La Cina pronta ad aiutare l’Italia: in arrivo team di medici specializzati e materiale tecnico

Importanti novità che fanno ben sperare sul fronte degli aiuti.

Il governo cinese, in seguito al colloquio telefonico tra il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ed il ministro Luigi Di Maio, si impegna concretamente nella battaglia contro il Coronavirus nella quale sarà fondamentale lavorare in sinergia al fine sconfiggere o quantomeno tamponare questa emergenza sanitaria.

La Cina, nei prossimi giorni, fornirà all’Italia 1000 ventilatori polmonari, 100mila mascherine di ultima tecnologia e 20 mila tute protettive.

La fornitura prevede anche l’invio di 50 mila tamponi per effettuare nuovi test che ci faranno capire se le nuove restrizioni imposte negli ultimi giorni dal Presidente del Consiglio Conte avranno rallentato l’avanzare del virus.

Altro dato assolutamente rivelante nell’asse collaborativo Cina-Italia nato nelle ultime ore è l’arrivo di medici altamente specializzati del Chinese Center for Disease Control and Prevention che per primi hanno affrontato il picco dell’emergenza Coronavirus.

Ficcanti e significative in tal senso sono state le parole espresse nelle ultime ore dal leader del Movimento 5 Stelle Di Maio:

“In futuro ci ricorderemo di tutti i Paesi che ci sono stati vicini in questo momento”.

Il Governo Italiano, conscio della contestuale emergenza economico-finanziaria venutasi a sviluppare, ha poi comunicato nella giornata di oggi lo stanziamento di 25 miliardi di euro.
Lo ha annunciato Conte: “Abbiamo stanziato una somma straordinaria da non utilizzare subito ma da  per far fronte a tutte le difficoltà di questa emergenza. Siamo lieti del clima che si sta definendo a livello europeo”.

“Obiettivo prioritario è tutelare la salute dei cittadini ma non dimenticare gli altri interessi in gioco”, ha concluso il Presidente del Consiglio dei Ministri in chiaro riferimento ai danni che il tessuto economico e finanziario stanno subendo.

Il governo si è inoltre reso disponibile a potenziare la macchina organizzativa sanitaria, dunque l’acquisizione e la distribuzione delle forniture per la terapia intensiva e le protezioni individuali, mediante la nomina di una persona (un commissario) che possa coordinare al meglio le direttive imposte dall’emergenza.

 

L’Italia condividerà informazioni con l’UE affinché aumenti l’efficacia del contrasto alla diffusione del virus, procedendo verso un’azione sinergica che possa migliorare i nostri sistemi sanitari nazionali.

“Lavoreremo in coordinamento, manderemo i nostri scienziati per creare una task force europea per promuovere la ricerca e combattere questo virus ignoto”, ha spiegato il premier.

Mai come oggi la parola d’ordine dovrà essere unione, di intenti e di forze, solo così nelle prossime settimane si potrà con concretezza opporre resistenza al nemico comune preservando la salute pubblica, che mai come oggi, è stata messa in pericolo.

Antonio Mulone

Sicilia: obbligo di quarantena per chi arriva dalle zone rosse

L’ordinanza firmata dal presidente della Regione Siciliana Nello Musumeci e in fase di notifica ai nove prefetti, ai questori ed ai 390 sindaci dell’Isola

“Chi sbarca in Sicilia, con qualsiasi mezzo, provenendo dalle zone rosse del Nord, ha il dovere di informare il medico di base e porsi in autoisolamento”.

Il governatore richiama le competenze comuni a tutte le regioni italiane e quelle previste dallo Statuto siciliano, che conferiscono al presidente della Regione il potere di disporre delle forze di polizia in caso di necessità.

Milano Porta Garibaldi – il riformista.it

“Se tutti manteniamo la calma e il senso di responsabilità, riusciremo a gestire e superare anche questo particolare momento. Noi siciliani abbiamo affrontato ben altre calamità e non ci arrendiamo. Ma ognuno faccia la propria parte”, ha dichiarato Musumeci, al momento in autoisolamento domiciliare in via precauzionale, in virtù dell’incontro di mercoledì a Roma con il leader PD Zingaretti. Il primo tampone è risultato negativo, quindi ne seguirà un altro tra due giorni.

Di seguito il reportage di Fanpage alla stazione Milano Porta Garibaldi. 

Sanità pubblica al collasso: occorreva il coronavirus per farcelo capire?

Per il nostro sistema sanitario nazionale è guerra. Una guerra iniziata prima ancora dell’emergenza Coronavirus, non fatta di armi e trincee, ma di tagli al personale e investimenti inadeguati. Traducendo la situazione in numeri: carenza di oltre 50 mila infermieri negli ospedali e nel territorio; deficit di 16700 medici specialisti previsto per il 2025, più di 2000 solo in Sicilia; meno di tre posti letto per mille abitanti in molte regioni d’Italia; infine, investimenti in ricerca e sviluppo al di sotto del 1,5% del PIL (la Francia ne investe il 2,2%, la Germania il 3%).

L’epidemia in corso ha rilanciato il dibattito politico e sociale sulle difficoltà della sanità pubblica in Italia. Ma la domanda sorge spontanea: era proprio necessaria un’emergenza di questo calibro per dare un po’ di rilevanza mediatica all’affanno del sistema sanitario?

Pronto soccorso chiuso
Fonte: AGI © Nicola Marfisi / AGF – Pronto Soccorso Codogno

Il sistema sanitario nazionale era in difficoltà prima ancora che ce lo facesse notare il Coronavirus

Che ci volessero mesi di attesa per una visita specialistica o un intervento in elezione in regime SSN lo si sapeva già da prima dell’epidemia. Nell’ultimo anno sono quasi 20 milioni gli Italiani che sono dovuti ricorrere alla sanità a pagamento dopo aver constatato i lunghi tempi d’attesa.

Si è orientati verso un modello privato, sull’esempio di altri Paesi che, se da un lato possono garantire una sanità di maggior qualità e una miglior retribuzione per gli operatori, dall’altro limitano le cure per chi non può permettersele. In questo senso in Italia si accende un campanello d’allarme: secondo una recente stima dell’ISTAT 4 milioni di italiani rinunciano a curarsi per ragioni economiche; altri due milioni per ragioni di tempo, in relazione alle liste d’attesa.

Che nella sanità pubblica le risorse umane fossero sottodimensionate per gestire la domanda da parte della seconda popolazione per aspettativa di vita in Europa era ben chiaro. L’incremento dell’età della popolazione si associa ad un aumento dei pazienti cronici ed ospedalizzati. Ogni infermiere dovrebbe assistere al massimo 6 pazienti: un aumento si associa ad un maggior rischio di mortalità per il paziente e di burnout per l’operatore. In media in Italia gli infermieri assistono 11 pazienti; in Sicilia questo numero sale a 12 e in altre regioni fino a 17.

Aspettativa di vita in Europa
Fonte: State of Health in the EU · Italia – da banca dati di Eurostat

L’imbuto formativo nega ai medici la possibilità di specializzarsi, nonostante la carenza

I neomedici, dopo i 6 anni di studio, devono specializzarsi. L’ingresso in scuola di specializzazione dipende da un concorso, che però non garantisce la formazione specialistica ad ogni laureato. Nel 2019 i candidati sono stati 17595, a fronte di 8905 posti disponibili. Ciò significa che quasi la metà dei candidati si è vista interrotta la carriera poco dopo la laurea, in attesa del concorso dell’anno successivo.

Si verifica inevitabilmente un accumulo di candidati di anno in anno, che si sommano ai neolaureati in continuo aumento. Al contempo diminuisce il numero degli specialisti a disposizione, e si riducono le prospettive lavorative nel nostro Paese. Dal 2010 al 2018 oltre 8800 medici hanno lasciato l’Italia per trovare un posto di lavoro in un altro Paese europeo, con la perdita dell’investimento economico che lo Stato ha fatto per formarli. Tutto ciò nonostante la grave carenza verso cui siamo proiettati, frutto di un Paese in cui la riduzione delle assunzioni e la carenza di giovani specialisti si traduce nella classe medica più vecchia d’Europa.

Italia nazione con maggior percentuale di medici over 55
Fonte: State of Health in the EU · Italia – da Eurostat, riferito ad anno 2017

L’epidemia ha messo in evidenza tutte le carenze, frutto di anni di disinteresse politico

In questa fase la sanità è al centro dell’interesse mediatico. Vengono evidenziate le difficoltà e l’impegno di medici, infermieri e ricercatori in servizio ininterrotto da giorni o da settimane. Si parla degli ospedali e degli operatori messi in quarantena per due settimane, con la sola “colpa” di aver svolto il loro lavoro. Le misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza sono in prima pagina: si richiamano i medici in pensione, si anticipa la laurea degli studenti in scienze infermieristiche per dare manforte, si pensa di assumere nuovi medici a tempo determinato.

Era evidentemente necessario il Coronavirus per ricordare le difficoltà del nostro sistema sanitario nazionale e rendersi conto dell’importanza del medico di base e dei medici specialisti, dell‘assistenza infermieristica, dei servizi di laboratorio pubblici e di un posto letto in ospedale.

Tra le ultime notizie, quella critica dei reparti di terapia intensiva quasi saturi, e in tal senso si programma un aumento dei posti letto di malattie infettive, pneumologia e terapia intensiva. Forse se tra il 2000 e il 2017 non si fosse assistito a una riduzione dei posti letto pro capite del 30% la sanità avrebbe potuto ammortizzare meglio l’emergenza.

Il Coronavirus mette in luce due fenomeni del nostro paese: la resilienza e il populismo

La prima è una caratteristica che ha contraddistinto storicamente il nostro popolo in ogni emergenza. La resilienza è la capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà. Gli operatori sanitari confermano la qualità facendo miracoli: inventano aree di isolamento in strutture insufficienti, riciclano mascherine e dispositivi di protezione, portano avanti turni massacranti negli ospedali e nel territorio. Tutto ciò senza dimenticare gli altri pazienti che hanno bisogno di assistenza, i quali non possono certo farsi da parte per l’occasione.

Si cerca quindi di mettere le pezze laddove il populismo ha messo in secondo piano la sanità in favore della demagogia, con investimenti in iniziative politicamente più appetibili. L’Italia spende meno nei servizi sanitari rispetto a moltissimi altri Paesi europei, mantenendosi sotto la media europea, seppur nell’ultimo anno ci sia stato un aumento di circa 2 miliardi di euro, comunque non sufficienti.

Spesa sanitaria in Italia e in Europa
Fonte: State of Health in the EU · Italia – da OCSE, riferito ad anno 2017

Il futuro è incerto

Gli scienziati non sono concordi nel prevedere le modalità di evoluzione dell’epidemia e i tempi di risoluzione della stessa. Nel momento in cui vi scriviamo, i positivi in Italia sono 3296 in continuo aumento. Ad ogni modo, indipendentemente dai tempi di risoluzione della malattia, una domanda è lecita: dimenticato il Coronavirus, dimenticheremo nuovamente il nostro sistema sanitario nazionale?

Antonino Micari

Coronarovirus: cosa può fare il Governo nel caso di un’epidemia

Le recenti notizie circa la scoperta di nuovi casi di individui portatori di sintomi ricollegabili al virus “2019-nCoV” anche al di fuori della Cina, luogo di origine del ceppo, sono state per la comunità internazionale un campanello di allarme e, soprattutto, fonte di allarmismo e disinformazione.
La possibilità di un’epidemia globale è divenuta col passare dei giorni oggetto di approfondimento e discussione e la recente riunione di emergenza dell’Organizzazione Mondiale della Sanità svoltasi giorno 22 gennaio a Ginevra, ha confermato che, sebbene la quasi totalità dei contagi e dei decessi si siano verificati in Cina, la minaccia globale rappresenta uno scenario tutt’altro che improbabile.

Al fine di contenere la minaccia sanitaria, la Cina ha istituito tre zone di quarantena e la Russia ha confermato che fino al 7 febbraio saranno terrà chiusi ben nove valichi di frontiera.
A livello nazionale le nostre autorità hanno reagito con cautala alle notizie dei primi giorni provenienti dall’Asia: il Ministero della Salute ha disposto l’affissione nell’Aeroporto di Roma Capitale di alcuni cartelli di sensibilizzazione rivolti ai viaggiatori provenienti da/diretti verso la città cinese di Wuhan. I voli provenienti dalla Cina sono stati dirottati presso gli aeroporti di Milano Malpensa e Roma Fiumicino e sono stati inoltre previsti screening accessori, corsie di sicurezza e controlli per i passeggeri che possono essere entrati in contatto con i luoghi sottoposti al contagio.

Gli italiani residenti a Wuhan sono stati rimpatriati e trascorreranno due settimane in isolamento, con misure preventive ad altissima sicurezza: non potranno avere nessun contatto con l’esterno, saranno visitati giornalmente da personale medico attrezzato con maschere e tute di sicurezza, tutti i rifiuti, compresi il cibo avanzato, saranno trattati come rifiuti di tipo speciale.

Mentre ricercatori e scienziati portano avanti nei rispettivi ambiti studi e ricerche per eviscerare l’esatta natura e pericolosità del Coronavirus, è innegabile che in una società interconnessa come quella dei nostri giorni gli Stati e le Organizzazioni internazionali siano chiamate a collaborare per garantire la salute e la sicurezza dei cittadini.
Il problema, di conseguenza, deve essere affrontato secondo un modello a doppio binario: su un livello locale mediante l’azione degli Stati, attori principali ed enti esponenziali degli interessi dei relativi abitanti, nonché dotati degli strumenti maggiormente efficaci per intervenire in maniera diretta, e su un piano transnazionale nelle assemblee e nei comitati di quelle Agenzie e Organismi internazionali dove vengono disegnati piani di intervento comune.

Quali strumenti ha a disposizione il nostro Stato per affrontare un’eventuale minaccia sanitaria?

La tutela della salute dei cittadini rientra tra i doveri che lo Stato Italiano è tenuto a perseguire entro i limiti del rispetto del principio di autodeterminazione dell’individuo: la libertà personale è inviolabile e nessuno può infatti essere sottoposto a trattamenti sanitari contro la propria volontà a meno che questi non siano previsti espressamente dalla legge, esempio classico sono i vaccini i quali, sebbene oggetto di dibattito tra la comunità scientifica e politica hanno contribuito sensibilmente al miglioramento della qualità della vita nello scorso secolo.
Possiamo dunque vedere come tale limite non sia invalicabile e può essere ragionevolmente superato nel momento in cui si persegue un interesse della collettività.
Nella sventurata ipotesi in cui un’epidemia dovesse minacciare la salvaguardia della popolazione, lo Stato potrebbe legittimamente prevedere l’istituzione di zone di quarantena al fine di contenere il pericolo di diffusione o di contagio, sacrificando dunque una libertà fondamentale del cittadino qual è quella del libero spostamento sul territorio nazionale.

Altre misure adottabili da parte dello Stato sono la previsione di controlli sanitari obbligatori, agevolazioni nella somministrazione di farmaci e requisizione di merci sospette o pericolose dal mercato con relative sanzioni patrimoniali nei confronti di coloro i quali dovessero astenersi dal collaborare.

Per potere intervenire immediatamente nell’attuazione delle misure di sicurezza necessarie la Costituzione riconosce in capo al Governo il diritto di emanare, in casi di necessità e d’urgenza, dei decreti legge, aggirando le lungaggini del dibattito parlamentare.

Lo strumento del Decreto legge venne adoperato per la prima volta proprio in occasione del Terremoto di Messina del 1908 per dichiarare lo stato d’emergenza.

L’Italia e la comunità internazionale.

L’Italia è per sua storica vocazione aperta alla collaborazione e al dialogo con altri attori internazionale. Diversi trattati internazionali, firmati dal nostro Parlamento, vincolano il nostro Paese a partecipare attivamente nel processo di formazione di una volontà da parte della comunità internazionale. In uno scenario di emergenza sanitaria internazionale le Nazioni Unite (il cui trattato a oggi è ratificato da 193 paesi su 196 riconosciuti sovrani) e altre agenzie internazionali, quali per esempio l’Organizzazione Mondiale della Sanità o il World Food Programme, agirebbero però col grande limite del “principio di non ingerenza negli affari interni”, presente all’interno dello stesso Statuto delle Nazioni Unite e che vieta di interferire nei procedimenti decisori dei singoli Stati.

Essi avrebbero innanzitutto il compito di sensibilizzare l’opinione pubblica, attirando l’attenzione degli Stati e invitarli a politicizzare le questioni richiedenti un pronto intervento facendo leva su disegni di politica comune ragionevoli approvati in seno alle Agenzie dai rappresentanti degli stessi Stati.

Non ci resta dunque che sperare che tutti, autorità, medici e scienziati, adempiano ai propri doveri con senso di responsabilità e collaborazione.

Filippo Giletto