Brasile, manifestanti in 200 piazze chiedono l’impeachment del presidente Bolsonaro per la sua “catastrofica gestione della pandemia”

Fonte: Il Fatto Quotidiano

Sabato 29 maggio decine di migliaia di persone sono scese in piazza nelle principali città del Brasile per protestare contro il presidente ultranazionalista (e negazionista) Jair Bolsonaro, accusato di aver capitanato una catastrofica gestione della pandemia che, proprio nel gigante latino-americano, ha provocato finora oltre 461 mila morti. I manifestanti chiedono infatti l’impeachment del presidente. Secondo alcuni osservatori si è trattato della più grande manifestazione a cui il Paese abbia assistito dall’inizio della pandemia di Covid.

I luoghi delle maggiori proteste

Sono circa 200 le città brasiliane in cui si sono tenute le manifestazioni di protesta contro Bolsonaro, tra cui San Paolo, Rio De Janeiro e Brasilia. Gran parte delle persone scese in piazza erano giovani, i quali hanno scandito slogan di ogni tipo contro il presidente di estrema destra.

Le manifestazioni sono state quasi ovunque pacifiche, con l’unica eccezione di Recife, capitale dello stato del Pernambuco terra dell’ex presidente Lula, che ha deciso di non appoggiare pubblicamente le proteste per mantenere un profilo basso. I dimostranti sono stati qui caricati dalla polizia con lacrimogeni e proiettili di gomma che hanno causato decine di feriti.

Nel centro di Rio sono state 10 mila le persone che – tra sinistra e movimenti studenteschi – hanno sfilato gridando «Fuori Bolsonaro», «Vaccino subito», «Bolsonaro genocida» e «Fuori Bolsovirus».

Riempito da oltre 80 mila persone l’Avenida Paulista di San Paolo, viale simbolo della capitale economica del Sudamerica. Durante la sfilata lungo il viale, il leader del Movimento dei Lavoratori Senza Tetto (Mtst) Guilherme Boulos è avanzato così:

«Siamo in strada per difendere vite. Non aspetteremo seduti le elezioni presidenziali del 2022 e la manifestazione di ieri è stata solo l’inizio».

In effetti Boulos sta togliendo spazio da sinistra a Lula ed è già candidato alla presidenza del Psol (Partito Socialismo e Libertà), nato da una scissione «a sinistra» del PT (partito dei lavoratori) di Lula.

Ma i commenti accusatori sono arrivati anche da parte di altri agguerriti manifestanti:

«Dobbiamo fermare questo governo», «Bolsonaro è un genocida. È un assassino, non si rende conto del disastro che sta causando».

Il presidente Jair Bolsonaro. Fonte: ISPI

Si sono verificate proteste anche a Salvador e a Belo Horizonte, dove molte persone hanno deciso di puntare tutto sullo scherno, travestendosi da scheletri con la testa di Bolsonaro e tenendo in una mano la falce della morte e una bottiglia di clorochina nell’altra (farmaco lodato dal presidente come risposta per prevenire l’infezione da coronavirus, nonostante non ci siano prove sulla sua efficacia).

Non potevano certamente mancare infine le proteste nella capitale Brasilia, arrivate dopo che nei due precedenti fine settimana lo stesso Bolsonaro aveva indetto due manifestazioni di sostegno al governo, in risposta alla sua perdita di popolarità: secondo l’ultimo sondaggio di Datafolha quest’ultima è infatti scesa al minimo storico del 24%.

Mala gestione e Impeachment del presidente

Durante la crisi del Coronavirus la popolarità di Bolsonaro è drasticamente precipitata, in quanto gran parte dell’opinione pubblica lo ritiene responsabile della disastrosa gestione della pandemia, che negli ultimi mesi ha condotto al collasso l’intero sistema sanitario brasiliano.

Fonte: ANSA.it

Finora è stato vaccinato con una dose poco più del 21% della popolazione e con due dosi poco più del 10%, una percentuale pari a 19 milioni di persone contro gli oltre 210 milioni di abitanti che si contano in tutto il Paese. Si tratta di un ritardo che chiaramente si riflette anche sul numero di contagi e decessi degli ultimi giorni: a soli due giorni fa risalgono, secondo il ministero della Salute, 79.670 nuovi casi di contagio e 2.012 vittime provocate dalla malattia.

Con questo si spiegherebbe dunque perché il presidente brasiliano starebbe ad oggi affrontando la più grande crisi politica dall’inizio della sua presidenza: il 49% dei brasiliani sarebbe infatti favorevole al suo impeachment, mentre il 46% è contrario.

L’impeachment (ovvero la messa in stato d’accusa) è un istituto giuridico, presente in diversi Stati del mondo, con il quale si prevede il rinvio a giudizio di titolari di cariche pubbliche allorché si ritenga che nell’esercizio delle loro funzioni abbiano commesso determinati illeciti.

Le manifestazioni preannunciano scottanti elezioni nel 2022

È vero che già nel gennaio scorso manifestanti appartenenti sia ai gruppi di destra che di sinistra avevano sfilato in vere e proprie carovane d’auto per chiedere l’impeachment di Bolsonaro, ma le proteste del 29 maggio hanno avuto un valore simbolico molto diverso, senza precedenti. Questo perché in strada sono scese anche quelle categorie dimenticate della società brasiliana di oggi, vale a dire poveri, precari e movimenti di rivendicazione della terra.

Fonte: Il Giornale

A detta di molti organizzatori lo scorso sabato sono andate in scena le prove generali del prossimo anno elettorale, che si preannuncia alquanto bollente specialmente per i movimenti sociali e i sindacati vicini al Partito dei lavoratori (PT) di Lula e allo PSOL di Boulos.
Alle elezioni del 2022 una rielezione dell’attuale presidente in carica è tutt’altro che scontata, laddove invece sembrano esserci buone possibilità per la ricandidatura di Lula, principale leader della sinistra brasiliana ed ex presidente dal 2003 al 2011.

Gaia Cautela

Ungheria, elezioni 2022: nasce l’opposizione a Orbán

L’Ungheria quest’anno si è resa protagonista di un “esperimento” particolare e a tratti surreale. A causa della pandemia mondiale, l’esecutivo ungherese ha stabilito che, per rendere più veloce ed efficace l’azione del governo contro il COVID-19, era necessario dare pieni poteri al Primo ministro Viktor Orbán. Si tratta di un nazionalpopulista ultraconservatore che ricopre la carica dal 2010. Fa parte del partito Fidesz, l’ “Unione Civica Ungherese”, di cui è anche il leader.

Il Primo ministro Viktor Orbán. Fonte: la Repubblica.

La situazione di Budapest

Il decreto di cui Orbán si è servito per esercitare i pieni poteri aveva un inizio (la fine di marzo) ma non una data certa di fine. Il 15 maggio Orbán ha dichiarato che lo stato di emergenza poteva considerarsi concluso perché l’ondata stava scemando. Il 20 giugno afferma che è pronto a restituire i poteri al parlamento ungherese ma, nel frattempo, emana decreti con cui accresce il ruolo delle contee (N.d.A. l’equivalente delle nostre province) a discapito delle città. Non si sa esattamente il perché di questa scelta, fatto sta che la maggior parte delle contee sono in mano ad esponenti del partito Fidesz mentre le città no.

Lo spostamento delle responsabilità dalle città alle province causa anche problematiche non indifferenti. La capitale Budapest, zona rossa, non è nelle mani del Fidesz e il suo sindaco progressista, Gergely Karácsony, afferma di avere le mani bloccate perché i fondi sono in mano della contea di appartenenza della città. Ciò permette la diffusione del virus perché non si è in grado di prendere immediatamente le misure necessarie a contrastarlo.

Il sindaco di Budapest Gergely Karácsony – fonte: budapestbeacon.com

Al momento la capitale è in bancarotta: il governo ungherese è pronto ad alzare la tassa annuale che Budapest e i più importanti centri urbani del paese versano allo stato poiché in questo modo si tassa i ricchi per dare ai poveri. In realtà sono i grandi centri urbani a soffrire maggiormente in questo periodo, eppure non si ha intenzione di modificare questo aumento.

Orbán e l’Unione europea

Con l’acquisizione dei pieni poteri, Orbán ha deciso di vietare il cambio sesso e non solo. Lo Stato si dichiara irremovibile per quanto riguarda la difesa dei valori cristiani e, grazie al suo governo ultraconservatore, garantisce il diritto di adottare bambini solo alle coppie spostate ed eterosessuali. Le associazioni LGBTQ+ ungheresi fanno sapere che al momento la situazione per le persone non etero è equivalente a “quella del Medioevo“. È in questo scenario che spicca l’ex eurodeputato e fondatore del Fidesz Jozsef Szajer, arrestato mentre stava fuggendo da un festino di sesso i cui partecipanti erano solo uomini.

Orbán ha inoltre inasprito le multe per coloro che diffondono fake news riguardo la situazione ungherese nel periodo pandemia.

La Commissione europea si trova invece con le mani legate: non ha gli estremi per perseguire il primo ministro e guarda da lontano la situazione in Ungheria. Il leader d’altra parte non sembra temere l’Unione europea e si avvicina sempre di più a figure contorte come il presidente serbo Aleksandar Vucic oppure a stati come Russia e Cina. Come il presidente serbo, Orbán pare interessato solo ai soldi europei, non ai suoi ideali democratici o ai valori liberali.

Jozsef Szajer, l’ex eurodeputato coinvolto in uno scandalo sessuale. Fonte: il Fatto Quotidiano.

La nascita dell’opposizione

In questo scenario conservatore, brilla però la speranza di un’Ungheria migliore. Ci si prepara alle elezioni politiche dell’aprile 2022 a cui anche Orbán ed il suo partito Fidesz sono intenzionati a concorrere. Sono contrastati da tutta l’opposizione democratica ungherese che per la prima volta decide di fare fronte comune. Sei partiti hanno deciso di unirsi e hanno siglato un accordo a riguardo. Questi partiti comprendono Momentum (liberali), Jobbik (nazionalisti), MSZP (socialisti), Dialogue (verdi) e MDF (democratici).

L’unione di questi partiti così diversi prevede la nascita di una lista nazionale comune e la presentazione di un solo candidato in ogni circoscrizione uninominale. Ci sarà un solo ed unico candidato premier che si troverà in una serie di elezioni preliminari. Al momento, i sondaggi danno l’opposizione come favorita: la lista comune ha 41%, il Fidesz 39% e gli astensionisti sono in discesa. Ciò che accomuna questi sei partiti è l’obiettivo di porre fine al governo corrotto dei conservatori e ristabilire le libertà e le indipendenze da loro tolte.

Fonte: Askanews

Sarah Tandurella