Elezioni in Abruzzo: orientamento al risultato

*Articolo scritto prima dell’avvento dei risultati ufficiali, con un aggiornamento successivo che li contiene.

In qualsiasi modo andrà, sarà un esito importante quello delle elezioni regionali che si stanno svolgendo in Abruzzo in queste ore. Non assolutamente definitorio, ma di certo importante.

Il campo larghissimo della sinistra (e più) va per mettere in fila una seconda vittoria, dopo quella in Sardegna, che potrebbe finalmente consacrare loro – l’opposizione – come una sincera e udibile alternativa all’attuale governo; un pacchetto – s’ha da dire – mal distinto nei suoi spazi, ma forte di leader e di partiti già provati, “pronti all’uso” eventuale.

Il solito intorno del centrodestra va invece per mettere una toppa al buco che pericolosamente si sta espandendo (dalla Sardegna verso il resto d’Italia). Volendo evitare proprio qualsiasi invasione da sinistra nel loro equilibrio di potere.

Vediamo quindi di capire qualcosa in più a proposito di questo rilevante appuntamento elettorale:

chi sono i candidati alla presidenza? Come è andata la scorsa volta? E sarà per tutti i concorrenti solo una questione di “vittoria” o di “sconfitta” corale? O c’è qualcuno che, in caso di disfatta, rischia doppio?

Uno per la destra e uno per la sinistra: i candidati in Abruzzo

I candidati in corsa per la presidenza sono solo due, uno per il centro-destra e uno per il centro-sinistra.

Il candidato avanzato dal centro-destra è Marco Marsilio, Governatore uscente che gode di una discreta fiducia sul suo operato. Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia, Noi Moderati, l’Unione di centro (Udc) e la lista civica “Marsilio presidente” si sono unite attorno a quello che, a scriverla tutta, è un uomo direttamente discendente dalla leader Meloni.

Marsilio ha ottenuto il suo primo incarico politico nel 1993, quando venne eletto consigliere della 1ª circoscrizione comunale di Roma. Da allora è stato un seguito di opportunità, prima come Deputato e poi come Senatore della Repubblica, lungo un percorso in cui ha alternato il mestiere del politico a quello del professore (è stato docente a contratto di estetica, museologia e marketing applicato ai beni culturali presso l’Università Link Campus).

Luciano D’Amico, lo sfidante, è d’altra parte sostenuto da un’ampia coalizione di centrosinistra formata da Partito Democratico, Movimento 5 Stelle, Alleanza Verdi-Sinistra, Azione, dalla lista personale “Abruzzo insieme-D’Amico presidente” e dalla lista “Riformisti e civici”, che al suo interno comprende Italia Viva, con il simbolo “Abruzzo Vivo”.

Lui è quasi un novizio della politica regionale, avendo collezionato piuttosto esperienze di amministrazione in un determinato settore: quello dell’università. Oltre che come economista e accademico di livello, infatti, D’amico è noto in Abruzzo per aver ricoperto la carica di Rettore dell’Università di Teramo dal 2013 al 2018.

Come andò la scorsa volta

Non disponendo ancora di sondaggi affidabilissimi sul sentore popolare attuale, rimane il confronto con il passato, probabilmente, il miglior metro di paragone possibile.

E proviamo a svolgerlo.

Alle elezioni del 2019 l’attuale candidato del centrodestra, Marsilio, ottenne il 48 %, contro il 31 %  dell’avversario di sinistra Giovanni Legnini. Un distacco ampio, ma è da valutare che all’epoca il Movimento 5 Stelle scelse di correre in solitaria con Sara Marcozzi, ferma al 20,20 %.

In politica ogni tornata è a sé e non si può ovviamente pretendere di fare somme nette, soprattutto al cambiamento delle carte in tavola. Tuttavia, è un fattore che in cinque anni il bilanciamento non è cambiato enormemente, dato che nulla di cospicuo è intervenuto su di esso.

Oggi, insomma, la sensazione – faticosamente tracciabile – è che la distanza tra i contendenti sia misera e appena in favore di Marsilio.

Non solo “vittoria” o “sconfitta” corale. Cosa potrebbe accadere nei partiti

Comunque andrà non sarà solo “vittoria” o “sconfitta” corale. Almeno, non per tutti. C’è qualcuno che guarda, forse anche prima che al risultato di coalizione, al risultato individuale.

Questo qualcuno è Matteo Salvini, in tempesta con il proprio partito.

Di avvisaglie gliene stanno arrivando a bizzeffe. Da compagni ed ex compagni, che per aver detto una parola di troppo a suo sfavore sono stati cacciati alla larga.

All’interno della Lega lo scontento è percepibile, perché è stato largamente ribadito. E la Caporetto in Sardegna ha contribuito a scaldare gli animi.

Per questo, se ancora in Abruzzo si dovesse performare sotto le aspettative, chi dal basso potrebbe avere un’ulteriore ragione per chiedere il cambio al vertice. Qualche suadente in attesa già spia: e si azzarda il toto-nomi per un post-.

La prova numerica, naturalmente, si direbbe che vale pure per tutte le altre formazioni in gara; semplicemente – a giudizio di chi scrive – tutte le altre formazioni in gara non versano in una crisi di consensi né uguale né simile a quella del fu partito settentrionalista.

Dunque, a meno di scivoloni insospettabili, dovrebbero poter mantenere una tranquillità interna anche in seguito alle prossime notizie dai seggi.

La vera sfida per tutti gli altri assai più stabili sarà alle europee. Un tipo di elezioni in cui il voto d’opinione vale parecchio e può essere particolarmente indicativo nel rivelare nuove disfunzioni.

*Aggiornamento con i risultati

Marco Marsilio è di nuovo il Presidente dell’Abruzzo

Lo scrutinio è quasi terminato – mancano meno di cento sezioni su oltre 1.600 – ma già ora le fila sono state tirate: Marco Marsilio è stato riconfermato Presidente dell’Abruzzo.

Data un’affluenza del 52,1% degli aventi diritto, l’uomo di Meloni ha ottenuto circa il 53% dei voti, così affermandosi, di misura, sull’avversario D’Amico.

Il primo partito in regione rimane Fratelli d’Italia, attestandosi al 24%, segue il Pd, al 20%, poi Forza Italia al 13% e ancora di seguito la Lega che, fermandosi al 7,5%, sfigura rispetto al 28% della scorsa tornata ma – si potrebbe scrivere – regge il colpo meglio di come non lo aveva retto in Sardegna.

Anche il Movimento 5 stelle è disceso parecchio: stavolta ha ottenuto solo il 7%, a dispetto di cinque anni fa quando sfiorò il 20%.

Infine, Azione di Carlo Calenda sfiora il 4%, Alleanza Verdi-Sinistra è poco sopra al 3,5%, mentre la lista Riformisti e civici (Italia viva e +Europa) arriva quasi al 3%.

 

Gabriele Nostro

 

 

Referendum: Il Sì ha vinto. Cosa succederà adesso

 

Il risultato del referendum costituzionale sul taglio del numero dei parlamentari sancisce la vittoria del SI, con quasi il 70% di preferenze.

La vittoria del SI al Referendum è schiacciante. Il 69,6% degli italiani ha votato a favore della riforma costituzionale con più di 17 milioni di voti. I no si fermano a 7 milioni e 400 mila.

Con il beneplacito del popolo, la legge costituzionale n.240\2019, pubblicata in Gazzetta Ufficiale lo scorso 12 ottobre, stabilisce che quest’autunno è stagione di riforme.  Gli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione saranno modificati. Il numero dei deputati, il numero dei senatori e dei senatori a vita subirà una diminuzione del 36,5% del numero totale dei parlamentari. (Approfondimento qui)

Dalla prossima legislatura, l’assetto istituzionale della Repubblica Italiana muta fisionomia. Il numero complessivo dei parlamentari passerà dall’essere 945 a 600: i deputati saranno 400 piuttosto che 630 e i senatori passeranno da 315 a 200, e il numero massimo dei senatori a vita sarà pari a 5.

Il  vero vincitore è il Movimento 5 Stelle, partito che sostiene l’attuale governo Conte, promotore della riforma.

A favore della riforma si sono espressi quasi tutti i partiti rappresentati in Parlamento. Nelle quattro letture previste per una riforma costituzionale è interessante ricordare che le prime tre letture sono avvenute sotto il governo giallo-verde, mentre la quarta sotto l’attuale.  La Lega e Fratelli d’Italia hanno votato SI in tutte le letture. Il Partito Democratico ha votato per tre letture NO e l’ultima volta SI. Più Europa ha sempre votato NO.

Cosa succederà adesso?

Nell’immediato non cambierà nulla.

Le camere non verranno sciolte e i parlamentari resteranno 945.  Il governo potrà finire il suo mandato che, se portato a fine legislatura, ci chiamerà al voto nel 2023.

Con nuove elezioni, per la prima volta nella storia della Repubblica, i parlamentari che potremo votare saranno 600: 400 Deputati e 200 Senatori. Il numero di rappresentanti per abitanti diminuirà. Con il taglio ci sarà un deputato  per ogni 151 mila e un senatore per ogni 302 mila abitanti. Saranno ridotti anche i parlamentari eletti dagli italiani all’estero: deputati e senatori passeranno da 12 a 8 e da 6 a 4.

Il processo di “normalizzazione” dei risultati appare tutt’altro che semplice. Prima di nuove elezioni c’è un problema cardine che il governo dovrà affrontare: è necessario che venga emanata una nuova legge elettorale.

La Corte Costituzionale ha già stabilito che l’attuale legge Rosato non può essere rappresentativa del volere della popolazione con il nuovo numero di rappresentanti. Nei prossimi mesi è necessario che venga proposta e approvata una nuova legge elettorale che principalmente stabilisca il sistema di voto (proporzionale, maggioritario o misto) e come verranno suddivisi i rappresentati per ogni circoscrizione e regione.

 

La nuova geografia politica delle Regioni.

Contestualmente al voto per il referendum, gli italiani di alcune regioni sono stati chiamati ad esprimere la loro preferenza in merito alle amministrazioni locali e ai governi regionali.

Approfondendo il risultato delle elezioni Regionali del 20-21 settembre, possiamo affermare: il centro-sinistra vittorioso in Toscana, in Puglia e in Campania, il centro-destra in Liguria, in Veneto e nelle Marche.

Nelle sei regioni sono state riconfermate le coalizioni uscenti. Unico cambio di “governance” significativo lo si registra nelle Marche. I confini della geografia politica italiana nell’inseme si compongono di quindici regioni governate dal centro-destra e cinque dal centro-sinistra.

 

Le regioni tra vecchi e nuovi governatori.

In Campania Vincenzo De Luca, governatore uscente, sostenuto dal centro-sinistra ha trionfato con il 69,6 per cento dei consensi, mentre il candidato del centro-destra Stefano Caldoro ha ottenuto il 17,8 per cento.

In Puglia ha vinto Michele Emiliano, governatore uscente, con il 46,9 per cento dei voti contro il 38,6 per cento di Raffaele Fitto. La regione Puglia era stata considerata tra le più a rischio per il centro-sinistra. Emiliano non era sostenuto né dal Movimento 5 stelle né dal movimento Italia Viva. Antonella Laricchia e Ivan Scalfarotto, candidati dei due partiti, hanno ottenuto l’11,11 per cento e 1,6 per cento.

In Toscana il Partito Democratico è il primo con il 34,7 per cento di preferenze. Eugenio Giani, sostenuto dalla coalizione del centro-sinistra, ha vinto con il 48,6 per cento dei voti contro il 40,4 per cento di Susanna Ceccardi, sostenuta dalla Lega.

In Veneto il leghista Luca Zaia ha stravinto, governatore uscente, giunto al terzo mandato ha superato il 75 per cento dei consensi, contro il 15,6 per cento di Arturo Lorenzoni candidato del centro-sinistra. La lista “Zaia Presidente” è il primo partito con il 44,4 per cento dei voti; la Lega il secondo, con il 16,89 per cento.

In Liguria confermato Giovanni Toti del centro-destra con circa il 55 per cento dei voti, contro il 38 per cento di Ferruccio Sansa del centro-sinistra che ha ottenuto 120mila voti in meno.

Nelle Marche ha vinto il candidato di Fratelli d’Italia Francesco Acquaroli. Appoggiato da tutto il centro-destra ha ottenuto il 49,1 per cento dei consensi contro il 37,3 per cento di Maurizio Mangialardi, candidato del centro-sinistra e sindaco di Senigallia.

L’andamento dei partiti conferma le forze di maggioranza nel governo.

Il Partito Democratico è il primo parto italiano in tutte le regioni dove si è votato, escluso il Veneto. Il segretario Nicola Zingaretti ha interpretato il voto locale come un segnale incoraggiante per il governo in carica.

Il Movimento 5 stelle, partito che governa dal 2018 con due diverse coalizioni, si è presentato con una lista autonoma in quasi tutte le regioni. I risultati ottenuti sono stati deludenti. Sia in Toscana che in Puglia i candidati del Movimento hanno ottenuto la metà dei voti rispetto a un anno fa.

Maria Cotugno