Un cambio di rotta politico possibile in Moldavia e Georgia

L’espansione russa, anche a causa della guerra con l’Ucraina, sembra aver preoccupato molti paesi, stanchi della continua ingerenza politica della Russia nei loro confronti. Infatti questi giorni sono stati decisivi per decidere il cambio di rotta politico di due paesi: Georgia e Moldavia.

Il quadro politico moldavo

La Moldavia ha sempre subito l’ingerenza e l’influenza della Russia, sia economica che politica. A ciò bisogna ricordare anche la presenza del territorio de facto indipendente della Transnistria, una regione autoproclamatasi indipendente a seguito della caduta dell’Unione Sovietica e che viene fortemente supportata dalla Russia. Questo piccolo territorio è diventato nuovamente oggetto di discussione a seguito dell‘ invasione russa dell’Ucraina nel 2022, infatti si è tenuta d’occhio questa regione a causa della forte presenza russa nel territorio, che ha portato a forti timori di una possibile escalation del conflitto sul suolo moldavo. Il suo territorio ha come capitale la città di Tiraspol, dove ha sede la società Sheriff, fondata da due ex membri del KGB russo. Essa ha un forte potere politico  ed economico sul piccolo Stato.

Chiesa della Natività, Tiraspol, Moldavia
Chiesa della Natività a Tiraspol, Moldavia

Le elezioni in Moldavia: tra ingerenze russe e voglia di libertà

Il 21 ottobre si sono tenute sia le elezioni presidenziali, dove la presidente uscente Maia Sandu è finita al ballottaggio col rivale Alexandr Stoianoglo (col turno di elezioni che si terrà il 3 novembre) sia un referendum per decretare o meno l’ingresso moldavo nell’Unione Europea. L’affluenza alle urne è stata importante, ma il risultato è rimasto incerto fino alla fine. Dalla Commissione Europea arrivano però allarmi di possibili interferenze russe per falsificare i risultati del referendum. Inoltre vi sarebbero stati casi di voto di scambio e compravendita di voti, oltre alla scoperta di tentativi russi di addestrare giovani per creare tumulti disordini durante le elezioni stesse.

urna di ballotaggio

Il risultato finale è stata la vittoria del , però è stata una battaglia combattuta fino alla fine. Questo perché il 49% della popolazione moldava ha votato negativamente l’ingresso nell’Unione Europea, ciò delinea una forte spaccatura all’interno dello stato moldavo. Infatti da un lato vi sono i giovani, che hanno votato per un cambiamento della sfera politica moldava, ma dall’altro lato vi sono i nostalgici, i più anziani e i filorussi, che hanno tentato di opporsi a questo cambiamento. Ciò significa che bisogna fare ancora tanta strada, nonostante il futuro del piccolo Stato sia più chiaro adesso.

Il background politico in Georgia

La Georgia è un altro paese dove la forte ingerenza politica russa è evidente. Così come i moldavi, anche i georgiani hanno dovuto far fronte a due questioni territoriali, tutt’ora irrisolte. I territori dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud hanno reclamato la loro indipendenza a seguito dello scioglimento dell’URSS, pur se non vengono riconosciute dallo stato georgiano. Quest’ultima regione inoltre è stata teatro della guerra russo-georgiana del 2008, che ha lasciato vari strascichi importanti nel Paese. Il governo georgiano è fortemente autoritario, con il partito Sogno georgiano che dal 2012 governa il Paese. Egli ha adottato delle leggi simile a quelle di Mosca, soprattutto per quanto riguarda i diritti degli omosessuali (che nonostante il tentativo di veto della presidente Zourabichvili è entrata in vigore) e i cosiddetti “agenti stranieri“. E’ chiaro quindi che la Georgia necessita di un cambiamento politico, per tentare di uscire dall’orbita russa.

Statua dell'amore, Batumi, Georgia
Statua dell’amore, Batumi.

I risultati delle elezioni georgiane

Nella giornata del 26 ottobre si sono svolte le elezioni parlamentari in Georgia. Il partito “Sogno Georgiano”, che governava il Paese da 12 anni, era alla ricerca dell’ennesimo mandato. A seguito delle leggi contro gli omosessuali, l’UE aveva temporaneamente fermato i negoziati per l’adesione del Paese. I partiti di opposizione pro-UE speravano in un grande cambiamento, che però non è avvenuto. Questo perché il partito ha stravinto le elezioni con il 54% dei voti, contro il 37% dei voti dell’opposizione. Nonostante questa vittoria netta, i rappresentanti delle opposizioni hanno dichiarato che non accetteranno questi risultati, a causa delle varie testimonianze di brogli elettorali ed intimidazioni nei confronti dei votanti. L’ennesimo mandato di  “Sogno Georgiano” porta non pochi problemi per il Paese in vista di una possibile entrata nell’Unione Europa, poiché nel corso degli anni esso ha mostrato atteggiamenti sempre più filorussi. Un avvicinamento sempre più imminente della Georgia alla Russia potrà significare un forte allarme per tutti coloro che speravano in un cambiamento della politica del loro Paese, che vedono il loro sogno (l’Ue) allontanarsi sempre di più. 

Samuele Di Meo

Elezioni europee: ecco il decreto per gli studenti fuori sede!

Con un sì definitivo, la Camera dei deputati ha convertito in legge il Decreto Elezioni, dando un lascito storico a tutti gli studenti fuori sede.

La concessione, che varrà intanto per le prossime elezioni europee dell’8 e del 9 giugno, si pone come iniziativa a capo di un percorso, finalizzato a espandere verso tutti i fuori sede italiani (studenti e non) il magistrale diritto democratico.

L’apprensione per il tema è sempre stata tanta, e ora, finalmente qualcosa si è mossa.  Da evidenziare come sia stato possibile grazie ad un forte input giovanile, prima ancora che ad un input genericamente popolare.

Elezioni europee: il procedimento per votare

Il procedimento che gli studenti fuori sede devono seguire per votare è piuttosto semplice, ma necessario da spiegare.

Gli studenti devono richiedere di votare nel comune dove studiano almeno 35 giorni prima delle elezioni, presentando domanda presso il comune di residenza.

Una volta ricevuta la domanda, l’amministrazione avrà 15 giorni di tempo per approvarla e trasmetterla al comune di domicilio (dove lo studente studia).

Entro il 3 giugno, il Comune o il capoluogo dove lo studente potrà votare rilascerà all’elettore fuori sede un’attestazione di ammissione al voto con l’indicazione del numero e dell’indirizzo della sezione presso cui votare.

Ulteriormente occorre specificare che:

Gli studenti che si trovano lontani dal comune di residenza ma nella stessa circoscrizione (le circoscrizioni verranno elencate di seguito) possono essere iscritti in sovrannumero nelle liste elettorali del comune di studio.

Per esempio, uno studente calabrese che studia a Napoli voterà a Napoli nel seggio ordinario della città (Calabria e Campania appartengono alla stessa circoscrizione elettorale, dunque i candidati presenti in lista sono comunque gli stessi nelle due regioni).

Mentre:

Gli studenti che si trovano in un comune diverso da quello di residenza e anche in una diversa circoscrizione voteranno in un seggio specialmente istituito.

Per esempio, uno studente siciliano che studia a Milano voterà a Milano in un seggio appositamente adibito (Sicilia e Lombardia appartengono a diverse circoscrizioni elettorali, per questo gli studenti avranno diritto a dei seggi ad hoc, contenenti le schede elettorali coerenti con la propria circoscrizione di appartenenza).

Le circoscrizioni

Le circoscrizioni elettorali sono storicamente e saranno anche per il 2024 cinque, così suddivise:

“Isole”: Sicilia e Sardegna

“Meridionale”: Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia.

“Centrale”: Lazio, Marche, Toscana, Umbria.

“Nord-Orientale”: Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige, Veneto.

“Nord-Occidentale”. Valle d’Aosta, Liguria, Lombardia, Piemonte.

A quanti si rivolge la riforma?

Secondo una stima del Miur, gli studenti attualmente fuori sede sarebbero circa 400mila, ovvero l’8,2% del totale degli italiani fuori sede.

Come già scritto, il progetto è di tipo sperimentale e per questo ancora rivolto a una cifra piuttosto esigua sul complesso.

Da testare sicuramente sono anzitutto l’efficienza e la sicurezza del metodo, che meno di tanto non può essere complesso e lungo.

Un numero basso di adesioni – dove “basso” è un valore ancora da relativizzare – costituirebbe una spia segnaletica di problemi di genere amministrativo-esecutivo oppure di scarsa efficienza informativa.

D’altra parte, sarebbe sconsiderato dare immediata delibera per un voto universale dei fuori sede, potendo temere il rischio di frode elettorale, sempre annidato dietro l’angolo, soprattutto quando si configura la possibilità di agire su nuovi procedimenti burocratici.

Date queste considerazioni, buona parte dell’opinione pubblica sembra aver gradito il primo tentativo di emanciparsi dall’annoso problema italiano. Si ricorda, in fondo, che in Europa sono pochi i Paesi che non hanno ancora reso al popolo fuori sede la possibilità concreta di votare: e non sono nemmeno granché popolosi: tra questi, infatti, si annoverano appena la piccola Malta e la piccola Cipro.

Austria, Germania, Irlanda, Regno Unito, Spagna e Svizzera permettono di votare per corrispondenza.

Belgio, Francia e Paesi Bassi per delega.

Danimarca, Norvegia, Portogallo e Svezia tramite elezioni anticipate. E in Estonia è previsto il voto elettronico.

Gabriele Nostro

Elezioni in Abruzzo: orientamento al risultato

*Articolo scritto prima dell’avvento dei risultati ufficiali, con un aggiornamento successivo che li contiene.

In qualsiasi modo andrà, sarà un esito importante quello delle elezioni regionali che si stanno svolgendo in Abruzzo in queste ore. Non assolutamente definitorio, ma di certo importante.

Il campo larghissimo della sinistra (e più) va per mettere in fila una seconda vittoria, dopo quella in Sardegna, che potrebbe finalmente consacrare loro – l’opposizione – come una sincera e udibile alternativa all’attuale governo; un pacchetto – s’ha da dire – mal distinto nei suoi spazi, ma forte di leader e di partiti già provati, “pronti all’uso” eventuale.

Il solito intorno del centrodestra va invece per mettere una toppa al buco che pericolosamente si sta espandendo (dalla Sardegna verso il resto d’Italia). Volendo evitare proprio qualsiasi invasione da sinistra nel loro equilibrio di potere.

Vediamo quindi di capire qualcosa in più a proposito di questo rilevante appuntamento elettorale:

chi sono i candidati alla presidenza? Come è andata la scorsa volta? E sarà per tutti i concorrenti solo una questione di “vittoria” o di “sconfitta” corale? O c’è qualcuno che, in caso di disfatta, rischia doppio?

Uno per la destra e uno per la sinistra: i candidati in Abruzzo

I candidati in corsa per la presidenza sono solo due, uno per il centro-destra e uno per il centro-sinistra.

Il candidato avanzato dal centro-destra è Marco Marsilio, Governatore uscente che gode di una discreta fiducia sul suo operato. Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia, Noi Moderati, l’Unione di centro (Udc) e la lista civica “Marsilio presidente” si sono unite attorno a quello che, a scriverla tutta, è un uomo direttamente discendente dalla leader Meloni.

Marsilio ha ottenuto il suo primo incarico politico nel 1993, quando venne eletto consigliere della 1ª circoscrizione comunale di Roma. Da allora è stato un seguito di opportunità, prima come Deputato e poi come Senatore della Repubblica, lungo un percorso in cui ha alternato il mestiere del politico a quello del professore (è stato docente a contratto di estetica, museologia e marketing applicato ai beni culturali presso l’Università Link Campus).

Luciano D’Amico, lo sfidante, è d’altra parte sostenuto da un’ampia coalizione di centrosinistra formata da Partito Democratico, Movimento 5 Stelle, Alleanza Verdi-Sinistra, Azione, dalla lista personale “Abruzzo insieme-D’Amico presidente” e dalla lista “Riformisti e civici”, che al suo interno comprende Italia Viva, con il simbolo “Abruzzo Vivo”.

Lui è quasi un novizio della politica regionale, avendo collezionato piuttosto esperienze di amministrazione in un determinato settore: quello dell’università. Oltre che come economista e accademico di livello, infatti, D’amico è noto in Abruzzo per aver ricoperto la carica di Rettore dell’Università di Teramo dal 2013 al 2018.

Come andò la scorsa volta

Non disponendo ancora di sondaggi affidabilissimi sul sentore popolare attuale, rimane il confronto con il passato, probabilmente, il miglior metro di paragone possibile.

E proviamo a svolgerlo.

Alle elezioni del 2019 l’attuale candidato del centrodestra, Marsilio, ottenne il 48 %, contro il 31 %  dell’avversario di sinistra Giovanni Legnini. Un distacco ampio, ma è da valutare che all’epoca il Movimento 5 Stelle scelse di correre in solitaria con Sara Marcozzi, ferma al 20,20 %.

In politica ogni tornata è a sé e non si può ovviamente pretendere di fare somme nette, soprattutto al cambiamento delle carte in tavola. Tuttavia, è un fattore che in cinque anni il bilanciamento non è cambiato enormemente, dato che nulla di cospicuo è intervenuto su di esso.

Oggi, insomma, la sensazione – faticosamente tracciabile – è che la distanza tra i contendenti sia misera e appena in favore di Marsilio.

Non solo “vittoria” o “sconfitta” corale. Cosa potrebbe accadere nei partiti

Comunque andrà non sarà solo “vittoria” o “sconfitta” corale. Almeno, non per tutti. C’è qualcuno che guarda, forse anche prima che al risultato di coalizione, al risultato individuale.

Questo qualcuno è Matteo Salvini, in tempesta con il proprio partito.

Di avvisaglie gliene stanno arrivando a bizzeffe. Da compagni ed ex compagni, che per aver detto una parola di troppo a suo sfavore sono stati cacciati alla larga.

All’interno della Lega lo scontento è percepibile, perché è stato largamente ribadito. E la Caporetto in Sardegna ha contribuito a scaldare gli animi.

Per questo, se ancora in Abruzzo si dovesse performare sotto le aspettative, chi dal basso potrebbe avere un’ulteriore ragione per chiedere il cambio al vertice. Qualche suadente in attesa già spia: e si azzarda il toto-nomi per un post-.

La prova numerica, naturalmente, si direbbe che vale pure per tutte le altre formazioni in gara; semplicemente – a giudizio di chi scrive – tutte le altre formazioni in gara non versano in una crisi di consensi né uguale né simile a quella del fu partito settentrionalista.

Dunque, a meno di scivoloni insospettabili, dovrebbero poter mantenere una tranquillità interna anche in seguito alle prossime notizie dai seggi.

La vera sfida per tutti gli altri assai più stabili sarà alle europee. Un tipo di elezioni in cui il voto d’opinione vale parecchio e può essere particolarmente indicativo nel rivelare nuove disfunzioni.

*Aggiornamento con i risultati

Marco Marsilio è di nuovo il Presidente dell’Abruzzo

Lo scrutinio è quasi terminato – mancano meno di cento sezioni su oltre 1.600 – ma già ora le fila sono state tirate: Marco Marsilio è stato riconfermato Presidente dell’Abruzzo.

Data un’affluenza del 52,1% degli aventi diritto, l’uomo di Meloni ha ottenuto circa il 53% dei voti, così affermandosi, di misura, sull’avversario D’Amico.

Il primo partito in regione rimane Fratelli d’Italia, attestandosi al 24%, segue il Pd, al 20%, poi Forza Italia al 13% e ancora di seguito la Lega che, fermandosi al 7,5%, sfigura rispetto al 28% della scorsa tornata ma – si potrebbe scrivere – regge il colpo meglio di come non lo aveva retto in Sardegna.

Anche il Movimento 5 stelle è disceso parecchio: stavolta ha ottenuto solo il 7%, a dispetto di cinque anni fa quando sfiorò il 20%.

Infine, Azione di Carlo Calenda sfiora il 4%, Alleanza Verdi-Sinistra è poco sopra al 3,5%, mentre la lista Riformisti e civici (Italia viva e +Europa) arriva quasi al 3%.

 

Gabriele Nostro

 

 

#EleUnime2023: il grande vincitore di quest’anno è l’assenteismo

#ELEUNIME2023 Quest’anno i rappresentanti degli studenti sono stati scelti da meno del 18% dell’intera comunità studentesca. Un’affluenza ancor più bassa rispetto a quella delle elezioni del 2019, quando il dato sull’affluenza generale ammontava al 26,70%.

 

Visualizza questo post su Instagram

 

Un post condiviso da UniVersoMe (@uvm_universome)

 

Un nuovo modo di votare

I dati si riferiscono alle prime elezioni post-Covid con modalità mista: registrazione puramente in presenza, mentre per votare è stato elaborato un software apposito dal consorzio Cineca che, tramite un log-in su credenziali personalizzate ed assegnate direttamente alla registrazione, ha permesso a ciascun elettore di selezionare comodamente con un click il candidato desiderato – oppure, di lasciare la scheda in bianco con omonimo tasto.

Dopo due giorni di intense votazioni, peraltro in piena sessione estiva, lo scrutinio è avvenuto venerdì pomeriggio ed è stato relativamente.. breve. Infatti, gli scrutinatori hanno conteggiato appena 4602 schede, su una totalità degli aventi diritto di 25720. Ma osserviamo nel dettaglio i dati relativi a quelle giornate e, soprattutto, ai risultati. 

affluenza
© UniVersoMe – Valeria Bonaccorso

La lista

Agli Organi Superiori, O.R.U.M. si riconferma la grande vincitrice di quest’anno – e anche l’unica! Viene meno la seconda qualificata del 2021, Genesi, le cui componenti sono in parte confluite in O.R.U.M. (come Atreju – La compagnia degli studenti e UDU – Unione degli Universitari). 

La lista ha trionfato al Senato Accademico quanto al CdA, nonché allo CSASU (vale a dire, il Comitato Sovrintendente alle Attività Sportive Universitarie), con un totale di 7186 voti. Oltre agli O.S., O.R.U.M. ha conquistato il CdA dell’Ersu. 

Tuttavia, anche per O.R.U.M. l’assenteismo si è fatto sentire: per fare un veloce paragone, il primo eletto al Senato (dell’Associazione Morgana) è salito con 846 voti, 254 voti in meno rispetto all’ultimo eletto del 2021, con 1100 voti. 

Ai Dipartimenti le cose sono andate diversamente, con una ramificazione di candidati che hanno scelto di non unirsi ad O.R.U.M. per correre ai Dipartimenti e ai CdL. Forte la presenza di Morgana, sia con ORUM che senza. 

Il candidato emergente: la scheda bianca

Se da un lato cala l’affluenza, dall’altro aumentano le astensioni: 3060 nel 2023, contro le 1277 del 2019 e le 821 del 2021*. Questa la somma delle schede bianche sul totale delle preferenze esprimibili, nel segno dell’espressa volontà di non scegliere: un voto assolutamente valido, con cui l’elettore dichiara di astenersi dall’esprimere una preferenza e di accettare il risultato che si calcolerà sulla base dei restanti voti positivi. 

Fila per votare, seggio del Rettorato. Fonte: Unime.it

*I dati sulle schede bianche attengono al calcolo delle singole schede bianche nei vari organi collegiali, compresi il CdD di Ricercatori e Specializzandi, ad esclusione dei singoli Corsi di Laurea. I dati attengono ai decreti di nomina dei Rappresentanti degli studenti del 2019 e del 2021, mentre quelli del 2023 attengono allo spoglio avvenuto in diretta tramite la piattaforma Teams.

Rappresentanza di genere

Analizziamo il trend relativo alla rappresentanza di genere negli organi collegiali.

Agli Organi Superiori la rappresentanza femminile si abbassa leggermente rispetto al 2021, arrivando al 22.2% (-11.1%) con due candidate elette su un totale di nove. Si conferma la sottorappresentanza femminile al Senato: nel 2021 e nel 2023 solo una Senatrice su cinque (nell’annata 2021, alla decadenza del Sen. Gullifà era subentrata la Sen. Parisi). Nel 2019, nessuna Senatrice.

Ai Dipartimenti, da un iniziale 44.4% nel 2019 si passa ad un 51.81% del 2021*, ove il genere più rappresentato era quello femminile… ++IN AGGIORNAMENTO++

*I dati attengono ai decreti di nomina dei Rappresentanti degli studenti del 2019 e del 2021. Il calcolo si è basato sul numero di seggi ricoperti da donne rispetto al totale dei seggi complessivi. I dati del 2023 attengono allo spoglio avvenuto in diretta tramite la piattaforma Teams.

#EleUnime2023: la campagna elettorale

La campagna elettorale, ancor prima di iniziare, ha riscontrato alcuni problemi. Come lamentato da UDU Messina in un post di Instagram, il regolamento elettorale di quest’anno non presentava la norma sui 45 giorni di preavviso prima del voto, lasciando solo dieci giorni per la presentazione delle liste a partire dalla data di pubblicazione del decreto. Ciò ha dato il via ad una campagna elettorale flash, estremamente social ed, in certi casi, ad una vera e propria caccia al candidato necessario a raggiungere il minimo per la presentazione della lista. 

La presentazione dei singoli candidati ha avuto formalmente inizio ai primi di giugno, quando i social hanno iniziato ad essere tempestati da foto di candidati e programmi elettorali. 

Iperconnessi, ma distanti

Il sofisticato software segna la prima sperimentazione dell’eredità del periodo pandemico, che ha permesso all’Ateneo di unire alla votazione in presenza – fondamentale presidio di democrazia e legittimità del voto – la modalità online, già adottata nel 2021. Nonostante la sveltezza che si presupponeva portare con sé, non sono mancati i problemi, che hanno generato lentezza generale e lunghe file di persone accaldate e nervose negli atrii dell’Ateneo in attesa di votare. Così, prontamente, è stato disposto l’allestimento rapido di nuovi seggi per permettere alla comunità studentesca di votare più speditamente. 

elettore al seggio elettorale
Registrarsi al seggio elettorale del Rettorato. Sullo sfondo, fila per il voto. Fonte: Unime.it

Ciononostante, il dato sull’affluenza non è cambiato. Si direbbe che l’elettore, dopo aver sperimentato la comodità della votazione da casa, difficilmente sia riuscito a distaccarsene per tornare alla normalità. Ma ciò che ha giustificato una situazione di emergenza non può costituire un annoso precedente, col rischio di allontanare sempre più la comunità studentesca dalla realtà di Ateneo, che è – e dev’essere – una realtà dinamica, solidale e presente

Ma bando alle ciance: la sfida principale dei nuovi rappresentanti sarà proprio quella di riavvicinare lo studente alla realtà universitaria che lo circonda, affinché la volontà studentesca possa ritrovare un’ampia e partecipata rappresentazione. Per questa ed altre ragioni, noi di UniVersoMe non possiamo che augurare: Buon lavoro, Consiglieri e Senatori!

Valeria Bonaccorso

Torneranno le province! Già sul tavolo la riforma: ecco quando si voterebbe

Tornerà l’elezione diretta dei presidenti delle Province e dei sindaci metropolitani! Tornerà anche l’elezione dei consiglieri e la nomina degli assessori provinciali! Almeno, questa sembra essere la volontà della maggioranza di governo, che già da qualche mese sta tracciando la direttiva per concretizzare il cambiamento. Intanto gli animi dei candidabili si scaldano; secondo il decreto in uscita: quali organi potrebbero votare i cittadini? E quando?

Province, la bozza della legge elettorale

Riporta le informazioni La Gazzetta del Sud. Nel corso degli ultimi mesi sono stati depositati ben nove disegni di legge riguardo la riforma sulle province, ma è nei giorni appena passati che l’indirizzo governativo è stato completamente esplicito per l’elaborazione di una bozza a opera del Comitato ristretto della Commissione Affari costituzionali al Senato. 

Secondo il testo più recente, il presidente della Provincia verrebbe eletto, dai cittadini della Provincia, tra i candidati che ottengano il maggior numero di voti: entro il primo turno previo raggiungimento di almeno il 40% delle preferenze o tramite ballottaggio ai turni successivi.

I consiglieri provinciali sarebbero sempre a elezione cittadina. Verrebbero votati nelle varie circoscrizioni elettorali, ovvero nei vari territori provinciali, ripartiti in collegi plurinominali con un numero di seggi compreso fra tre e otto (secondo l’estensione territoriale).

La soglia di sbarramento è attualmente fissata al 3% e non è prevista la possibilità di esprimere un voto disgiunto. 

Elezioni in primavera: perché sarebbe vantaggioso

Le province sarebbero chiamate ad agire principalmente nei seguenti ambiti: valorizzazione dei beni culturali; gestione della viabilità e dei trasporti; protezione della flora e della fauna; garanzia servizi sanitari; organizzazione dello smaltimento di rifiuti; tutela e valorizzazione delle risorse idriche ed energetiche; promozione, coordinamento e organizzazione delle attività economiche e produttive di interesse locale; etc.
Di fronte a tutto questo, l’opposizione in primis pone il dubbio della necessità in rapporto ai costi. Vale la pena ricreare e rifinanziare le istituzioni provinciali? Conviene, nell’ottica di un investimento, oppure sarebbe solo uno spreco di denaro pubblico?
Non è semplice farsi un’idea a proposito, si discute pure dell’imprevedibile. Neanche guardare al passato può essere sufficiente: molto può cambiare nei tempi e nei tempi.  
Gabriele Nostro

Spagna, successo della destra alle amministrative. Sánchez anticipa le elezioni a luglio

Sono ore di fermento quelle che sta vivendo la Spagna, dopo le elezioni amministrative che hanno visto recarsi alle urne, lo scorso week-end, circa 22 milioni di cittadini sui 35,5 milioni aventi diritto (64% di affluenza), per il rinnovo di più di ottantamila consigli comunali e per i parlamenti di 12 delle 17 comunità autonome.

La sconfitta dei socialisti

Il risultato delle elezioni, che segna forse un punto di svolta nella politica del paese, ha spinto il Premier Pedro Sánchez ad annunciare nella mattinata di lunedì, al Palazzo della Moncloa di Madrid,  lo scioglimento del Parlamento – Las Cortes – per indurre elezioni anticipate il prossimo 23 luglio. 
Il Premier ha anche annunciato le proprie dimissioni ma resterà in carica fino alla data sopracitata.

Il Partito socialista operaio spagnolo (Psoe), espressione del Governo, è stato superato in ben nove regioni e in molti comuni importanti quali, ad esempio, Valencia, Siviglia e l’Extremadura. Stessa sorte è toccata agli alleati di Podemos, il partito della sinistra radicale di Pablo Iglesias, che hanno perso tantissimo consenso.

I risultati delle urne

Gli scrutini hanno evidenziato una netta vittoria della destra con il Partito popolare (PP) che, con il 31,5% dei consensi, ha superato il Psoe fermo al 28,1%, mentre la terza forza in campo è risultata essere Vox, partito di estrema destra, con il 7,2%.  

Pedro Sánchez – fonte: Heraldo.es

La decisione del Premier

In una conferenza stampa, il Premier ha annunciato alla nazione la propria volontà – già comunicata al Re Felipe VI – affermando:

Ho preso questa decisione in vista dei risultati delle elezioni regionali e comunali. […] Il significato del voto veicola un messaggio che va oltre. Assumo in prima persona i risultati e credo sia necessario dare una risposta e sottoporre il nostro mandato alla volontà popolare. Il nostro Paese si appresta a svolgere una responsabilità molto importante in quanto è la presidenza di turno del Consiglio dell’UE. Tutto ciò consiglia un chiarimento degli spagnoli sulle forze politiche che dovrebbero guidare questa fase e sulle politiche da applicare. Esiste un solo metodo infallibile, che è la democrazia. La cosa migliore è che gli spagnoli prendano la parola per definire senza indugio il corso politico del Paese.

Le parole dei vincitori

Se da una parte la delusione tra i socialisti del Psoe e gli esponenti degli altri partiti di sinistra è enorme, dall’altra è altrettanto grande la gioia e la soddisfazione del PP e di Vox che potranno ricoprire ruoli di rilievo nelle più grandi città della Spagna. È il caso, come riportato dal quotidiano El Paìs, di Madrid, dove il PP è stato il più votato in tutti i distretti e il governatore Isabel Diaz Ayuso ha trionfato ottenendo il terzo mandato consecutivo, mentre Vox ha raggiunto il 9% delle preferenze.

La netta vittoria dei partiti di destra esprime, senza mezze misure, i sentimenti della popolazione spagnola che, non soddisfatta delle riforme proposte e attuate da Sanchez e dai suoi ministri, spera in un cambio di rotta riponendo la fiducia nei partiti che finora hanno rappresentato l’opposizione parlamentare.

Feijóo e altri esponenti del Pp – fonte: El Paìs

Il leader del PP, Alberto Núñez Feijóo, si è detto estremamente contento e soddisfatto del risultato ottenuto, dichiarando:

“La Spagna ha iniziato un nuovo ciclo politico, il mio momento arriverà presto, se gli spagnoli lo vorranno”.

Prospettive future per la Spagna

Tali parole preannunciano la volontà della destra di puntare alla vittoria nelle elezioni politiche previste per il 23 luglio e di porre fine al “Sanchismo”. Tuttavia, l’ormai ex Premier non avrà, di certo, nessuna voglia di abdicare in favore degli avversari, ma farà di tutto affinché il popolo spagnolo, in questi pochi mesi, riacquisti fiducia nei confronti dei socialisti e degli alleati, tra i quali ci potrebbe essere Sumar, l’organizzazione guidata da Yolanda Dìaz che ha registrato quest’ultima come “partito strumentale” con l’obiettivo di riunire gran parte delle forze politiche di sinistra.

Mentre si defila il partito Ciudadanos che, ieri, tramite le parole del segretario Adrian Vasquez ha annunciato:

Il messaggio delle elezioni è stato chiaro: il centro liberale in Spagna non ha ottenuto un sostegno sufficiente. Il modo migliore per difendere lo spazio liberale è non partecipare alle prossime elezioni del 23 luglio.

Qualora il Partito Popolare dovesse trionfare anche nelle elezioni previste in estate, il panorama politico europeo prenderebbe una direzione ben delineata, verso destra, alla luce dei recenti successi dei partiti che hanno trionfato in nazioni importanti come l’Italia e la Svezia.
Inoltre, la Spagna dal 1° luglio sostituirà proprio il paese scandinavo alla Presidenza del Consiglio dell’Unione europea, che viene esercitata a turno dal governo dei vari stati membri dell’UE per una durata di sei mesi.

Tuttavia, in attesa di scoprire quale sarà il verdetto delle prossime elezioni, una cosa è certa: il futuro della Spagna è già iniziato.

Giuseppe Cannistrà

 

Elezioni in Turchia: testa a testa tra Erdoğan e Kiliçdaroğlu

In Turchia, i cittadini sono stati chiamati a votare il Presidente della Repubblica e il Parlamento. 

Chi sono gli sfidanti?

Erdoğan: ha guidato il Paese dal 2003 a oggi, ha vinto 10 elezioni parlamentari e 2 presidenziali. La coalizione che lo supporta prende il nome di “Alleanza Popolare”. Oltre al “Partito della Giustizia e Sviluppo” fondato da lui stesso nel 2001, comprende altri tre partiti: “Movimento Nazionalista”, “Partito della Grande Unità” e “Partito della Nuova Presidenza”.

Kemal Kiliçdaroğlu: ritenuto il principale sfidante di Erdoğan. Dal 2010 è a capo del Partito Popolare Repubblicano. Sostenuto da una coalizione di sei partiti di opposizione: di sinistra, centro destra, nazionalisti e islamisti. La coalizione è chiamata “Alleanza Nazionale” o “Tavolo dei sei”.

Kemal Kilicdaroglu Fonte: LaRepubblica

I media lo hanno soprannominato il “Gandhi turco”, per il suo stile politico ma soprattutto per una protesta pacifica svoltasi nel 2017: la “Marcia della Giustizia”.

Insieme ai suoi sostenitori, ha percorso 450 km a piedi e scalzo per raggiungere la prigione di Istanbul, mostrando vicinanza a un deputato del partito socialdemocratico accusato di spionaggio.

Stiamo affrontando un regime dittatoriale. Non vogliamo vivere in un Paese in cui non c’è giustizia. Quando è troppo è troppo

Il terzo candidato è Sinan Oğan. La sua coalizione denominata “Alleanza Ancestrale” è formata dal Partito della Vittoria, di posizioni ultranazionaliste e dal Partito della Giustizia.

Sinan Ogan Fonte: Linkietsa

 

Muharrem Ince ha fondato il “Partito della Patria” nel 2021. A pochi giorni dalle elezioni ritira la sua candidatura, per favorire Kiliçdaroğlu. Il reale motivo potrebbe essere un ricatto con video hard.

Muharrem Ince Fonte: Linkiesta

Programma elettorale di Kiliçdaroğlu

Uno dei punti principali è quello di voler riportare la Turchia ad essere una repubblica parlamentare. Ha altresì promesso la libertà ai prigionieri politici ingiustamente detenuti e prevede di tutelare i diritti civili. Vuole inoltre porre fine all’Erdoganomics – strategia attuata da Erdoğan, secondo cui tassi di interesse bassi conterrebbero l’inflazione.

Perché la vittoria di Erdoğan non è così scontata?

Durante il suo mandato ha abolito il sistema parlamentare, cosicché il potere fosse incentrato nelle mani del presidente, ottenendo così controllo su stampa e magistratura. Ha usato il suo potere per colpire gli oppositori politici e minoranze etniche. Ma ci sono stati altri eventi che hanno portato il Presidente a perdere punti.

Il terremoto in Turchia, per dirne una, avvenuto il 6 febbraio; è stato criticato per la gestione dei soccorsi.

In merito alle accuse rivolte a Erdoğan circa il terremoto, Kiliçdaroğlu risponde così:

Se c’è un persona responsabile per questo, è Erdoğan, in 20 anni non si è preparato per un terremoto

L’inflazione: in Turchia arrivata all’85%, ha fatto sì che la lira turca perdesse l’80% del suo valore.

In caso di vittoria, Erdoğan ha annunciato che aumenterà gli stipendi dei dipendenti pubblici del 45%, istituirà una pensione statale per le casalinghe e garantirà un mese di bollette gratis.

Come si vota in Turchia?

Possono votare tutti i cittadini turchi aventi 18 anni d’età, anche i cittadini turchi residenti all’estero possono esprimere la propria preferenza. 

Il sistema elettorale è di tipo maggioritario a doppio turno (fino al 2007 era eletto dal Parlamento), ciò significa che: se al primo turno nessun candidato ottiene il 50% + 1 dei voti, si terrà un ballottaggio tra i due più votati.

Risultati truccati?

L’opposizione ha accusato l’agenzia di stampa Anadolu di aver truccato i risultati, facendo apparire Erdoğan in testa. Entrambi i candidati convinti di essere in vantaggio, hanno contestato i risultati annunciati dall’avversario.

La replica di Erdoğan:

Tentare di annunciare i risultati in modo avventato significa usurpare la volontà nazionale

Erdoğan e Kiliçdaroğlu hanno ricevuto rispettivamente 49.86 % e 44.38% delle preferenze, andando così al ballottaggio, che si terrà il 28 maggio.

Gabriella Pino

 

Netanyahu rieletto: il popolo israeliano non ci sta, continuano le proteste

Siamo giunti ormai alla terza settimana consecutiva in cui il popolo israeliano scende in piazza contro il governo di Benjamin Netanyahu, Primo ministro di Israele dal 29 dicembre 2022 e precedentemente dal 2009 al 2021 e tra il 1996 e il 1999. Da quel giorno, oltre centomila manifestanti hanno riempito le strade di Tel Aviv senza sosta.

Le ragioni della protesta

Le manifestazioni sarebbero nate da un progetto di riforma del sistema giudiziario promosso dall’attuale governo. Riforma che, secondo gli oppositori, metterebbe in pericolo la democrazia del paese.

Alla tanto discussa protesta è intervenuto anche l’ex primo ministro Yair Lapid, ora leader del principale partito di opposizione, Yesh Atid: 

Quella che vedete qui oggi è una manifestazione a sostegno del paese. Persone che amano Israele sono venute qui per difendere la sua democrazia, i suoi tribunali, l’idea di convivenza e di bene comune. Ci sono persone che sono venute a manifestare per uno Stato ebraico democratico secondo i valori della Dichiarazione di Indipendenza. Non ci arrenderemo finché non vinceremo.

Il contenuto della riforma

Nel caso in cui fosse approvata, la riforma della giustizia aumenterà i poteri della Knesset (il Parlamento israeliano), fino a permettere a questo organo di  servirsi di una “clausola di annullamento” per annullare le sentenze della Corte Suprema con una maggioranza semplice di 61 voti (su 120).

Fonte: La Repubblica

Un potere del genere, secondo molti, si presterebbe ad abusi: da parte del governo, perché consentirebbe senza troppi ostacoli di approvare leggi a favore, ad esempio, degli insediamenti, o per favorire ulteriormente le mire espansionistiche israeliane in Cisgiordania; da parte dello stesso Premier Netanyahu, per bloccare eventuali processi a suo carico.

Un altro aspetto che spaventa il popolo  è che, con la riforma, si verificherebbe un indebolimento della magistratura a favore di quello esecutivo detenuto dal Governo. 

Rimosso il Ministro della Salute

Nella giornata di domenica, come chiesto dalla Corte Suprema di Israele, il Primo ministro Netanyahu ha annunciato la rimozione di Arye Dery, leader del partito ultraortodosso Shas, dall’incarico di Ministro dell’Interno e della Salute. Quest’ultimo, è stato processato per evasione fiscale un anno fa, patteggiando con sospensione della pena. 

«Si tratta di una persona che è stata condannata tre volte per reati nel corso della sua vita, che ha violato il suo dovere di servire lealmente e legalmente la collettività mentre ricopriva alte cariche pubbliche», ha dichiarato Esther Hayut, Presidente della Corte Suprema. 

Fonte: La Repubblica

Motivo per cui la Corte ha annullato la nomina con una sentenza che parla di “estrema irragionevolezza” nella scelta di conferirgli il doppio incarico di Ministro della Salute e degli Interni dopo le condanne penali a suo carico.

Non sembra essere d’accordo con questa decisione Netanyahu, il quale si è espresso a riguardo mostrando dispiacere nel rimuovere Arye Dery dal suo incarico, affermando di aver preso questa scelta con  «grande dolore e molta difficoltà». Inoltre, il Premier sembrerebbe voler trovare ad ogni costo, anche per vie legali, un modo affinché il suo alleato continui a collaborare con il governo. 

Federica Lizzio

Dentro la XIX Legislatura col Prof. Giovanni Moschella: l’intervista ai microfoni di Radio UniVersoMe

In esclusiva per il podcast di Radio UniVersoMe The Box, abbiamo intervistato il prorettore vicario dell’Università degli Studi di Messina, Prof. Giovanni Moschella.

La locandina della puntata © Gianluca Carbone

A seguito delle elezioni politiche del 25 settembre scorso, si è insediata la nuova, XIX legislatura. Si tratta della prima volta dopo il referendum sul taglio dei parlamentari del 2020, il cui esito positivo confermò la scelta di ridurre il numero dei deputati e dei senatori rispettivamente da 630 a 400 e da 315 a 200.

Assieme al Prof. Moschella, abbiamo riflettuto sulla nuova maggioranza di destra, ma anche sulle opposizioni e sulle rispettive fragilità. Abbiamo toccato temi nevralgici come le riforme sulle autonomie regionali a livello differenziato e sul Presidenzialismo come forma di governo alternativa al Parlamentarismo.

© Gianluca Carbone

In che stato risultano, oggi, gli equilibri parlamentari? Quali effetti avrà avuto il taglio dei parlamentari? Quali sono le prospettive di questa nuova maggioranza? E quale futuro dovremo aspettarci noi giovani? Tutto questo e molto altro nella nostra intervista, da oggi disponibile su Youtube, Spotify, Spreaker e sugli altri social media di UniVersoMe.

Valeria Bonaccorso


Ascoltalo su

Ad una settimana dal voto: cosa succede adesso?

Ad appena una settimana dai risultati delle Parlamentari che hanno visto trionfare il partito della leader Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia, vi proponiamo alcune considerazioni a caldo su quello che potrà essere – o non essere – il futuro del nuovo governo.

FdI a capo della coalizione

Con il 26% dei voti espressi, il partito della coalizione di centrodestra da solo ha riscosso più di quanto sia riuscito ad ottenere la coalizione di centrosinistra intera. Nessun dubbio sulla vittoria della Meloni sin da subito, nonostante i sondaggi avessero previsto una percentuale di voti nettamente inferiore. Tuttavia, si è anche trattato delle elezioni con la più bassa affluenza nella storia italiana, con poco meno del 64% degli aventi il diritto.

Adesso la leader si prepara a governare come prima Presidente del Consiglio donna, avendo già chiarito – la stessa notte degli spogli elettorali – di voler prendere la guida del futuro esecutivo, accompagnata da Matteo Salvini (Lega) e Silvio Berlusconi (Forza Italia).

Se dovesse riuscire a formare il governo, ha detto, la priorità sarebbe quella dell’energia: fermare la speculazione sul gas. E farlo non senza un aperto dialogo col Premier uscente, Mario Draghi, che si starebbe occupando di una relazione sul Piano Nazionale al fine di garantire una transizione chiara e ordinata, senza lavori incompiuti.

Sulla linea da seguire per la scelta dei suoi ministri, la Meloni si mantiene comunque cauta: le prime ipotesi sarebbero quelle di un governo formato anche da esperti non parlamentari, ma non sono ancora usciti i nomi per Economia, Esteri e Interno, ossia tre dei più importanti ministeri. Certo è che, nel trambusto generale creatosi con queste elezioni, la linea del silenzio scelta dalla leader di FdI risulta saggia, soprattutto adesso che la scena non solo nazionale, ma anche internazionale, guarda al futuro del Paese con non poca perplessità.

E sono molti i timori che, non infondatamente, si sollevano in questi giorni. Al di là delle accuse di fascismo, che vanno sempre e comunque affrontate nella sede adeguata, ci si chiede seriamente se un governo guidato da Fratelli d’Italia possa rappresentare il pettine destinato a sciogliere alcuni dei nodi principali dell’Italia. C’è chi ne dubita fortemente, ma anche chi ripone immensa fiducia in una formazione scelta, dopo molti anni, dal popolo.

Se non per altro, appunto perché l’ha voluto il popolo. Non resta che vedere se la coalizione riuscirà a mantenere quanto promesso nei recentissimi anni oppure se, secondo la normale tendenza del nostro sistema politico, sarà destinato ad aver vita breve. A quel punto, quante sarebbero le possibilità di trovare una nuova formazione governativa che metta d’accordo tutti?

In Parlamento sempre meno donne

Una cosa è certa: la rappresentanza formata da donne in Parlamento è nettamente calata rispetto alle elezioni del 2018, scendendo da un 35% al 31%. Non stupisce il dato: infatti, i due partiti che hanno riscontrato più voti (FdI e Partito Democratico) sono anche quelli che hanno presentato le percentuali minori di capolista donne a questo giro di elezioni, rispettivamente col 32,3% e il 36,6%. (Pagella Politica).

Molto male per un partito come il PD, che della parità di genere ha fatto un bastione della propria campagna elettorale.

Tempo di riflessione per il centrosinistra

Dopo la schiacciante sconfitta, per la coalizione di centrosinistra è arrivato il momento di riflettere: lo spiega Stefano Bonaccini, Presidente della Regione Emilia-Romagna e membro del Partito Democratico.

Il problema del Pd non sta nel nome o nel simbolo, ma nella capacità di rappresentare le persone e costruire un progetto coerente e credibile per gli obiettivi per cui è nato: dare diritti a chi ne ha di meno, realizzare una transizione ecologica che tenga insieme le ragioni dell’ambiente con quelle del lavoro, costruire un’Italia più moderna, più forte e più giusta.

Anche il segretario di Azione, Carlo Calenda, ha commentato i risultati elettorali: «Nel dibattito surreale su cosa debba fare la sinistra per rappresentare i più deboli si dimenticano le basi: la ricostruzione del welfare, a partire da istruzione e sanità».

Intanto, il segretario del PD Enrico Letta ha espresso negli ultimi giorni l’intenzione di non ricandidarsi a segretario del partito, pur volendolo in una certa misura “rifondare”. Infatti, in una lettera inviata a tutti i militanti, ha annunciato le quattro tappe del percorso necessario alla rifondazione del partito, che partirebbe dalla ridefinizione di aspetti quali «l’identità, il profilo programmatico, il nome, il simbolo, le alleanze, l’organizzazione». In sostanza, alcuni ritengono che Letta sia sulla strada per mettersi alla guida di un nuovo partito.

I passi successivi

La prossima data importante sarà il 13 ottobre, quando Camera e Senato si riuniranno per decidere i primi atti importanti: i rispettivi presidenti. Dopodiché, da lì alla formazione del nuovo governo potrebbe passare una relativa quantità di tempo, forse anche mesi. Dopotutto, a fronte delle precedenti elezioni tenutesi nel marzo 2018, il governo Conte I si insediò solamente nel giugno dello stesso anno.

La parola spetterà al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che avvierà le consultazioni e dovrà affidare l’incarico (probabilmente a Giorgia Meloni) per la formazione del nuovo esecutivo. Se l’incarico dovesse essere affidato con riserva, il presidente incaricato dovrà a sua volta svolgere delle consultazioni che lo porteranno a definire la lista dei propri ministri; in assenza, sarà costretto a rinunciare.

Se ciò dovesse verificarsi, il Capo dello Stato potrà affidare un incarico esplorativo a una personalità terza per vedere se si potrà dar vita ad una nuova maggioranza.

Da ultimo, entro 10 giorni dalla formazione, il nuovo Governo dovrà chiedere e ottenere la fiducia dai due rami del Parlamento. Se l’incarico dovesse spettare alla Meloni non vi sono molti dubbi sui numeri per raggiungere la fiducia – ma ancora, si parla di un futuro ipotetico ancora tutto da vedere e che potrebbe riservare altre sorprese. Ottenuta la fiducia, l’Esecutivo entrerà nel pieno dei propri poteri e potrà cominciare a definire l’indirizzo politico del Paese.

Valeria Bonaccorso