Mutualizzazione del debito ed eurobond: ecco tutte le differenze, vantaggi e svantaggi di questi strumenti

 

Spesso si è parlato di mutualizzazione del debito, termine ormai largamente utilizzato dai media, soprattutto nell’attuale crisi Covid-19.

Cos’è realmente?

La mutualizzazione del debito è la condivisione del debito tra più soggetti, che ne diventano contemporaneamente garanti.

Questo termine è stato accostato alla comparsa degli eurobond, ridenominati, in merito alla crisi Coronavirus, coronabond.

Cosa sono gli eurobond?

Sono un’emissione di obbligazioni denominate in euro, attraverso cui tutti gli Stati dell’Eurozona diventano responsabili del debito congiuntamente. Predisposti come mezzi in grado di conferire liquidità ai Paesi più in difficoltà che avvertono maggiore rischio, verrebbero sostenuti soprattutto dai Paesi maggiormente solidi dal punto di vista economico-finanziario.

Sono un nuovo strumento?

La risposta è no. Infatti, già nel pieno della crisi dei debiti sovrani (2010-2012 circa), il Presidente dell’Eurogruppo e capo del governo del Lussemburgo, Jean-Claude Juncker, e il ministro dell’Economia del governo Berlusconi, Giulio Tremonti, proposero questi eurobond come assicurazione contro il comune dissesto in atto nell’Eurozona. Tale proposta fu poi abbandonata, date le criticità sorte soprattutto a causa dell’opposizione dei Paesi del Nord Europa (con a capo Germania e Olanda), che lo ritenevano un azzardo morale a vantaggio unico del Sud Europa.

Il principale vantaggio.

Il vantaggio per i Paesi più deboli finanziariamente, ad esempio l’Italia, sarebbe quello di indebitarsi ad un costo molto minore, poiché il tasso d’interesse applicato a tali obbligazioni sarebbe una media dei tassi applicati, generalmente, ai bond emessi singolarmente dagli Stati. In caso di uno shock (=evento inaspettato e non prevedibile, che influenza positivamente-negativamente il sistema economico), uno strumento come gli eurobond garantisce un sistema di trasferimenti indiretto che migliora la condizione degli stati più in difficoltà.

L’altra faccia della medaglia: svantaggi.

È chiaro che, per un grande vantaggio per gli Stati maggiormente rischiosi, vi sono alcuni svantaggi per gli stati più “virtuosi”. Innanzitutto, lo svantaggio principale, dato da questo meccanismo di “trasferimento indiretto” dai Paesi in surplus ai Paesi in deficit, è che gli Stati più virtuosi si troveranno a pagare un tasso d’interesse maggiore rispetto a quanto accadrebbe con un’emissione individuale.

Un altro grande svantaggio è dato dal fatto che un meccanismo del genere possa far sviluppare un comportamento da free rider ad alcuni Stati membri (= chi attua un comportamento opportunistico per fruire pienamente di un bene/servizio prodotto collettivamente, senza contribuire in modo efficiente alla sua costituzione).

Le obbligazioni sono garantite collettivamente dagli Stati membri dell’Eurozona, e ciò significa che se l’Italia non riuscisse a restituire quanto preso in prestito tramite gli Eurobond, la porzione italiana mancata sarebbe restituita da tutti gli altri Stati membri. Questa possibilità è ciò che più spaventa alcuni Stati e ha, storicamente, rappresentato un freno importante per la realizzazione di uno strumento del genere.

Ponendolo in un’ottica più semplice: se io so che qualcuno provvederà a restituire quanto ho preso in prestito quando io non riuscirò a farlo, non ho incentivo a progredire per avere un’economia più sostenibile  e virtuosa rispetto ad altri, ci sarebbe qualcuno che fungerebbe da cuscinetto alla mia inadempienza.

Covid-19 ed eurobond: utilizzati o no?

In contrasto all’attuale crisi Covid non sono stati utilizzati veri e propri eurobond, che comportano una totale mutualizzazione del debito. In realtà, le diverse istituzioni europee emettono dei bond garantiti dai Paesi europei, basti pensare al fondo SURE o al MES, ma senza prevedere una totale mutualizzazione del debito.

Nonostante ciò, hanno permesso ai Paesi più deboli economicamente di indebitarsi ad un costo meno elevato.

Perciò, la risposta finale al quesito è: no, non sono stati impiegati in prima linea né eurobond, né coronabond per fronteggiare il Covid-19, perché ciò che manca è il pagamento solidale del debito (se uno non paga, pagano gli altri). Le insicurezze sono molte, e i Paesi hanno preferito orientare la loro azione a diversi mezzi di finanziamento.

 

Contenuto realizzato in collaborazione con Starting Finance Club Messina

Marco Amato
Rossana Arcano

Gaetano Martino: un messinese che sembriamo aver dimenticato

“L’Italia appartiene a due differenti sistemi storico-politici. Essa è insieme continentale e mediterranea. […] Tra i vantaggi c’è quello di poter collegare le parti diverse e distinte dell’Europa. […] In particolare, noi possiamo congiungere, mediare, collegare i problemi del Mediterraneo.”

Con queste parole lo statista Gaetano Martino descriveva l’immagine geopolitica del suo Paese, che servì per buona parte della sua vita, ora come studioso, ora come Ministro, ora come visionario. Siciliano, nato a Santo Stefano di Briga (ME) il 25 novembre 1900, visse gli anni di grande cambiamento dell’Italia e del mondo, essendone vero e proprio attore. Medico – laureatosi alla Sapienza di Roma – dimostrò fin da subito due grandi amori: uno per la scienza e l’accademia universitaria (fu Rettore prima a Messina e poi alla Sapienza di Roma), l’altro per la politica, in particolare la politica estera.

Salvatore Nucera © – Statua di Gaetano Martino, situata nei pressi di Piazza Unione Europea

Ma cosa rese grande questa persona?  E – soprattutto – in che modo il suo ricordo può essere da esempio nei burrascosi tempi odierni?

Ripercorriamo insieme la sua storia, durante la quale riuscì non solo a portare Messina nel mondo, ma anche il mondo a Messina.

1° Giugno 1955, I ministri degli esteri riuniti a Messina; nell’ordine (da sinistra verso destra): Johan Beijen (Paesi Bassi), Gaetano Martino (Italia), Joseph Bech (Lussemburgo), Antoine Pinay (Francia), Walter Hallstein (Danimarca), Paul-Henry Spaak (Belgio).

È proprio con questo spirito che egli è ricordato come fautore della “Conferenza di Messina”, evento – tenutosi tra l’1 ed il 3 Giugno 1955 – rievocato come occasione di “rilancioper l’Europa. In quegli anni il progetto europeo stava capitolando rovinosamente, vista la mancata creazione della Comunità europea di Difesa per il voto contrario della Francia. Da qui, gli Stati del Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi avvertirono la necessità di convocare d’urgenza una conferenza per gettare le basi di una più fattibile integrazione economica. L’evento si tenne a Messina poiché Martino – allora Ministro degli Esteri – si trovava in Sicilia per partecipare all’appuntamento delle elezioni regionali (tenutesi il 5 giugno 1955).

Joseph Bech filma sotto lo sguardo divertito dei colleghi Paul-Henry Spaak e Johan Beijen durante il loro soggiorno a Messina

Senza dilungarci troppo sui tecnicismi della conferenza, basti qui ricordare due cose: la prima è che è grazie a quell’evento si si approdò ai Trattati di Roma del 1957 (con cui si fondarono la CEE e l’EURATOM); la seconda – che forse non tutti sanno – è che gran parte delle trattative non si svolsero a Palazzo Zanca, bensì sui gradini del Teatro greco di Taormina!

Questo è quanto emerge da fonti ufficiali: il Ministro del Lussemburgo J. Bech ammise che non era stato ancora raggiunto alcun accordo e che serviva una nuova riunione (la quale si svolse proprio a Taormina, dove i ministri si erano recati per villeggiare). Dopo ore di negoziato – tra le due e le cinque del mattino del 3 giugno – i sei riuscirono a trovare un accordo definitivo.

Salvatore Nucera © – Lapide commemorativa della Conferenza di Messina posta sulla facciata destra di Palazzo Zanca

In quell’occasione Gaetano Martino dimostrò le sue abilità politiche. Con parole di stima lo ricordava il Ministro del Belgio P. H. Spaak:

“Martino era effettivamente un uomo del Mezzogiorno, con i suoi entusiasmi, le sue passioni, i suoi eccessi e le sue suscettibilità. […] Le sue convinzioni atlantiche ed europee gli hanno sempre permesso nelle grandi discussioni e nei momenti delle decisioni importanti, di essere dalla parte buona”

Meridionale, europeo e ben conscio dello scacchiere internazionale, Martino diede prova del suo valore in numerose occasioni. Nel 1956 fece da mediatore nella crisi del Suez tra Francia, Regno Unito, Spagna ed Egitto. Tali Stati intendevano estendere il proprio controllo sul quel territorio, che assicurava la via più veloce per collegare l’Europa all’India. Contrariamente al controllo esclusivo del canale, Martino lottò per il riconoscimento di un “principio di libera di navigazione comune” tanto alle forze d’Occidente quanto a quelle del Levante, in coerenza con una prospettiva internazionale in cui l’Italia ha sempre assunto un ruolo cruciale, sia in termini geografici che culturali.

La NATO information service ricorda Gaetano Martino a due mesi dalla scomparsa nell’editoriale del settembre 1967

Quest’opera di mediazione gli valse il titolo di “saggio” dell’Alleanza Atlantica. Quando il confronto-scontro USA-URSS era particolarmente avvertito, egli, insieme ai ministri degli esteri norvegese e canadese, fu autore di un dettagliato reportage sulle politiche di cooperazione internazionale non-militare, fondando le basi per il Comitato Occidentale per il Disarmo.

La sua esperienza fu provvidenziale anche nel suo incarico di delegato ONU per la risoluzione del conflitto tra l’Alto Adige e l’Austria, riuscendo a placare le pretese di estensione nazionali provenienti da Vienna.

Il comitato dei “tre saggi” della NATO; nell’ordine (da sinistra verso destra): Halvard Large (Norvegia), Gaetano Martino, L. B. Perarson (Canada)

Esponente di spicco del Partito Liberale Italiano, nelle istituzioni europee ci si riferisce ancora a lui come “lo spirito di Messina”, ricordando quella conferenza che cambiò le sorti delle generazioni successive. Tuttavia, anch’egli conobbe le brutture che la vita spesso riserva agli uomini di Stato. Nel 1963 – eletto da un anno Presidente del Parlamento Europeo – la Storia gli fece incontrare un altro gigante dei suoi tempi: il Presidente USA John F. Kennedy.

 

L’incontro avvenne un mese prima dell’assassinio del Presidente americano, il quale era divenuto celebre anche per l’essere riuscito a ridurre le tensioni tra USA e Russia, trovando un accordo con il Presidente Nikita Chruščёv sul controllo militare di Cuba.

Martino ricordò la morte di Kennedy con queste parole:

“Io non so se l’atteggiamento assunto da Kennedy al tempo di Cuba sia all’origine della tragica conclusione della sua vita. Certamente è stato proprio quell’atteggiamento a dare l’avvio ad una nuova fase della politica internazionale, la quale, mentre ha visto accrescersi la forza morale dell’Occidente, ha anche permesso all’unanimità […] di intravedere una nuova luce che conforta la comune speranza in un avvenire meno incerto e meno oscuro”.

Scomparso all’età di soli 67 anni, Gaetano Martino pare aver ancora molto da insegnare. Il suo essere visionario lo aveva addirittura portato a concepire un’Università Europea, che vedesse “la cultura come fine e non come mezzo”, affinché l’unità dell’Europa fosse serva della cultura invece che servirsi di essa (il progetto ha avuto un esito positivo, fondando l’European University Institute sito a Fiesole).

Stando alle recenti cronache, il mondo sembra aver dimenticato i principi valoriali da lui professati: solidarietà, multiculturalismo, democrazia. Esempio ne siano i tragici eventi verificatisi in America, le recenti notizie di politica espansionistica turca, le titubanze di alcuni Stati europei nel dare una risposta chiara e netta alla crisi economica.

A noi il dovere di portare alto il ricordo della sua memoria.

Salvatore Nucera

 

Bibliografia

Danielli L., Gaetano Martirio e le trattative del disarmo, Rivista di Studi Politici Internazionali, Vol. 34, No. 4 (Ottobre-Dicembre 1967), pp.528-563.
Danis F., Hofmann H, Robins P., Delorenzi F., Hurring M., Roquet M., Il rilancio europeo: dalla conferenza di Messina ai trattati di Roma, 1955-1956, in Catalogo dell’esposizione elaborato dagli archivi generali della Commissione della Comunità europea.
Martino G., L’università europea, in Rivista di Studi Politici Internazionali, Vol. 29, No. 1 (Gennaio-Marzo 1962), pp. 9-27.
Melchionni M.G., Rivista di Studi Politici Internazionali, Vol. 22, No. 3 (Luglio-Settembre 1955), pp. 496-500.
Melchionni M. G., Gaetano Martino e l’Europa: le testimonianze di Roberto Ducci e Giuseppe Vedovato, Rivista di Studi Politici Internazionali, Vol. 61, No. 3 (243) (Luglio-Settembre 1994), pp. 386-392.
NATO Letter, Death of a wise man, 1967, n.15, 1-[xxxviii], p.27.
Vedovato G., Ricordo di uno statista liberale: il disegno politico di Gaetano Martino, in Rivista di Studi Politici Internazionali, Vol. 44, No. 3 (175), (Luglio-Settembre 1977), pp. 517-519.
Vedovato G., Gaetano Martino: l’Italia e l’Europa, Rivista di Studi Politici Internazionali, Vol. 45, No. 1 (177) (Gennaio-Marzo 1978), pp. 97-1012.
Archivio Storico del Senato, Gaetano Martino

D’Arrigo su Viktor Orbàn: “Le manovre a tempo indeterminato non sono nel novero dei principi comunitari”

Già Direttore Generale dell’Agenzia Nazionale dei Giovani (2013-2018), classe 1976 di Nizza di Sicilia, Giacomo D’Arrigo, fondatore nel 2007 di ANCI Giovane, la rete degli amministratori under 35 dei Comuni italiani, dalla seconda metà del 2019 è presidente della Fondazione Erasmo, il cui scopo è condividere e valorizzare i diritti alla mobilità su scala continentale e le politiche pubbliche europee. Ci ha concesso una chiacchierata per chiarire la questione ungherese, nel contesto dell’emergenza sanitaria da COVID-19 in Europa.

In Ungheria si è deciso democraticamente di attribuire pieni poteri al primo ministro Viktor Orbàn, sotto controllo del parlamento ma senza specificare alcun limite temporale. Se il mezzo utilizzato è democratico, il risultato lo è altrettanto?

Mi sembra evidente come questa decisione sia in contrasto con quelli che sono i principi fondativi dell’Europa. Il respiro dell’Unione rimanda a concetti quali la libertà, il pluralismo e soprattutto la supremazia dello stato di diritto. Quindi non vedo come manovre a tempo indeterminato possano stare nel novero dei principi comunitari. Non a caso, proprio la scorsa settimana sui temi che riguardano il rispetto di regole e principi, la Corte di Giustizia Europea ha condannato Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca rispetto all’utilizzo improprio dei fondi per i migranti. Sia il presidente del parlamento europeo David Sassoli, sia altri esponenti politici di tutto lo spettro dei partiti presenti al Parlamento di Strasburgo hanno chiesto ad Orbàn di chiarire e rivedere questa decisione; ben 12 partititi nazionali aderenti al suo stesso gruppo parlamentare europeo ne ha chiesto l’espulsione. 

Pensi che Orbàn avesse premeditato questa mossa così radicale, oppure si è semplicemente limitato a cogliere la giusta occasione ?

Questo è sempre difficile da capire; credo un insieme delle due cose. Secondo me c’era già una predisposizione, ed è riuscito a prendere il palla al balzo sfruttando la situazione creatasi con l’emergenza sanitaria.
 
Concretamente, che mezzi ha l’Europa per opporsi ad una deriva come questa? Pensi abbia intenzione di farlo?
 
Me lo auguro vivamente. Spero e penso che ci saranno dei provvedimenti. l primi segnali sono andati in questa direzione. Il fatto che siano intervenuti il presidente del parlamento europeo ed i vertici dei vari partiti fa ben sperare. Ha ragione il presidente Prodi quando dice che questa è una situazione in cui l’Europa può sfruttare l’occasione per fare un salto in avanti e rafforzare la sua dimensione comunitaria la forza rispetto alla deviazione manifestata da Stati membri.
 
Ospite d’onore sul palco di Atreju, invitato da Fratelli d’Italia, Viktor Orbàn ha detto di Giorgia Meloni: <<In Ungheria sarebbe considerata “di centro”, io sono più a destra>>. Come giudichi le reazioni dei suoi alleati italiani dopo questa presa di potere? E quelle del resto della classe politica italiana?
 
I sovranisti hanno questo limite: è difficile spiegare perché gli ungheresi non debbano dire “prima gli ungheresi” quando il meccanismo è identico a quello adottato in Italia. Non è un caso che i problemi principali nella dimensione Europea provengano dai leader sovranisti e dai partiti che esprimono una forte presenza sovranista, non soltanto ora nell’epidemia ma anche ma anche in altre crisi come ad esempio quella dei migranti. Rispetto alla presa di distanza da Orbàn mi aspetto che Salvini e la Meloni dicano parole chiare su questo. Non prendere una posizione significherebbe legittimare di ungheresi contro l’Italia.
 
La pandemia di COVID-19 ha messo in evidenza tutte le lacune del Sistema Europa con una enfasi che mai ci saremmo aspettati. Siamo forse di fronte alla crisi terminale dell’Unione Europea ?
 
La pandemia ha fatto emergere la stessa confusione che viene fatta da troppi anni ossia: confondere l’Unione Europea con gli Stati che compongono l’Europa. Seppur in maniera lenta e macchinosa l’Unione Europea ha risposto: la BCE dopo lo scivolone della Lagarde sta comprando il debito di tutti i Paesi; la Commissione Europea ha sospeso il Patto di stabilità; è stata varata la Cassa Integrazione europea da Gentiloni; è stata fatta la centrale unica degli acquisti sanitari a livello europeo; è stata implementata la ricerca sanitaria per il vaccino; sono tutt’ora in corso manovre per rimpatriare i cittadini europei che sono fuori dai confini a spese dell’Unione. Quindi ripeto l’Unione Europea, tolta la prima settimana di incertezza, ha poi risposto; a non fare altrettanto sono invece gli stati membri.
 
Questa è la crisi più grande che l’Europa abbia mai affrontato nei suoi 70 anni di vita, e arriva in quest’ultimo decennio in cui l’UE ha già affrontato altre crisi quali: la crisi terroristica degli attacchi terroristici diffusi, la crisi dei migranti, la Brexit e la crisi sanitaria da COVID-19. Oggi l’Europa ha l’occasione di fare un salto in avanti per strutturare meglio la dimensione comunitaria, altrimenti rimanere così come si è: qualcosa in più di un conglomerato di Stati ma non una dimensione politica completa. Di fatto in questo modo siamo in balia della disponibilità e degli aiuti di altri grandi potenze come la Cina, gli Stati Uniti e la Russia. Tutte queste crisi, ultima la pandemia, ci dimostrano come nel mondo ci siano problemi talmente grandi da non poter essere affrontati singolarmente da nessuno Stato europeo ma insieme.
 
Allora come immagini l’Europa post COVID-19?
 
Non è più tempo di un generico richiamo all’unità, sarebbe limitativo. Sicuramente va maggiormente responsabilizzata la Commissione Europea, assegnando risorse e governance di politiche pubbliche (che oggi sono in mano ai singoli Stati), e certamente va intrapresa una armonizzazione fiscale per uniformare e dare forza centrale. Se l’Europa vuole essere un soggetto realmente competitivo su scala globale deve avere un profilo politico, di governance e di organizzazione degno di questa dimensione.
 
Alessio Gugliotta
 

L’UE preoccupata per la deriva autoritaria di Orbán in Ungheria

Il Parlamento Ungherese ha approvato, con 137 voti favorevoli e 53 contrari, una legge che attribuisce al Primo Ministro Viktor Orbán poteri eccezionali per un tempo indeterminato al fine di fronteggiare la minaccia rappresentata dal Covid-19.

La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen sta monitorando la situazione ungherese poichè si è detta molto preoccupata che queste misure vadano oltre e, in tal caso, l’UE dovrà agire. A seguire ben 14 Paesi – Italia inclusa –  in una lettera firmata hanno sottolineato e ribadito il rischio di una violazione dei principi dello Stato di diritto, della democrazia e dei diritti fondamentali.

Perché?

Una doverosa premessa: anche in altre esperienze europee, compresa quella italiana, è costituzionalmente previsto il rafforzamento dei poteri dell’esecutivo come metodo per fronteggiare situazioni eccezionali che possono arrecare un pregiudizio allo Stato. A tali poteri – che devono essere proporzionali alla minaccia e temporalmente limitati – devono essere contrapposti gli adeguati strumenti di supervisione da parte dell’organo preposto a rappresentare i cittadini: il Parlamento.

Nel caso dell’Ungheria il discorso è diverso dato che la legge recentemente approvata riconosce in capo al Primo Ministro poteri sostanzialmente illimitati controbilanciati da meccanismi parlamentari di difficilissima attuazione. Il tutto va analizzato tenendo in considerazione come fin dal 2010, anno della sua nomina a Primo Ministro, Viktor Orbán abbia progressivamente attuato un piano di svuotamento di alcuni diritti e libertà fondamentali per rafforzare la propria leadership e la maggioranza del suo partito, Fidesz, all’interno del Parlamento Ungherese.

I leader di 14 partiti nazionali inseriti nel Partito Popolare Europeo hanno chiesto con una lettera a Donald Tusk l’espulsione del Fidesz di Viktor Orbàn dalla più grande politica dell’Ue. Si legge nel testo della lettera:

Il virus non può essere usato come pretesto per estendere indefinitamente lo Stato d’emergenza. Temiamo che il primo ministro Orbàn userà i suoi nuovi poteri per estendere il controllo del governo sulla società civile”.

La prima “vittima” dei nuovi poteri del premier è la comunità LGBT: da ieri le autorità ungheresi non potranno più registrare sui documenti di identità il nuovo gender di qualsiasi persona che si sia sottoposta al cambio di sesso escludendo di fatto tali individui all’accesso a ogni beneficio per le famiglie. Ciò rappresenta una misura discriminatoria in assoluta controtendenza con lo spirito innovatore delle pronunce della CEDU degli ultimi anni e sottolinea maggiormente come, quella del Covid-19, non fosse null’altro che un pretesto per promulgare leggi figlie di una mentalità tutt’altro che attuale.

Si tratta dell’ennesimo smacco nei confronti di Bruxelles da parte di uno dei Paesi che maggiormente ha beneficiato dei finanziamenti provenienti dall’Unione Europea fin dalla sua adesione nel 2004 in concomitanza con quelle di Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia. Insieme a quest’ultime costituisce, infatti, il cosiddetto Gruppo di Visegrad, divenuto nel corso degli ultimi anni punto di riferimento delle politiche euroscettiche e volutamente ostruzionistiche verso l’UE. Basti ricordare la ferma opposizione nei confronti delle decisioni, risalenti al settembre 2015, concernenti il ricollocamento delle quote dei migranti che al tempo non trovarono seguito e che sono state oggetto della recente sentenza della Corte di Giustizia Europea.

Ciò che accade in Ungheria deve essere un campanello di allarme poiché costituisce la prima svolta autoritaria all’interno dell’Unione Europea. Sebbene, infatti, l’entrata all’interno dell’Unione sia possibile solamente con il superamento di controlli molto rigidi e il rispetto di precisi criteri di democraticità, trasparenza e libertà, l’incapacità della stessa di prevenire o bloccare sul nascere svolte autoritarie successive. Attualmente il TUE (Trattato sull’Unione Europea) prevede unicamente la sospensione del diritto di voto per quegli Stati che violano in maniera grave e persistente i valori dell’Unione ma per azionare questo meccanismo “sanzionatorio” si rende necessaria l’assenza in seno al Consiglio Europeo del minimo sostegno per lo Stato membro sotto accusa. Cosa, come abbiamo visto, difficile data la vicinanza dei Paesi di Visegrad.

La questione si inserisce tristemente in un contesto politico-comunitario che vede l’incapacità dei paesi europei di elaborare una strategia comune nonostante la gravità del momento che si concretizza in politiche completamente in controtendenza da paese a paese. Non ultima la decisione della Svezia che – contrariamente all’Ungheria – ha rinunciato per ora ad ogni misura di restringimento delle libertà personali e ha deciso di lasciare che i suoi cittadini siano liberi di riprendere le loro attività quotidiane con solamente alcune limitazioni.

Il tutto, dunque, deve fare riflettere sull’endemica debolezza dell’Unione Europa di garantire quei diritti e valori di cui vuole e deve essere garante.

Filippo Giletto

Mario Draghi e la sua lettera all’UE: il debito pubblico è l’unica strada

“Da un grande potere derivano grandi responsabilità” – Spider Man

Con una lettera inviata al Financial Times l’ex Presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi si è espresso sulla via finanziaria che dovrebbe seguire l’Europa, prefigurando le misure economiche che porterebbero all’uscita dal vortice coronavirus che rischia di devastare l’UE e – in particolare – la già fragile economia italiana.

Resa pubblica e gratuita dall’autorevole giornale economico-finanziario del Regno Unito, la lettera descrive l’inevitabilità della recessione che la pandemia mondiale provocherà. Una recessione che, però, secondo l’ex presidente non deve tramutarsi in una depressione prolungata.

Per vincere questa sfida di epocali dimensioni c’è un solo mezzo: l’aumento del debito pubblico.

Situazioni critiche hanno contraddistinto la vita dell’ex Presidente della BCE, che nel 2011 dovette gestire la più grande crisi finanziaria della storia dell’euro. Celebre la frase Whatever it takes, pronunciata in un discorso che passerà alla storia, per tranquillizzare gli investitori sulle misure che sarebbero state adottate dalla BCE per salvare l’euro e garantire la solidità finanziaria dell’Unione Europa.

‘’Tutto ciò che sia necessario’’ fu realmente messo in

atto, con iniezioni di capitale al ritmo di 60 miliardi di euro al mese che metteranno in risalto la figura di Mario Draghi sul panorama internazionale come 2colui che ha salvato l’euro”.La sua parola conta ancora moltissimo, ed ogni volta che la crisi internazionale chiama, “Supermario” risponde. Ed anche questa volta l’ha fatto con l’editoriale pubblicato su FT che – secondo molti – può già essere considerato un Manifesto della politica economica contemporanea. Una ricetta tra “lacrime e sudore”:

La perdita di reddito a cui va incontro il settore privato — e l’indebitamento necessario per colmare il divario — dovrà prima o poi essere assorbita, interamente o in parte, dal bilancio dello stato. Livelli molto più alti di debito pubblico diventeranno una caratteristica permanente delle nostre economie e dovranno essere accompagnati dalla cancellazione del debito privato.

La soluzione secondo Draghi, è chiara ed inequivocabile: l’indebitamento privato deve essere assorbito dal pubblico tramite debito governativo, ovvero ampliare i bilanci pubblici per proteggere i cittadini da uno shock economico irreversibile.

Draghi non si limita a spiegare cosa deve essere fatto, ma indica anche lo strumento imprescindibile per raggiungere lo scopo:

L’unica strada efficace per raggiungere ogni piega dell’economia è quella di mobilitare in ogni modo l’intero sistema finanziario…immediatamente, evitando le lungaggini burocratiche. Le banche, in particolare, raggiungono ogni angolo del sistema economico e sono in grado di creare denaro all’istante devono prestare rapidamente a costo zero alle aziende favorevoli a salvaguardare i posti di lavoro. E poiché in questo modo esse si trasformano in vettori degli interventi pubblici, il capitale necessario per portare a termine il loro compito sarà fornito dal governo, sotto forma di garanzie di stato su prestiti e scoperti aggiuntivi

Ricorrere quindi al settore finanziario per proteggere la capacità produttiva dei paesi, sfruttare i mercati obbligazionari per finanziare le imprese. Le banche dovrebbero prestare fondi a tasso zero alle imprese, per impedire che si perdano posti di lavoro e chiaramente tutto questo è possibile, soltanto con garanzie fornite dallo Stato. Questo significa: abbandonare l’obiettivo del deficitdifferenza tra entrate e uscite fiscali di uno stato, che in caso di valore negativo dà origine ad un disavanzo pubblico da finanziare con l’emissione di un nuovo debito pubblico –  pari al 2%, ma accettare valori pari all’8% o addirittura il 10% del Pil. Percentuali eccezionali, per una situazione eccezionale.

Un uomo che sembra nato per gestire le crisi, quelle economiche così come quelle umane.

La sua filosofia resta la stessa del 1962 – anno che cambiò la sua vita a causa della morte di suo padre: “Ricordo che a sedici anni, dopo una vacanza al mare con un amico, lui tornò a casa e poteva fare quello che voleva, io invece trovai ad aspettarmi un cumulo di corrispondenza da sbrigare e di bollette da pagare. Ma i giovani non pensano a quello che gli succede e a come reagirvi. Reagiscono e basta. È molto importante, salva dalla depressione anche in situazioni difficili”, dichiarava in un’intervista del 2015 a Repubblica.

Toccare il fondo ma reagire, dunque. Come ne usciremo, è presto ancora per dirlo. Niente e nessuno, però, può impedirci di sperare che a condurre il periodo post Covid-19 ci sia lui, Supermario Draghi.

Marco Bavastrelli

 

Massima Flessibilità: l’UE pronta a sostenere l’Italia. Ecco le misure

Ieri pomeriggio il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen hanno discusso – tramite videoconferenza- dell’emergenza Coronavirus.

I due leader si sono confrontati sulla situazione attuale trovandosi concordi sulla necessità di una risposta forte e compatta da parte di tutta l’unione, la quale nei prossimi giorni presenterà il suo piano d’azione.

Siamo pronti ad aiutare l’Italia con tutto quello di cui ha bisogno e in tutto quello che chiederà in questo momento in cui è colpita severamente dal virus ha rassicurato Ursula Von der Leyen.

La commissione ha riconosciuto la posizione difficile in cui si trova il nostro paese, impegnato ad affrontare conseguenze dal punto di vista sanitario, sociale ed economico ed è pronta ad attivare la clausola di salvaguardia per l’intera Unione (general crisis escape clause) del Patto di Stabilità che consentirà una politica di sostegno fiscale più generale, dato che le previsioni stimano una recessione dell’1% della Eurozona nel 2020. Il prossimo, infatti, potrebbe essere un altro Stato membro.

Le misure concrete che l’Europa adotterà saranno presentate all’eurogruppo il 16 marzo. Fino ad allora la commissione si è già pronunciata su alcuni punti a nostro favore:

Avvenire.it

-Ogni spesa necessaria per far fronte all’emergenza sarà esclusa dal calcolo del deficit strutturale

Cosa significa? Il deficit è la situazione contabile dello Stato che si verifica quando le uscite superano le entrate (Wikipedia). Quindi significa che il debito di cui stiamo per farci carico avrà meno valore.

-Ci sarà una sospensione momentanea dei vincoli di bilancio 

Cosa significa? 

Ogni membro Ue deve rispettare dei vincoli di bilancio. Il bilancio statale deve rientrare infatti in certi parametri. Per far fronte all’emergenza l’Italia avrà più tempo per rimanere negli standard previsti

-Finanziamenti:

Verrà messo a disposizione 1 miliardo di euro per il Fondo europeo per gli investimenti come garanzia per l’economia

Una proposta, ancora da approvare, riguarda la sospensione della restituzione dei fondi strutturali non spesi:  l’Ue infatti mette sempre a disposizione dei membri dei fondi strutturali per finanziamenti interni alla vita dell’usato. Per dare sostegno a chi si trova in difficoltà verrà stabilito che chi ha già preso questi fondi e non li ha ancora spesi potrà non restituirli. Parliamo di un totale di 8 miliardi.

«Non parlerei di stimolo fiscale — ha detto il vicepresidente Dombrovskis  — ma di risposta alla crisi attuale: usiamo la flessibilità per permettere agli Stati di finanziare l’emergenza sanitaria, sostenere le imprese e le persone colpite dalle conseguenze economiche della crisi del coronavirus, in questo senso c’è un stimolo, ma il nostro compito adesso è fronteggiare l’emergenza».

 La gaffe di Christine Lagarde, governatore della Banca centrale Europea ha generato un vero e proprio giovedì nero.

BlogSicilia.it

La funzionaria francese infatti, in conferenza stampa aveva dichiarato :

Non siamo qui per chiudere gli spread. Ci sono altri strumenti e altri attori per gestire queste questioni”.

E ancora:

Nessuno dovrebbe attendersi che sia la Bce a essere la prima linea nella risposta al Coronavirus”.

Come hanno reagito i mercati?

I titoli di stato italiani sono stati immediatamente venduti.

I titoli di Stato sono obbligazioni emesse periodicamente dal Ministero dell’Economia e delle Finanze per conto dello Stato con lo scopo di finanziare il proprio debito pubblico (Wikipedia). Chi li aveva acquistati, vedendo la situazione di precarietà economica ha subito deciso di liberarsene.

E poi lo spread ha subito un’impennata.

Lo spread “indica la differenza di rendimento tra due titoli (azioni, obbligazioni, titoli di stato) dello stesso tipo e durata, uno dei quali è considerato un titolo di riferimento. Nel caso dei titoli di Stato, spesso i titoli di riferimento sono i Bund emessi dallo stato tedesco” (Wikipedia).

Cosa significa?

Con queste dichiarazioni, i nostri titoli hanno perso valore.

Insomma un’Europa doubleface nei nostri confronti.

Una pandemia non è certo facile da gestire, in ogni settore.

Le nazioni si sono ritrovate impreparate davanti ad un fenomeno così fuori controllo.

La disorganizzazione  e gli improvvisi cambi di rotta sono perciò fisiologici.

Adesso non resta che collaborare e preparare contromisure dettate da un comune spirito europeo, perchè l’emergenza Coronavirus non è un problema solo italiano.

 

Angela Cucinotta

 

L’Erasmus ai tempi del Coronavirus

Due settimane. Sono appena trascorse le mie prime due settimane di esperienza Erasmus. Mi sento in un vortice di emozioni, sensazioni. È tutto nuovo, e allo stesso tempo conosciuto, come se avessi dato conferma alle “fantasticherie” che hanno preceduto la partenza. Si, è inevitabile riempirsi di domande, e di paure. Diceva mia nonna <<quando lasci la strada vecchia per la nuova, sai quello che lasci e non sai quello che trovi>>.
Eh beh, per l’Erasmus è proprio vero: tutti coloro che l’hanno vissuto possono dispensare consigli e pareri, ma fino a quando non ci si è dentro non esiste un vero termine di paragone. È un’esperienza personale, faccia a faccia con se stessi ed il mondo. Poi, aggiungiamoci un’epidemia che minaccia l’intera popolazione globale ed il quadretto di “Erasmus unico nel suo genere” si completa. Il Coronavirus non lascia indietro nessuno, ed anche l’Agenzia Erasmus+ INDIRE ha comunicato che per le mobilità degli alunni, degli studenti e dello staff, che operano negli ambiti dell’istruzione scolastica, dell’istruzione superiore e dell’educazione degli adulti, nell’ambito del programma Erasmus+ potrà applicarsi il principio di “causa di forza maggiore”. Sarà possibile richiedere all’Agenzia Nazionale, nelle forme e con le modalità che saranno successivamente comunicate, di applicare la clausola di “forza maggiore”, relativamente alle attività e ai costi per tutte quelle mobilità che vengano annullate in ragione della situazione di emergenza e dei provvedimenti delle competenti autorità. Qui presente il Vademecum per la gestione di_progetti_Ereasmus+:Gioventu_e Corpo europeo di solidarietà – Emergenza COVID_19 

Sono partita per la mia esperienza il 23 febbraio verso la Nazione che mi avrebbe ospitato. Attualmente, infatti, mi trovo a Maribor, in Slovenia, in cui, se tutto va bene, dovrò trascorrere i prossimi quasi 5 mesi prima delle vacanze estive. Facendo due calcoli, noterete che sono “fuggita” giusto in tempo, quando il focolaio era distante da me ma la sua forza espansiva era più forte del previsto, tanto che nel giro di pochissimi giorni integralmente il Bel Paese si è bloccato. Coloro che sono partiti dopo di me sono stati messi in quarantena, soprattutto i provenienti dall’Italia. Una quarantena un po’ sui generis comunque, non dovuta né ad una negligenza del Paese Sloveno – il quale si è mobilitato immediatamente ad installare in ogni dove, senza nemmeno accorgersene, disinfettanti ed igienizzanti – ma forse dovuta alle caratteristiche del virus che principalmente attacca anziani e adulti, quindi gli under 25 sono stati poco salvaguardati senza ricorrere al tampone. È vero anche che ancora i casi presenti nel territorio sloveno, nonostante la stretta vicinanza con il nord Italia, si limitano a due anch’essi isolati e tenuti sotto controllo.

Ironica è la situazione creatasi per le condizioni meteorologiche che hanno attaccato gli studenti di ogni nazionalità con raffreddori, tossi, lievi stati febbrili e mal di gola. Il panico è dilagato in un secondo. Tra qualche risata volta a camuffare la preoccupazione interiore, abbiamo svaligiato le farmacie ed iniziato a scambiarci farmaci con costanti aggiornamenti dei nostri medici che in Italia non hanno più gli occhi per piangere. Fortunatamente, come anticipato, lo stato influenzale generale è stato principalmente dovuto ai costanti sbalzi termici che abbiamo incontrato (15 gradi, il giorno dopo neve con -2 gradi, pioggia, di nuovo sole) solo chi abituato a queste temperature si è fatto una grossa risata per smorzare l’occhio sinistro che naturalmente si faceva ad ogni colpo di tosse

I luoghi comuni vengono sfruttati per rompere il ghiaccio il più delle volte: se prima all’estero Italia = Mafia, oggi è Italia = Coronavirus. E se Erasmus è l’acronimo di EuRopean Community Action Scheme for the Mobility of University Student dal 1987 ha definito la parola “globalizzazione” anche per gli under 30, il 2020 vorrebbe tutto tranne che ulteriori spostamenti. L’università ospitante, infatti, seguendo le direttive europee ed internazionali, ha inviato una mail a tutti gli studenti in mobilità indicando i luoghi più critici (italiani e non) consigliando di non spostarsi dalla propria abitazione se non si sentono bene, di informare immediatamente i propri coordinatori, mettere al corrente della propria condizione il proprio medico e di contattare immediatamente il numero di emergenza evitando trasporti pubblici. Nota più importante a fine mail: se si ha la necessità di ritornare nelle zone critiche, non è permesso rientrare per continuare la propria mobilità.

 

Veduta della Piramida innevata, Maribor, Slovenia – Febbraio 2020

Come per chi è bloccato in Lombardia, anche io non posso “né scendere né salire”. Il gruppo italiano si sente un po’ in esilio dalla patria, quasi il desiderio di rientrare si è intensificato: tutti i propri cari si trovano in una situazione di estrema emergenza e noi che, per coincidenze, ci troviamo in questo momento lontani, abbiamo un enorme punto interrogativo sopra la testa. C’è chi già programmava l’arrivo di genitori e fidanzat*, chi voleva visitare anche qualche zona del nord italia più vicina adesso che quando si sta nell’isola sicula. Certo, non possiamo né dobbiamo lamentarci, al contrario, forse, dovremmo sentirci fortunati di avere scampato per poco il pericolo, ma come per tutti non sappiamo come continuerà questa matassa che si aggroviglia sempre più.

Per ulteriori aggiornamenti il servizio informativo Viaggiare Sicuri del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale fornisce informazioni online costantemente aggiornate sui singoli Paesi. All’indirizzo http://www.viaggiaresicuri.it/find-country sono disponibili una Scheda Informativa e un Avviso in evidenza aggiornati sulla situazione corrente in ogni Paese nel mondo. È consigliato controllare il sito anche poco prima della partenza, all’indirizzo http://www.viaggiaresicuri.it/aggiornamenti. È inoltre utile, prima di partire, che i cittadini italiani registrino il proprio viaggio sul sito www.dovesiamonelmondo.it .

 

 

Giulia Greco

AEGEE “Summer University”, scopri l’Europa imparando e divertendoti

 

AEGEE “Summer University”, scopri l’Europa imparando e divertendoti

Anche per l’estate 2019 AEGEE ha rinnovato il progetto “Summer University”, iniziativa che ogni anno permette a centinaia di giovani di scoprire a basso costo l’Europa. Ma di cosa si tratta più precisamente?

Cos’è AEGEE?
“AEGEE (Association des Etats Généraux des Etudiants de l’Europe) è una delle più grandi organizzazioni studentesche interdisciplinari d’Europa, aperta a tutti gli studenti e i giovani dai 18 ai 30 anni. È un’associazione non governativa e senza scopo di lucro che nasce dall’idea di un’Europa democratica, diversa e senza confini attraverso la partecipazione attiva dei giovani nella società, creando spazi di dialogo e occasioni di apprendimento, nonché training, workshop e viaggi low cost che permettono ai giovani di incontrarsi e respirare il vero spirito AEGEE”.

Cos’è la Summer University?
“La Summer University è un progetto di scambio culturale che dura circa due settimane, e dà la possibilità di visitare città straniere e scoprire la cultura del paese ospitante con soli 10/15 euro al giorno. Quest’anno è possibile scegliere tra 57 destinazioni, dalla Grecia alla Russia, Polonia, Turchia e tante altre”.
Ogni Summer University ha una tematica: integrazione europea, dialogo interculturale, cittadinanza attiva, democrazia, cultura locale, sport, educazione civica e sviluppo personale.

Quali sono le mete di quest’anno?
È possibile trovare tutte le mete di quest’anno all’indirizzo https://www.projects.aegee.org/suct/su2019/su_list.php.

Com’ è possibile partecipare a una Summer University?
È innanzitutto necessario diventare membro di AEGEE Messina. Lo step successivo è creare un account sulle reti intranet (https://www.intranet.aegee.org/login/signUp) e Online Membership System di AEGEE (https://my.aegee.eu/signup/default). A questo punto sarà possibile scegliere la Summer University alla quale ci si desidera iscrivere. Sarà poi necessario scrivere una lettera motivazionale sulla quale prestare molta attenzione: la selezione sarà principalmente basata su questa!
Ad ogni modo, è possibile trovare la procedura dettagliata qui: https://www.projects.aegee.org/suct/su2019/procedures.php

Fino a quando è possibile presentare la domanda di partecipazione?
È possibile presentare domanda fino al 15 aprile.

Per ulteriori informazioni è possibile contattare AEGEE Messina via:
Email: aegeemessina@hotmail.com
Facebook: https://www.facebook.com/aegeemessina/
Instagram: https://www.instagram.com/aegeemessina/?hl=it
oppure consultare le FAQ sul sito web di AEGEE: https://www.projects.aegee.org/suct/su2019/faq.php
Sarà anche possibile incontrare i ragazzi di AEGEE presso il Dipartimento di Giurisprudenza venerdì 5 aprile (https://www.facebook.com/events/323000841901540/) e presso il DICAM (data ancora da stabilire).

 

Francesco D’Agostino

L’Europa necessaria: incontro con Massimo Cacciari

Quale senso dobbiamo dare oggi all’Europa? Questo l’interrogativo che Massimo Cacciari, filosofo, accademico e politico italiano di fama internazionale, ha posto lo scorso 27 marzo 2019 dinnanzi all’aula gremita del Rettorato dell’Università di Messina. Ospite d’onore della cerimonia di inaugurazione del 290° Anno Accademico dell’Accademia Peloritana dei Pericolanti, ha tenuto una lectio magistralis dal titolo “L’Europa necessaria”. Alla cerimonia hanno preso parte il Rettore, prof. Salvatore Cuzzocrea, che ha consegnato al professor Cacciari il Diploma di Socio Corrispondente e il distintivo dell’Accademia Peloritana dei Pericolanti, e il prof. Giovanni Cupaiuolo, Vicepresidente dell’Accademia Peloritana dei Pericolanti.

©GiuliaGreco Massimo Cacciari, Aula Magna del Rettorato – Messina, Marzo 2019

L’intervento tenuto dal prof. Cacciari ha indagato, alle porte delle prossime elezioni europee, la possibilità reale di costruire una nuova Europa, dotandola di quella cornice di senso di cui ultimamente è stata spogliata. Risulta necessario effettuare a tale scopo un’analisi obiettiva della situazione attuale, che tenga conto delle criticità e che proponga parallelamente prospettive di superamento, attuabili non solo attraverso programmi concreti, ma specialmente ridando valore alla dimensione ideale. Come ha più volte ribadito Massimo Cacciari, sono infatti le idee e non le situazioni contingenti a promuovere il cambiamento e l’azione. Parlare di dimensione ideale e valoriale non significa dunque, come si potrebbe facilmente pensare, astrarsi dalla realtà, ma al contrario attuare una pratica di realismo. Quello stesso realismo, disincantato e coscienzioso, che guidò i padri fondatori dell’Europa al termine dei due grandi conflitti mondiali. L’unione politica europea nacque proprio come “idea di sconfitti” che, pur essendo perfettamente consapevoli dell’impossibilità di esercitare alcuna egemonia politico – militare (assunta da USA e URSS), credevano che l’Europa avesse ancora una missione. La costruzione dell’Europa fu dunque dettata, fin dalle sue origini, da una ricerca circa il dover essere che dovesse animarla, circa il senso che dovesse guidarla.

©GiuliaGreco L’Europa necessaria, Aula Magna del Rettorato – Messina, Marzo 2019

L’Unione politica europea, sottolinea il prof. Cacciari, non si nutre esclusivamente di interessi meramente economici. Il becero determinismo economicistico non avrebbe mai potuto, e non può tuttora, dare anima e vigore all’identità europea, in quanto la politica e l’economia richiedono come necessario sostegno la dimensione autenticamente ideale. Sembra così venire ribaltata l’idea marxista, che pone la struttura, intesa come insieme delle forze produttive e dei rapporti di produzione, alla base della sovrastruttura, avente in sé gli ordinamenti giuridici, politici e tutte le forme della coscienza sociale. È chiaro allora che l’Europa, sin dagli albori della sua storia, sia sempre stata concepita come un dover essere, mai definita, ma sempre immaginata, non materiale, ma spirituale.

“Non è possibile conferire all’Europa un significato materialmente circoscritto o una determinatezza originaria. L’Europa è un’idea che ci deve guidare, oggi più di prima, con grande realismo”.

Ma cosa implica questo realismo? Per quanto possa apparire paradossale, fare realismo significa innanzitutto appellarsi alla sfera ideale, comprendendo la necessità dell’esistenza dell’Europa. A tale scopo, il filosofo ci invita a combattere ogni forma di nazionalismo, ravvisando che la sovranità europea non esclude in alcun modo quella nazionale.

“Costruire insieme agli altri Paesi un foedus non è un sacrificio e non mina la sovranità nazionale, che da sola non avrebbe nemmeno funzione consolatoria. Creare un foedus che si organizzi in maniera funzionante è invece l’unico modo per difendere la sovranità nazionale”.

©GiuliaGreco Il Rettore Cuzzocrea consegna il Diploma di Socio Corrispondente a Massimo Cacciari, Aula Magna del Rettorato – Messina, Marzo 2019

Tuttavia, il dilagare dei nazionalismi e la stessa Brexit sono chiari segni che testimoniano la tendenza opposta, sintomo di sfiducia nei confronti di un’Europa che ha totalmente perso la capacità e la volontà di seguire una rotta comune a favore degli interessi particolaristici dei singoli Stati. Cosa fare allora? Evocare i pilastri fondanti della solidarietà e della sussidiarietà con lo scopo di fondare una grande politica estera comune, sinergica e organica, è una delle proposte del filosofo, insieme all’abolizione della regola dell’unanimità in Consiglio e alla richiesta di un vero diritto internazionale. Oggi, nel mondo del “disordine globale”, in un momento in cui i diversi spazi imperiali minacciano di confliggere tra di loro, in cui dilagano le terre di nessuno e le organizzazioni internazionali sono afone, l’Europa può e deve rivestire il ruolo di potenza federante.

“Noi europei ci siamo totalmente dimenticati che dalla fine della II Guerra mondiale mediare e favorire il dialogo è precisamente la nostra missione. Non è questo un dover essere impegnativo e affascinante? Non può dare un senso al nostro agire? Non potremmo essere noi gli attori protagonisti di un disegno di pace e armonizzazione?”.

©GiuliaGreco L’Europa necessaria, Aula Magna del Rettorato – Messina, Marzo 2019

A questi interrogativi carichi di speranza, che il professore pone specialmente alle nuove generazioni, si accompagna la completa consapevolezza di esiti probabilistici ben distanti da un destino di pace, unione e costruzione. Che l’Europa esistente possa disgregarsi è una possibilità concreta, e il professore lo sa bene. Le conseguenze a quel punto sarebbero “matematiche”: i singoli “staterelli”, che tali sono da soli, sarebbero costretti a una competizione spietata e crollerebbero così tutte le aspettative connesse a un regime democratico. A questa prospettiva tutti insieme dobbiamo saper rispondere e prepararci attraverso gli strumenti illustrati da Massimo Cacciari nella serata di mercoledì: analisi obiettiva, programmi concreti, valori che abbiano la forza di animarci e guidarci.

 

 

 

Giusy Mantarro

Budapest: la città attraversata e divisa in due dal Danubio

               “Una Buda da vedere, una Pest da vivere”

Lo scrittore Claudio Magris, nel suo libro “Il Danubio”, definisce Budapest una città signorile e imponente.

Budapest, la capitale dell’Ungheria, è divisa in due parti, “Buda” e “Pest”, dal fiume Danubio. Buda è il centro storico costituito da meravigliosi palazzi, castelli e monumenti, che raccolgono in essi la storia di questa città. Pest è la parte moderna dove si concentra la maggior parte della popolazione, anch’essa ricca di grande bellezza.

Budapest è tutta da vedere, ogni singolo angolo, ma i posti che non puoi assolutamente perderti sono:

1) Il Palazzo del Parlamento

E’ il simbolo della città e si trova sulla sponda del Danubio dalla parte di Pest ed è la sede dell’Assemblea nazionale ungherese. L’interno è un vero spettacolo per gli occhi, curato nei minimi dettagli, lascia senza fiato. Fu concepito nell’Ottocento per sottolineare, con un palazzo fastoso e rappresentativo, l’indipendenza finalmente raggiunta degli ungheresi all’interno dell’impero austro-ungarico.

2) Il Palazzo Grassalkovich

E’ un palazzo in stile barocco della cittadina ungherese di Gödöllő, costruito tra il 1741 e il 1760.
E’ sia il più grande palazzo barocco dell’Ungheria che la seconda tenuta più grande dell’Europa. Questo palazzo è noto anche per essere stato il favorito dell’imperatrice Elisabetta d’Austria, che insieme al marito, ne fece la propria residenza estiva. Nella parte posteriore del castello si estende un meraviglioso parco di 28 ettari.

3) Szimpla Kertmozi

E’ un pub composto da più stanze e un lungo e grande corridoio, decorato nei modi più assurdi con gli oggetti più assurdi, la quantità degli oggetti presenti in questo pub è enorme, parte dell’arredamento è anche un auto d’epoca. Tutto ciò è stato creato all’interno di una fabbrica abbandonata. Questo pub si trova nella zona ebraica di Budapest.

4) Bagni Széchenyi

Sono dei bagni termali di Budapest che si trovano nel parco Városliget nella XIV Circoscrizione. L’edificio più antico del complesso risale al 1881 ma, a causa della forte popolarità, prima della Prima guerra mondiale vennero costruiti altri edifici che hanno reso i Bagni Széchenyi il più grande centro termale d’Europa. Il complesso venne ultimato nel 1913. Aperti tutto il giorno, tutti i giorni, tutto l’anno, ospitano anche eventi notturni con tanto di dj e musica.

 

5) Traversata sul Danubio (DA FARE)

Una cosa che si deve assolutamente fare se si va a Budapest è la traversata sul Danubio, è consigliabile farla la sera poiché sarà possibile ammirare tutti i palazzi, che costeggiano il Danubio, illuminati.

Uno spettacolo mozzafiato, accompagnato da musica e degli ottimi cocktail.

6) Il Mercato Centrale

E’ una sala neogotica restaurata ed usata come mercato alimentare, si estende su due piani e al suo interno ci si può trovare di tutto. Il primo piano è interamente dedicato ai prodotti alimentari, tipici e non di Budapest, mentre il secondo piano è colmo di souvenir.

7) La Piazza degli Eroi

E’ una delle più importanti piazze di Budapest, ricca di elementi politici e storici. Si trova alla fine di Andrássy út, vicino al parco municipale Városliget. E’ anche una delle più belle piazze di Budapest.(Dopo averla visitata ci si può fare la foto nella scritta!!!)

 

Budapest è una città piena di cultura e di storia, e non sono solo questi i posti da visitare, consiglio di passarci più tempo possibile perché è tutta da vivere.

 

Andrea de Stefano