Ringiovanire senza effetti collaterali: la possibilità prende forma

Uno studio pubblicato di recente sulla rivista Nature Aging dal Salk Institute (California), in collaborazione con la società Genentech, dimostra che si può tornare “giovani” senza conseguenze. E, se ve lo steste chiedendo, non c’è bisogno di avere alcun quadro in soffitta che invecchia al vostro posto.

  1. Generalità
  2. Il genoma
  3. La terapia
  4. Cosa sono i vettori retrovirali e come funzionano
  5. L’esperimento condotto con i topi
  6. Conclusioni

Generalità

Questa importante scoperta dalla parvenza fantascientifica, pone in realtà basi solide per il futuro terapeutico di diverse patologie importanti, tra cui le malattie neurodegenerative. Alla base di questo studio ci sono quattro geni (Oct4, Sox2, c-Myc, klf4) che codificano per dei fattori di trascrizione (i cosiddetti fattori di Yamanaka), in grado di riprogrammare il genoma di una cellula riportandola ad uno stato embrionale. Lo studio è stato condotto su topi sani, che dopo questa terapia non presentavano nessun effetto negativo a livello comportamentale e fisico.

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Il genoma 

Per genoma si intende la totalità aploide dei cromosomi contenuti in una cellula. Tutte le cellule dell’individuo che prendiamo in considerazione hanno lo stesso genoma, ma ogni tipo cellulare ha un epigenoma differente. Con ‘epigenoma’ si intende l’insieme di modificazioni molecolari che controllano l’espressione di un gene. La scienza che le studia è l’epigenetica. 

La terapia 

La terapia si basa sull’introduzione dei geni Oct4, Sox2, c-Myc e klf4 nel genoma dei fibroblasti dei topi, usando dei vettori retrovirali. Questi geni codificano per dei fattori di trascrizione (i fattori di Yamanaka) che sono in grado di riprogrammare il genoma della cellula matura (fibroblasto).
Mediante il processo di riprogrammazione genetica su cui si basa lo studio, il fibroblasto (cellula matura specializzata) è riportato ad uno stato embrionale, ossia allo stato di cellula staminale pluripotente indotta (iPSC), che potrà poi differenziarsi generando tutti i tipi cellulari. L’uso delle iPSC si preferisce all’uso di cellule staminali embrionali (ESC) per motivi etici. Fatta questa premessa, è facile capire perché questa scoperta rappresenta una svolta per il campo biomedico, sotto vari aspetti.

Cosa sono i vettori retrovirali e come funzionano 

I vettori retrovirali sono virus a RNA che possiedono una funzione di trascrittasi inversa, capace di sintetizzare una forma di DNA complementare che può integrarsi al DNA cromosomico. Fino ad ora i vettori retrovirali si sono dimostrati uno strumento più che efficace per introdurre geni in cellule umane per la terapia genica delle malattie ereditarie. 

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L’esperimento condotto con i topi

Per provare l’efficacia di questa nuova terapia, gli scienziati del Salk Institute hanno voluto testare la sicurezza del trattamento in caso di utilizzo prolungato nel tempo. I ricercatori hanno somministrato il mix dei quattro geni a topi sani di età compresa tra i 15 e i 22 mesi (che per l’uomo equivale a una terapia assunta tra i 50 e i 70 anni) e a topi tra i 12 e i 22 mesi (dai 35 ai 70 anni per l’uomo). Tutti sono stati trattati per 7-10 mesi.
Un terzo gruppo di topi più anziani di 25 mesi (circa 80 anni per l’uomo), ha ricevuto il trattamento per un mese. Alla fine della terapia nessun topo presentava alterazioni fisiologiche o anomalie di qualsiasi tipo. Nei topi più anziani, trattati per un mese, non è stato però notato alcun miglioramento.
I topi più giovani, trattati per più mesi, hanno invece mostrato un miglioramento (assimilabile a un ringiovanimento) riguardante sia i processi metabolici che le cellule presenti a livello della pelle e del rene. 

Conclusioni  

Alla fine dello studio si nota un’efficacia maggiore riguardante una terapia protratta nel tempo, per questo preferibile a una terapia più breve. È stato anche provato che gli effetti di ringiovanimento si possono notare non durante la terapia, ma solo alla fine. Per quanto possa sembrare un film di fantascienza, questo studio pone le basi per dei trattamenti terapeutici che potrebbero non solo fermare i processi d’invecchiamento, ma addirittura anche invertirli. Insomma, se tutto procede per il verso giusto, questa terapia non avrà nulla da invidiare alla chirurgia estetica.

Francesca Aramnejad

 

Per approfondire

https://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/biotech/2022/03/08/topi-ringiovaniti-senza-il-rischio-di-tumori-_edb27ab7-20fe-4a27-9e29-751e1d751943.html

https://www.lescienze.it/news/2013/05/28/news/staminali_pluripotenti_riprogrammazione_ottimizzare-1671094/

https://www.nature.com/articles/s43587-022-00183-2

Endometriosi: nuove speranze dal mondo della ricerca

L’endometriosi è una patologia insidiosa, a eziopatogenesi non ben definita, e spesso sottodiagnosticata.
Ne soffrono in Italia almeno tre milioni di donne, alcune delle quali con una sintomatologia così grave da essere invalidante.
Tuttavia la maggioranza della popolazione è all’oscuro della sua esistenza.

Ma di cosa si tratta esattamente?

La malattia

L’endometriosi è la presenza anomala (o detta in gergo medico ectopia) di tessuto endometriale in altre sedi che non siano l’utero.
Gli organi più colpiti sono: ovaie, tube, peritoneo, vagina, intestino.

Come nell’endometrio normale, anche in quello ectopico avvengono delle modifiche causate dagli ormoni durante il ciclo mestruale, con sanguinamenti e fenomeni di irritazione e cicatrizzazione.
Questo causa dolore pelvico, spesso durante i rapporti sessuali, rigonfiamento addominale, infertilità, astenia, nonché un grave distress psicologico.
Il distress è dovuto anche a uno stigma che ancora permane nei confronti delle pazienti, ritenute da alcuni medici esagerate nel riportare il dolore, e al ritardo nella diagnosi e nella somministrazione delle cure.

Prospettive di trattamento

Solitamente il dolore cronico da endometriosi viene trattato con farmaci anti-infiammatori (preferibilmente FANS) al bisogno, o si intraprende una terapia ormonale sostitutiva.
Quest’ultima sembra avere un beneficio sia in termini di diminuzione del dolore che di aumento della fertilità nelle donne che ricercano una gravidanza.

Si può ricorrere, nei casi più gravi e refrattari, alla terapia medica e al trattamento chirurgico con rimozione delle lesioni qualora esse vengano individuate.
In situazioni estreme, anche la menopausa chirurgica può essere un’alternativa per attenuare i sintomi, nonostante non sia quasi mai presa in considerazione nelle donne fertili, anche su richiesta della paziente stessa.

Novità dal mondo della ricerca

Un recente studio, pubblicato sulla rivista scientifica Cell Reports, apre a nuovi orizzonti sul fronte della terapia per l’endometriosi, in particolare per la variante causata da una mutazione del gene ARID1A, caratterizzata da una elevata gravità e da un impatto molto negativo sulla fertilità. Come ribadito, le cause dell’endometriosi sono avvolte da mistero e la scoperta del ruolo di questo gene è stato un ulteriore passo avanti per la loro comprensione.

Cosa comporta la mutazione di ARID1A?

Essenzialmente, una mutazione di questo gene porta all’attivazione di alcuni enhancers, proteine che vanno a stimolare delle porzioni del genoma cellulare, che correlano con una disregolazione della normale funzione endometriale.
Questa disregolazione a sua volta può portare all’impianto in sede anomala del tessuto uterino, a causa dell’acquisizione da parte delle cellule di un fenotipo invasivo. Inoltre, è stata rilevata una associazione tra ARID1A e p300, una proteina che regola la trascrizione genica, la maturazione e la crescita cellulare.

Ipotesi terapeutica e speranze per il futuro

Appare dunque evidente come, se si trovasse un farmaco capace di agire su questi enhancers, si riuscirebbe a mitigare, se non del tutto curare, l’endometriosi ARID1A correlata.
Qui viene in aiuto la target therapy, cioè una terapia creata ad hoc per agire su un determinato bersaglio molecolare.
In questo particolare studio il target era P300, che una volta silenziato andava a bilanciare gli effetti della mutazione di ARID1A e della patologia.
Questo è solo il trampolino di lancio per ulteriori scoperte in campo farmacologico. Si auspica che le pazienti che soffrono di endometriosi possano ottenere al più presto il riconoscimento e le cure che meritano.

Maria Elisa Nasso

Essere ricchi non farà la felicità, ma cambia il DNA

Un recentissimo studio della Northwestern University pone un’importante sfida per la medicina preventiva del futuro, indicando il meccanismo alla base delle differenze di salute tra popolazione ricca e popolazione povera.

Ricerche precedenti avevano già dimostrato che lo status socioeconomico è un potente fattore determinante per la salute e le malattie umane e che la disuguaglianza sociale è un fattore di stress onnipresente per le popolazioni a livello globale. La disuguaglianza sociale è associata a una predisposizione verso processi patologici che contribuiscono allo sviluppo di malattie, tra cui infiammazione cronica, insulino-resistenza e disregolazione del cortisolo. Un basso livello di istruzione e/o reddito comporta infatti un aumento del rischio di malattie cardiache, diabete, tumori e malattie infettive.

In questo studio, pubblicato il 4 Aprile sul American Journal of Physical Anthropology, i ricercatori hanno dimostrato che la povertà può essere “incorporata” in vaste aree del genoma, e tutto è governato da un finissimo equilibrio all’interno del nucleo delle nostre cellule: la metilazione. Questa rientra in una più ampia branca della medicina moderna: l’epigenetica, che studia i cambiamenti che influenzano il fenotipo, ovvero l’aspetto, della cellula e dei tessuti senza alterare il genotipo.

La metilazione del DNA è essenziale per il normale sviluppo: è associata infatti con l’imprinting genomico, l’inattivazione del cromosoma X e la carcinogenesi. La metilazione coinvolge quasi esclusivamente delle zone del DNA chiamate isole CpG (sequenze del DNA uguali e ripetute); quando questa avviene in prossimità di un promotore (che funge da interruttore) causa la repressione del gene cui è associato. Il processo è molto dinamico e può variare nel corso del tempo, accendendo e spegnendo diverse volte più e più geni.

Gli studiosi si sono rivolti ad uno studio di coorte già in corso nelle Filippine, il quale ha raccolto i dati economici delle famiglie di un gran numero di neonati a partire dal 1983, monitorandone l’andamento economico e sociale. A questi dati sono stati associati i vari profili di metilazione del DNA una volta che gli stessi neonati hanno compiuto circa 21 anni, età in cui lo sviluppo risulta essere completo.

Le analisi hanno identificato 2.546 siti su 1.537 geni in cui il DNA metilato differiva significativamente tra individuo benestante ed individuo povero. Si tratterebbe di una vera e propria firma della nostra condizione sociale all’interno delle nostre cellule.

Professor Thomas McDade

Thomas McDade, principale autore dello studio, nonché Professore di antropologia presso il Weinberg College of Arts and Sciences at Northwestern e direttore del Laboratory for Human Biology Research, ritiene che questo risultato sia significativo per due ragioni. In primo luogo perché, pur sapendo che la ricchezza è un potente fattore determinante della salute, precedentemente i meccanismi attraverso i quali il nostro organismo codifica le esperienze di povertà non erano noti; mentre oggi si.

“I nostri risultati suggeriscono che la metilazione del DNA può svolgere un ruolo importante, e l’ampia portata delle associazioni tra ricchezza e metilaione è coerente con l’ampia gamma di pattern biologici e performance di salute che sappiamo essere correlati alla ricchezza” ha affermato.

In secondo luogo, le esperienze nel corso dello sviluppo si sono incarnate nel genoma per modellarne letteralmente la struttura e la funzione. “Questo modello evidenzia un potenziale meccanismo attraverso il quale la povertà può avere un impatto duraturo su una vasta gamma di sistemi e processi fisiologici”.

Saranno infatti necessari studi di follow-up per determinare le conseguenze sulla salute della metilazione differenziale nei siti identificati dai ricercatori, ma si è già visto che molti dei geni interessati da questa variabilità sono gli stessi associati alle risposte immunitarie all’infezione e al cancro, allo sviluppo dell’apparato scheletrico e allo sviluppo del sistema nervoso.

Antonio Nuccio

 

Bibliografia: Thomas W. McDade, Calen P. Ryan, Meaghan J. Jones, Morgan K. Hoke, Judith Borja, Gregory E. Miller, Christopher W. Kuzawa, Michael S. Kobor. Genome‐wide analysis of DNA methylation in relation to socioeconomic status during development and early adulthood. American Journal of Physical Anthropology, 2019