Tu! Devi avere un metodo.

La sessione estiva è quasi alle porte e noi studenti universitari iniziamo a fare un quadro della situazione. Durante il semestre abbiamo seguito le lezioni e abbiamo iniziato a studiare. C’è chi si è preparato un piano, chi non ha ancora nemmeno acquistato i libri e chi è già in ansia.

A maggio dò quella da 12 crediti, sono tanti libri e il professore è severo. Non posso neanche pensare di prepararne altre

Ti va di uscire domani?
No, ho una tabella di marcia da rispettare. La mattina faccio i riassunti e il pomeriggio li ripeto

Mancano pochi giorni all’esame e non ho ancora studiato due libri. Devo dividere le pagine per i giorni rimanenti!

Non ho finito di studiare tutto il libro: non sono abbastanza preparato. Lo dò al prossimo appello

E così mille altri discorsi serpeggiano nella nostra mente e nelle chiaccherate con gli amici.

Perché accade questo?

Ad un passo dall’esame (e in alcuni casi anche molto tempo prima) proviamo tutti delle spiacevoli sensazioni.

Studiamo dei mesi per poi accorgerci di non ricordare nulla.
Ci sentiamo in colpa perchè, in così tanto tempo, non siamo riusciti a ripetere o riassumere tutto il libro.
Abbiamo paura di essere giudicati dal professore.
Abbiamo ansia riguardo a tutto ciò che potrebbe succedere quel giorno. “E se mi chiede una cosa che non so?”, “E se mi blocco?”, “E se mi boccia?”. Ci facciamo queste domande e l’immaginazione di ciò che potrebbe succedere scorre come un fiume in piena.
Il giorno dell’esame abbiamo la mente annebbiata.
Durante il colloquio balbettiamo, non riusciamo a ricordare.

20” – “Torni la prossima volta” – “Non ci siamo

Siamo delusi. Come lo diremo ai nostri genitori? Ai nostri amici?

Mesi della nostra vita buttati sui libri ed un misero 20!?

Se anche tu hai vissuto in questo scenario ‘sta tranquillo, sono solo i sintomi della mancanza di un metodo di studio.

Ma io ho un metodo di studio, il mio metodo di studio

Risposta sbagliata.
Il metodo di studio non è soggettivo come si crede.
No, non ce l’hanno insegnato a scuola. E no, metodo di studio non significa studiare i libri nel modo in cui più ci piace.
Io mi trovo meglio leggendo e ripetendo”, “Io devo evidenziare con colori diversi, perchè ho la memoria fotografica”, “Ricordo solo se riassumo”.

Avere un metodo significa seguire un protocollo, uguale per tutti e standardizzato. Si tratta di avere delle fasi precise per sapere esattamente cosa fare e quando farlo.

È questa la rivoluzione portata da Andrea Acconcia e Giuseppe Moriello, autori del libro bestseller “Metodo Universitario. Come studiare meglio e in meno tempo e superare gli esami senza ansia” presentato martedì 16 aprile alla Mondadori Bookstore di Catania.

Il problema degli studenti universitari, hanno evidenziato, è proprio quello di non avere un metodo.
Senza un piano d’azione codificato, infatti, tendiamo ad attuare “la strategia della quantità, e non della qualità”.
Entrambi lo ricordano sempre nei loro video: lo studente universitario “non studia per l’esame, ma studia per il libro”. È importante notare la grande differenza tra le due cose.
Quando studiamo per il libro tutto diventa importante, anche le note inutili e l’introduzione. Ci focalizziamo sulla quantità degli argomenti, tralasciando l’importantissima qualità che dovremmo mettere negli argomenti che, per citare gli autori, ”fanno battere il cuore al professore”.

Il libro rivela lo schema da loro ideato e pensato per gli studenti universitari.
L’OCME, così chiamato, può davvero (come testimoniano ormai tantissimi studenti) permetterci di correre dritti alla laurea senza ansia o esami arretrati.
L’acronimo sta per:

Organizzazione
Organizzare il materiale di studio ci permette di evitare perdite di tempo. Non studieremo più cose inutili e avremo la possibilità di focalizzarci su ciò che è davvero importante.

Comprensione
Solitamente tendiamo a cercare di comprendere i concetti sottolineando il libro con colori diversi. Qualcuno di noi fa i riassunti. Qualcun altro ripete subito dopo aver sottolineato.
Ognuno ha il suo stile, tuttavia c’è un modo migliore di tutti per svolgere questa fase.

La strategia a cui ti hanno abituato non è per forza la migliore

Memorizzazione
Memorizzare è una brutta cosa. Ce l’hanno insegnato a scuola, “se studio a memoria non capisco”. Certo! Questo pensiero è corretto. La comprensione degli argomenti è però già avvenuta nella fase precedente.
Ci sono date, articoli di codice, termini tecnici e formule da ricordare e basta, senza nulla da capire. Abbattiamo questo tabù!

Esposizione
Esporre non significa ripetere, significa simulare l’esame. È necessario allenare il modo in cui esponiamo ed assumere il lessico adatto.

Avere un metodo ha anche un’importanza “emotiva”.
Seguire delle fasi ci dà la sicurezza di star andando dritti verso l’obiettivo.
Completatane una, passeremo all’altra con la certezza che non dovremo tornare indietro.
Tutto è sotto il nostro controllo, possiamo finalmente dimenticare la sensazione di affogare in un mare di informazioni sconnesse.

Abbiamo tutti un problema di metodo, ma adesso la soluzione ci è offerta su un piatto d’argento.
Starà a noi coglierla e rivoluzionare la nostra vita.
Chiedetevi se è giusto vivere in balia di emozioni distruttive.
Chiedetevi se è giusto vivere schiavi di un libro.
La risposta sarà l’inizio di un cambiamento, adesso che ne siamo consapevoli.
Provate, concedetevi la possibilità di fare un azzardo lasciando il porto sicuro.
Non ve ne pentirete.

Qui delle video lezioni gratuite per saperne di più: https://metodouniversitario.it/3videorizzoli

Per acquistare il libro: https://www.amazon.it/Metodo-universitario-studiare-meglio-superare/dp/8817109444/ref=sr_1_1?__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&crid=3I2W5OD9KYP9S&keywords=metodo+universitario&qid=1555361460&s=gateway&sprefix=metodo%2Caps%2C790&sr=8-1

 

                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                      Angela Cucinotta

La sessione invernale

Edvard Munch – Notte a Saint-Cloud

 

Gli occhi del professor Corelli erano verdi e aspri. Quando si posavano su di me, io li evitavo sempre.
Allora, gli esami di diritto privato si tenevano in un’auletta cupa e umida al primo piano. Le pareti erano colme di vecchi tomi traboccanti dalle massicce librerie, ed emanavano un odore polveroso e caratteristico che suscitava in me qualcosa di simile a una sensazione anticamente familiare e ormai, chissà come, solo parzialmente accessibile. Una lunga cattedra era piazzata proprio in fondo all’aula e, davanti a questa, diverse file di sedie venivano occupate dagli studenti in attesa.

Corelli era solito arrivare con almeno un’ora di ritardo, e se questo poteva infastidire i miei colleghi, per me era invece fonte di sollievo perché avevo così tutto il tempo per prendere confidenza con l’ambiente. Quando egli entrava in aula, un silenzio improvviso decapitava il brusio dei colleghi, e subito iniziava il traffico muto di quei volti pallidi che raggiungevano intimoriti la cattedra.

Quando finalmente mi decisi a presentarmi all’appello, avevo già saltato diverse sessioni d’esame – un po’ per pigrizia, un po’ perché la materia era oggettivamente lunga e complessa. Quel giorno ero l’ultimo dell’elenco e Corelli era visibilmente stanco. Io invece ero stranamente eccitato: la collega che mi precedeva non aveva fatto in tempo a riporre il libretto in borsa che già prendevo il suo posto alla cattedra. Avevo impresso sul volto quel sorriso mesto e bonario che si è soliti mostrare quando si vuole placare un cane arrabbiato; tuttavia, il mio mastino pareva non avere intenzione di degnarmi della minima attenzione. Mi decisi allora a sussurrare: «Buongiorno professore».

Corelli alzò il capo di scatto, come se, invece del mio tremulo saluto, avesse appena udito un boato provenire da un luogo imprecisato a pochi centimetri dal suo naso. Non appena mi ebbe visto, il suo sguardo, fino ad allora addolcito dalla stanchezza, si tramutò in quella livida severità a cui ero abituato e che ero solito temere.
«Buongiorno professore» ripetei, sforzandomi d’ignorare il senso di sconforto che progressivamente m’invadeva.

Allungai  il libretto verso di lui continuando a sorridere con aria affabile,e avvertii che quello sguardo arcigno si era finalmente staccato dal mio volto per osservare ciò che le mie mani gli tendevano. Con un gesto rapido, ma gentile, Corelli prese il mio libretto e iniziò a sfogliarlo con uno sguardo che non gli avevo mai visto prima d’allora e che, forse, non era nemmeno concepibile su quel volto: le due fessure verdi si erano adesso aperte e apparivano smarrite in un vuoto d’incertezza quasi infantile. Tutto durò pochi secondi. Subito si riebbe, e tornò il professor Corelli. Non ricordo cosa mi chiese esattamente, ricordo solo che la mia voce cominciò a scorrere in un flusso di parole e termini tecnici che avevo parecchio faticato a memorizzare nei mesi precedenti. Dopo neanche un minuto il professore m’interruppe facendo strisciare verso di me il libretto. Disse: «Alla luce di ciò che sento e vedo non posso promuoverla. Mi dispiace, buona giornata». Rimasi folgorato da quella sentenza brutale, che percepivo ingiusta e gratuitamente punitiva.

Corelli, con lo sguardo basso, sistemava rumorosamente la pila di fogli su cui aveva appuntato i nomi dei suoi studenti coi loro rispettivi destini. Notai dolorosamente che non si era neanche preoccupato di scrivere il mio nome tra gli esaminati. Mi allontanai velocemente dall’aula, come se lo spazio che fino a poco prima mi accoglieva fosse stato corrotto da una distorsione che lo rendeva, adesso, perverso e ripugnante. L’incredulità si tramutò ben presto in amarezza. Avevo studiato davvero tanto per l’esame ed ero convinto di aver risposto in modo corretto alla domanda del professore.

Raggiunsi casa, stremato, e dormii fino a sera inoltrata. Sognai di trovarmi ancora nell’auletta del primo piano in attesa di sostenere l’esame. Mentre attendevo, mi rendevo improvvisamente conto di non aver studiato e di sconoscere, nel modo più assoluto, la materia. Ad un tratto mi trovavo seduto innanzi al professore, ma non era il solito Corelli: questa improbabile figura onirica mi chiamava affettuosamente per nome, sorridendomi. Io sbagliavo ogni parola e ogni articolo, ma lui, placido, mi correggeva con paterna pazienza.

Alla fine mi promuoveva a pieni voti, e ogni piega del suo volto brillava d’un compiaciuto orgoglio. Mentre mi alzavo dalla sedia notavo che, improvvisamente, la sua espressione era mutata: mi rivolgeva adesso uno sguardo di rimprovero, carico di disgusto. Un senso di profondo disagio mi accompagnò ben oltre il risveglio. L’alba violava già la mia finestra, e io mi trovavo ancora disteso nella medesima posizione in cui mi ero svegliato. La luce sanguigna proiettava un unico fascio nella stanza, e questo aveva capricciosamente deciso di riversarsi proprio sulla scrivania di fronte al mio letto; le lettere dorate del prolisso “istituzioni di diritto privato” scintillarono d’una folgore luciferina. Mi bruciavano gli occhi e la gola. Cos’era accaduto il giorno prima? Possibile che avessi commesso qualche errore grossolano di cui non m’ero accorto? Mosso da un istinto di sopravvivenza disperato e maldestro, strisciai dal letto fino alla finestra di fronte e abbassai rumorosamente la serranda. Dormii per il resto della mattina, senza sognare. Quando mi svegliai, decisi che mi sarei ripresentato all’appello successivo.

Quindici giorni dopo, mi trovai nuovamente in attesa nell’ormai odiata aula – e stavolta non sognavo mica – il baccano prodotto dai colleghi testimoniava la vita cosciente in quell’anfratto di universo che, per puro caso, ci trovavamo a condividere. Quando arrivò Corelli io sudavo e sorridevo, perché avvertivo che la mia rivalsa era prossima a realizzarsi. Continuai a sorridere e – beninteso – a sudare per parecchio tempo, fino a quando non notai quasi per caso che il collega prenotato prima di me si era appena alzato. Subito mi fiondai sul posto lasciato vuoto. Mentre tiravo fuori il libretto, Corelli si alzò sbottonandosi la vecchia giacca: il velluto nero gli ingabbiava quella flaccida rotondità che, negli uomini della sua specie, costituisce un autentico segno distintivo, e che viene coltivata non senza un certo impegno. Tutto, in quell’aggregato di baffi, adipe e velluto, suggeriva una personalità rigida e limitata dalla propria severità: nella vita non avrebbe potuto far altro se non insegnare diritto privato. Per un attimo provai una profonda pena per lui; l’attimo successivo provai pena per me, e rabbia nei suoi confronti. Chi gli dava il diritto di trattarmi in quel modo? Dopotutto, non era pagato per trattare con sufficienza i suoi studenti, ma per verificare che avessero appreso ciò che lui stesso gli aveva insegnato. Che mi esaminasse, dunque! Ma Corelli sostava in tutta la sua mole di fronte alla finestra, perso in chissà quale lontana malinconia.

Dissi: «Salve professore», in un certo tono cupo che voleva suonare più come un rimprovero che come un saluto. Dovetti esagerare col volume, perché Corelli si girò di scatto, con lo stesso sguardo allarmato che avevo già visto due settimane prima. Mi guardò perplesso e venne cauto a sedere di fronte a me,protetto dalla giacca che aveva prontamente abbottonato per intero. Esordì a bruciapelo: « Può la nullità essere rilevata d’ufficio? Risponda solo si o no.». Risposi di si. Continuò: «E l’annullabilità?». Risposi di no. Distolse lo sguardo e, guardando verso la finestra pronunciò delle parole ormai a me tristemente familiari: «Mi dispiace, ma allo stato attuale delle cose non posso promuoverla. Arrivederci.». Sentii il sangue tramutarsi in onde bizzose e le vene delle mie tempie dovevano essere visibili: turgide e simili a rami bluastri, le avvertivo pulsare veloci, sincrone al cuore.

Senza che avessi il tempo di rendermi  conto del potenziale guaio in cui mi stavo cacciando, esclamai:« No! Ho studiato duramente per l’esame, e ho risposto in modo corretto! Perché non vuole promuovermi? Mi risponda! Perché? ». Subito dopo aver dato adito a quella tempesta miscellanea di collera e frustrazione mi resi conto che Corelli stava guardandomi con due occhi verdi e grandi, da bambino. Sussurrò, dolcemente: «Mio caro ragazzo, io non posso promuoverla per il semplice motivo che lei non esiste.». Pensai di aver sentito male. Continuò: «Pur volendolo, non potrei. E mi dispiace molto, mi creda. Povero, povero ragazzo, ascolti finalmente il mio consiglio, torni a casa.». Inizialmente, dovetti contenermi con tutte le mie forze per non scoppiare in una fragorosa risata; notando che Corelli non scherzava affatto, sentii il sangue abbandonare il mio volto per tramutarlo in una desolata maschera di anemico terrore. Afferrai di scatto il mio libretto, come per ribellarmi a quella nuova e crudele realtà che mi era stata imposta, e iniziai a sfogliarne le pagine: erano tutte bianche. Anche l’intestazione e la matricola erano occupate solo da spazio vuoto.
– « È impossibile, io sono uno studente di questa facoltà e, in quanto tale, ho il diritto di sostenere l’esame! Sono regolarmente iscritto, il mio nome è…»
–  «Qual è il suo nome, ragazzo? ».
Mi resi conto di non saperlo. Tremando, portai le mani a quello che avrebbe dovuto essere il mio volto, ma non vi trovai né naso, né occhi, né bocca. Lanciai uno sguardo supplicante in direzione di Corelli, sperando di incrociare quegli occhi severi e familiari, ma trovai invece solo il volto di un vecchio commosso e usurato dalla stanchezza. «Torni a casa», ripeté in un sospiro.

Reggendomi a malapena sulle gambe, feci ritorno in quella che, ormai da tempo immemore, era divenuta la mia casa. Silenziose, le pagine gialle e rattrappite del vecchio tomo di diritto privato mi accolsero dalla scrivania, simili alle braccia aperte di una madre anziana e comprensiva.
Mi distesi sul letto che ancora tremavo, ma mi addormentai quasi subito.

Da allora, il professor Corelli viene spesso a visitarmi in sogno, e a volte riesco a sostenere il suo sguardo.

                                                                                                                                                      Fabrizio Bella

 

La dieta del secchione: soddisfatti o rimandati

Ringrazio i pochi che, dopo questo incipit, non hanno ancora chiuso tutto e mandato a quel paese me e questo articolo. Ma c’è poco da fare, inutile far finta di niente, è ora di mettersi sotto. Fuori dalla finestra della camera di ogni studente, l’estate farà man mano il suo ingresso, le belle giornate saranno una costante, il sole, il mare, le granite… tutto fuori dalla finestra, perché tu sarai dentro a studiare.

La ricetta per affrontare al meglio un esame sta tutta nella preparazione, con un pizzico di fattore C (di fortuna). Se sul fattore C è vero che non abbiamo potere, possiamo fare qualcosa invece sulla preparazione. Tuttavia spesso si trascorre ore ed ore sui libri, senza però che si impari realmente ciò che si legge. Questo accade perché la volontà di studiare, seppur forte, non riesce a far funzionare correttamente quei meccanismi neurali atti alla comprensione e memorizzazione di un argomento. Per far questo c’è bisogno che l’organismo sia recettivo e concentrato sugli stimoli che gli si propongono. Semplice a dirsi, un’impresa storica a farsi, lo so. La scienza però ci corre in aiuto, sa che proprio noi, studenti sotto esame disperati, abbiamo bisogno di qualche “trucchetto” per rendere al meglio nel momento giusto. Esistono alcuni alimenti e qualche accorgimento che può davvero fare la differenza tra una giornata di studio persa ed una proficua. Ecco cinque consigli (più uno extra) che possono influire sulla qualità dello studio.

1) Il caffè fa bene (il giusto)

Croce e delizia di tutti gli studenti universitari, il caffè rappresenta l’alimento più consumato durante le lezioni, e non solo. Il caffè, d’altronde, è la bevanda più bevuta in Italia (il 97% degli italiani beve quotidianamente caffè), sia per il suo inconfondibile aroma, sia, e soprattutto, per l’effetto psicoattivo della caffeina. Da questo fronte ci sono buone notizie!

Una dose di caffeina di 200-400 milligrammi, l’equivalente di circa due tazzine e mezza di caffè espresso, migliora le prestazioni mnemoniche. E’ questo il risultato di una ricerca pubblicata su Nature Neuroscienze che dimostra per la prima volta un effetto specifico della sostanza sul processo di consolidamento dei ricordi. Nello studio, i soggetti, tutti di età compresa tra 18 e 30 anni non abituali consumatori di caffè, dovevano visualizzare su uno schermo una serie di oggetti e poi assumere 200 milligrammi di caffeina (due tazzine di espresso). A 24 ore di distanza ogni volontario doveva riconoscere gli stessi oggetti. Dall’analisi statistica delle risposte, è emersa una notevole differenza tra i soggetti che avevano assunto caffeina e quelli che avevano assunto il placebo: i primi dimostravano di riuscire a riconoscere con maggiore frequenza gli oggetti simili a quelli del giorno prima. Chi aveva assunto placebo infatti ricorreva più spesso nell’errore di riconoscere come “già visti” oggetti che in realtà erano solo simili ai precedenti.

E quante volte, stanchi e assonnati, abbiamo sentito la necessità di prendere un caffè, praticamente tutti i giorni. Questo aumento inconsapevole del consumo di caffè, e quindi caffeina, nelle persone sottoposte a stress, è legato alla capacità di questa sostanza di prevenire diverse alterazioni cerebrali, specie nell’ippocampo (struttura importante per la memoria), indotte proprio dallo stress. I ricercatori hanno studiato i principali recettori neuronali su cui agisce la caffeina, quelli dell’adenosina, cui si lega a essi e li blocca. Un gruppo di topi è stato trattato con un inibitore di questo recettore, e poi sottoposto a stress così come un altro gruppo di topi con recettore normali. Il primo gruppo ha mostrato comportamenti meno alterati e una conservazione della memoria migliore rispetto ai topi del gruppo di controllo, con la sola eccezione di un livello di ansia leggermente più alto nei topi che assumevano caffeina.
Ciò fa ipotizzare, concludono i ricercatori, che la maggiore assunzione di caffeina nei soggetti stressati sia in effetti un tentativo inconsapevole di automedicazione.

 Ricordate di non eccedere e di rimanere entro le 2 tazzine al giorno, in quanto l’eccessiva assunzione provoca effetti spiacevoli di nervosismo, tachicardia e gastrite, sindrome nota come “caffeinismo”.

2) Non hai sete? Bevi comunque
Durante le lunghe sessioni di studio spesso ci si dimentica di bere, perché il nostro organismo, grazie a complessi meccanismi, conserva i liquidi senza farci avvertire la sete.
Già in passato la letteratura scientifica aveva suggerito un collegamento fra una forte disidratazione e il calo delle funzioni cognitive. Ora si sa che una condizione di ‘leggera disidratazione’ può essere nociva e renderci meno produttivi.
Alcuni studiosi hanno dimostrato come una perdita di acqua corrispondente a circa il 5% del peso corporeo, può influire sull’attività neurale.
Topi di laboratorio sono stati privati di acqua per 24 o 48 ore, periodo in cui è stata analizzato il flusso sanguigno verso la corteccia neurale. La disidratazione ha innalzato l’osmolarità plasmatica ed i livelli di vasopressina (ormone anti-diuretico), un ormone prodotto per limitare l’eliminazione di liquidi, che è l’artefice delle alterazioni cognitive osservate. E’ diminuito il flusso di sangue alla corteccia durante lo stimolo con attività cognitive, e si è visto come questo sia correlato alla presenza protratta nel tempo di vasopressina. Questa porta a stress ossidativo e stimola il rilascio di endotelina-1 nelle arteriole cerebrali, che ne causa una vasocostrizione.

3) Mangia cioccolato

Il cacao, contenuto principalmente nel cioccolato fondente, può venirci in aiuto più di quanto si immagini. Il cioccolato contiene dei principi attivi stimolanti, tra cui spicca la teobromina, una molecola caffeino-simile. I ben noti effetti stimolanti del cacao sono legati proprio alla presenza di teobromina, che oltre ad essere psicoattiva, ha anche un effetto salutare per il sistema cardio-circolatorio. La teobromina ha effetti psicoattivi più blandi rispetto a quelli della caffeina, ma ne è un perfetto sostituto in quanto ha un effetto minore ma più duraturo. Inoltre la quantità di zuccheri per 100g è adatta alle esigenze di un piccolo calo di attenzione. Infine contiene numerosi flavonoidi, composti dal potere antiossidante.
Il cioccolato inoltre favorisce la produzione di serotonina, un neurotrasmettitore eccitatorio che, se presente in difetto, causa una riduzione patologica dell’umore. Poiché l’assunzione di cioccolato, soprattutto fondente, aumenta la produzione di serotonina, si potrebbe definire uno “antidepressivo naturale”. Tuttavia, se presente in eccesso, la serotonina favorisce la comparsa di emicrania, il peggior nemico dello studente sotto esame.

4) Rinuncia al sale (tranne nelle limonate del chiosco)

Una dieta troppo ricca di sale fa male all’organismo ed è associata ad un aumentato rischio di malattie cardio e neurovascolari e demenza. Uno studio, apparso su Nature Neuroscience, ha mostrato che un eccessivo apporto di sodio compromette le capacità cognitive e ha svelato che ciò accade mediante un sorprendente meccanismo di natura immunitaria che origina nell’intestino. E’ stato visto che il sodio determina un aumento dei linfociti Th17, cellule del sistema immunitario; ciò favorisce il rilascio di una proteina, l’interleuchina 17 (IL-17), da parte dei linfociti.

IL-17 agisce sulle cellule endoteliali cerebrali, che ricoprono la parte interna dei vasi e ne regolano il flusso di sangue tramite la produzione di ossido nitrico, un vasodilatatore. L’aumentata IL-17 in circolo va ad agire proprio lì, alterando così il flusso ematico. Lo studio, condotto sui topi, ha mostrato un miglioramento delle prestazioni cognitive e comportamentali quando dalla dieta è stato eliminato il sale, o quando i piccoli animali sono stati trattati con un anticorpo contro IL-17. Questo farmaco contrasta gli effetti cerebrovascolari e cognitivi della dieta ricca di sale e può aiutare chi soffre di malattie o condizioni associate ad elevati livelli di IL-17, come la sclerosi multipla, malattie infiammatorie croniche intestinali e altre malattie autoimmuni.

 5) Pasti leggeri e regolari

L’effetto del cibo sulle funzioni cognitive e sulle emozioni inizia già prima dell’assunzione, in quanto il sistema visivo e quello olfattivo preparano in anticipo l’organismo al pasto. L’ingestione in sé attiva il rilascio di ormoni come l’insulina, l’ormone simile al glucagone (GLP-1) in circolo; queste sostanze raggiungono l’ippocampo e attivano alcuni processi metabolici che promuovono le attività sinaptiche contribuendo all’apprendimento e alla formazione di nuovi ricordi. Un altro ormone importante in questo asse è la leptina, sintetizzata dal tessuto adiposo per ridurre l’appetito.
Si è visto come la leptina, a livello del sistema nervoso centrale, possa stimolare l’espressione di fattori neurotrofici (BDNF) nell’ipotalamo e nell’ippocampo, che hanno la capacità di favorire l’apprendimento e la memoria. Infine il fattore insulino-simile (IGF1) è prodotto dal fegato e dai muscoli scheletrici in risposta a stimoli prodotti dal metabolismo e dall’esercizio fisico. IGF1 stimola la crescita dei nervi, la differenziazione e la sintesi ed il rilascio dei neurotrasmettitori. La dieta, di concerto all’esercizio fisico, specie quello aerobico, ha effetti positivi nelle funzioni cognitive.
Se mangiare spesso stimola questi ormoni neurotrofici, al contempo bisogna evitare le abbuffate, cibi fritti e ricchi di grasso che impegnano il nostro organismo in lunghe e dispendiose digestioni, che causano il cosiddetto “abbiocco” post-pranzo, e ci offuscano la mente.

6) Il nutrimento più importante…lo studio

Quindi studiate e in bocca al lupo.

Antonio Nuccio

10 Tipi di Studente all’Esame

Gli esami universitaStruggling-Students-Desperate-For-Financial-Helpri sono come una partita di calcetto tra amici. All’inizio dai il massimo per far vedere a tutti quanto vali, quando sta per avvicinarsi la conclusione non vedi l’ora di finire. In particolare, quando parliamo di esami universitari, in quest’ultima parte esce fuori il meglio (inteso come peggio) degli studenti che, stremati, non vedono l’ora di vedere la firma su quel libretto e portare a casa 6 crediti che valgono oro.

Ecco a voi 10 TIPI DI STUDENTE CHE INCONTRI ALL’ESAME:

#1 IL BIANCO. È quello studente che si siede senza sapere nulla. Ma proprio nulla. Magari sa il titolo di un libro, forse l’autore, ma il libro non l’ha neanche visto con il binocolo. Se fa pena al professore tanto da arrivare al 18 festeggerà la sera interpretando quel 18 come se fosse la festa per i suoi 18 anni (passati da minimo 5 anni).

#2 IL FINTO BIANCO. Tutti, dico proprio tutti, abbiamo quel collega che sbandiera la sua impreparazione come se fosse un vanto. La frase tipica che sentirete è: “niente ragazzi, non so niente. Se tutto va bene passo la materia”. Si siede all’esame. 28. Non odiatelo però: a furia di spacciarsi per bianco, lo diventerà egli stesso. Sarete grandi amici un giorno.

#3 IL SUPERSTIZIOSO.  Giacca grigia. Camicia bianca. Pantalone stirato con la riga. Scarpe da acchiappo. Nelle grandi occasioni anche il cravattino. A tutti gli esami, il superstizioso, non lascia nulla al caso. La sua non è una preparazione, è un rito. È un guerriero che scende sul campo di battaglia armato praticamente di nulla. Ma lui non lo sa e proprio per questo è imbattibile.

#4 L’ANSIOSO. Già, forse un po’ banale direte. Siamo tutti un po’ ansiosi prima di un esame. Ma quello di cui parliamo in questo punto non è il semplice ansioso. È colui che ha lo speciale potere di infondere ansia a chi gli sta intorno. È come un morbo: se respiri la sua stessa aria non puoi fare a meno di ammalarti. Da tenere in quarantena come un lebbroso.

016513bl

#5 IL QUESTIONARIO UMANO. Questa particolare specie di ansioso si riconosce per domande del genere: “Ma tu in quanto l’hai preparata la materia? Il professore com’è all’esame? Che hanno chiesto? Da dove hai studiato?”. Finisce sempre che lui ti farà così tante domande che quando dovrai rispondere a quelle del professore gli dirai che per oggi hai risposto a troppe domande e che sei in silenzio stampa.

#6 LA RITIRATA. I livelli di ansia raggiungono picchi altissimi durante un esame. Sicuramente il professore, che quel giorno decide di fare una strage bocciando tutti, non aiuta. In questi casi bisogna rimanere uniti, ma non sempre va così. Come nelle più celebri battaglie c’è sempre qualcuno che batte in ritirata. Risulterà un bellissimo assente accanto al nome. Come si dice in questi casi: “quando il gioco si fa duro, meglio tornare a casa”.

#7 QUELLO BRAVOH. Ho deciso di chiamare questo punto così perché non sei mai tu quello bravo. È sempre un altro. Si presenta all’esame e con una straordinaria nonchalance fa commuovere il professore che non riesce a credere ai suoi occhi: non ha l’ennesima capra davanti. 30, con la lode di solito. Non fare l’errore di odiarlo. Ha studiato, è bravo. Sai che potresti imparare da lui, ma hai così tanta paura di impegnarti che continuerai a friendzonare i libri per il resto della tua vita.

#8 IL GUARDONE. Perché andare a fare l’esame quando puoi andare a guardarlo? E sì, perché guardare è meglio che fare. Il guardone è colui che si presenta all’esame a luglio, con 50 gradi, in pantaloncini. Tanto lui l’esame non lo deve fare. È lì per controllare la situazione. È un condor. Ha in corpo una calma zen che di solito ti fa venire ancora più ansia. Vorresti essere nei suoi panni (letteralmente). Poi tu l’esame lo passi. Lui lo farà al prossimo appello. Non vuoi più essere nei suoi panni.

#9 IL FANTASMA. Nel corso dei vari esami che vai a sostenere conosci i cognomi di tutti i colleghi del tuo anno e anche di anni remoti. Poi ci sono quei cognomi a cui sei particolarmente affezionato. Li senti sempre. Non sai chi sono ma sai che all’appello ci saranno. Purtroppo però non hai mai avuto il piacere di incontrarli. Perché quelle persone sono dei fantasmi. Si prenotano sempre ma non ci sono mai. Un alone di mistero li avvolge e le storie che girano su di loro ravvivano le serate in montagna intorno a un falò. C’è chi dice che sono profili fake, altri dicono di averli visti una volta fuori dall’aula. La verità non la saprà mai nessuno.

#10 L’OTTIMISTA. Diciamo che, chi più e chi meno, siamo passati da tutti i punti precedenti. Ma quando arrivi quasi alla meta, non sei più ansioso. La disperazione non sai cosa sia. La paura ti fa un baffo. È l’ottimismo ormai che ti contraddistingue. Non puoi fare altro. Occhio però, non è quell’ottimismo sano che riconosci come “il profumo della vita”. È un ottimismo malato, ignorante, rassegnato. Chi è arrivato agli ultimi esami mi capirà bene. Se sei invece un tenero novellino che crede nella preparazione e nella buona volontà, mi dispiace darti questo schiaffo morale. Arriverai anche tu ad essere ottimista. Prima l’ottimismo, poi la preparazione. E si va verso la meta. E si va verso la vittoria.

Nicola Ripepi

Chi dorme non piglia…CFU

studenteChe tu sia uno studente di lettere, di medicina, di psicologia o di giurisprudenza; per quanto diversificati possano essere i nostri studi, per quanto un giorno, non ben certo e definito, occuperemo posti diversi nel mondo, un’unica cosa ci avvicina e ci accomuna, oltre la disperazione che raggiunge i suoi picchi poco prima di ogni sessione d’esame: la voglia di dormire.

Circondati da mille impegni, con gli occhi abituati a vagare su uno schermo luminoso a qualunque ora del giorno e della notte, pronti a correre in giro per la città, tra migliaia di pagine d’apprendere, tra rapporti sociali da coltivare e la voglia di fare le ore piccole con gli amici di sempre o con i nostri colleghi di corso di laurea … quanto tempo dedichiamo al nostro riposo?
Probabilmente poco, meno rispetto alle otto ore raccomandate.

Così, il caffè, con il suo odore invitante ed il suo gusto paradisiaco, diventa il migliore amico di ogni studente, pronto a sostenerci quando i nostri occhi vorrebbero soltanto chiudersi a notte fonda, anziché concentrarsi sui caratteri minuscoli dei libri che ci attendono prepotentemente, sulla scrivania disordinata e caotica su cui praticamente siamo costretti a vivere.

Eppure dormire, in certe occasioni, appare quasi come uno spreco di tempo, un affronto alla produttività, al divertimento o alla buona compagnia, ma sappiamo realmente cosa accade quando rinunciamo a quelle due o tre ore di sonno che apparentemente ci sembrano nulla?

Il primo segno tangibile, causato dal non dormire abbastanza, è sicuramente rappresentato dagli sbalzi d’umore: si diviene maggiormente irritabili, nervosi, la nostra soglia di sopportazione si abbassa; dunque, piccolo consiglio per i maschietti che stanno leggendo: se la vostra ragazza appare un po’ più scontrosa del solito, non fate immediatamente riferimento alla sindrome pre-mestruale, con battutine scontate e piuttosto idiote (con il rischio di aumentare, per altro, la percentuale d’incorrere in una decapitazione da parte della dolce e delicata puella) magari ha solo dormito un po’ meno!

Ma gli sbalzi d’umore non sono tutto, la mancanza di riposo adeguato e duraturo provoca anche un abbassamento delle difese immunitarie, rendendoci decisamente più vulnerabili ai patogeni; inoltre, la privazione di sonno è correlata all’insorgenza di emicranie e, non a caso, al calo del desiderio sessuale … a quanto pare la frase: “Tesoro, stasera ho mal di testa!” non è poi una semplice scusa!

Dormire poco però, soprattutto per noi studenti disperati, incide drasticamente anche sui processi di apprendimento e memoria, infatti, se spesso ridurre al minimo le ore di sonno ci appare come l’unica soluzione per recuperare parti degli infiniti programmi degli imminenti esami, in realtà impediamo il fisiologico processo di consolidamento delle nozioni apprese durante il giorno e quello di eliminazione dei “ricordi inutili”, così da non lasciare posto ad informazioni decisamente più importanti da ricordare.

Cattive notizie anche per i fanatici della linea: dormire poco, a causa degli squilibri ormonali che ne derivano, comporta un maggiore senso di fame che spesso si tende ad appagare con cibi grassi e molto calorici; non a caso vi è una stretta correlazione tra obesità ed uno stile di vita che non comprende una buona notte di sonno ritemprante.

Tra le conseguenze più gravi del non dormire abbastanza si annoverano: l’aumento del 400% circa di rischio d’infarto (mancanza di sonno è prolungata nel tempo); maggiori possibilità di sviluppare forme cancerose, soprattutto quelle al seno; infine, negli uomini è stato provato un calo della concentrazione degli spermatozoi nel liquido seminale.

Essendo questa la realtà dei fatti, non appare poi così una brutta cosa, non riuscire ad abbandonare il comodo letto la mattina, rimandando di qualche ora l’inizio dei nostri programmi giornalieri.
Se la voglia di dormire, avvolti in una comoda coperta calda e soffice, prevale su quelle che sono le nostre responsabilità di studenti, possiamo sempre ripeterci che in realtà abbiamo solo bisogno di migliorare la nostra memoria e la nostra capacità di apprendimento in vista degli esami!
Siete anche degli sportivi?Di bene in meglio! Questo è senza dubbio un motivo in più per concedersi una sveglia qualche ora avanti; è stato infatti provato che un sonno sufficientemente lungo e riposante permette di migliorare visibilmente la propria coordinazione motoria, migliorando le proprie performance atletiche in generale.

Stando alla scienza, dunque, qualche ora in più tra le braccia di Morfeo ha dei risvolti decisamente positivi, soprattutto per coloro i quali sono costretti a passare ore interminabili su libroni. Se la visione di una tazza di caffè fumante, sia che il sole sia alto in cielo o che abbia lasciato posto alla luna, ci appare come la miglior cosa che potesse accaderci, forse è il caso di sospendere, anche solo per poco, i nostri impegni e concedersi un sano e appagante viaggio nel mondo dei sogni.

Morgana Casella