Milazzo Film Fest 2025: L’Arminuta

L’Arminuta è un film del 2021 diretto da Giuseppe Bonito, tratto dall’omonimo romanzo di Donatella Di Pietrantonio, vincitore del Premio Campiello 2017. Il film ha inoltre ottenuto un David di Donatello per la miglior sceneggiatura non originale, uno per il miglior film (2021) e un Nastro d’Argento.

Biglietto solo andata

Il titolo, che in dialetto abruzzese significa “la ritornata”, si riferisce alla protagonista: una ragazzina che viene “restituita” alla sua famiglia biologica dopo aver vissuto per molti anni con quella adottiva. Catapultata in una realtà diversa da quella che viveva prima, l’Arminuta (Sofia Fiore) vive così il dramma della separazione e, di conseguenza, quello di una crisi d’identità.

Il tema della famiglia è dunque al centro, ma non nella sua rappresentazione ideale, bensì come un insieme di relazioni complicate, che non sempre offrono amore incondizionato, ma piuttosto fratture e incomprensioni.

Visualizzato senza risposta

La sua crescita si realizza più nel vuoto lasciato da un affetto mancante che nella ricerca di un amore che la completi. L’Arminuta è costretta a fare i conti con una mancanza di risposta da parte delle persone da cui dovrebbe aspettarsi accoglienza e calore; questo è proprio il cuore pulsante della sua lotta interiore.

Film in cui l’amore viene offerto a singhiozzo e in modo distaccato, l’Arminuta quindi diventa simbolo di una generazione che cresce in un mondo dove le relazioni non sono più così semplici, laddove l’amore non è scontato e il legame di sangue non sempre garantisce connessione emotiva. L’incapacità di essere amati in modo semplice diventa, paradossalmente, una spinta per la protagonista a cercare di trovare un equilibrio dentro di sé.

L'Arminuta
Vanessa Scalera e Sofia Fiore in una scena del film. Fonte: https://www.anonimacinefili.it/wp-content/uploads/2021/10/larminuta-2.jpg

Quando l’amore diventa conflitto

Complesso è il rapporto con la madre, che non è né materna né affettuosa, semplicemente non sa come amarla. Non la respinge di fatto intenzionalmente, ma non sembra vedere l’Arminuta come una figlia.

Metaforicamente parlando, è come se la madre fosse un muro, non cattivo, ma pur sempre un muro. La sua casa, per quanto priva di affetto, resta sempre casa sua, e lei è, per quanto difficile da accettare, sua figlia.

Vanessa Scalera, grazie alla sua performance, restituisce al personaggio realtà e intensità; la sua interpretazione non è mai eccessivamente melodrammatica, ma piuttosto contenuta da qualsiasi tipo di sentimentalismo, fatta di piccole sfumature, in cui emerge la fatica di una madre che ha vissuto una vita difficile e che non ha gli strumenti emotivi per accogliere la figlia che le è stata restituita.

Scalera evita un’interpretazione troppo didascalica della madre “dura” e “insensibile”, ma semplicemente su una figura che è incapace di esprimere l’affetto che, forse, prova.

Vivere oltre il dolore

L’Arminuta è un film che non tenta di trovare una soluzione: grida incompletezza, perdita e resilienza. Non ci sono facili risposte o chiusure emotive.

Tra i personaggi, tra l’altro, quella che sembra essere la più equilibrata nel contesto in cui vive è Adriana (Carlotta De Leonardis), sorella dell’Arminuta. Adriana è pragmatica, ha accettato la sua realtà familiare e, anche se non manifesta apertamente affetto, è molto più radicata nella quotidianità, sembra disillusa e rassegnata alla sua condizione, non mostra particolare entusiasmo, ma ha imparato a vivere con quello che ha, senza aspettative di cambiamenti. A modo suo, è quella che riesce a restituire ciò che si avvicina di più all’amore all’Arminuta, senza troppe frasi fatte, ma solo attraverso gesti significativi.

Sofia Fiore e Carlotta de Leonardis. Fonte: pad.mymovies.it

Un ritorno che spezza senza ricomporre

Il film offre una critica al concetto tradizionale di famiglia perfetta e all’incapacità di trovare empatia e comunicazione. Una storia commovente, cruda e con uno sguardo realistico.

Un viaggio interiore ed emotivo che esplora il difficile cammino della protagonista, che piano piano si sforza di cercare risposte e ottenere quelle più amare. La crescita personale dell’Arminuta, pur segnato da frustrazioni, è un percorso tortuoso ma che volge a un’accettazione senza più illusioni di trovare una felicità esterna.

 

Asia Origlia

Famiglia: paure e desideri dei prossimi adulti. Cosa dice la ricerca Istat

La famiglia, l’istruzione, la cittadinanza, il senso di stabilità economica percepito sono solo alcuni dei temi su cui l’Istat ha condotto la sua ultima indagine. I soggetti protagonisti, come di rado accade in un Paese “anziano” quale è l’Italia, sono i giovani, o i giovanissimi (ragazze e ragazzi dagli 11 ai 19 anni).

A un campione degli imberbi di oggi è stata posta una serie di domande per ricavare un disegno utile a leggere i problemi da loro attualmente sentiti, come quelli che domani potrebbero attanagliare una prossima generazione di adulti.

I risultati sono per certi versi sospettabili ma per altri persino controcorrente rispetto alle cristallizzate credenze popolari. Sul tema famiglia, soprattutto, una sfavillante sorpresa. Il luogo comune recita che i giovani non vogliono più fare figli, volendo sostituire questi questi con cani, gatti e insano materialismo; ma sarà davvero così? Quanto c’è di puramente vero e quanto di stereotipato? Le statistiche, la matematica – che mai mente – raccontano qualcosa di diverso.

I giovani e la loro voglia di famiglia

La ricerca Istat è varia, grande, e per spulciarla e commentarla interamente occorrerebbe certamente più di un solo articolo. Per questo, a chi avesse la curiosità di spaziare, qui di seguito si lascia l’originale link da consultare: INDAGINE BAMBINI E RAGAZZI | ANNO 2023 

Ciò scritto, già dal titolo, il focus di questo articolo vuole porsi sul risvolto forse più controintuitivo dell’indagine: ovvero le previsioni, le sensazioni circa l’inverno demografico italiano e la prossima generazione che verrà a confrontarcisi.

Il rapporto ci dice, facendosi ben sperare, che:

  1. ben tre ragazzi su quattro vedono un futuro in coppia e altrettanti pensano al matrimonio, solo il 5,1% invece immagina di vivere da solo, mentre gli indecisi superano di poco il 20%;
  2. il 69,4% dei ragazzi e delle ragazze dice di volere dei figli, il 21,8% è indeciso e l’8,7% dice di non volerne, per di più: pochissimi, secondo il rapporto, pensano al figlio unico, la maggior parte ne vuole almeno due, mentre il 18,2% pensa a tre o più figli.

L’Istat, nel commentare i propri risultati, si spinge ad affermare ottimisticamente che “una ripresa demografica non sembrerebbe impossibile”. Indicando però anche la necessità di “creare le condizioni affinché almeno una parte di indecisi (21,8%) sia portata a cambiare idea in futuro”, per mirare a un esito che non sia semplicemente compensativo ma finanche efficace nel voltare il paradigma culturale sulla natalità.

A proposito di condizioni favorevoli e sfavorevoli, poi, l’indagine dona altri spunti, investigando il grado di sicurezza economica e benessere percepito dai millennials.

Il futuro in Italia preoccupa

Il 41,3% dei giovanissimi dice che il futuro lo affascina, ben il 32,3% ne ha paura e il 26,5% non sa o non pensa al futuro.

Rispetto all’indagine condotta nel 2021, la quota di coloro che si sentono affascinati dal futuro è diminuita di quasi 5 punti percentuali, mentre è cresciuta di 5 punti e mezzo la quota di chi ha paura e, fra le ragazze, è maggioritaria la quota di chi ha paura del futuro (42,1%, addirittura il 56% tra le 17-19enni) rispetto a chi ne sente il fascino (35,9%).

La situazione economica condiziona moltissimo. Tra coloro che dichiarano di avere una “situazione economica molto buona” chi è affascinato dal futuro raggiunge il 48,5%, chi ne ha paura il 26,9%; tra coloro, invece, che percepiscono la situazione economica familiare come “per niente” o “non molto buona” il 32,8% è affascinato dal futuro mentre il 40,8% ne ha paura.

Altrove è la destinazione

In ogni caso l’avvenire è spesso immaginato altrove. Oltre il 34% dei ragazzi tra gli 11 e i 19 anni, infatti, da grande vorrebbe vivere in Paese diverso: negli Stati Uniti, in Spagna o in Gran Bretagna. Nazioni, specialmente le anglofone, simbolo del capitalismo, dell’innovazione e della modernità.

Qui le statistiche forse riaffermano i luoghi comuni. Sarà la continua negative campaigning praticata dal giornalismo nazionale che enfatizza i problemi effettivamente presenti nel Belpaese, saranno i problemi stessi a pesare in una loro misura specifica; quel che scaturisce – tra sensazioni sul reale e dal virtuale – è comunque un pessimismo quasi generalizzato, che porta a credere – chissà se fallacemente – che pressappoco ogni luogo sia migliore da vivere rispetto a quello di nascita.

Che altrove sia sempre superiore a qui, per sentito dire però, e non necessariamente per comprovata esperienza.

Gran Bretagna, Spagna, Stati Uniti sono Paesi perfetti? O sono perfettibili, come è perfettibile l’Italia?

Gabriele Nostro

La scuola cattolica: figli di una mala educazione

Un film che porta a riflettere sull’educazione di ieri e di oggi per fare in modo che la violenza non si ripeta – Voto UVM: 4/5

 

Presentato fuori concorso alla 78esima Mostra del Cinema di Venezia, quello tratto dal romanzo Premio Strega (2016) di Edoardo Albinati e diretto da Stefano Mordini, è un film che racchiude in sé dolcezza e atrocità.

La scuola cattolica racconta infatti uno dei fatti di cronaca nera più terribili del nostro paese: il delitto del Circeo.

La vera storia del massacro

Nella notte tra il 29 e il 30 settembre 1975, dopo torture morali, fisiche e sessuali, tre giovani appartenenti all’alta borghesia romana: Gianni Guido, Andrea Ghira e Angelo Izzo, uccidono la diciassettenne Rosaria Lopez, che insieme alla sua coetanea Donatella Colasanti, li aveva seguiti nella Villa al Circeo di Ghira, convinta di andare al mare. I tre caricano le due ragazze nel bagagliaio di una Fiat 127, che parcheggiano sotto l’abitazione dello stesso Guido, per poi allontanarsi. È allora che Donatella, tramortita e ferita, con piccoli gemiti riesce a richiamare l’attenzione di un vigile notturno che la salva. Dei tre colpevoli saranno arrestati solo Guido e Izzo, mentre Ghira non sarà mai catturato.

Emanuele Di Stefano (Edoardo Albinati) in “La scuola cattolica”

Al cinema

Con una struttura complessa che si presenta quasi come un crescendo musicale, il film si dirama in più linee narrative: dall’educazione dei ragazzi ai quali vengono imposte finte punizioni, alla loro libertà incontrollata, da quelle istituzioni che si presentano come i capisaldi di una società purtroppo non più in grado di crescere quei giovani uomini, finendo per nascondere sotto il tappeto una montagna di polvere – o meglio micce pronte a prendere fuoco.

La genesi di tutto è da ricercare proprio all’interno di un liceo cattolico destinato ai figli dell’alta borghesia romana, che si presenta come il terreno ideale in cui far crescere il seme della violenza e della “mala educazione”.

Produttivamente e poeticamente sembrerebbe alludere all’ormai lontano Romanzo Criminale di Michele Placido (2005) con cui condivide gli eccessi e i difetti di un’alquanto instabile società e del suo progredire verso l’inevitabile inconsistenza di un futuro frammentato, caotico e privo di certezze. Anche se, a differenza della pellicola di Placido, Stefano Mordini, lascia ampio spazio ad atteggiamenti instabili, pericolosi ed estremi, il film non mostra quasi mai la violenza in scena ma la evoca, ad esempio, nelle suppliche sfinite di Donatella, interpretata magistralmente da Benedetta Porcaroli.

Benedetta Porcaroli (Donatella) e Federica Torchetti (Rosaria) in una scena del film.

L’opera di Mordini si chiude ricordandoci che Rosaria e Donatella furono massacrate prima fisicamente e poi moralmente da stampa e opinione pubblica, che addossarono loro la colpa per quanto accaduto. In pratica se l’erano andata a cercare, salendo su quella Fiat 12! Rispetto ad allora le cose sembra che non siano cambiate. Basterebbe entrare su qualsiasi social network, accendere la Tv o la radio per ascoltare frasi del tipo «se la sono andata a cercare», riferita a donne colpevoli semplicemente di aver messo una gonna troppo corta o aver risposto male a un uomo.

La censura

Il nostro bel paese come sempre non perde l’occasione di dimostrarsi incoerente e contraddittorio. Il film, realizzato col sostegno del Ministero della cultura (MiC), è stato poi censurato dalla Commissione per la classificazione delle opere cinematografiche proprio dopo che lo scorso aprile, lo stesso Dario Franceschini, alla firma del decreto per l’istituzione della nuova commissione, aveva dichiarato abolita la censura cinematografica:

“Definitivamente superato quel sistema di controlli e interventi che consentiva ancora allo Stato di intervenire sulla libertà degli artisti.”

Il film è ad oggi vietato ai minori di 18 anni. La Commissione si è lamentata del fatto che le vittime e i carnefici vengono messi sullo stesso piano. Esplicito il riferimento alla scena di un professore che soffermandosi su un dipinto, mette sullo stesso livello la figura di Cristo e dei suoi flagellanti.

Al contrario, il messaggio che Mordini voleva trasmettere al pubblico, doveva essere inteso come uno strumento per capire la differenza tra le vittime e i loro carnefici, tra il giusto e lo sbagliato, per prendere atto del peso della responsabilità di chi sbaglia e non di chi subisce. È assurdo come venga vietato un film assolutamente necessario per gli adolescenti di oggi, donne e uomini di domani.

Ferrazza (Edoardo Carbonara), Edoardo Albinati (Emanuele Di Stefano), Carlo Arbus (Giulio Fochetti)

Da guardare: sì o no?

Senza ombra di dubbio, quella che il regista prova a raccontare, è una delle pagine criminali più allucinanti del nostro dopoguerra. Prova però a farlo in maniera intelligente, privilegiando una coralità narrativa, a discapito di un’analisi antropologica e sociologica del periodo storico. È infatti assente la vicinanza dei tre carnefici agli ambienti fascisti o il loro abuso di droghe.

Mordini, dunque, ci pone davanti un affresco del 1975 con scene prive di pathos e tensioni, ma pur sempre con una grande valenza sociale. Un film che tutti dovrebbero vedere, per fare in modo che la violenza non si ripeta.

Domenico Leonello

Alla scoperta della Festa dei morti: tradizioni messinesi

Oggi analizziamo insieme le tradizioni legate alla “Festa dei morti” e il motivo per cui è ancora una delle feste più sentite in molte parti del mondo, tra cui la Sicilia e in particolare Messina.

Sebbene in molti pensino che le origini di questa celebrazione siano religiose, legate al cristianesimo, in realtà la sua origine è da ricercarsi nell’antica cultura celtica. Il 31 ottobre nella tradizione celtica era infatti il Samhain, che segnava la fine dell’anno e in cui la notte era più lunga del giorno. Si pensava che gli spiriti passassero da un mondo all’altro e quindi ci potesse essere un reale incontro con i defunti. Questa tradizione viene poi mantenuta dal cattolicesimo e trasformata in una festa religiosa, celebrata nella data attuale (2 novembre).

Croce celtica – Fonte: wikipedia

Ma come viviamo nella nostra isola questa festività?

La Sicilia è uno dei luoghi in cui questa tradizione ancora oggi viene particolarmente sentita e celebrata.

Le famiglie si preparano per festeggiare i propri defunti. I bambini attendono con gioia l’arrivo dei “morticini”, i regali nascosti in casa per loro dai loro cari che ormai non ci sono più.

Un ricordo di infanzia del celebre scrittore siciliano Andrea Camilleri descrive alla perfezione il significato di questa festività:

«Noi nicareddri, prima di andarci a coricare, mettevamo sotto il letto un cesto di vimini che nottetempo i cari morti avrebbero riempito di dolci e di regali che avremmo trovato il 2 mattina, al risveglio. Eccitati, sudatizzi, faticavamo a pigliare sonno: volevamo vederli, i nostri morti, mentre con passo leggero venivano al letto, ci facevano una carezza, si calavano a pigliare il cesto […] Mai più riproverò il batticuore della trovatura quando sopra un armadio o darrè una porta scoprivo il cesto stracolmo».

Da queste parole capiamo come concetti indissolubilmente legati a questa ricorrenza quali il lutto e la tristezza che da esso deriva, si trasformino in gioia del bambino nell’approcciarsi a questa tradizione.

Andrea Camilleri

Anche Messina è ricca di tradizioni legate a questa festa: i bambini preparano per il defunto un bicchiere d’acqua su un tavolo. L’indomani, dopo aver ritrovato il bicchiere vuoto, con ansia e gioia cercano il regalo lasciato per loro sotto il letto o nell’armadio, entrambi segno del “passaggio” dei defunti. Io stessa ricordo come la ricerca del dono fosse la parte più bella dell’intera giornata. Anticamente era inoltre usanza andare a mangiare e bere accanto alla tomba del defunto.

Più comunemente, oggi ogni famiglia va a fare visita ai propri cari defunti al cimitero monumentale della città, tra i più rinomati e artisticamente complessi d’Italia e d’Europa.

Cimitero monumentale della città di Messina

Nell’ambito delle tradizioni, i dolci sono sempre stati importanti e ricchi di significato, sia per gli adulti che per i bambini. A testimonianza di ciò, passiamo in rassegna i principali dolciumi tipici siciliani e messinesi.

Innanzitutto troviamo la famosa frutta marturana, o frutta di Martorana, dolce simile al marzapane all’interno, preparato con farina di mandorle e miele, dal gusto molto zuccherato. Secondo un’antica tradizione questi dolci furono per la prima volta realizzati dalle monache del monastero della Martorana, a Palermo, per abbellire la sala per la venuta del Papa sostituendo la frutta del giardino con questa frutta fatta di farina e miele.

Frutta marturana – Fonte: sicilianfan.it

Un altro dolce tipico sono le Ossa di morto, dalla base scura e il guscio chiaro, fatti di farina, zucchero e spezie tra cui la cannella e i chiodi di garofano. Il loro nome deriva appunto dalla festa stessa o probabilmente dalla loro consistenza dura, dunque simile a quella delle ossa. Un’ultima ipotesi più macabra fa risalire il nome a una pratica medievale che prevedeva l’utilizzo di polvere di cranio per insaporire cibi e filtri amorosi. Sono conosciuti a Palermo come “Mustazzoli”, a Messina prendono il nome di “Morticini” o “Scardellini”.

Non fatevi intimorire dal nome: la bontà è testimoniata dal fatto che è praticamente impossibile trovare una casa messinese in questo periodo che non ne abbia almeno un sacchetto.

Morticini – Fonte: panificiocacciola.it

Come abbiamo avuto modo di vedere, a volte le tradizioni non rappresentano soltanto semplici usanze ripetitive, ma momenti ricchi di significato e di gioia e la “Festa dei morti” ne è proprio un esempio, rivelandosi momento di condivisione, di attesa e di incontro in cui, anche se per un solo istante, la morte fa meno paura e dolcemente si avvicina alla vita.

Cristina Lucà

Ohana significa famiglia

Ohana significa famiglia e famiglia vuol dire che nessuno viene abbandonato o dimenticato.” 

La citazione, tratta dal cartone Disney “Lilo & Stitch”, rimanda all’idea di famiglia secondo la cultura hawaiana. Con il termine ohana si intende la famiglia non solo in senso lato (legame di sangue), ma anche come rapporto adottivo o intenzionale che unisce le persone amiche in funzione dell’affetto e dei valori di cooperazione, condivisione e rispetto. Significa prendersi cura gli uni degli altri scegliendosi e accettandosi reciprocamente così per come si è.

Questa concezione sta alla base della tradizione dei nativi hawaiani, ma in fondo la si potrebbe estendere anche ad altre culture, che ne condividono il valore. Ad esempio, spostandosi di continente, la famiglia è molto sentita e vissuta anche in Italia, e rappresenta un elemento fondante della cultura e della società. È emblematico e interessante pensare, ad esempio, che in una delle attività di formazione che l’associazione Intercultura (onlus che si occupa di scambi interculturali) organizza per i ragazzi in partenza all’estero, la maggior parte di questi ultimi, nel dover stilare la loro scala dei valori, tenda a posizionare tra i primi proprio quello della famiglia, attribuendovi importanza primaria.

Tornando al concetto di ohana: le parole del personaggio di Lilo potrebbero essere tornate in mente facilmente mentre la scorsa settimana ci si imbatteva negli aggiornamenti quotidiani dei tg in merito al XIII congresso mondiale delle famiglie (World Congress of Families) che si è svolto dal 29 al 31 marzo a Verona. Tra i relatori spiccano personalità più o meno note del panorama politico nazionale e internazionale. Cos’è la famiglia per una parte di Italia hanno tentato di spiegarcelo loro, argomentando delle tesi a supporto di teorie pro vita che contemplano l’esistenza di un solo modello di famiglia riconosciuto come unicamente valido poiché costituito dalle figure genitoriali di madre e padre. Ecco perché, leggendo e ascoltando queste parole, se ne possono pensare di altre diametralmente opposte, come quelle di Lilo, che se interpretate con un principio di inclusione, alludono a una realtà dove nessuna tipologia di famiglia, seppur non tradizionale, viene dimenticata o non celebrata. Una famiglia per essere definita tale deve rispondere a poche ma essenziali condizioni: il sentirsi a casa e l’amore disinteressato e incondizionato. Quali altri canoni dovrebbe rispettare una famiglia ideale? Quali criteri determinano un modello di famiglia migliore rispetto a un altro? Quali dovrebbero essere i tratti distintivi che costituiscono una famiglia cosiddetta “normale” e naturale? Le altre sono anormali? Altre forme d’amore e altri modi d’amare sono impensabili?

Laddove c’è amore, c’è famiglia: ed è proprio questo lo slogan proiettato nelle facciate di alcuni monumenti a Verona, in occasione di una manifestazione di protesta avanzata da All out, movimento globale che lotta a favore dei diritti LGBT+, a cui hanno aderito anche altri enti ed associazioni che sposano la stessa mission. L’intento era quello di trasmettere, attraverso l’azione non violenta, il seguente messaggio: “è l’amore che fa una famiglia e tutte le famiglie contano!”. Questa insurrezione non deve essere confusa e fraintesa con una pretesa di voler imporre a tutti i costi idee opposte a quelle portate avanti dal congresso, ma è dettata dal principio della libertà di espressione di posizioni diverse su alcuni temi. Così come al congresso delle famiglie si dibatteranno alcune opinioni, allo stesso modo si deve poter esercitare il diritto di controbattere, ribellandosi a una determinata corrente di pensiero.

Željka Markić, fondatrice e presidente di “Per conto della famiglia” (U ime obitelji) in Croazia, uno degli ospiti del congresso, ha dichiarato: “Preferirei dare mio figlio all’orfanotrofio, piuttosto che in adozione a una coppia dello stesso sesso.”Un pensiero del genere vorrebbe negare dunque a un bambino la felicità e l’armonia di cui avrebbe bisogno in assenza dei genitori biologici, in funzione di quella distorta idea secondo cui i bambini che crescono con genitori dello stesso sesso non abbiano come riferimento un modello educativo solido e stabile, ma deviato. Sempre secondo questa visione, altre conseguenze sarebbero lo stato di isolamento e di discriminazione che il bambino potrebbe subire, sottoposto ai giudizi di chi lo considererà diverso e lo additerà come “fuori dal comune”. È davvero con questi presupposti che ci si vuole rivolgere e approcciare alle nostre comunità? Le esigenze della società si sono evolute e le società stesse hanno imparato ad accettare tipi nuovi di relazioni, le cosiddette unioni civili. Anche la politica e le leggi dovrebbero adattarsi ai cambiamenti sociali, aggiornando il codice civile, introducendo e promulgando nuove leggi a favore dei diritti di tutti, che una volta approvate ed entrate in vigore, garantiscano più equità sociale. Sono stati già fatti molti passi avanti (la legge Cirinnà che dal 2016 riconosce le unioni civili), ma ancora tante altre proposte devono essere oggetto di confronto per nuovi disegni di legge.

©FernandoCorinto, Parco Don Blasco – Marzo 2019

Altro argomento controverso oggetto di pregiudizi e disinformazione è la questione dell’utero in affitto e della maternità surrogata. Agli occhi dei famigerati e fantomatici garanti della vita ospiti del congresso, questi metodi ridurrebbero la volontà di coppie dello stesso sesso di avere figli a un mercato e a una forma di business che mercificherebbe la donna in quanto oggetto utile alla procreazione, in cambio di denaro. Questa pratica effettivamente viene eseguita in alcune parti del mondo ed è una realtà da molti denunciata. Ma occorre ricordare che in Italia non è consentita, e che dopo aver constatato questo dato, è necessario avviare e supportare una corretta campagna informativa, specificando che non si tratta delle uniche opzioni per una coppia gay di avere figli. Esiste la possibilità di ricorrere a tecniche lecite e legali di procreazione assistita.

Sul fronte della tematica della donna, il congresso si è espresso in modo altrettanto retrogrado e maschilista: la donna viene ancora una volta relegata al ruolo di moglie e madre, come fosse una macchina deputata esclusivamente alla riproduzione, senza diritto di occupazione e ambizioni di carriera. È frustrante quanto vero dover riportare il seguente dato, che emerge da statistiche e da testimonianze che corrispondo al vero: è ormai risaputo che l’Italia rientra tra i paesi le cui prospettive professionali per una donna sono ridotte, con salari più bassi rispetto agli uomini, unitamente all’amarezza di una mentalità diffusa che vede le figure manageriali e di potere come prerogativa dell’uomo. Per non vanificare anni di lotte per l’emancipazione, bisogna intraprendere politiche a favore delle pari opportunità e investire su un tipo di formazione che dia una svolta a quell’approccio machista che ad esempio ha indotto Sergio Vessicchio, cronista calcistico attualmente sospeso dall’ordine dei giornalisti, a rivolgere in diretta da una web tv di Agropoli, commenti sessisti e offese nei confronti di una donna che arbitrava ad una partita. Ha cercato poi di difendersi goffamente, definendo i suoi commenti solo come “dei modi per evitare la promiscuità.” Ai suoi occhi, le donne devono arbitrare le donne, e gli uomini devono arbitrare gli uomini, ignorando il fatto che se si procederà sempre seguendo tali parametri di esclusione, si accentueranno i divari di genere e non si combatterà mai l’idea che le donne siano considerate inferiori, o peggio, non esperte tanto quanto gli uomini riguardo a uno sport in prevalenza maschile.

È evidente come ci sia un’emergenza seria che merita la priorità rispetto agli investimenti sulla maternità. Innanzitutto, se proprio si vuole agire efficacemente, si dovrebbero adottare e applicare politiche di investimento sugli asili nido, promesse puntualmente da ogni legislatura e mai realmente messe in atto. Ad oggi è un problema rilevante per tutte quelle famiglie e tutte quelle mamme che, trovandosi in difficoltà a causa della mancanza di sussidi e luoghi sufficienti in cui poter portare i figli durante la loro assenza, trovano inconciliabile maternità e lavoro. Perché inoltre non ci si concentra su politiche concrete mirate a creare posti di lavoro? Il lavoro nobilita l’uomo, e l’uomo, per creare un nucleo familiare sereno, deve prima poter essere messo nelle condizioni di avere una dignità economica per poterne assicurare il sostentamento. Una donna non ha voglia di essere madre se prima non le viene riconosciuto a pieno il suo status sociale di persona, con uguali diritti di un uomo, senza distinzioni di genere. Una donna per sentirsi appagata e realizzata non è costretta necessariamente a diventare madre, e deve poter avere la libertà di scegliere attraverso la contraccezione, che nonostante abbia diminuito il tasso di natalità da un lato, dall’altro ha limitato e prevenuto molte gravidanze indesiderate, e quindi aborti.

A tal proposito, veniamo al discorso sull’aborto, altro aspetto che il congresso delle famiglie lamenta e condanna. Sorge spontaneo chiedersi se, nei loro ragionamenti, i relatori tengano in considerazione tutte le ragioni che possono portare a un aborto. Per citarne qualcuno: i concepimenti frutto di stupri e violenze o di rapporti non consenzienti; i casi di gravidanza rischiosa per il feto e/o per la madre; l’impossibilità economica di mantenere il feto quando nascerà e diventerà bambino. Abortire non è mai una scelta semplice, per nessuno, ma c’è una legge che lo permette, e regredire non è proficuo. Inoltre, esiste già l’assistenza adeguata che non lascia soli chi desidera portare avanti la gravidanza fino al parto e poi far adottare il bambino. Questa soluzione alternativa all’aborto è il parto in anonimato. Credere di aver costituito un governo politico da appena un anno e poter illudersi di apportare riforme che esistono già è molto inutile, oltre che una pericolosa manipolazione all’insegna del pressappochismo e del buonismo che vorrebbe solo accaparrarsi il consenso della massa.

LGBT+, madri e padri single, e le donne sono le categorie coinvolte nei dibattiti del congresso tenutosi una settimana fa a Verona. Sono nel mirino perché considerate minoranze e gruppi deboli, e che per questo motivo secondo il punto di vista dei partecipanti all’evento, non dovrebbero essere tutelati e godere degli stessi diritti di tutti. Come in ogni fase della storia, in questo momento è toccato a loro diventare i capri espiatori, accusati di essere tra i colpevoli del depauperamento della popolazione. Questa convinzione infondata cela un motivo ben più profondo: rappresenta un comodo deterrente che servirebbe a non ammettere un susseguirsi di sbagli di strategie e logiche politiche, su cui ricadono le principali responsabilità di cali demografici e crisi economica.

Il motto del congresso nonché titolo del manuale di presentazione del programma è “Wind of Change”, cioè “Vento del cambiamento”. È inevitabile il paragone con la celebre canzone degli Scorpions, che cantavano sulle note di “Wind of Change” come simbolo di resistenza e speranza contro la guerra. Non sembra esserci comunanza di intenti nel messaggio che l’organizzazione internazionale delle famiglie (IOC), organizzatrice del congresso mondiale delle famiglie, intende trasmettere e di cui si fa portavoce. Sicuramente non incita esplicitamente alla guerra, ma diffonde idee che sottostanno a un pensiero intollerante e chiuso. E si sa che fenomeni come i totalitarismi, prima di diventare tali, sono partiti in origine da politiche apparentemente accettabili che poi sono sfociate in crimini contro l’umanità e nel secondo conflitto mondiale. Da un’ideologia all’istigazione all’odio il passo è breve. 

Perché Verona e non qualche altro luogo in cui ambientare il congresso? Nel sito ufficiale dell’evento si spiega che Verona è stata scelta “per onorare i suoi cittadini e i loro continui sforzi e azioni in difesa dei valori della vita e della famiglia a livello sociale e politico”. Verona è conosciuta nel mondo per la sua storia e per il suo patrimonio artistico e culturale. Romeo e Giulietta e l’Arena ad esempio sono solo due tra quei simboli che rimarranno sempre predominanti. Non sarà di certo il congresso a rendere la città più speciale. Torniamo a dare il giusto peso e senso alle cose. Per fortuna che c’è la bellezza della cultura e dell’arte a salvare il mondo.

Giusy Boccalatte

A Famigghia è a Famigghia (c’è poco da fare)

La amiamo, la odiamo, non la sopportiamo, torniamo indietro con la coda tra le gambe. La famiglia di certo non te la scegli (Mamma, ti amo più di ogni cosa al mondo ma se avessi potuto avere come padre BILL GATES non sarebbe stato male), eppure è sempre là per te.

‘’Piccola e disastrata’’, diceva Stich (se non sapete chi è, faccia al muro); ognuna fatta a modo proprio, con le proprie regole, ossessioni, modi di colloquiare, urla.

Ma, dai che è così, è sempre là. CAZZO, sempre. Ed è l’unico posto dove, dall’inizio alla fine, anche se non si viene capiti… Si viene accettati.

Perché Ohana significa famiglia. E famiglia significa che nessuno viene abbandonato o dimenticato.

 

E NOI VI ABBIAMO SGAMATI, UNA DI QUESTE È LA VOSTRA, LATELMENTE IMBARAZZANTE, FAMIGGGGGHIA.

 

1) Quelli del Mulino Bianco

Tutto parte più o meno da lì, da quando al catechismo ci hanno insegnato che in principio sono stati creati Adamo ed Eva; l’uomo e la donna che si riproducono e danno vita a Caino e Abele. Una bella famigliola felice insomma (certo fino a quando poi Caino accoltellò Abele, ma questa è un’altra storia…)

La famiglia tradizionale è sostanzialmente semplice: ci sono mamma e papà e, quasi sempre, una coppia di figli maschio-femmina. Perché si sa: “Abbiamo fatto il maschietto, ora facciamo la femminuccia e siamo al completo” come se il tutto fosse un’ordinazione Amazon con comprese le spese di spedizione.

“Ah, e dopo prendiamo pure un cane che con l’acquisto della femminuccia ci fanno il 30%”

La famiglia del mulino bianco è il paradiso. Tutti amano tutti e i ruoli sono ben definiti. Il papi porta a casa la pagnotta, mami tiene a bada gli equilibri e raccoglie i calzini sporchi da terra, i pargoletti hanno il solo compito di studiare e portare a casa pagelle degne dei migliori college americani per mantenere alto in buon nome della famiglia.

Si fa tutto insieme: le gite in barca, le passeggiate in montagna, le cene di famiglia e le riunioni straordinarie per fare il punto della situazione ed aggiornarsi sull’andamento delle dinamiche familiari.

“Dove c’è Barilla, c’è casa”… o forse sarebbe meglio dire: “Rooossitaaaa, ma quanto è bello il nostro mulino… bianco?!”

 

 2)  Aggiungi un posto a tavola

In queste famiglie non si capisce niente. Sono difficili da spiegare, i componenti stessi hanno difficoltà, tant’è che si riduce tutto in un ‘’è mio cugino/ zio/ padre/ madre’’. E poi devi stare là a spiegare come mai il padre moro alto e di nome Nicola, si è trasformato in biondo e con gli occhi azzurri e si chiama Nunzio.

Bel dilemma.

Allora, vi spiego. Queste famiglie nascono, per sfortuna o per fortuna, da un divorzio. E poi, Mamma e Papà, si sposano rispettivamente con altri due Mamma e Papà NUOVI e quindi da che sei figlia unica a che hai 55 fratelli, 30 sorelle, 294 zii e zie, 93 nonni e nonne e 292402 cugini.

E poi ci sono quelle che Mamma e Papà Nuovi, cioè dopo che si sono lasciati con i VECCHI, figliano come conigli in calore e poi si lasciano e incontrano Mamma e Papà nuovi bis e quindi hai 8 padri 8 madri e non capisci più di chi cazzo sei figlio, ma va bene così perché dai con le paghette settimanali OTTUPLE.

“Sai cosa c’è, c’è un mondo nuovo qui che aspetta solo noi, adesso che ci siete voi… in tanti si sta bene!”

E, santi Cesaroni, siete diventati il riassunto perfetto per cercare di spiegare tale confusione: ‘’HAI PRESENTE I CESARONI? ECCO, CASA MIA È UN PO’ COSI’’’, arrivederci e grazie.

 

3) 44 gatti in fila per 3 col resto di 2

Eh beh, che non le consideriamo famiglie? Lo scenario è il seguente: una zia, spesso anziana e chiaramente zitella da una vita, restìa a qualsiasi legame interpersonale con la specie umana.

Si dai, lo so che voi giovani donzelle sulla ventina starete pensando “presto anch’io sarò una vecchia zitella rimbambita e senza speranze” ma sappiatelo, care ragazze, che per dar corpo alla vostra idea di famigliola felice dovrete chiaramente possedere DEI GATTI.

No, non sto parlando di uno, due o tre micetti coccolosi da lasciare sull’uscio di casa solo per dargli ogni tanto qualche avanzo da mangiare. Sto chiaramente parlando di avere letteralmente QUARANTAQUATTRO gatti, coi quali parlare, mangiare, dormire, dialogare sui drammi esistenziali dell’universo in un linguaggio misto fra quello umano e quello delle fusa animalesche.

Avete presente “Sepolti in casa” su Real Time? Io questo genere di famigliola la immagino così: un ammasso di gatti a ricoprire interamente la figura della vecchia zia che quando esce di casa puzza di piscio e sa di pelo. Siete carini però, molto carini.

 

4) Il Terrone fuori sede

Un giorno, u cucinu SABBATURI, pigghiau bagatti e burattini e sinni annau in America. O in Veneto, o in Francia o dove più gli garbava (cosa c’entra sta botta di fiorentino ora? Boh).

U cucino Sabbaturi, però, non seppi mai abbbituarsi agli usi e ai costumi del resto del mondo. Conosceva solo quelli i ccà!

E quindi, niente, vai con i pranzi di Natale che durano 60 ore, con le tavolate costituite da 90 parenti, con le bbuci fino alle 3 del mattino, con i ‘’si, ni videmu all’incirca verso le 20’’ e, puntualmente, si fanno le 21. Perché noi il SUD lo abbiamo dentro! ‘NTO CORI!

Con il povero vicino di casa Nordico/ Straniero che ha imparato ad usare i tappi per le orecchie perché, ALLE 19 IO DEVO DORMIRE VICINO DEL SUD DEI MIEI STIVALI. E, manco fossimo in Beautiful, il vicino lo dice al collega che lo dice al benzinaio, mentre fanno l’aperitivINO, che il vicino del sud è proprio UN GRAN CAFONE.

Però poi a pammiggiana i mulinciani te la vieni a mangiare eh, GIUDA CHE NON SEI ALTRO.

 

5) Somewhere over the RAINBOW

Nel 2017 oramai non dovrebbe più nemmeno essere un tabù dunque, se farò dell’ironia, non querelatemi; la farò in virtù del fatto che stiamo parlando di NORMALITA’.

Fatta la doverosa e delicata premessa, PROCEDIAMO. Le famiglie arcobaleno tutto sono tranne che ARCOBALENO. Io le avrei chiamate MONOCROMO (vi ricordo che sto facendo ironia, eh): O solo blu, o solo rosa (è più complicato di quanto pensassi il dover fare ironia senza rischiare la querela…) ANYWAY…

Queste famiglie sono così composte: due Mamme (e quindi tutto rosa) o due Papà (e quindi tutto blu, alla faccia dell’arcobaleno). In realtà non sempre si tratta di madri e/o padri poiché non è quasi mai scontata la presenza di un figlio all’interno di queste coppie (eh beh, siamo in Italia… ve lo ricordo)

Quindi pensiamo alle coppie: io una cosa ve la voglio dire, cari miei amici arcobaleno; io non sopporto me stessa, i miei umori, il mio carattere, LA MIA PERSONA. Vi stimo al solo pensiero che riusciate a sopportare il vostro ciclo e quello della vostra compagna, i vostri rutti e quelli del vostro compagno, la vostra ceretta e quella della vostra compagna, la vostra peluria e quella del vostro compagno.

Scherzo raga, lo avete capito no? Siete comunque più simpatici di quelli del Mulino Bianco (che bacchettoni quelli…)

 

6) Il Coinquilino di Merda

Molti di noi a 18 anni, similmente al cugino Sabbaturi, si fanno la valigia e vanno a studiare fuori. O, magari, vogliono iniziare a vivere da soli ma non hanno manco le pezze da mettersi al culo. E quindi sono due: o ti cerchi una casa con dei coinquilini o te ne vai sotto i ponti.

Se scegli il coinquilino, due sono i possibili scenari di famiglia che ti aspettano.

  • Vai a vivere con l’amico di una vita perché tanto conosco tutto di te e saremo friends Ma mia nonna, sempre quella che mi ha introdotta nel mondo dei peccati mortali, diceva una cosa: finchè non vai a convivere con una persona, non hai idea di chi sia. Eccola là.

 

Possibili conseguenze? O siete così matti entrambi che rimanete amici FOREVA, oppure QUANTO È VERO IDDIO SE NON TE NE VAI TI TAGLIO LA GIUGULARE NEL SONNO.

 

  • Vai a vivere con uno sconosciuto. È più semplice: ognuno ha la possibilità di vivere la sua cazza di vita senza che nessuno dia fastidio. E quindi, sono due: o diventate così complici che ‘’DAI FACCIAMO CHE IN QUESTA CASA RUTTI E PETI LIBERI?’’, oppure condividete gli spazi vitali come dua amabili estranei.

Aaaaah, casa dolce casa.

 

7) Modern Family

Lo abbiamo capito, i tempi sono cambiati. Gli esseri umani sono cambiati. LE FAMIGLIE SONO CAMBIATE.

Ad oggi, non è più una lotta per “tutti a tavola in silenzio e finite tutto il piatto sennò niente tv per un mese” ma siamo passati al “Lo hai visto quel video su facebook della scimmia nuda che balla?” e SPLASH… l’iphone dentro il piatto di polpette al sugo.

Le Modern Family sono estremamente social. Comunicano rigorosamente tramite whatsapp. “Mamma mi porti l’acqua?”, chiaramente urlato tramite una nota audio che demente ti ha sentito pure il vicino sordo del palazzo accanto, che ti urli a fare davanti al telefono?; e “Mamma dove sono i miei calzini con le caramelle?” “Non lo so amore vedi se li ho messi sull’hard disk”. Terrificante, per certi versi.

Le Modern family sono altamente tecnologiche ed al passo con tempi. Wi-Fi, Mac, Hi-tech… Sembrano usciti da un film sul futuro e si muovono sugli ottovolanti (si ok, forse sto esagerando).

Sono carini però, anche loro: la mattina si mandano i “buongiorno” con le immagini personalizzate con nome e annessa foto e poi a colazione si rubano i cereali e si tirano calci sotto il tavolo che manco i muli che non vogliono seguire il padrone. Alzatela la testolina dagli schermi ogni tanto… baciatevi ed abbracciatevi. Amen.

 

8) The Addams Family

Avete presente i Rom, i testimoni di Geova, le sette sataniche, la Mafia? Ecco, se questa è la tua famiglia, siete così descrivibili. E, fattelo dire, siete abbastanza inquietanti.

Vestiti tutti uguali, oddio, siete proprio tutti UGUALI MA COME SI FA, tutti che fanno le stesse cose, che ridono, con la loro bella dentatura d’oro, per le stesse cose, parlando un linguaggio solo loro.

Di quelle famiglie che ‘’vengo a casa tua a studiare?’’ ‘’certo’’, e poi ti ritrovi a ballare la danza della pioggia intorno ad un tavolino basso con sopra la tavola OUIJA dopo aver chiacchierato con tuo nonno deceduto, un teschio in mano, una pipa nell’altra e una vecchia anziana signora che ha letto nelle carte tutta la tua vita, i tuoi mai una gioia, il ciclo del tuo alvo e, infine, ti ha annunciato che il 10 marzo 3049 creperai di morte violenta.

L’unica variante in cui puoi inciampare sono loro: I NUDISTI. E lì, vai con la patata al vento, felice e contenta.

Comunque si vogliono bene e si vede. Solo che, una volta che ci entri, difficile uscirne. Perché i panni sporchi SI LAVANO IN FAMIGLIA.

 

9) Gli Hamish

Ce li avete presenti no? Se li definiamo una setta pensate che si possano offendere? (Hamish allo schermo, IRONIA…)

Lo so, non siamo qui a tenere una lezione di approfondimento su chi siano gli Hamish, vi basti googlare per capire di che parlo ma, questa categoria, trae libera ispirazione proprio da queste “organizzazioni”. In questo tipo di famiglie vige sicuramente un dress code degno delle migliori serate alla pineta (c’è mai stato un dress code alla pineta? zingari!).

L’abito, in questo caso, fa il monaco ed è dunque severamente proibito vestire alla Pamela Anderssons di Baywatch (col suo costumino rosso rende bene l’idea) .

Inoltre, è severamente vietato:

Bere e fumare,
Baciare qualcuno prima dei 35 anni (il sesso? ma che scherzi?) ,
Frequentare luoghi in cui bazzica gente poco raccomadabile ,
Avere un amico maschio anche se omosessuale perchè potrebbe ledere alla tua purezza ,
Cantare canzoni di Tiziano Ferro perchè se ascoltate al contrario sono demoniache ,
Utilizzare le parole “Cacchio”,Banana” e “Pere” perchè considerate volgari,
Andare al mare col bikini ,
Non tagliarsi la barba ,
Fare tardi la sera (coprifuoco alle 19.30 che alle 20.00 si cena)

Insomma, altro che regimi totalitari, queste famiglie sono vere e proprie prigioni legali. E fatevela na risata ogni tanto, no?

10) SINGLE

Queste famiglie sono etichettate un po’ come le famiglie arcobaleno: sono STRANE. Le persone le guardano e provano PIETA’. A me fa pietà il mondo pensando che tu sei un essere respirante, pensa ‘npo’.

Così strane che i signori pubblicitari hanno deciso di farci su le pubblicità dove ci sono famiglie con papà single (le mamme saranno tutte schiattate come nei film della Disney).

In un’epoca non molto lontana, questi genitori venivano chiamati: RAGAZZI/E PADRI/MADRI. Beh, mia mamma è una ragazza madre e ti risponde così:’’ mi hai fatto due complimenti: ragazza e madre. Capito, BRUTTA TESTA DI CESSO CAGATO?’’ (sì, la cortesia è di famiglia)

Questo perché i membri sono socialmente dimezzati: non si è in 4 ma si è in 2. E se si è in 4 ma 3 sono minorenni c’è qualcosa che non va.

Siamo cazzuti come tori durante la corrida spagnola, signori! ALTRO CHE. Una mamma per amica LEVATE, che io c’ho la rubrica di Eleonora Andronico.

Che dire: siamo in 2. Meno formalità, più tempo per poter occupare il bagno e per stare in mutande sul divano.

Chi è quello per cui provare pietà, adesso?

 

Elena Anna Andronico (Mamma Eleonora)

Vanessa Munaò (Mamma Cetty)