Kinds of Kindness è la liberazione artistica di Yorgos Lanthimos

Baby raindeer
Kinds of Kindness è il lavoro di un regista che ha voluto giocare senza preoccuparsi troppo delle conseguenze. È la libertà artistica che ci si aspettava da Lanthimos dopo il successo trasversalmente riconosciuto di Poor Things! – Voto UVM: 4/5

 

A breve distanza dall’uscita nelle sale di Povere Creature!, l’eclettico Yorgos Lanthimos torna al cinema con il suo nono lavoro, intitolato Kinds of Kindness. Il film è composto da tre episodi di durata abbastanza simile fra loro. Il tema che lega le scene è la necessità di sentirsi accettati dagli altri, portata al limite del patologico e del grottesco. Un bisogno soggiogante che costringe i personaggi a umiliarsi e persino mutilarsi, pur di sentirsi parte di qualcosa. In questo modo la parola “kindness” (“gentilezza”) viene utilizzata dal regista greco con una – non troppo sottile – ironia, tale per cui non si riconosce più il confine fra bisogno di amare ed essere amati, ad ogni costo.

L’accoglienza da parte della critica è stata molto ambigua. La vicinanza temporale con Poor Things! non ha di certo reso giustizia all’ultimo lavoro, costretto a vivere all’ombra dell’acclamato predecessore. A pesare negativamente sul giudizio sembra poi essere stato il carattere esplicitamente cruento e splatter del film, ritenuto a tratti “gratuito”.

Una strana presenza e un cast di fiducia

Da un punto di vista formale, oltre al cast (i cui personaggi svolgono ruoli diversi nei tre episodi), a legare le scene vi è anche una figura ricorrente chiamata R.M.F., che compare anche nei titoli delle tre parti del film. Si tratta di un uomo le cui azioni sembrano totalmente casuali all’interno del racconto. E in effetti, forse lo sono: all’interno di un lavoro dalle trame apparantemente slegate fra loro, la scelta di includere un personaggio comune sembra voler ricordare allo spettatore di stare vedendo in fondo la medesima scena, solo declinata in maniera differente.

A differenza dei precedenti lavori, il regista sembra aver giocato meno sulla macchina da presa, abbandonando per esempio quei fish-eye che hanno reso memorabili altri lavori precedenti come Povere Creature! e La favorita (con cui Olivia Colman vinse l’Oscar alla migliore attrice protagonista). Invariato invece è parte del cast, con la permanenza, fra gli altri, della prediletta Emma Stone e William Dafoe. Prima volta con Lanthimos è invece qulla di Jesse Plemons, la cui interpretazione gli è valso il Prix d’interprétation masculine al Festival di Cannes.

Emma Stone in ‘La morte di R.M.F.’. Casa di produzione: Element Pictures. Distribuzione: Searchlight Pictures. Fonte: Wikimedia

La codipendenza di Robert e Liz

Dall’impiegato Robert in La morte di R.M.F., alla coppia psicotica di Liz e Daniel in R.M.F. vola, sino all’adempienza pseudoreligiosa di Emily in R.M.F. mangia un sandwich, i protagonisti delle scene vivono delle esistenze tragicomiche. Robert vive una vita totalmente governata dal suo capo-amante-padrone Raymond, per il quale arriva a uccidere un uomo dopo averlo rapito da un ospedale in stato comatoso. Liz deve convincere il marito paranoico della sua identità dopo essere naufragata in un’isola, e pur di riuscirci arriverà a soddisfare le sue assurde richieste come tagliarsi un pollice e cucinarlo ed eviscerare il proprio fegato.

Jesse Plemons e Hong Chau in una scena del primo episodio di ‘Kinds of Kindness’. Casa di produzione: Element Pictures. Distribuzione: Searchlight Pictures. Fonte: Sentieri Del Cinema

L’ascesa e la caduta di Emily

Emily, che ha lasciato la sua famiglia per vivere in una setta, incarna ancora meglio l’assurdità della “gentilezza” di cui parla Lanthimos. I membri della congrega vengono puntualmente esaminati per garantire la purezza dei loro liquidi (l’esame consiste di una sauna sino allo svenimento e un successivo leccaggio del sudore da parte di una santona). Dopo essere stata stuprata dall’ex marito, viene esclusa dalla setta poiché ritenuta impura.

Per ritornare nelle grazie degli adepti, Emily capisce che deve concludere la ricerca della tanto agognata ragazzi dai poteri miracolosi, ovvero una giovane in grado di far resuscitare i morti. Dopo averla rapita (e aver festeggiato con un bizzarro balletto sulle note di BRAND NEW BITCH di COBRAH), con la sicurezza di aver riacquisito la fiducia della setta e in se stessa, si schianta uccidendo la ragazza.

Il suo futuro crolla nuovamente e anche gli spettatori sembrano partecipare alla sua disdetta. Il suo fallimento diventa la sconfitta anche di chi la guarda, in un’attesa delusa di assistere al suo trionfo sugli altri. In maniera subdola Lanthimos ci dimostra che di fronte alla possibilità di dimostrare il proprio valore agli altri, quasi ci si dimentica del male che si può procurare a se stessi.

Francesco D’Anna

 

La la land. Un inno ai sognatori e al cinema.

CINEMASCOPE la scritta gialla è la prima immagine che ci appare e dopo ci troviamo imbottigliati nel traffico di un raccordo dell’autostrada di Los Angeles ed è subito musica e balli sui tettucci delle macchine e fra queste.

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Questo è l’inizio di La la land l’ultima opera di Damien Chazelle (Whiplash), ha avuto una ricezione positiva immediatamente dopo la prima proiezione che ha anche inaugurato il passato Festival di Venezia.

Ryan Gosling è Sebastian, un pianista che ama il jazz e vorrebbe aprire un locale tutto suo dove “ridare vita al vero jazz” ma non avendo la capacità economica fa il pianobar suonando le canzoni natalizie nel ristorante di un JK Simmons imperturbabile.
Emma Stone è Mia, un’aspirante attrice che lavora come barista in un caffè degli studios della Warner.
I due si incontrano la prima volta nel ristorante dove Mia sente cantare e suonare Sebastian, ma è solo dopo una festa che i due stringeranno un legame forte, appassionato e profondo come il loro amore per l’arte. Momento clou della serata è lo scenografico e ben ballato tip tap fra le colline di LA mentre cantano “What a lovely night”.

La passione per la recitazione e la musica, la infinita gavetta (che tanti di quegli attori che noi ora apprezziamo hanno fatto) accettare la realtà dei fatti e poi rialzarsi per ricominciare.
E’ un film per i sognatori come canta la Stone ad un certo punto : “Here’s to the ones who dream. Foolish, as they may seem”

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Per gli appassionati di musical i riferimenti alle pietre miliari come Cantando sotto la pioggia West Side Story sono molteplici e facilmente riconoscibili. C’è il faccione della Bergman nel posto di Casablanca come carta da parati della camera di Mia, c’è Gioventù bruciataNotorius.
Chazelle gioca tutto il film coi long shots dando continuità alla recitazione e accentuando la fluidità delle parti danzate e coi colori dei vestiti e dei luoghi. Inquadrature in cinemascope con le figure intere testimoniano la performance ballerina degli attori.
Sebastian è un nostalgico e le sue emozioni si specchiano in una riflessione sul presente mondo dello spettacolo.

Le interpretazioni sono ottime Gosling convince completamente e ammalia.
Emma Stone , grazie anche all’esperienza fatta a teatro con “Cabaret” , è perfetta, coinvolgente espressiva e divertente.
In tanti hanno paragonato questa coppia a Fred e Ginger : non ballano come questi ma l’alchimia del duo sullo schermo è magica.

E’ un omaggio al Cinema e a Los Angeles che è la terza protagonista.
Il musical è un genere che non è mai passato rispetto a tanti altri più “forti” ,  come il western che invece hanno subito l’effetto del tempo, e con questo film gode di un rinnovamento. Una nuova fase del musical. E’ una boccata di aria fresca quella che ci permette di avere Damien Chazelle.
Dopo aver fatto incetta di Golden Globes , si è guadagnato 14 nomination agli Oscar (forse un po’ eccessivi ma si sa sono gli Academy) ed è il favoritissimo in categorie come miglior film e miglior attrice e attore protagonista. Non resta che attendere.

Intanto chiudete Netflix/Sky/Amazon alzatevi dal divano, sedetevi in sala e sognate.

Arianna De Arcangelis