Monica Vitti e “L’avventura” messinese

Attrice poliedrica ed estremamente espressiva, Monica Vitti viene oggi ricordata tra le più grandi icone del cinema italiano. La sua innata versatilità le permise di vestire i panni di attrice comica con grande naturalezza e allo stesso tempo di esprimere l’inquietudine e il male di vivere della donna dell’epoca moderna nei prodotti cinematografici dei primi anni Sessanta, riscontrando in entrambi i casi un incredibile successo (Qui un approfondimento su alcuni ruoli da lei interpretati). La passione per la recitazione risale alla sua infanzia e, più precisamente, al periodo trascorso nella città di Messina, quando ai giochi ordinari e alle bambole la piccola Monica preferiva semplicemente “giocare ad essere un’altra”.

Il legame con la città di Messina

Monica Vitti, pseudonimo di Maria Luisa Ceciarelli, nacque a Roma il 3 novembre 1931.

Nel 1932 il padre Angelo Ceciarelli venne trasferito in qualità di ispettore del Commercio Estero nella città di Messina, dove si recò insieme alla moglie Adele Vittiglia e i figli Franco, Giorgio e Maria Luisa. La famiglia Ceciarelli trascorse otto anni nella città peloritana, in cui Monica passò parte della sua infanzia. I ricordi legati alla città di Messina rimasero particolarmente impressi nella memoria dell’attrice, che diede al suo primo libro autobiografico il titolo “Sette sottane”, in riferimento al curioso soprannome che le era stato affibbiato dai familiari.

Da piccola mi chiamavano “sette sottane”, perché in Sicilia, dove vivevamo noi, non c’era il riscaldamento d’inverno e mia madre mi copriva di maglie, magliette, sottanine, vestitini e grembiulini. Non mi davano noia, anzi, ne ero orgogliosa e quando veniva qualcuno a trovarci dicevo: “Vede, io ho sette sottane: una, due, tre, quattro…” mia madre non mi faceva mai arrivare alla settima perché diceva che era una vergogna tirarsi su le gonnelline. 

Fu in questi anni che nacque la sua passione per la recitazione.

Il primo spettacolo ebbe luogo tra la finestra e la tenda della camera da letto, davanti a un pubblico di sei o sette bambini seduti a terra e pronti ad assistere alle scenette create dal fratello Giorgio. A queste seguiva l’esibizione di Monica, che recitava appassionate poesie inventate o intonava canzoni tristi accompagnate da pianti drammatici.

La partenza

Quando scoppiò la guerra si supponeva che gli americani sbarcassero in Sicilia, così il padre decise di trasferire l’intera famiglia a Napoli. Maria Luisa aveva solo otto anni, ma comprese ben presto l’essenza della guerra e la portata delle sue conseguenze:

Capii subito che la guerra era una brutta cosa: obbligava le persone a fare ciò che non volevano, a scappare, a nascondersi, a combattere. Io volevo solo sapere se dove dovevamo andare c’era il mare. Nessuno aveva tempo per rispondermi.

La bambina dovette dire addio ai luoghi e alle persone a lei più cari, tra cui un bambino biondo di nove anni con cui aveva stretto un profondo legame. Prima della partenza i due si salutarono per l’ultima volta di fronte a una fontana, stringendosi le mani nell’acqua e promettendo di mantenere vivo il ricordo l’uno dell’altra, in modo da rivedersi una volta finita la guerra.

 

Locandina del film “L’avventura” (1960). Fonte: flickr.com

L’avventura ne “L’avventura”

Da Napoli la famiglia si trasferì a Roma, dove la giovane Monica Vitti ritrovò la grande passione per la recitazione. Nonostante l’opposizione della madre, preoccupata per via della “polvere da palcoscenico che corrode anima e corpo”, Monica venne ammessa all’Accademia d’arte drammatica. Molti anni dopo la sua partenza da Messina, l’incontro con il regista Michelangelo Antonioni le permise di fare ritorno nella città e realizzare così il suo più grande sogno, negli stessi luoghi in cui aveva avuto inizio.

Nella “Trilogia dell’incompatibilità” l’attrice interpreta dei ruoli chiave in una serie di film che scavano a fondo nelle paure dell’uomo “moderno”, con l’obiettivo di rappresentare sul grande schermo il disagio esistenziale della società borghese italiana.

Nel primo film della serie, “L’avventura” (1960), la Vitti interpreta Claudia, una ragazza di buona famiglia in gita alle isole Eolie. Il lungometraggio vinse il Premio Speciale della Giuria al Festival di Cannes, ma la stessa Monica Vitti ne definì la produzione “l’avventura ne L’avventura”, per via delle difficoltà riscontrate nel corso della realizzazione. Durante le riprese sull’Isola di Panarea infatti, i collegamenti del battello con la Sicilia subirono un’interruzione a causa delle trombe d’aria,  gli attori si ritrovarono bloccati più notti sullo scoglio di Lisca Bianca, senza coperte e senza cibo, come dei veri e propri naufraghi.

 

Isola di Panarea. Fonte: commons.wikimedia.org

 

Lo scorrere del tempo non ha dissolto il legame tra Monica Vitti e la città dello Stretto. I meravigliosi ricordi relativi ai luoghi della sua infanzia rimasero vividi nella memoria dell’attrice fino ai suoi ultimi giorni.

Prima di dormire, ancora oggi mi tornano in mente la lunga spiaggia bianca di Messina, completamente vuota, le ondine dolci che lasciano il segno sulla riva e l’unico ombrellone, dove mia madre vestita di bianco, con un grande leggero cappello di paglia, si riparava dal sole.

Santa Talia

 

Bibliografia:

Monica Vitti, Sette sottane – un’autobiografia involontaria,Milano, Sperling & Kupfer Editori, 1993.

Cristina Borsatti, Monica Vitti, Giunti Editore, 2022.

 

Evacuazione notturna a Vulcano. Cosa sta accadendo sull’isola eoliana negli ultimi giorni

Grande preoccupazione a Vulcano, nell’arcipelago delle isole Eolie: ieri è iniziata l’evacuazione delle abitazioni dell’area portuale e delle zone limitrofe – al momento con interdizione solo notturna, dalle 23 alle ore 6 – , dopo che venerdì 19 novembre il governo Musumeci ha dichiarato lo stato di crisi e di emergenza regionale per via dell’isola, in cui è immediatamente scattata l’allerta gialla, in particolare su tre zone dell’isola. 

Fonte: corrieredellacalabria.it

Le ragioni di tale allarmismo sono riconducibili al vertiginoso aumento di CO2 nell’aria, che sta mettendo a dura prova la salute dei residenti. L’obiettivo è quello di avviare tutte le iniziative possibili in grado di garantire una risposta operativa sul territorio, mitigare i rischi e assistere al meglio la popolazione colpita dal progredire nelle ultime settimane dei fenomeni vulcanici.

L’ordinanza del sindaco

Il sindaco di Lipari Marco Giorgianni ha già provveduto a disporre un’ordinanza che da oggi, lunedì 22 novembre, coinvolgerà 100-150 persone residenti (dei 300 abitanti complessivi, all’incirca), alle quali sarà proibito dormire dalle 23 alle 6 nelle proprie case perché situate nella zona di rischio.

Il sindaco di Lipari, Marco Giorgianni. Fonte: Youtube.com

L’ordinanza sarà in vigore per un mese, durante il quale sarà vietato lo sbarco dei turisti, mentre continuerà ad essere consentito l’ingresso sull’isola ai pendolari. Escluse dall’ordinanza le località di Piano, Gelso e Vulcanello – essendo al momento ritenute sicure – ed è inoltre previsto il raddoppio h24 della guardia medica. Ad ogni modo, diverse famiglie dell’area di rischio dispongono di villette a più piani che pertanto potranno considerarsi tranquille se risiedenti ai piani alti.

Durante le ore diurne sarà consentito il normale svolgimento delle proprie attività, anche nella zona rossa, e sarà possibile frequentare le proprie case.
La durata di un mese dell’ordinanza servirà a dare il tempo alla INGV di raccogliere dati più precisi che possano prevedere dove potrebbero convergere i gas emessi dal Vulcano.

I rischi

A preoccupare i vulcanologi dell’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) e la protezione civile del luogo sono le continue fuoriuscite di fumi con gas, anidride carbonica e solforosa da più punti alle pendici del vulcano, oltre che dal cratere. Essendo che l’anidride carbonica pesante tende ad andare verso il basso, il sindaco teme per le conseguenze sulla popolazione.

Fonte: blogsicilia.it

Trasferimento e aiuti

A causa del divieto di pernottamento nelle zone di rischio, gran parte delle persone dovrà recarsi nelle seconde case, da amici o parenti, e anche nelle strutture turistiche alberghiere delle zone fuori pericolo che si sono messe a disposizione per fronteggiare l’emergenza.

Tali famiglie saranno aiutate da un contributo mensile quantificato dall’ordinanza sindacale per l’autonoma sistemazione: previsti 400 euro per i nuclei mono familiari, 500 euro per quelli composti da due persone, 700 euro per i nuclei da tre unità, 800 euro se il nucleo è di 4 o più soggetti.
Il Comune, in ogni caso, cercherà delle soluzioni per chi non avrà provveduto in autonomia, dando la priorità a famiglie con disabili gravi, poi i fragili e gli altri nuclei familiari a seguire. Eventuali costi extra sostenuti dai cittadini saranno rimborsati.

Le parole dell’esperto

Il direttore della Sezione Ingv di Palermo, Francesco Italiano, già noto alle Eolie per aver guidato la scoperta dei sistemi idrotermali sottomarini nell’isola di Panarea e dintorni, ricorda a proposito di Vulcano che:

«al momento il serio problema è rappresentato dalla massa di gas aumentata a dismisura. Dopo aver monitorato la parte geochimica dell’isola è stato accertato che i valori giornalieri di CO2 da 80 tonnellate sono lievitati a 480. Ecco perché è rischioso vivere nella zona rossa dove odore e calore sono segnali ai quali non bisogna essere esposti. Elementi che fanno capire che è meglio non dormire lì».

Fonte: zerozeronews.it

Le parole del sindaco Giorgianni suggeriscono una simile preoccupazione:

«Ci sono dei dati che riguardano l‘aumento dei gas – ha spiegato – che creano preoccupazione molto forte perché possono essere pericolosi per la salute pubblica. C’è un gas pesante al suolo che riduce la quantità di ossigeno che crea difficoltà respiratorie che possono avere effetti letali. Questo il dato giornaliero: 480 tonnellate di C02. Il dato normale è di 80. Poi dipende anche dal vento. Se si distribuisce in un territorio limitato diventa pericoloso, se in un territorio più vasto è meno pericoloso. Qualcosa quindi dobbiamo fare? Bisognerà fare una campagna in tutta l’isola per accertare i reali valori di gas e altro. Quando avremo i risultati di questo monitoraggio a tappeto si decideranno i nuovi provvedimenti».

Muscarà, la rassegnazione di un isolano

Tra gli isolani (chiamati ‘’vulcanari’’) aleggia uno stato di diffuso timore, come conferma Peppino Muscarà, membro di una delle famiglie storiche dell’isola:

«La situazione a Vulcano non è affatto buona, mi domando se la situazione fumi e gas dovesse restare così per anni… che futuro potrà avere l’isola e i suoi abitanti. Nessuno può garantire che torneremo come prima, nessuno scienziato può garantirlo. Che ne sarà’ delle nostre case, delle nostre attività, del lavoro, dei nostri animali e del turismo? Purtroppo – conclude – in questo caso non esiste un piano “B”, abbiamo a che fare con un Vulcano di natura esplosiva in una isoletta di 21 km quadrati e contro la natura in questo caso nulla si può fare per difendersi».

Gaia Cautela

Messina e le Eolie catturate nei diari dei viaggiatori del Grand Tour

Gaspare Vanvitelli,  Veduta di Messina

C’è stato un tempo in cui quella macro realtà politica unitaria che porta il nome d’Europa non era disegnata in nessuna delle carte geografiche del vecchio continente. Quando non circolavano nemmeno i treni a vapore e il turismo in senso moderno era destinato a una èlite ristrettissima, l’educazione di un giovane rampollo dell’aristocrazia intellettuale passava per un grande viaggio di formazione e di scoperta delle radici classiche. Potremmo definire questa esperienza un’antenata lontana dell’Erasmus: al termine degli studi le conoscenze umanistiche, artistiche e letterarie, venivano rafforzate da un itinerario che ripercorreva le tracce storiche della cultura occidentale. In realtà il tour, in auge non soltanto nell’700, ma almeno un secolo prima e più tardi, poteva durare da pochi mesi fino ad alcuni anni e raggiungeva il fulcro, la meta ideale e obbligatoria, nelle destinazioni in Italia. Il mediterraneo, naturalmente, era una tappa prediletta; da Pompei a Napoli fino alle falde Etna e a Palermo. Tanti entusiasti viaggiatori non potevano però tralasciare Taormina e l’approdo incantato alle Eolie e sullo Stretto.

Tra le personalità illustri che dimorarono in Sicilia all’epoca del Grand Tour, J. W. Goethe ha lasciato una delle testimonianze più consistenti. “Il più grande capolavoro dell’arte e della natura”: così lo scrittore tedesco definiva Taormina, dove trascorse alcune settimane tra l’aprile e il maggio del 1787. L’ultima tappa del suo viaggio, prima di lasciare l’amata Sicilia, nella quale dovette affrontare le difficoltà degli spostamenti dovute alla scarsa manutenzione stradale, e imbarcarsi per Napoli, fu Messina. Qui tuttavia non era rimasto molto: il terremoto del 1783 aveva esercitato la sua forza devastatrice lasciando “l’orripilante visione di una città distrutta”.

Ci toccò camminare per un buon quarto d’ora fra le rovine e le macerie, prima di arrivare alla locanda, unico edificio di questo quartiere rimasto in piedi; e difatti, dalle finestre del piano superiore, non si scorgeva altro che un campo cosparso di rovine. Fuori di questa casa non c’era traccia nè indizio di uomini, di animali; era notte fitta, e regnava un silenzio spaventevole. (Viaggio in Italia, J.W. Goethe)

Altro viandante, Alexandre Dumas, circa mezzo secolo dopo, affrontò le intemperie e le meraviglie di un viaggio in Sicilia. L’autore de I tre Moschettieri e del Conte di Montecristo scrisse delle memorie edite nel 2013 dalla casa editrice Pungitopo col titolo Messina la nobile e Taormina. Il racconto di Dumas raccoglie le impressioni suscitate dallo Stretto e dalle sue genti; i comportamenti dei messinesi, le bellezze femminili, i festeggiamenti per le ricorrenze religiose, l’oppressione dello scirocco e il rito della pesca del pesce spada a cui lui stesso prese parte.

Jean Pierre Houel, La pesca del tonno

Nello stretto di Messina, tra un vociare tutto latino, risuona la melodia di una ballata romantica. Proviene da una barca, dove una donna velata intona il disperato lamento amoroso della Margerita di Faust. (Dall’introduzione di Messina la nobile e Taormina, Alexandre Dumas)

Jean Pierre Houel, Lipari

L’elenco dei viaggiatori che scelsero la Sicilia e Messina come meta per il Grand Tour è lunghissimo e non sono mancate pubblicazioni recenti che fanno riaffiorare il racconto, visivo e per parole, delle suggestioni che l’isola presentava ai loro occhi. Immagini luminose e nitide che sono tanto più preziose se messe a confronto con le rovine che la furia della natura ha lasciato dietro di sé quel 28 dicembre 1908. Guy de Maupassant, romanziere francese di fine ‘800, uno tra i fondatori del racconto moderno, alla Sicilia ha dedicato un diario di viaggio ne La vie errante. E qui da un battello descrive l’attraversamento compiuto partendo da Messina alla volta delle Isole Eolie: “Si parte da Messina, a mezzanotte. Nessun alito di brezza; soltanto l’avanzare della nave turba l’aria calma addormentata sulle acque. Le rive della Sicilia e le coste della Calabria esalano un odore così intenso di aranci in fiore, che l’intero stretto ne è profumato”. Proprio le Eolie hanno esercitato un fascino senza eguali per moltissimi artisti che hanno catturato nei taccuini da viaggio e nelle tele usi e abitudini oggi in buona misura scomparse. Jean Pierre Houel nella seconda metà del ‘700 nel suo Voyage pittoresque des iles de Sicilie, de Lipari e de Malte consegna una ampia serie di illustrazioni che testimoniano l’ambiente e le attività umane della Sicilia e delle isole minori del messinese, interessandosi anche al fenomeno della Fata Morgana del quale propose una spiegazione di natura ottica. Persino la vita dell’Arciduca Luigi Salvatore d’Austria è stata molto legata alle Eolie: appassionato di scienze e del mediterraneo, ha riportato, al tempo del Grand Tour, studi e curiosità sulle isole dell’arcipelago di Lipari in ben otto volumi. Pasaggi di Messina ci ha lasciato Gaspare Vanvitelli (Gaspar Van Wittel), celebre vedutista olandese, padre di Luigi, architetto della Reggia di Caserta, operante nella prima metà del ‘700.

Il Grand Tour, una delle esperienze umane più intense della cultura moderna europea, è un viaggio che forse ancora oggi non smette di regalare emozioni con angolazioni e punti di vista sempre nuovi.

Eulalia Cambria

L’Avventura nel viale San Martino: sulle tracce di Michelangelo Antonioni

Messina mi ha colpito di più, come ha colpito tutti gli altri: è una città che si differenzia radicalmente da tutte le altre dell’isola” (Michelangelo Antonioni, La tribuna del Mezzogiorno, 8 dicembre 1958)

Prima di trasformarsi in fotogrammi le immagini del cinema prendono forma nel canovaccio della sceneggiatura. Partendo da questo presupposto, e da un incrocio attraverso i generi dell’arte, cercheremo di Leggere Messina con le inquadrature della macchina da presa.

È 1960. L’anno della Dolce Vita. L’immaginario è popolato di starlet e paparazzi. L’avanguardia sperimentale e l’esplorazione degli stati mentali sono un territorio vivo nelle mani dei cineasti. Fa sfoggio di sè un’Italia benestante, economicamente sicura, ma non per questo libera da inquietiduini e incertezze. Dieci anni prima Roberto Rossellini (clicca quì per il link all’articolo) aveva portato alle Eolie una troupe cinematografica, scontrandosi con l’asprezza delle rocce a picco e arrivando a inserire il paesaggio sullo stesso piano della solitudine esistenziale dell’attrice protagonista. Le difficoltà, non soltanto a livello di produzione, incontrare durante la realizzazione dell’Avventura (di cui ha parlato anche Antonioni, ad esempio nell’articolo apparso sul Corriere della Sera, Le avventure dell’Avventura) in un certo senso creano un sodalizio di emozioni con lo scenario con cui si scontrano: il mare perennemente scosso, gli ostacoli negli spostamenti e i problemi materiali durante le riprese sono stati un fattore non da poco nella riuscita dell’opera. Il film è il primo di una trilogia di lungometraggi che ha al centro il tema dell’incomunicabilità, seguito dal più noto La Notte (1961) con Marcello Mastroianni e L’Eclisse (1962). A questi può essere avvicinato Deserto Rosso, il capolavoro del regista, realizzato a colori nel 1964. I rapporti umani, specialmente quelli di coppia, sono attraversati dal tarlo del dubbio, dall’instabilità e dall’impossibilità di esprimersi, di confrontarsi realmente con i sentimenti. A una dimensione razionale, tipica del neorealismo, si oppone l’ombra dello smarrimento e dell’angoscia.

La sparizione di una ragazza appartenente alla borghesia benestante romana, Anna (Lea Massari), arrivata insieme a un gruppo di amici su uno yacht nell’isolotto di Lisca Bianca, vicino Panarea, è un espediente della trama che non incide sullo svolgimento complessivo del film, che si concentra tutto sull’amore tra Sandro (Gabriele Ferzetti) e Claudia (Monica Vitti),  infatuati l’uno dell’altra durante la ricerca, pretestuosa più che interessata, di Anna. Molte le riprese realizzate in Sicilia; dalle Eolie (a Lisca Bianca, Michelangelo Antonioni tornerà nel 1983, girando un corto in ricordo dell’Avventura), Noto, Bagheria, Milazzo, Taormina e Messina. Le scene riguarderanno esterni, come quelli a Noto e alla stazione di Milazzo, ma anche l’interno di un treno che va a Palermo e ferma a Castroreale. L’Hotel San Domenico di Taormina sarà al centro di una serata mondana dove si ritrovano gli altri protagonisti e dove si consumerà il tradimento di Gabriele (nella sceneggiatura con una ragazza messinese, poi sostituita da una escort straniera), mentre la scena finale sulla terrazza, in un certo senso il perno concettuale del film, girata nello stesso albergo, mostrerà alle spalle di Claudia l’Etna coperta di neve. La luce fredda e la desolazione delle ambientazioni, nonostante si aggirino sul fondo delle vicende psicologiche, sono un fattore preminente nel cinema di Antonioni, come lo stesso regista ha ammesso. Per Nino Genovese, che ha curato il volume Messina nella sua Avventura. Omaggio a Michelangelo Antonioni, i paesaggi non rappresentano un fondale scenografico, ma hanno una preminente funzione stilistico-espressiva.

Nella scena di quattro minuti girata a Messina appare un campo lungo sul viale San Martino. Le riprese iniziano il 9 dicembre 1959. La strada è affollata da centinaia di ragazzi elettrizzati dalla presenza di una bella donna in abiti succinti. Gabriele è andato lì per parlare con un giornalista de L’Ora e avere delle testimonianze sui diversi avvistamenti che hanno coinvolto la fidanzata Anna. La sequenza principale avviene nel bar Grotta Orione. Quì Gloria Perkins (Dorothy de Poliolo) viene accerchiata. Poco dopo, quando finalmente la ragazza riesce a liberarsi grazie all’intervento della polizia, l’inquadratura si sposta di nuovo sul viale San Martino, all’altezza del negozio Lisitano (ancora oggi esistente). Alla fine dell’inquaratura si vede in lontananza lo stretto e l’incrocio col Viale Europa (Quartiere Lombardo). Al posto del bar Grotta Orione – un ritrovo all’epoca – adesso c’è un palazzo moderno al cui piano terra si trova un altro bar. L’episodio girato a Messina si è realmente verificato a Palermo, tuttavia Antonioni preferì non ambientarlo nel capoluogo perché i palermitani erano considerati più irascibili dei messinesi, e si temeva potessero opporre una maggiore avversione alla troupe che alloggiava al Jolly Hotel. Tantissime le testimonianze dei giovani che per 3.000 lire vennero coinvolti come comparse. Tra queste è particolarmente curiosa quella di Francesco Cimino, riportata nel volume di Nino Genovese, che viveva nella Casa dello studente di Messina e parlò del film anche con il rettore Salvatore Pugliatti. Il giovane faceva allora parte del Senato goliardico Accademico dell’Ateneo ed entrò in contatto, nel bar Irrera di piazza Cairoli, con dei componenti della produzione che diedero appuntamento il giorno dopo per un colloquio con Antonioni per affidargli il ruolo di un farmacista nella scena a Casalvecchio Siculo. Cimino sarà in seguito anche uno degli organizzatori del Festival dello Spettacolo universitario messinese.

L’Avventura è il primo film importante di Monica Vitti che, dopo questa parte, accompagnerà Antonioni in alcune delle sue pellicole maggiori. L’attrice ha un filo più diretto che la lega a Messina, avendo vissuto l’infanzia in città fino all’età di 8 anni. L’opera trionferà al Festival di Cannes nello stesso anno, ottenendo il plauso della critica, nonostante i fischi da parte di alcuni spettatori presenti che non apprezzarono l’inchiesta del triller trasfornarsi in analisi dell’interiorità umana. A quasi 60 anni di distanza il bianco e nero delle increspature del mare e degli scogli dell’isola di Lisca Bianca, l’ambientazione urbana di Messina in un periodo di fervore sociale e culturale, il vacillare sottile dei sentimenti d’amore, sono ancora elementi intatti di un capolavoro che ha condizionato la storia del cinema e la carriera del regista. Per celebrare il passaggio di Michelangelo Antonioni e la sua Avventura messinese, tra viale San Martino e viale Europa nel 2007 è stata posizionata una targa.

Bibliografia:

Omaggio a Michelangelo Antonioni. Messina nella sua Avventura, a cura di Nino Genovese, 2007

L’Avventura ovvero l’isola che c’è, Edizioni del centro studi di Lipari, 2000

Eulalia Cambria

Salina Doc Fest: tre giorni sul documentario narrativo

Isolani sì, isolati no” è lo slogan del Salina Doc Fest, festival del documentario narrativo svoltasi nei giorni tra il 13 ed il 15 settembre nell’isola di Salina.
Il festival, giunto alla dodicesima edizione, vuole essere un’omaggio al rimpianto maestro del cinema italiano, Vittorio Taviani, nonché padre di Giovanna Taviani, presidente e direttrice artistica della manifestazione. E’ anche un momento per parlare di un tema importante al giorno d’oggi ovvero la comunità. Comunità intesa a coinvolgere tutti, anche gli stranieri, venuti qui per cercare migliori condizioni di vita.
Ma iniziamo a parlare del festival, che si apre con l’omaggio a Marcella Pedone, classe 1919, fotografa e pioniera del documentario etnografico.

Vengono proiettati alcuni dei suoi documentari che parlano della Sicilia e delle sue tradizioni: Festa dei tre martiri, Mercato dellaglio, Mattanza del tonno, il Giardino incantato di Filippo Bentivegna.
Successivamente, vi è la presentazione dei documentari, che concorrono per due premi: Premio Tasca dAlmerita con la giuria composta da Giorgio Gosetti (giornalista) Marco Spoletini (montatore di Garrone) e Gianfilippo Pedote (produttore e sceneggiatore); il secondo Premio Signum con la giuria del pubblico.

 

Il primo giorno, il 12 settembre, vengono presentati:“Beautiful Things” di Giorgio Ferrero e Federico Biasin (Italia, 2017, 94’); e “Happy Winter” di Giovanni Totaro (Italia, 2017, 91’).
Beautiful Things” racconta del processo della plastica, dalla produzione allo smaltimento. Tramite la vita di uomini che lavorano all’interno di processi diversi, viene presentato il lungo viaggio che fa la plastica dalla materia prima alle nostre case. Tutto è curato nei minimi dettagli, dalle immagini, colori fino alla musica curata dallo stesso Giorgio Ferrero, regista e compositore di colonne sonore.

La seconda opera in concorso è “Happy Winter” di Giovanni Totaro. Diplomato al Centro Sperimentale, realizza questo documentario “pop”, come da egli definito, basandosi sulle cabine da spiaggia di Mondello a Palermo. Racconta la vita di persone comuni che per sfuggire alla crisi economica si rifugiano in spiaggia.

Evento speciale è Amos Gitai, in video intervista, ci presenta il suo ultimo lavoro “A letter to a Gaza”. Durante il suo intervento parla della necessità per gli artisti di raccontare la realtà, indagando su di essa e per farlo bisogna conoscere la propria.
In questo momento ci sono diverse manifestazioni a Gaza, purtroppo con il silenzio dei media passano inosservate.
Il suo documentario rende omaggio ad Albert Camus e ad altri; parla di Gaza e di com’è adesso. Tema centrale è un dibattito tra due donne, che parlano rispettivamente arabo e lingua ebraica, rappresentano le due fazioni che si sono da sempre fatte la guerra.

Nel pomeriggio, nonostante le scarse condizioni meteorologiche, si è svolta una rappresentazione di cunti, tra le vie di Malfa con Mario Incudine, Gaspare Balsamo e Giovanni Calcagno. Sono di tre narratori orali che hanno messo in scena il dialogo tra Ulisse e Polifemo da angolazioni diverse.

Segue l’omaggio a Vittorio Taviani e Gian Maria Volontè, svoltasi nella sala congressi di Malfa. Ha visto protagonisti la figlia Giovanna che ha raccontato del padre e della collaborazione importante con Gian Maria Volonté, che ha segnato il successo dei fratelli registi. Continuano i cunti e racconti orali, da parte di Mario Incudine che interpreta un monologo di Gian Maria Volonté tratto dalla sceneggiatura originale del film; Yousif Iaralla presenta un cunto “Il sogno di mio padre” e Gaspare Balsamo legge “U Lamentu di Turiddu Carnevale“.

Il film dei fratelli Taviani che è stato proiettato è il loro film d’esordio, ovvero “Un uomo da bruciare”, che racconta la storia di un sindacalista siciliano, Salvatore Carnevale, ucciso dalla mafia nel 1955, vicino Palermo, per aver appoggiato l’occupazione delle terre da parte dei contadini. I registi si erano già occupati della Sicilia e di tematiche politiche.

Durante la giornata di venerdì, vengono presentati i documentari partecipanti al concorso: “Iuventa”(Italia, 2018, 84’) di Michele Cinque e La Strada dei Samouni”(Italia, Francia, 2018, 128’) di Stefano Savona.

Michele Cinque racconta un anno cruciale della vita di un gruppo di giovani europei coinvolti nel progetto umanitario “Jugend Rettet” fino alle pesanti accuse che hanno portato il sequestro della nave l’anno successivo. Il tema centrale è il viaggio della nave, finanziata da dei ragazzi tedeschi e salpata da Malta, per salvare le vite di duemila persone emigrate dal loro paese.

Stefano Savona, archeologo e antropologo, ci presenta la sua opera divisa tra immagini reali e animazione, dove mostra le storie raccontate dalla famiglia Samouni, verso la ricostruzione dopo che ventinove membri sono stati uccisi in seguito ad un attacco a Gaza.

Nel pomeriggio, per il premio Ravesi abbiamo un collegamento skype con il regista Abderrahmane Sissako, regista di Timbuktu, il quale è stato presentato a Cannes e ha avuto una nomination agli Oscar nel 2014 per miglior film straniero.

Durante il suo intervento ha parlato della necessità degli artisti, di parlare di problemi sociali, invece che occuparsi di film volti esclusivamente all’intrattenimento. Il suo è un invito: ogni artista dovrebbe avere il dovere morale di raccontare dei problemi che affliggono la nostra società, per portare il pubblico ad una conoscenza maggiore.

La sera presso Santa Marina, si è svolta la proiezione di “Lazzaro Felice” di Alice Rohrwacher, seguito da un incontro dei protagonisti del film, Adriano Tardiolo (Lazzaro) e Luca Chikovani (Tancredi giovane) che hanno ricevuto il premio SIAE.

Parlando di emigrazione, non possiamo ricordare la nostra verso l’America alla ricerca di condizioni di vita più agiate. A tal proposito, durante la giornata di sabato viene presentato il documentario in concorso di Salvo Cuccia, “La Spartenza” (Italia, 2018, 60’). A presentarlo la sceneggiatrice, Federica Cuccia. Questo film è basato sul romanzo autobiografico di Tommaso Bordonaro, che emigrò dalla Sicilia a Garfield nel New Jersey nel 1948. Nel film si racconta la sua vita familiare e i suoi viaggi.

Sempre sabato viene presentato il documentario concorrente “Amal” (Danimarca, Francia, Germania, Libano, Norvegia, 2017, 83’) di Mohammed Siam. Il film è un racconto di formazione di un popolo intero, rappresentato dalla protagonista, Amal.

 

La sera in piazza di Santa Marina si è svolta la premiazione Tasca d’Almerita e Signum dove per entrambi premi vince Stefano Savona con “La Strada dei Samouni“.

Invece, Giorgio Ferrero e Federico Biasin hanno ricevuto una menzione speciale regia per il documentario “Beautiful Things”.
Durante la serata è stato proiettato il documentario del fotografo Francesco Zizola, As if we were tuna” e parla della brutalità della pesca dei tonni.

Infine, lo spettacolo di Fiorello con “Lettere a mio padre” con i musicisti Daniele Bonaviri e Fabrizio Palma ha concluso il festival.

 

Tutti i documentari presenti, provenienti anche da oltre il Mediterraneo, parlano di argomenti veri, attuali, che fanno riflettere su temi odierni. Ci viene mostrato lo sguardo di chi vive queste realtà, che è diverso dal nostro e per questo ci fa riflettere.

 

Marina Fulco

Da Stromboli a Idea di un’isola. La Sicilia e i siciliani per Roberto Rossellini

In occasione dei 40 anni dalla morte, la rassegna BAM – Biennale Arcipelago Mediterraneo, alla sua prima edizione, ha ospitato a Palermo nella sala dei Cantieri Culturali alla Zisa intitolata a Vittorio De Seta, una due giorni (17-18 febbraio) dedicata allo stretto legame intercorso tra il cinema di Roberto Rossellini e il soggetto che ha ispirato alcune delle sue pellicole più celebri.
Nell’incontro che ha preceduto le proiezioni sono intervenuti nel dibattito Bruno Roberti, critico ed esperto di Rossellini, il regista Franco MarescoRenzo Rossellini, figlio di Roberto e produttore cinematografico (ricordiamo, in mezzo alle centinaia di titoli famosissimi Il Marchese del Grillo di Mario Monicelli, Fanny e Alexander di Ingmar Bergman, La città delle donne e lo stralunato film a sfondo sociale Prova D’Orchestra di Federico Fellini).

Renzo Rossellini ha anche collaborato insieme al padre alla scrittura di quella che è la testimonianza diretta del suo rapporto d’elezione con la Sicilia e con la sua anima popolare: Idea di un’Isola è un documentario pensato per la TV americana con il contributo della Rai alla fine degli anni ’60 e di recente riproposto nella programmazione di Fuori Orario. Una terra sempre cara al cineasta che ha fornito una lettura attenta per raccontare in poco meno di 60 minuti i luoghi e le espressioni salienti sedimentate in secoli di storia della più grande isola del mediterraneo: “la mitica rupe di Scilla e il gorgo di Cariddi sono i pilastri dello stretto che la divide dal continente”.
A fare da raccordo a una carrellata che mette in simbiosi il teatro dei pupi, il vivo fuoco del folclore religioso, l’arte e l’islam, le saline e lo sguardo sulle industrie attive in quegli anni tra Gela e Milazzo, i tratti tipici del siciliano che quasi per abitudine secolare, costretto ad avere sempre un nuovo oppressore, ha maturato diffidenza, prudenza e segretezza: “in Sicilia certe cose non si dicono; si alludono. Per cui si è sviluppato un linguaggio più discreto di quello verbale, fatto di gesti. Più significativo”.

La voce fuori campo del palermitano Corrado Gaipa (doppiatore di Burt Lancaster nel Gattopardo) mostra uno spaccato interessante della realtà di alcuni luoghi, anche se non privo di una impostazione didattica un po’ cartolinesca, se vogliamo, del resto tipica di questo genere di produzione rosselliniana anche negli anni a venire, accompagnata a delle immagini documentarie comunque ricche di freschezza e leggerezza. Fu per effetto della forte presenza di immigrati italiani se nel ‘67 una famosa TV statunitense chiese a Rossellini di realizzare un cortometraggio che avesse come tema la Sicilia. Lui, che di Palermo conosceva ogni angolo, compresi i migliori ristoranti – ha precisato il figlio – accolse come un’opportunità irripetibile l’occasione del soggiorno nell’isola per realizzare le riprese. Alcuni critici osservarono come la rappresentazione idilliaca e pacifica di Idea di un’isola occultasse, al di là di una superficiale coloritura, ogni riferimento problematico alla mafia. Una decisione imputabile in buona misura alle direttive dell’emittente. Certo è che sono ancora lontani gli anni in cui le trattative stato-mafia, anche se già attive storicamente, sarebbero venute a galla.

Ma la Palermo tanto amata da Roberto Rossellini, città dell’accoglienza e scenario in cui civiltà diverse avevano convissuto (la Sicilia è la chiave di ogni cosa, diceva Goethe), è anche lo specchio del suo modo di operare con la cinepresa; tanto che, questa volta in tempi non sospetti, scrisse una sceneggiatura destinata a una serie in cinque puntate mai realizzata e pubblicata poi da Renzo col titolo Impariamo a conoscere il mondo musulmano (1975). Una storia dell’Islam rivolta alla televisione. Per Rossellini che nell’ultima lettera al figlio scriveva “ho cercato di fare per tutta la vita del cinema un arte utile agli uomini” il cinema doveva essere diretto non al “pubblico”, ma all’intelligenza della gente. Anche la televisione poteva quindi diventare uno strumento utile per non subire l’influsso della propaganda e per non diventare vittime di dittatori o come oggi, di politici prepotenti.
Bruno Roberti ha ricordato in proposito come il suo fosse un cinema senza uniforme: “È imprendibile, non può essere catalogato e storicizzato, per questo è attuale”.

Per molti abitanti di Stromboli l’arrivo della troupe insieme alle macchine da presa coincise con la scoperta del cinema. Il film del 1950 racconta l’incontro di una profuga con un prigioniero di guerra palermitano in un campo per stranieri alla fine della seconda guerra mondiale. Impossibilitata a tornare in Argentina la giovane decide di sposare l’uomo e, partendo da Messina, di trasferirsi con lui a Stromboli. Il tenore di vita e gli usi locali, molto lontani dalle sue abitudini, porteranno la ragazza a ripudiare il posto in cui si trova e desiderare di scappare dal giogo di un’isola primigenia e primitiva.

Stromboli – Terra di Dio (oggi in versione restaurata grazie alla cineteca di Bologna) è un film spiazzante e modernissimo, in cui polemicamente si è tentato di ravvisare un indizio di conversione al cattolicesimo ma che racchiude una spiritualità diversa, concreta e sofferente, che risiede nell’asperità selvaggia che riveste i tratti delle coste, che investe la severità del vulcano pronto ad esplodere, le case dei pescatori, e in generale l’umanità dei personaggi, cioè gli uomini e le donne dell’isola. Non traspare alcun giudizio morale o parodia macchiettistica costruita nel caratterizzare i siciliani che collaborarono a fianco di Ingrid Bergman (proprio a Stromboli nacque la sua storia d’amore con Rossellini. E per ripicca Anna Magnani lavorò a un altro film alle Eolie; Vulcano).
Prima di iniziare a girare il regista proiettò un film da mostrare abitanti di Stromboli per spiegare loro quello che stavano per fare. “Stromboli è un film sull’umanità, sulla cattiveria, e sulla capacità del cinema di redimere. Racconta delle cose vicine a quelle che viviamo oggi: un personaggio che arriva dall’estero e viene visto come un intruso. Un essere umano che viene trattato come straniero. Quello che sta succedendo un po’ oggi in Italia e in Europa”.
Così dopo il restauro è potuta riaffiorare tutta l’intensità delle immagini e la potenza feroce della natura. L’avventura di Stromboli non è soltanto quella legata a un film, e non si conclude una volta terminate le riprese, ma consiste nella capacità del cinema di entrare in contatto con un luogo e diventare parte delle memoria di una comunità.

Stromboli ha segnato un punto di svolta che non ha mancato di condizionare la Nouvelle Vogue francese.
Ma Rossellini ha inserito riferimenti alla Sicilia anche in Paisà e Viva l’Italia!. Se avesse potuto scegliere, ha detto Renzo con convinzione, avrebbe voluto essere siciliano; di loro ammirava l’intelligenza e il senso dell’umorismo: “Era anche innamorato della cucina siciliana e forse pure di qualche signora siciliana. Diceva che senza stima non si può amare. Lui stimava e si innamorava. Questa è la storia di Roberto Rossellini”.

Eulalia Cambria