbe dovuto bilanciare meglio ritmo e approfondimenti dei personaggi.

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La corte di Helm ne La Guerra dei Rohirrim – © New Line Cinema

La Guerra dei Rohirrim: una tecnica altalenante

Il problema principale di questo film, inutile girarci intorno, sono le animazioni gravemente insufficienti e lontane anni luce dalle vette recenti (Spider-Man: un nuovo universo, Arcane o Il gatto con gli stivali 2, n.d.s.). Questo freno tecnico non solo limita la recitazione dei personaggi (movimenti essenziali e legnosi, mimica facciale approssimativa), ma inibisce tante potenzialità espressive di una storia che avrebbe tutte le carte in regola per emozionare, ma che raramente ci riesce . La regia di Kenji Kamiyama pertanto rimane anonima e senza spunti memorabili.

Spezziamo una lancia in favore del comparto artistico. Costumi, sfondi mozzafiato, ambientazioni e armi sembrano davvero provenire dalla trilogia jacksoniana. Le musiche, che riprendono molto quelle del film Il Signore degli Anelli: le due torri, rimangono più che sufficienti per supportare ciò che viene mostrato dalle immagini.

Rohirrim
Héra e Wulf ne La Guerra dei Rohirrim – © New Line Cinema

Il futuro dei Rohirrim

Può preoccupare il fatto che i nomi coinvolti nella sceneggiatura o nella produzione sono proprio quelli di Peter Jackson, Philippa Boyens e Fran Walsh, gli artefici delle due trilogie dedicate alla letteratura del professor Tolkien che si occuperanno anche dei progetti di prossima uscita, come il già annunciato film live-action The Hunt for Gollum. É emerso che Warner Bros. ha investito solo 30 milioni di dollari sul film, velocizzando poi la lavorazione dell’anime per garantire che New Line Cinema non perdesse i diritti sui romanzi di Tolkien, facilitando la spiegazione dell’ insuccesso di questa pellicola. Queste notizie ci lasciano con un po’ di amaro in bocca per ciò che questo film d’animazione sarebbe potuto essere e che purtroppo non è stato. Non ci resta dunque che sperare in un altro viaggio nella Terra di Mezzo.

 

Pietro Minissale

Interstellar: un Trattato sull’Amore che va oltre Spazio e Tempo

Interstellar, il capolavoro fantascientifico di Christopher Nolan è un’opera amata e odiata, tanto divisiva quanto agglomerante. Ormai divenuta iconica per la sua colonna sonora e per i suoi intrecci temporali, la pellicola di Nolan da sempre mette a dura prova lo spettatore. Viaggi nel tempo, tesserati e buchi neri creano una difficoltà oggettiva nel comprendere fino in fondo una scienza che trascende la realtà che oggi conosciamo. Ma Interstellar è qualcosa di più di un film di fantascienza, è una riflessione sulla complessità dell’essere umano ed un trattato su di una delle forze più complesse che muovono l’agire umano oltre lo spazio e il tempo: l’amore.

Un’umanità ormai esausta

Interstellar ci racconta un mondo ormai esausto. In un futuro non ben definito, polvere ed incertezza sono tutto ciò che rimane ad un’umanità stanca e rassegnata ad una vita che presto cesserà. Ma la speranza non è del tutto perduta, degli uomini di scienza stanno cercando in gran segreto una soluzione che possa dare un nuovo futuro al genere umano. Il protagonista Cooper, interpretato da Matthew McConaughey, si unisce a questa ricerca dovendo ben presto affrontare uno dei dilemmi che da sempre incontra l’essere umano. Restare ed agire egoisticamente nei confronti dell’intera umanità assecondando l’amore verso i suoi affetti, come gli chiede la figlia Murphy dopo aver letto il messaggio del suo fantasma, o andare nello spazio profondo per amore di chi ama con la promessa di ritornare.

In Interstellar il fallimento è della ragione

In un’opera come Interstellar dove la scienza è alla base del tutto, è proprio la ragione a fallire. L’uomo più brillante della terra, il professor Brand, non riesce a risolvere l’equazione gravitazionale necessaria per salvare l’intera umanità. Il dottor Mann, il migliore tra gli uomini di scienza mandati nello spazio a cercare una nuova casa, cede alla paura e all’angoscia. Anche Cooper alla fine fallisce ma decide di sacrificarsi per permettere alla dottoressa Brand di raggiungere il pianeta di Edmunds. E Il fallimento della ragione porta l’uomo alla menzogna, la più tipica delle reazioni umane. Ma mentre la ragione e gli uomini di scienza falliscono, l’amore resiste alle distorsioni dello spazio e al tempo e diventa la chiave del tutto.

Interstellar Regia: Christopher Nolan Distribuzione: Warner Bros. Pictures

“L’amore è l’unica cosa che riusciamo a percepire che trascenda dalle dimensioni di tempo e spazio” (Amelia Brand, Interstellar)

In Interstellar è l’amore la vera forza che muove l’agire umano. Ed è la stessa dottoressa Brand (Anne Hathaway), donna di scienza, a ricordare a Cooper l’importanza dell’amore. Una forza non quantificabile, che trascende lo spazio e il tempo, che ci lega a persone lontane anni luce e che supera indenne le distorsioni del buco nero Gargantua. Ed è lo stesso amore a dire ad Amelia di spingersi a ragione fino al pianeta di Edmunds, l’uomo che ama, ed ignorare dati scientifici (rilevatisi falsi) del dottor Mann. Ma ancora una volta la ragione porta la missione verso il fallimento ma sarà l’amore, quello di un padre verso la figlia e quello di una figlia verso il padre, a dare le risposte che la ragione umana non riesce ancora a dare.

“Resta!”

La più grande dimostrazione della forza dell’amore che Interstellar racconta è il legame tra Cooper a sua figlia Murphy. Quando Cooper sceglie di partire per il viaggio interstellare, dandosi dal futuro le indicazioni per raggiungere ciò che resta della Nasa, Murphy è solo una bambina. E come ogni bambina fatica a capire il senso delle scelte razionali del padre, l’amore puro e candido che la lega al padre non le permette di capire l’importanza della missione. Ad alimentare le sue paure c’è anche il messaggio del fantasma che sembra infestare la sua stanza che, grazie alla gravità le comunica un messaggio semplice quanto diretto: Resta!”. Ma il fantasma è proprio Cooper che, disperato per il fallimento della sua missione, chiede al se stesso del passato di restare con chi ama.

nterstellarRegia: Christopher Nolan Distribuzione: Warner Bros. Pictures
Interstellar Regia: Christopher Nolan Distribuzione: Warner Bros. Pictures

“Non andartene docile in quella buona notte, infuria contro il morire della luce”

Quando tutto sembra ormai perduto, quando Cooper sceglie di abbandonarsi a Gargantua per alleggerire il peso della navicella che porterà la dottoressa Brand sul pianeta di Edmunds, succede l’inaspettato. Cooper si ritrova dentro un tesserato frutto della ragione e della scienza, una struttura a quattro dimensioni (la quarta è il tempo), che rappresenta la libreria della camera da letto di Murphy in tutti i momenti della sua vita. Chi ha creato questa struttura, gli stessi esseri del futuro che hanno posizionato il wormhole, sanno che Murphy è e sarà colei che salverà l’umanità. Ma per salvare l’umanità la Murphy adulta del presente necessita i dati del buco nero per risolvere l’equazione gravitazionale. Dati che solo Cooper può trasmettere alla figlia e che solo grazie all’amore può comprenderne il significato.

È l’amore la chiave di Interstellar 

Dove la ragione e la scienza non possono dare una risposta, l’amore emerge in tutta la sua forza. L’amore verso il padre e la promessa di tornare fatta da Cooper alla figlia, permette a Murphy di capire che il fantasma è sempre stato suo padre. I movimenti dell’orologio diventano dati e numeri, tutto improvvisamente ha senso. Ma il tesserato, la struttura frutto della ragione e della scienza degli esseri del futuro sarebbe stata inutile senza ciò che lega Cooper e Murphy. E infatti, quando Cooper riesce a tornare dalla figlia dopo ben 90 anni (terrestri) dalla partenza, Murphy confessa che sapeva che sarebbe tornato perché il suo papà glielo aveva promesso.

 

InterstellarRegia: Christopher Nolan Distribuzione: Warner Bros. Pictures
Interstellar Regia: Christopher Nolan Distribuzione: Warner Bros. Pictures

Interstellar, un trattato sull’amore 

Ciò che fa Nolan con Interstellar è qualcosa di molto coraggioso. Utilizzando il viaggio spazio-temporale e la fantascienza ci ricorda dell’importanza dell’amore e che probabilmente, quando ci sentiamo perduti, quando la ragione sembra abbandonarci dovremmo dare fiducia all’amore. Non importa se sia l’amore di due amanti, se sia l’amore tra un padre e una figlia, ciò che conta davvero è che questa forza primordiale dentro di noi ha un significato profondo. Ed è per questo che Interstellar è la più umana delle opere, ed è per questo che questa pellicola è un bellissimo trattato sull’amore.

 

Francesco Pio Magazzù