Turismo in allarme: mancano migliaia di lavoratori stagionali

Nel vivo della stagione turistica, sono molti gli imprenditori del turismo che, nelle ultime settimane, si sono lamentati della mancanza dei lavoratori stagionali, come baristi, camerieri, cuochi, addetti alle pulizie, bagnini.

Gli imprenditori in allarme

L’allarme corre un po’ per tutta la penisola. Come riportato dal quotidiano La Repubblica, il presidente pugliese e vicepresidente nazionale di Federalberghi Francesco Caizzi ha affermato: “Nel settore alberghiero pugliese mancano almeno seimila persone, ossia il trenta per cento del fabbisogno totale che è di circa 25mila lavoratori”.

Lo stesso Emanuele Frongia, presidente di Confcommercio Sud Sardegna, ha espresso la sua preoccupazione per la mancanza, in Sardegna, di diverse migliaia di persone fra lavapiatti, addetti di sala e alla reception, camerieri, sommelier.

Difficoltà anche in Toscana, come emerge dalle parole di Stefano Gazzoli, presidente dei balneari della Toscana di Confesercenti: “Nelle chat degli operatori toscani c’è una ricerca frenetica, specie per i lavoratori dei servizi accessori di bar e cucina”.

La situazione è difficile anche in Emilia-Romagna dove mancano, secondo l’associazione Albergatori di Rimini e Confcommercio, 7mila lavoratori stagionali, 5mila nel settore ricettivo, balneare e negli alberghi, 2mila nella ristorazione.

Colpa del reddito di cittadinanza?

Tutto questo sembra essere un paradosso se si pensa all‘aumento di disoccupati registrato dall’ Istat: molti non hanno un lavoro, eppure mancano i lavoratori.

Massimo Gravaglia – Fonte: www.initalianews.it

La ragione maggiormente plausibile per spiegare questa situazione è che sembrerebbe che gli italiani preferiscano percepire il reddito di cittadinanza, piuttosto che finire in balia del mondo del lavoro italiano, da sempre e ora ancor più problematico. A puntare il dito contro gli aiuti erogati da parte dello Stato è lo stesso ministro del Turismo, Massimo Garavaglia:

uno dei temi è certamente il reddito di cittadinanza, su cui si deve intervenire. Perché un intervento dello Stato deve essere temporaneo, se si dà l’idea che sia strutturale distorce il mercato“.

La pensano allo stesso modo gran parte degli imprenditori:

molti stagionali godono del reddito di cittadinanza o di altri sistemi di sostegno legati al Covid: legittimo, ma c’è una gran fetta di persone che accontentandosi di questa situazione non si dedica più al lavoro stagionale“, ha affermato Stefano Gazzoli.

Però, non si può semplicisticamente accettare questa spiegazione. Infatti, se il reddito di cittadinanza, che in media ha un valore mensile inferiore ai 500 euro al mese, può entrare in competizione con uno stipendio reale, è perché, evidentemente, lo stipendio proposto ai lavoratori di questo settore è inadeguato rispetto alle ore e alle condizioni di lavoro.

Il vero problema è che nel turismo vengono offerti posti di lavoro di scarsissima qualità, con salari da fame“, ha detto  Christian Ferrari, segretario regionale della Cgil in Veneto.

Le inchieste del Fatto Quotidiano

Le inchieste realizzate dal Fatto Quotidiano, che ha provato a fare colloqui con albergatori e titolari di stabilimenti balneari della Riviera Romagnola, riprendendoli con telecamera nascosta, mostrano perfettamente le assurde condizioni di lavoro offerte nel settore del turismo.

Sette giorni su sette senza alcun giorno di pausa nei tre mesi estivi e “se uno non è abituato a questi ritmi, si deve abituare”, dice il gestore di un hotel. Lo stipendio? 1500 euro al mese, ovvero 4 euro l’ora. C’è poi il gestore di un lido che cerca un addetto spiaggia anche senza brevetto da bagnino, disposto a svolgere diverse mansioni: mettere a posto le sdraio, richiudere gli ombrelloni, pulire la spiaggia. Il tutto sotto il sole dell’estate romagnola, dalle sette del mattino fino alla sera alle ventidue, con due ore di pausa al pomeriggio. “E se sto male?” chiede il presunto dipendente, “ma nel caso uno viene al lavoro lo stesso, ti metti nella casetta a riposare sperando che ti ripigli”, risponde l’imprenditore. Per 11 ore di lavoro al giorno la paga è di 1300 euro al mese. “Ma sulla busta paga ti segniamo sei ore e quaranta al giorno, anche se tu poi ne farai di più”, specifica il titolare.

Dopo le assurde offerte di lavoro, alcuni imprenditori spiegano, addirittura, come comportarsi nel caso di controlli:

se viene un controllo, devi dire che fai sei ore e quaranta e che hai il giorno libero. Sai che devi fare il giorno libero, ma che non sai quando lo farai perché cambia sempre in base ai turni. Questo è quello che devi dire, ma poi la realtà è un’altra. Lo sappiamo noi, ma la sanno anche loro“.

Non solo reddito di cittadinanza e pessime condizioni lavorative

In realtà, la questione è complessa e non può essere ricondotta ad un’unica ragione. Sicuramente i ridicoli contratti di lavoro offerti nel settore influiscono. Sicuramente influiscono anche i sussidi offerti dallo Stato, non solo il reddito di cittadinanza, ma anche il reddito di emergenza, i bonus concessi alle categorie interessate dagli effetti dell’epidemia, tra cui gli stagionali. Da considerare anche  il sussidio di disoccupazione, per accedere al quale sono cambiate le regole da marzo 2021: non è più necessario aver lavorato almeno trenta giornate nell’anno precedente e allo stesso tempo è stata sospesa la riduzione del 3% mensile del sussidio dopo il quarto mese dalla prima erogazione.

Ci sono anche altre motivazioni, più strettamente legate al Covid. A causa delle chiusure, delle incertezze sulle date e sulle modalità di riapertura, i titolari si sono trovati impreparati e si sono occupati delle assunzioni all’ultimo minuto: “La cautela dei titolari delle attività  non ha permesso la programmazione delle assunzioni che sono arrivate all’ultimo minuto in attesa di sicurezze su una ripartenza vera. Questo ovviamente richiede di trovare personale già formato, una persona non può imparare questo lavoro in 15 giorni”, ha spiegato Carlo Scrivano, il direttore dell’Unione Provinciale Albergatori di Savona.

C’è anche da considerare che, quest’anno, la stagione è partita più tardi ed è dunque più breve: alcuni dipendenti probabilmente hanno preferito attività con tempi di assunzione più lunghi piuttosto che 70 giorni di lavoro. “Ovvio che lavorare per 3 mesi o 6 è diverso che lavorarne poco più che due”, ha dichiarato sempre Scrivano.

La pandemia può aver influito sui lavori di stagione anche in altri modi:  probabilmente alcune persone, per preoccupazioni sanitarie, hanno evitato di scegliere lavori che prevedono un costante contatto col pubblico. Si pensi, poi, che una parte dei lavoratori stagionali sono studenti universitari fuorisede, che in molti casi nell’ultimo anno non hanno vissuto nelle città dei loro atenei, dove pagavano un affitto lavorando per esempio nei bar o nei ristoranti.

Chiara Vita

Non perché, ma come

“Per molto meno, nei secoli scorsi, scoppiavano guerre e rivolte popolari”. Così D’Amico della Gazzetta del Sud la settimana scorsa chiudeva un articolo riguardo l’isolamento e l’arretratezza in cui verte la Città di Messina.

Fondata come colonia greca col nome di Zancle e poi Messana, la città raggiunse l’apice della sua grandezza fra il tardo medioevo e la metà del XVII secolo, periodo in cui contendeva a Palermo il ruolo di capitale siciliana.

Il nome originario Zancle deriva forse dalla forma a falce della penisola di S. Raineri, la quale oltre ad aver stimolato l’immaginazione dei greci attribuendone l’origine al momento in cui Cronos (padre di Zeus) tentò di scacciare dal trono il padre Urano evirandolo con una falce poi lasciata cadere proprio nello stretto, ha costituito un porto naturale che fu alla base dello sviluppo della colonia greca.

Lo stesso che oggi è snodo fondamentale per le imbarcazioni che solcano il mediterraneo e che nel 2016 è stato il primo porto italiano per traffico passeggeri (250mila in più di Napoli). Considerazioni che poco sembrano interessare alla politica nazionale, la quale toglie a Messina la sede dell’Autorità Portuale e poi la lascia fuori dal fondo di 1 miliardo e 397 milioni di euro destinati alle linee metropolitane e filoviarie delle Città metropolitane e altre città.

Sembra quasi ci sia la volontà di punire ed umiliare ogni volta questa splendida città privandola di tutto, spesso anche di diritti fondamentali. La continuità territoriale, in questa zona così cruciale della geografia italiana, viene negata dallo Stato italiano dato il progressivo rincaro dei biglietti aerei per l’Isola da parte delle compagnie aeree, l’assenza di un’alta velocità ferroviaria (per non dire di treni e binari) insieme alle penose condizioni della Messina-Catania il cui versante peloritano non è stato sistemato nemmeno con la venuta del G7 (Tchamp piss no uor).

Caro voli denunciato nei giorni scorsi ancora una volta dall’associazione “Fuori di Me” con il report annuale, da cui si evince un incremento costante dei biglietti aerei per le tratte che servono la nostra zona con picchi sotto Natale a 603 euro per una A/R sulla tratta Linate-Catania. «Come evidenziato dall’ultimo bilancio demografico – sottolinea l’ex presidente dell’associazione Roberto Saglimbeni –, la città di Messina ha subito una perdita pari a 5000 abitanti (-2,2%) solo negli ultimi cinque anni. È quindi ovvio che c’è una sempre più forte esigenza di collegamenti efficienti, soprattutto aerei».

Una realtà quella del fuorisede messinese che cresce quotidianamente, come attestano i dati Istat pubblicati quest’estate sui quotidiani locali secondo cui Quattromila 20enni hanno lasciato Messina dal 2008 ad oggi. Insomma uno stillicidio di giovani più che una fuga di cervelli. Talenti che devono brillare altrove pur essendo nati e cresciuti qui come il chimico-fisico di 25 anni recentemente intervistato da IlFattoQuotidiano.it Fabrizio Creazzo che dopo la tesi magistrale alla Sorbona ha ottenuto il finanziamento del suo PhD sul carburante ecologico del futuro alla Université Paris-Saclay e Ecole Polytechnique. Dopo un 110 e lode in Fisica all’UniMe Fabio è partito per svoltare la sua situazione economica e professionale come si legge nell’articolo del quotidiano nazionale:

“Io vengo dal Sud ma nonostante ciò, con fatica e sacrifici, ho potuto realizzare la mia tesi magistrale in fisica, con il massimo dei voti, all’Università della Sorbona e ottenere un completo finanziamento da un laboratori d’eccellenza per realizzare il mio PhD sempre in Francia”. Ma non solo: in questi pochi anni di vita parigina Fabrizio ha potuto pubblicare ben tre articoli scientifici, conoscere gli esperti mondiali del suo ambito di lavoro e diventare membro del comitato editoriale di una rivista scientifica a soli 25 anni. “E sono partito da Messina. Tutto questo in Italia sarebbe stato impensabile”.

Tutto ciò potrebbe suonare come un commiserare ripetitivo, una lamentela, di quella che è la situazione attuale, ma ciò che deve spaventare davvero è l’assordante silenzio della classe dirigente locale. L’assenza di politiche concrete che rendano Messina capace di richiamare ed attrarre a sé i più giovani, senza i quali questo posto non ha futuro.

Quando ero all’ultimo anno di Liceo, in occasione del 66^ anniversario della nascita della Regione Sicilia (2012), la mia scuola organizzò un incontro con l’autore del libro “I Siciliani” Gaetanno Savatteri, incontro al quale parteciparono anche l’allora sindaco di Messina Giuseppe Buzzanca e l’allora assessore regionale alla cultura Mario Centorrino. Mi fu richiesto dal comitato organizzativo insieme ad altri compagni di scuola di porre una domanda allo scrittore. I miei coetanei fecero domande inerenti al libro, alla Sicilia ed alla Mafia, io pensai di andare un po’ fuori traccia. Così presa la parola mi rivolsi direttamente all’assessore regionale e chiesi come potessimo noi giovani una volta terminato il liceo costruirci un futuro rimanendo nella nostra terra. Era un professore distinto, molto pacato, e fu piacevole ascoltare la sua risposta sul perché fosse importante rimanere qui, ma una volta averlo lasciato terminare al microfono dissi: “assessore non le chiedo perché, ma come?”. Lui mi sorrise e fu così gentile da rispondermi che era possibile ma difficile. A distanza di cinque anni però, continuo a pormi la stessa domanda: “Non perché, ma come?”.

Alessio Gugliotta

Dedica di Gaetano Savatteri