Giraffe: il segreto per un cuore sano

L’estrema lunghezza del collo delle giraffe fa sì che i loro ventricoli debbano lavorare a pressioni altissime: come fanno ad avere un cuore sano?

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I valori pressori umani e dei mammiferi

Negli esseri umani adulti, i valori pressori “normali”, sono di circa 130 mmHg per la pressione sistolica (quella “massima”, corrispondente alla contrazione dei ventricoli) e di 80mmHg per quella diastolica (anche detta “minima”, corrispondente al rilassamento dei ventricoli del cuore).
Esistono tuttavia certi range nei quali la pressione arteriosa è considerata normale, mentre altri in cui ci si avvicina ad una condizione di pericolosità.
In questa tabella possiamo vedere i valori pressori classificati in base alla loro pericolosità secondo le linee guida del2018 del ESC/ESH – European Society of Cardiology – European Society of Hypertension.

 

Livello Pressione sistolica (mmHg) Pressione diastolica (mmHg)
Ottimale <120 <80
Normale 120-129 80-84
Normale – Alta 130-139 85-89
Ipertensione di grado 1 140-159 90-99
Ipertensione di grado 2 160-179 100-109
Ipertensione di grado 3 ≥ 180 ≥ 110
Ipertensione sistolica isolata ≥ 140 ≤ 90

 

Oltre certi livelli pressori, il cuore si inizia a danneggiare in quanto costretto ad un lavoro maggiore, con conseguente carenza di ossigeno, danni ecc. Nel tempo ciò porta ad un rimaneggiamento del cuore stesso, che da cuore sano inizia inesorabilmente a trasformarsi in un cuore scompensato, malato. I tessuti muscolare ed elettrico iniziano a diventare tessuti fibrotici, con tutti i problemi che ne derivano (aritmie, insufficienza cardiaca ecc).
Ecco perché è importante mantenere i valori pressori entro certi target, per evitare questa evoluzione fibrotica del cuore.
Nei mammiferi di media e grossa taglia, il funzionamento del cuore e le varie pressioni sono simili, come è simile il danno che deriva da un eccesso pressorio, tranne che in un caso: nelle giraffe.

Crediti immagine: https://www.medimagazine.it/fibrosi-cardiaca-mantenere-cuore-sano-gli-acidi-biliari/

La pressione arteriosa delle giraffe

Le giraffe, spinte dalla pressione evolutiva, hanno sviluppato nel corso di migliaia di anni un collo spropositatamente lungo rispetto al resto del corpo. Certamente questo le aiuta a nutrirsi in ambienti aridi come la savana, raggiungendo cibo che nessun altro animale rivale è in grado di raggiungere.
Il rovescio della medaglia per un simile traguardo evolutivo è però quello di un’eccessiva pressione arteriosa. Per far sì che il sangue raggiunga il cervello delle giraffe, situato a oltre 2-2,5 metri dal petto, il cuore di una giraffa deve lavorare a pressioni elevatissime: 220/180 mmHg, per ottenere a livello cerebrale una pressione normale di 110/70 mmHg.
Ma come fanno allora le giraffe, nonostante questa enorme pressione a livello cardiaco, a non sviluppare patologie legate all’ipertensione come la fibrosi cardiaca, la fibrillazione atriale e lo scompenso cardiaco?

Crediti immagine: https://www.medscape.com/viewarticle/951907

Come la ricerca sulle giraffe potrebbe curare lo scompenso cardiaco

La biologa evoluzionista Barbara Natterson-Horowitz e i cardiologi dell’Università di Harvard e dell’ UCLA  (University of California, Los Angeles), incuriositi da queste caratteristiche hanno scoperto che esse possiedono dei ventricoli più spessi, ma senza rigidità nelle pareti degli stessi o fibrosi, cosa che invece hanno gli esseri umani sottoposti ad elevate pressioni arteriose per molto tempo.
Andando quindi a studiare il genoma delle giraffe, gli scienziati hanno visto come nei loro geni siano presenti 5 mutazioni nei geni che producono fibrosi (es. ACE, FGFR-L1, ecc.) rispetto agli altri mammiferi.
Ulteriori ricerche hanno dimostrato come le giraffe possiedano delle proprie varianti genetiche specifiche per geni coinvolti nei processi di fibrosi.

Crediti immagine: Did giraffe cardiovascular evolution solve the problem of heart failure with preserved ejection fraction?
June 2021Evolution Medicine and Public Health 9(1)

 

Conclusioni

Ulteriori studi da effettuare su questi animali potrebbero svelare altre meraviglie del loro sistema cardiovascolare, rappresentando così una possibile svolta per i problemi cardiaci dell’uomo. Dallo scompenso cardiaco alla fibrillazione atriale, aritmie ecc., si potrebbero curare molte patologie cardiache.
Scoperte del genere dovrebbero farci riflettere su quanto meraviglioso ed interconnesso sia il mondo della scienza. Dei fisici curiosi si saranno chiesti a che pressione lavorasse un cuore di giraffa per pompare il sangue così in alto, una biologa evoluzionista ha fatto delle ipotesi, con la genetica si sono trovate delle mutazioni ai geni della fibrosi.
Da qui, in futuro potremmo avere delle cure migliori per il cuore.

 

 

Roberto Palazzolo

Workshop sul trapianto polmonare – Intervista al prof. Vancheri

Workshop trapianto polmonare grafica presentazione
©Antonino Micari – Workshop trapianto polmonare – Unime, 11 Novembre 2019

Lunedì 11 e Martedì 12 Novembre si è tenuto, presso le aule del rettorato dell’Università di Messina, un workshop sullo stato dell’arte del trapianto polmonare in Italia e in Sicilia.

I dati del Centro Nazionale Trapianti

Dopo i saluti istituzionali ha preso la parola Massimo Cardillo, direttore del Centro Nazionale Trapianti. I dati affermano che nel 2019 siamo proiettati verso gli oltre 150 trapianti di polmone. Il numero non è comunque sufficiente a coprire il fabbisogno di organi, con una lista d’attesa che nel 2018 era di 563 persone. L’attesa media per il trapianto è di circa un anno e in questo intervallo di tempo, purtroppo, possono verificarsi dei decessi, 39 lo scorso anno.

La situazione in Sicilia e il tasso di opposizione

L’intervento di Bruna Piazza, coordinatrice del Centro Regionale Trapianti, sottolinea il miglioramento della nostra infrastruttura. Sono stati già effettuati 22 trapianti polmonari nel 2019, a fronte degli 8 che erano stati effettuati nel 2018. Una criticità rimane il tasso di opposizione, attualmente pari al 47%. Ciò significa che nella nostra regione la potenziale donazione viene rifiutata in circa un caso su due.

Indipendentemente dalle cause, che siano esse socio-culturali o d’altro tipo, ciò contribuisce alla carenza degli organi che in Italia ha portato, nel 2018, alla morte di circa il 7% dei pazienti in lista.

Le nuove tecniche chirurgiche e prospettive future

Gli interventi di Alessandro Bertani, ISMETT Palermo, e di Luigi Santambrogio, direttore del Centro Trapianto del Polmone del Policlinico di Milano, hanno descritto prospettive interessanti nel futuro della disciplina.

Spesso, dopo un arresto cardiocircolatorio, i polmoni sono troppo danneggiati al fine di essere trapiantati. È possibile tentare di recuperarli tramite uno metodica chiamata EVLP (perfusione polmonare ex-vivo). Ciò consente di perfondere l’organo anche se danneggiato, ricondizionarlo e permetterne il trapianto dopo poche ore. Così è possibile recuperare parte degli organi che altrimenti andrebbero persi, riducendo il numero dei pazienti in lista e diminuendo quindi i decessi.

Il confronto con gli altri paesi europei

Al workshop hanno preso parte anche importanti referenti provenienti da Spagna e Francia. I due paesi possono indubbiamente essere un modello per l’Italia. Per il trapianto del polmone in Francia le liste d’attesa ammontano a poche settimane. Nel 2018 la Spagna ha raggiunto il numero di 48 donatori p.m.p. (per milione di persone) indice di un’importante sensibilizzazione culturale della popolazione e di un’ottimizzazione delle tecniche e della logistica. In Italia abbiamo raggiunto un valore di 27,7 donatori p.m.p. nello stesso anno, poco più della metà.

Si sono discusse le criticità che caratterizzano il modello siciliano e italiano, e i potenziali miglioramenti che possono far avvicinare la nostra esperienza a quelli di paesi più virtuosi. Al termine degli incontri verranno formalizzate delle proposte da inviare agli organi regionali e nazionali competenti.

Grafica di presentazione del workshop trapianto polmonare

L’intervista al prof. Carlo Vancheri

Abbiamo posto alcune domande al prof. Carlo Vancheri, responsabile del Centro di Riferimento regionale per le Malattie Rare del Polmone di Catania. Molte di queste patologie, oltre 200 per eziologia, possono portare ad un deterioramento progressivo dell’organo con perdita della funzione polmonare, e sono le cause più comuni per cui si rende necessario il trapianto.

Può parlarci di quali sono quelle condizioni cliniche in cui si rende necessario il trapianto nel paziente pneumopatico?

Alcune tra le condizioni cliniche che più frequentemente richiedono il trapianto sono la fibrosi cistica e la fibrosi polmonare idiopatica. Non sono le uniche in quanto anche pazienti affetti da broncopneumopatia cronica ostruttiva o da altre più rare patologie polmonari possono giovare del trapianto del polmone. Sono patologie di cui l’una colpisce più il bambino e il giovane adulto, l’altra più i soggetti adulti. L’unica terapia risolutiva in molti casi è proprio quella del trapianto.

Quali sono attualmente le tecniche e i presidi che si possono utilizzare per posticipare il trapianto nei pazienti critici?

In effetti esistono delle terapie farmacologiche per queste patologie. È difficile parlare contemporaneamente di tutte le patologie perché ognuna di queste ha dei trattamenti diversi. Alcune terapie possono rallentare il decorso della malattia ma in alcuni casi l’unica soluzione, come dicevo, è rappresentata dal trapianto.

Lei è ottimista sui nuovi farmaci per il trattamento della fibrosi polmonare idiopatica e quanto questi farmaci potranno differire o evitare il trapianto ai pazienti?

Al momento attuale i farmaci che abbiamo a disposizione rallentano il decorso della malattia ma non la guariscono né la fanno tornare indietro, per cui l’unica terapia risolutiva rimane quella del trapianto. Ci sono molti altri farmaci in fase di sperimentazione per cui relativamente al futuro sono ottimista. Ci saranno molecole che saranno in grado di meglio curare la malattia ma non è questo il presente.

Quanto è migliorata la qualità di vita dei pazienti dopo il trapianto negli ultimi anni?

Sicuramente rispetto al passato i farmaci anti-rigetto sono molto migliorati, sono più efficaci e danno meno effetti collaterali ma indubbiamente la qualità di vita è segnata sotto questo aspetto. Sono pazienti che devono sempre assumere dei farmaci per tutta la loro vita ma almeno per quella che è la mia esperienza quando il paziente riesce a fare il trapianto del polmone in molti casi riacquista un’autonomia, abbandona l’ossigeno, riesce a riprendere una normale vita di relazione, in molti casi anche una vita lavorativa.

Un’ultima domanda relativa allo scetticismo presente in Sicilia di fronte alla possibilità di donare gli organi. Cosa si potrebbe fare, secondo lei, per ridurre in futuro il tasso di opposizione?

Purtroppo questo è un fatto culturale, quindi è difficile incidere. Credo che si possa però investire molto di più in educazione ed informazione. Credo che da questo punto di vista molto si possa fare passando attraverso le associazioni dei pazienti perché anche loro possono contribuire molto a diffondere la cultura della donazione.

Prof. Carlo Vancheri
©Antonino Micari – Prof. Carlo Vancheri – Unime, 11 Novembre 2019

 

Antonino Micari