Comandante, il nuovo successo di Pierfrancesco Favino

Comandante
Comandante racconta le gesta di Salvatore Todaro, che qui è interpretato da Pierfrancesco Favino ed anche qui, ha fatto centro. Voto UVM: 4/5

Comandante è un film italiano del 2023 diretto da Edoardo De Angelis. È stato presentato in anteprima alla 80° Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia ed è stato anche il film d’apertura del Festival. L’attore protagonista è Pierfrancesco Favino.

Comandante: trama

Il film si svolge nel 1940, durante la Seconda Guerra Mondiale. Il protagonista è Salvatore Todaro, un uomo nato a Messina nel 1908 e comandante del sommergibile Cappellini. Durante una missione, il sommergibile viene attaccato dai Belgi, ma Todaro e i suoi uomini rispondono al fuoco ed affondano la nave. Dopo la battaglia, Todaro decide di salvare i naufraghi e di portarli in salvo. Per lui, la legge del mare è più importante della legge della guerra.

Comandante
Pierfrancesco Favino in una scena del film. Fonte: Cineuropa.org

Il  miglior film di Edoardo De Angelis?

Più che il miglior film, è più giusto dire che uno dei pilastri più importanti della carriera di Edoardo De Angelis: è senza dubbio il film più ambizioso che abbia mai fatto. La regia qui è piuttosto ben strutturata e le inquadrature mettono a fuoco i vari step della missione di Todaro.

Quando si parla di biopic, si tende sempre a romanzare la vicenda ma ciò che conta non è la vicenda raccontata, ma il modus operandi adottato per la narrazione. Spesso, ci si prende anche una leggera libertà ed a mostrare una visione autoriale, ma Comandante ha un comparto tecnico ben consolidato e permette di raggiungere lo scopo del regista.

Lo stile adottato consiste in un ritmo un po’ prolisso, che non arriva subito ad un punto ben preciso. La lentezza percepita è “necessaria” perché l’obiettivo è quello di coinvolgere lo spettatore e fargli capire bene la psicologia di Todaro e tutte le sfumature della missione, all’interno del sommergibile Cappellini. De Angelis chiede pazienza ed infatti, il vero fulcro della storia emerge durante la seconda parte del film, dopo aver presentato adeguatamente il protagonista e la missione che sta sostenendo.

Tutto questo è accompagnato da una fotografia straordinaria: mette a fuoco le varie situazioni, sia all’interno che all’esterno del sommergibile, con uno stile pittoresco. Nel cercare qualche difetto nel film, si possono notare alcuni stereotipi mostrati.

Comandante
Fonte: Larepubblica.it

Comandante è un film di propaganda?

Oltre a raccontare le gesta di Salvatore Todaro e capire la sua psicologia, Comandante ha anche un altro scopo. Il movente di Comandante è piuttosto chiaro, ma non è forzato perché arriva al momento giusto e senza risultare ingombrante. Anzi, questo è uno dei casi piuttosto contestualizzati e piano piano il messaggio arriva per colpire lo spettatore in un punto preciso, mentre si ritrova coinvolto, insieme ai personaggi, nella missione.

Il film racconta una storia vera per mostrare la rivendicazione del valore del soccorso e portare ad una riflessione su una tematica piuttosto attuale ed abbastanza dibattuta. La visione del film può portare a vedere la tematica del soccorso in mare da un’altra angolazione. Todaro è la storia giusta, perché qui viene presentato come un uomo che vive un dissidio interno, tra il mantenimento di certi principi politici e l’essere un uomo di valori, pronto ad aiutare il prossimo. Oltre tutto, è stato interpretato da un fantastico Pierfrancesco Favino.

Favino ha fatto centro ?

«Una volta c’erano i ruoli, per gli attori. Adesso li fa tutti Favino» diceva l’attore Martellone – sconsolato – nella serie tv «Boris».

 

C’è della verità forse in questa frase satirica, però il fatto che Favino sia quasi ovunque (quest’anno si è già visto ne L’Ultima Notte Di Amore ed ora a Dicembre, sarà presente anche in Adagio) non nasconde il fatto che sia un bravissimo attore. Sì, Favino è bravo, ma bravo ad alti livelli ed è difficile che ne sbagli una. Basta pensare ad alcuni ruoli iconici della sua carriera (Il Traditore, Nostalgia, L’Ultima Notte Di Amore, Hammamet, Gli Anni Più Belli, Corro Da Te) in cui ha avuto modo di interpretare personaggi di ogni tipo ed ogni volta dimostra di essere perfettamente capaci di ricoprire qualsiasi ruolo.

In Comandante interpreta un uomo che va contro certi principi, per abbracciare poi il valore più importante. Ricorda che, al di là di tutto, lui è pur sempre un uomo e lo sono anche i naufraghi e i suoi nemici.

Giorgio Maria Aloi

Hammamet: quando Favino supera sé stesso

Un film su un politico che non è assolutamente politico. Pregi e difetti per la pellicola sugli ultimi anni di Craxi – Voto UVM: 3/5

Ci sono uomini che, nel bene o nel male, hanno fatto la storia del nostro Paese.

Chiunque ha diritto di dedicarli un libro, un quadro o un film. Fondamentale è però giudicare l’opera in sé e per sé, senza farsi condizionare da ciò che il protagonista ha fatto nel corso della sua vita.

In occasione dell’anniversario della morte di Bettino Craxi, recensiamo il film Hammamet (2020) di Gianni Amelio.

La locandina del film – Fonte: screenweek.it

Trama

La pellicola narra gli ultimi mesi di vita di Craxi. Il segretario del PSI (Partito socialista italiano) in seguito allo scandalo di Mani Pulite si è rifugiato con la famiglia in Tunisia, dove vive all’interno di una lussuosa villa sotto la protezione del dittatore Ben Ali.

L’ex presidente del consiglio conduce una vita normale: si preoccupa di badare al nipotino, riflette sul difficile rapporto che da sempre ha avuto con il figlio e fa trascrivere le sue memorie. Nonostante l’età che avanza ed una forma grave di diabete, continua a seguire con molta attenzione tutto ciò che accade in Italia.

Una notte un ragazzo si introduce furtivamente nella villa, ma viene tempestivamente catturato. Craxi riconosce che costui era Fausto, il figlio di Vincenzo Sartori (uno sei suoi uomini più fidati ai tempi della politica e morto in seguito a tangentopoli). Tra i due si instaura un profondo legame: infatti, trascorrono gran parte delle giornate a fare delle passeggiate per le strade tunisine, durante le quali il ragazzo filma Craxi mentre racconta aneddoti ed esprime i suoi pensieri.

La volontà reale di Fausto è però quella di uccidere Craxi: infatti, compra una pistola che nasconde nel proprio zaino.

Craxi (Pierfrancesco Favino) e Fausto (Luca Filippi) in una scena del film – Fonte: panorama.it

Un giorno Bettino gli rivela di essere sempre stato a conoscenza dell’arma e gli propone un patto: se lo avesse lasciato in vita, lui gli avrebbe comunicato informazioni talmente importanti da poter far venir meno l’assetto politico del Paese. Fausto accetta e dopo averlo ripreso per un’ultima volta sparisce.

In seguito l’ex Presidente riceverà altre due visite: quella di un ex amante e quella di uno dei suoi più grandi rivali politici, mentre il diabete  nel frattempo si è aggravato e la sua salute viene ulteriormente ostacolata dalla comparsa di un tumore ad un rene. Difficilmente operabile in Tunisia, la famiglia decide di tornare in Italia nonostante il forte rischio di essere scoperti e quindi di far arrestare Bettino.

Tuttavia al momento di prende l’aereo Craxi ci ripensa e si fa operare in Africa. Pochi giorni dopo l’operazione viene colto da un infarto che si rivelerà fatale.

Il film si chiude con Anita (la figlia di Craxi) che va a trovare Fausto in una clinica psichiatrica, il quale le consegnerà le registrazioni effettuate in Tunisia.

Regia

Qualsiasi critica socio-politica che si possa avanzare nei confronti di Hammamet, la lasciamo a chi non si occupa di cinema. Il regista ha scelto di raccontare la storia di Craxi da un punto di vista prettamente umano.

Il film si sofferma sugli aspetti della vita quotidiana di un uomo anziano, mostrando tutte le difficoltà causate dall’età che avanza e dal progredire della malattia.

Vengono messe a nudo tutte le paure ed i rimorsi dell’ex Presidente che, per quanto possa essere stato incredibilmente potente, è semplicemente un essere umano.

Pierfrancesco Favino ed il regista Gianni Amelio sul set – Fonte: ilriformista.it

Punto di forza della pellicola sono sicuramente le inquadrature scelte dal regista durante i dialoghi: il continuo alternarsi tra i primi piani rende partecipe lo spettatore alle acute ed articolate discussioni tra gli attori.

Tuttavia il film presenta dei momenti di vuoto puro che rallentano il racconto in maniera del tutto insensata e a tratti il film risulta essere profondamente noioso.

Favino

Ciò che rende Hammamet uno dei film italiani migliori del 2020 è obiettivamente la sontuosa interpretazione di Pierfrancesco Favino.

La voce è il primo elemento a rendere la prova d’attore encomiabile, anche se la prima cosa che effettivamente stupisce è la strabiliante somiglianza tra Favino e Craxi, ma di ciò se ne deve dare atto giustamente ai truccatori.

Pierfrancesco riesce a riprodurre fedelmente ogni singola lettera esattamente come veniva pronunciata dal Presidente, riproponendone anche l’autorità e la dialettica – caratteristiche che contraddistinguevano Craxi nei suoi interventi – in modo impeccabile.

Pierfrancesco Favino e Bettino Craxi – Fonte: faige.it

Da un punto di vista tecnico l’interprete è riuscito inoltre a rappresentare le movenze tipiche di un uomo anziano. Questi due elementi sono di per sé sufficienti a provare la realisticità dell’interpretazione.

Favino però va oltre questo concetto facendo uso dello strumento che più di tutti è capace di distinguere un fuoriclasse da un attore medio. Gli occhi di Pierfrancesco rispecchiano l’anima del personaggio e ci permettono di capire quanto sia stato elevato il suo livello di immedesimazione.

Favino non ci fa vedere un attore che interpreta Craxi, ma semplicemente, Craxi.

 

In conclusione, il film ha ricevuto critiche miste: come abbiamo potuto osservare anche noi, la pellicola presenta infatti pregi e difetti.

L’importante nel cinema, come in qualsiasi altra forma d’arte, è giudicare il prodotto per come è fatto (oggettivamente) e per quello che suscita in noi (soggettivamente). Politicamente? In separata sede.

Vincenzo Barbera

 

 

Gabriele Muccino torna al cinema con “Gli anni più belli”

La dodicesima pellicola di Gabriele Muccino Gli anni più belli è la sintesi emotiva del percorso cinematografico del regista de La ricerca della felicità (2006), che torna al cinema con un racconto struggente di amicizia, di amore, di incontri, di comprensioni, che si adagia su un arco temporale di quarant’anni all’interno del quale i personaggi si evolvono.

L’epica del tempo e la sua esplorazione sono delle novità per il regista romano, ed è proprio attraverso la dimensione malinconica attribuita al tempo che Muccino dispiega il suo racconto. Dagli anni 70′ ai nostri giorni, dai sogni giovanili intrisi di ingenuità fino alle tristi consapevolezze dell’età adulta.

Fonte: l’opinionista.it

Gli anni più belli scardina con potenza narrativa la convinzione di avere il controllo della propria vita.

È il tempo che modella la nostra esistenza, è il tempo che scorre ineluttabile e ci modifica lentamente, ci fa accettare cose che parevano inaccettabili, ci disincanta per poi improvvisamente incantarci di nuovo facendoci sentire adolescenti anche quando non lo siamo più.

La vita ti scorre veloce davanti e realizzi quello che è accaduto nel frattempo; l’imprevedibilità del tempo ci sussurra che possiamo recuperare e rilanciare le nostre vite.

L’amore, l’attrazione verso l’altro, la voracità di emozioni sono il collante che intreccia le storie dei personaggi  e del loro vissuto nervoso.

Gli anni più belli raccontati da Gabriele Muccino, che ha scritto la sceneggiatura insieme a Paolo Costella, sono quelli vissuti da Giulio (Pierfrancesco Favino), Gemma (Micaela Ramazzotti), Paolo (Kim Rossi Stuart), Riccardo (Claudio Santamaria), amici fin da adolescenti.

Il film è il racconto di storie singole che vivono di vita propria, ma che al tempo stesso non possono sopravvivere l’una senza l’altra.

Fonte: La Repubblica

I protagonisti, per quanto la vita provi a tenerli distanti, torneranno sempre alle loro origini.

Una gioventù vissuta in fretta, nel desiderio di diventare grandi il prima possibile, interpretata magnificamente Michaela Ramazzotti nei panni di Gemma, una ragazza piena di pazzie, paure, ansie e un’infinita voglia di ricomporre tutti i pezzi del puzzle che è la vita.

Subito dopo una fuggevole giovinezza, arriva l’apice, quell’effimero impalpabile istante di felicità a cui segue subito il declino, rappresentato da Claudio Santamaria, che interpreta Riccardo: un uomo alla disperata ricerca della propria strada, che insegue instancabilmente i propri sogni, anche quando questi rischiano di portare via la serenità che è riuscito a crearsi.

 

Pierfrancesco Favino nei panni di Giulio, rispettato avvocato di Roma, e Kim Rossi Stuart, nei panni del professore di lettere Paolo, completano il quartetto di personaggi.

Due vite apparentemente distanti, ma che si attraggono come poli opposti: quello ricco di una Roma bene, solo nell’apparenza, tormentata dalla ricerca assidua dell’amante migliore, del cliente più importante; e quello semplice di una Roma popolare, che sogna un lavoro a tempo indeterminato e una famiglia normale.

Fonte: Mediaset Play

L’ultima sceneggiatura del cineasta romano trova spazio anche per l’esordio attoriale di Emma Marrone che interpreta Anna, moglie di Riccardo, personaggio cucito sulla sua pelle.

Gli anni più belli è il frutto della maturazione cinematografica di Muccino in  23 anni di carriera, periodo nel quale il regista ha atteso pazientemente di approdare all’età (artistica) per poter osservare la vita da un posto di guida che gli permettesse di tenere le mani sul volante, gli occhi sulla strada ed un sguardo allo specchietto retrovisore.

 

Antonio Mulone

 

 

 

 

 

 

Alla scoperta degli Oscar: i 5 grandi esclusi

Se in Italia scoppiano polemiche per il festival di Sanremo, nel mondo intero le polemiche più accese scoppiano per gli Oscar.

Anche per quest’edizione sono state mosse diverse critiche nei confronti dell’Academy per una serie di esclusioni che hanno suscitato la disapprovazione di molti.

Mettiamo da parte il polverone per l’assenza di Greta Gerwig nella lista dei candidati per il miglior regista ed altri disordini che si sono creati andando a toccare temi ben più seri, come il razzismo o la parità dei sessi, e andiamo ad analizzare quelli che secondo me sono i 5 grandi esclusi dagli Oscar 2020, da un punto di vista puramente tecnico.

Fonte: Ciakclub.it

1.Robert De Niro

Robert De Niro a 76 anni è ancora tra i migliori attori in circolazione. Le sue performance in The Irishman e Joker hanno contribuito enormemente al successo delle due pellicole. Nel film di Scorsese, De Niro può essere considerato una sorta di Atlante, in quanto sostiene l’intero peso della narrativa fungendo da centro di collegamento tra eventi e personaggi in modo tale da ammaliare lo spettatore per 210 minuti.

Prima di iniziare le riprese di The Irishman, l’attore ha voluto rigirare insieme al regista delle scene di Quei bravi ragazzi (1990) così da entrare meglio nel ruolo del malavitoso e su quella base poi De Niro ha lavorato per costruire un nuovo personaggio, che incarna la perfetta evoluzione di quello precedente.

Robert De Niro in una scena di The Irishman – Fonte: meteoweek.com

In Joker la prova d’attore di De Niro è essenziale, innanzitutto ai fini della trama: l’attore recita nei panni di un personaggio di primaria importanza (il conduttore Murray Franklin). Inoltre, Joaquin Phoenix ha potuto tirare fuori il meglio di se proprio grazie alla sintonia creatasi con De Niro. Si può anche essere il Marlon Brando o il Jack Nicholson della situazione ma se il proprio partner non dà le battute correttamente, non entra nel personaggio o non vi è chimica tra i due, l’interpretazione logicamente ne risentirà e di conseguenza le scene non verranno mai alla perfezione.

Credo che Robert avrebbe meritato almeno una candidatura non tanto per la sua carriera – perché per assegnare un Oscar bisognerebbe sempre osservare le interpretazioni degli attori nell’ultimo anno –  ma proprio per il modo in cui ha creato i personaggi e per il lavoro svolto sui set.

2.Taika Waititi

Il regista Taika Waititi ha fatto un film dove è riuscito a spiegare cosa sia realmente il nazismo sbeffeggiandolo con esilarante ironia. Già in passato con Vita da vampiro- What We Do in the Shadows ha mostrato al grande pubblico di saper raccontare una storia in maniera diversa dagli standard cinematografici ai quali siamo abituati. Con Jojo Rabbit si è confermato come regista-innovatore e avrebbe di certo meritato una nomination come miglior regista per il magnifico lavoro svolto.

3.Il traditore

Rabbia, davvero tanta rabbia. La pellicola di Marco Bellocchio è andata vicinissimo alla nomination finale per aggiudicarsi il premio come miglior film straniero. L’interpretazione di Pierfrancesco Favino nei panni di Tommaso Buscetta è magistrale e la regia di Bellocchio celeberrima. Sinceramente credevo fortemente che questo film potesse riportare la statuetta in Italia, ma ahimè non sarà così. Mi sollevo perché, grazie a pellicole come Il traditore, so che il cinema italiano non è definitivamente morto ma ha ancora qualcosa da trasmettere.

Pierfrancesco Favino nei panni di Tommaso Buscetta nel film Il Traditore – Fonte: internazionale.it

4.Lupita Nyong’o

L’attrice messicana è la protagonista e l’antagonista del film Noi di Jordan Peele. Personalmente la pellicola non mi ha entusiasmato, ma l’interpretazione della Nyong’o si. La carriera dell’attrice è appena decollata e già vanta una serie di grandi film a cui ha preso parte (12 anni schiavo, due film di Star Wars, Blackpanther), i quali provano a conti fatti che vi sia del talento nella ragazza. La prova d’attrice in Noi le avrebbe dovuto concedere la possibilità di poter concorrere alla statuetta come miglior attrice protagonista per l’enfasi e l’intensità della sua interpretazione.

5.Spider-Man: Far from Home

Escluso dalla candidatura ai miglior effetti speciali. Non sono un grande fan dei film della Marvel, ma alcuni li guardo con piacere ed in Spider-man: Far from Home ci sono scene d’azione che mi hanno fatto divertire come un bambino a Disneyland. In particolare vi è una sequenza dove il protagonista combatte contro il supercattivo nel caos più totale e tali scene sono caratterizzate da una serie di effetti speciali realizzati in maniera impeccabile, che coinvolgono lo spettatore come se fosse sulle montagne russe.

Spider-Man: Far from Home – Fonte:cinematographe.it

Nel momento in cui si viene esclusi dal premio cinematografico più importante dell’anno ovviamente la delusione è tanta, ma alla fine l’obiettivo principale di tutti i membri del settore è quello di creare arte.

Il cinema è eterno, non può morire. Se non si portano a casa i premi poco importa. La cosa rilevante è far emozionare le persone, di farle quindi ridere, piangere, anche impazzire è lecito, e questi film o attori che non sono stati candidati lo hanno fatto egregiamente, dunque: chapeau.

 

Vincenzo Barbera