Mileva Marić: la scienziata perduta

Mileva Maric è stata una brillante studiosa. La sua intelligenza l’ha portata a ricoprire un ruolo importante nella storia della fisica. Per lungo tempo, tuttavia, è rimasta nell’ombra, rilegata al ruolo di prima moglie di Einstein. Oggi siamo finalmente pronti a ridarle la posizione che merita.

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Tra passioni e bigottismo: la formazione

Milena Maric nasce a Titel, allora parte dell’Impero astro ungarico, il 19 dicembre 1875. Sin dalla giovinezza il padre nota in lei una spiccata intelligenza, nonché una forte curiosità. Si impegna, dunque, a garantirle una buona istruzione, impresa non semplice in quanto lei è una donna. Quando la famiglia si trasferisce a Zagabria viene iscritta a un liceo di lingua tedesca dove, tuttavia, non può diplomarsi. Il suo amore per le materie scientifiche la porta a un nuovo spostamento. Questa volta la destinazione è la Svizzera. Si diploma a Zurigo riuscendo successivamente a superare l’esame di ammissione al Politecnico. Da qui ha inizio la sua carriera universitaria.

Nello stesso anno conosce Einstein, suo collega. I due legano rapidamente. Le loro intelligenze si potrebbero definire complementari: lei ha una buona padronanza del linguaggio matematico, nonché una grande conoscenza della fisica; lui è dotato di un buon intuito.

Moglie e madre ti vogliamo

Mileva Maric e Albert Einstein
https://www.enciclopediadelledonne.it

La relazione con Einstein procede e la Maric rimane incinta. Questo evento segna la fine della sua carriera universitaria. Si  presenta alla seduta di laurea col pancione, condizione inaccettabile per la commissione dell’epoca. Viene, infatti, bocciata. Suo marito, invece, si laurea, ma non viene assunto negli ambienti accademici. Trova, piuttosto, lavoro come impiegato dell’Ufficio Brevetti di Berna.

Nel 1904 nasce il secondo figlio, Hans, e Marić si adatta al ruolo che all’epoca le spettava. Il confronto intellettuale con il marito è, tuttavia, vivace. Sono questi gli anni in cui viene sviluppata la teoria della relatività alla quale non è escluso che lei abbia contribuito attivamente.

La carriera di Einstein raggiunge in questo periodo i suoi maggiori picchi. A seguito della rilevanza assunta dalle sue teorie gli viene consegnata una cattedra a Praga e poi a Berlino. Qui inizia, inoltre, la frequentazione con la cugina Elsa Löwenthal, con la quale ha una relazione extraconiugale che presto si trasforma in un nuovo matrimonio.

Ultimi dolorosi anni

Nel 1914 Einstein e Moric danno inizio a una lunga trattativa per il divorzio che si conclude dopo ben cinque anni. Particolarmente difficile è stabilire i termini di separazione relativi l’aspetto finanziario. Moric deve prendersi cura dei due figli avuti durante il matrimonio e, dunque, chiede un mantenimento. Einstein tenta, senza riuscirci, di omettere che la causa del divorzio risiede nel tradimento da lui perpetrato.

Gli ultimi anni di vita sono per Milena piuttosto tristi. Einstein e il figlio maggiore si trasferiscono in America a causa dell’instaurazione del regime fascista. Milena rimane, invece, in Svizzera, dove si occupa del figlio minore: Eduard. Il ragazzo soffre di schizofrenia e la madre passa il resto della vita a prendersi cura di lui.

Nel maggio del 1948 viene ricoverata a seguito di un ictus morendo il 4 agosto dello stesso anno all’età di 73 anni.

Una laurea sudata

Gabriella Greison e la sua battaglia per ottenere la laurea postuma https://greisonanatomy.com

La storia di Mileva Maric è riemersa negli anni novanta del secolo scorso a seguito della pubblicazione della corrispondenza privata tra lei e il marito.

Da allora si è aperta la discussione circa il contributo di Mileva ai lavori di Einstein. Tale indagine riguarda prevalentemente i quattro articoli pubblicati nel 1905. L’estrema velocità con cui Einstein li porta a termine, pur essendo impiegato all’Ufficio Brevetti, ha indotto molti a pensare che Mileva abbia contribuito.

Un altro possibile indizio dell’aiuto da parte della Moric è dato dal fatto che Einstein usa il pronome plurale quando si riferisce alle pubblicazioni di quegli anni.

Non si è ancora giunti a una posizione certa circa il suo contributo. Ciò di cui siamo a conoscenza è, però, la sua grande intelligenza che non ha potuto dar frutto a causa dell’epoca in cui viveva.

Proprio a causa di tale ingiustizia nel 2019 la fisica e scrittrice Gabriella Greison ha tentato di ottenere come riconoscimento ufficiale da parte dell’ETH la laurea postuma per Mileva Marić. Questo voleva essere un segno simbolico, a dimostrazione che i tempi sono cambiati. L’esito è stato, però, negativo. I motivi sarebbero: la mancanza di articoli che dimostrino che Mileva aveva i requisiti per laurearsi; la carenza di tracce delle sue conoscenze circa la fisica.

Altra considerazione fatta è stata che non esiste una trafila che possa darle una laurea. Lo staff, in comunicazione con Gabrielle Greison dice: “Certo potremmo inventarla, ma non è usuale: le regole ora sono che dopo aver avuto il sì unanime di tutti quelli della commissione, nessuno escluso, la persona premiata deve presentarsi alla festa di fine anno e in questo caso la cosa è irrealizzabile, no?”.

Nel 2022, la Greison ripropone la stessa domanda, grazie al cambio ai vertici del rettorato dell’ETH, riuscendo, questa volta nel suo intento.

Vediamo, quindi, come anche oggi non sia facile uscire dal buio in cui la società getta molte menti, soprattutto di donna. Possiamo ritenerci soddisfatti del piccolo riconoscimento ottenuto, ma ci rendiamo conto che affinché venga fatto un piccolo passo è necessario insistere tanto, a nostro parere, troppo.

Bibliografia

Alessia Sturniolo

 

Buchi bianchi: quando i quanti incontrano la gravità

L’ipotesi dell’esistenza dei buchi bianchi è un’affascinante scintilla nell’avanguardia scientifica, eppure porta con sé una lunga storia di ricerca.

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Einstein predice i buchi neri

Prima foto scattata di un buco nero (Aprile 2019) Fonte

Il nostro cammino alla loro scoperta inizia dalla teoria della relatività di Einstein, un tassello rivoluzionario nella storia della fisica. Viene introdotto il concetto di spaziotempo che cambia il modo di guardare l’Universo. Il tappeto su cui la nostra realtà galleggia non è più piatto, ma viene deformato dalle masse che vi sono poggiate sopra. Le conseguenze sono paradossali: il tempo non scorre più nello stesso modo in ogni punto, ma più lentamente in prossimità di corpi pesanti.

Il buco nero nasce da questa teoria con il contributo dell’astrofisico Karl Schwarzschild. Si tratta di un corpo di massa enorme, estremamente denso. Il campo gravitazionale da lui generato è così forte da attrarre tutto ciò che lo circonda, persino la luce. Nulla può sfuggirgli e qualsiasi oggetto e particella che gli orbita intorno è destinato a essere inghiottito.

Oggi sappiamo che i buchi neri sono il risultato dall’implosione di masse elevate, come quelle di alcune stelle.

Cosa accade al loro interno?

Struttura di un buco nero Fonte

Sul bordo di questi oggetti esiste una regione, definita orizzonte degli eventi, al di là della quale è impossibile tornare indietro. Superato quel punto non si può che cadere all’interno del buco nero dove la materia viene deformata e compressa in una sfera infinitamente densa e calda, di cui non conosciamo la natura.

Dai buchi neri ai buchi bianchi

La relatività di Einstein si ferma qui ed è in questo punto che si apre il mondo delle ipotesi. Secondo la teoria della gravità quantistica a loop, la contrazione all’interno del buco nero non continuerebbe all’infinito.

Un’idea avanzata dal fisico teorico Carlo Rovelli è che quando la densità della materia, una volta arrivata al suo limite, raggiunge un valore stabilito (detto densità di Plank) si genera una forte pressione repulsiva che ferma il collasso e innesca un’esplosione. In questo momento si genera il buco bianco.

Questo oggetto sprigiona tutta la materia e l’energia assorbite precedentemente in un processo definito rimbalzo.

Questo processo avviene in soli pochi minuti, ma dal nostro punto di vista passano milioni di anni.

Un buco bianco si comporta in modo opposto rispetto al suo generatore. Da esso tutto può uscire, ma nulla può entrare, energia e materia accelerano dall’interno verso l’esterno.

I buchi neri come macchine del tempo

Cunicolo spaziotemporale Fonte

Questa teoria lascia aperte ipotesi affascinanti. Non viene, infatti, escluso che i buchi neri possano fungere da cunicoli spazio-temporali. Ciò vuol dire che attraversandoli si potrebbero raggiungere regioni remote dell’universo, distanti nel tempo e nello spazio, o, addirittura, i presunti universi paralleli. È da precisare, tuttavia, che un viaggio all’interno di un buco nero è impossibile per l’uomo poiché il nostro corpo verrebbe distrutto come il resto della materia che vi entra.

Se tale teoria si rivelasse corretta porterebbe alla scoperta di un punto d’incontro tra la meccanica quantistica e la relatività generale e a una comprensione più profonda dei fenomeni che ci circondano.

Conclusioni

Dopo questo breve viaggio nei punti più remoti dell’universo torniamo a quel ramo della Via Lattea dove la nostra piccola Terra continua a ruotare. Lì degli esseri che contengono dentro sé la vita hanno da poco iniziato a guardare l’universo con degli strani oggetti puntati verso il cielo. Questa esplorazione è appena iniziata per loro e le domande a cui rispondere sono, per fortuna, ancora tante.

Alessia Sturniolo

Bibliografia

 

 

 

 

Il Viaggio nel Tempo: tra finzione e realtà

Il viaggio nel tempo è sempre stato un argomento popolare per la fantascienza ed i suoi adattamenti cinematografici. Ogni film ha le proprie teorie sui viaggi nel tempo.

INDICE

Viaggio nel Tempo: nella finzione di Hollywood

Nella realtà, come si potrebbe viaggiare nel tempo?

Capire il tempo

Teorie alternative sui viaggi nel tempo

Buchi neri

Stringhe cosmiche

Principio di autoconsistenza di Novikov (“Paradosso del nonno”)

Quindi è possibile viaggiare nel tempo?

Viaggio nel Tempo: nella finzione di Hollywood

La maggior parte dei metodi usati nel cinema per viaggiare nel tempo sono teoricamente riconosciuti. Per esempio, in “Interstellar” il protagonista affronta un viaggio di sola andata verso il futuro: il viaggiatore parte, ma le persone che ha lasciato potrebbero invecchiare o essere morte al suo ritorno. Sempre nel medesimo film, ci sono “tesseract” in cui gli astronauti si ritrovano a viaggiare, perché la loro nave rappresenta il tempo in quanto dimensione dello spazio-tempo, costituendo un esempio di viaggio nel tempo muovendosi attraverso dimensioni superiori.

Invece, in “Doctor Who” il TARDIS viaggia in un vortice spazio-temporale per attraversare il tempo, mentre i viaggiatori all’interno percepiscono il tempo scorrere normalmente. Concetto molto diverso dall’iconico “Ritorno al Futuro“, dove la DeLorean, raggiunti gli 88 miglia orari, salta istantaneamente nel tempo. Salto possibile anche rimanendo fermi come avviene in “The Time Machine” o in “Harry Potter” attraverso la Giratempo di Hermione Granger.

Ancora, in “Tenet”, per ogni minuto di viaggio indietro nel tempo, deve trascorrere un minuto, così come per tornare indietro nel tempo di un giorno, devono passare 24 ore (Viaggio lento nel tempo).

In “Superman“, il kryptoniano vola più veloce della luce per tornare indietro nel tempo. Stessa cosa che fa l’Enterprise in “Star Trek“, o che ammiriamo nel fumetto e nella serie TV “The Flash“, dove il velocista scarlatto usa un tapis roulant cosmico per viaggiare nel tempo.

Tuttavia, ci sono metodi difficili da classificare, come in “Terminator“, dove il Time Displacement Equipment mostra come combattere una guerra in quattro dimensioni (tempo compreso). Menzione onorevole al film campione d’incassi “Avengers: Endgame“: gli Avengers viaggiano attraverso il Mondo Quantico, dentro speciali tute dotate di un “gps temporale”, dove si assume che il tempo non scorra come nel mondo reale.

Albero genealogico dei vari tipi di viaggi temporali nei film  ©Jacopo Burgio

Nella realtà, come si potrebbe viaggiare nel tempo?

La realtà, tuttavia, è più contorta. Non tutti gli scienziati credono che il viaggio nel tempo sia possibile. Secondo alcuni, il solo tentativo sarebbe fatale per qualsiasi essere umano che tentasse di intraprenderlo.

Capire il tempo

Mentre la maggior parte delle persone pensa al tempo come ad una costante, il fisico Albert Einstein ha dimostrato che il tempo è un’illusione, è relativo: può variare per diversi osservatori a seconda della loro velocità nello spazio. Secondo lui, il tempo non è altro che la “quarta dimensione“. Lo spazio è un’area tridimensionale, che fornisce le coordinate che descrivono la posizione. Il tempo fornisce un’altra coordinata, la direzione, anche se convenzionalmente si muove solo in avanti.

La teoria della relatività speciale di Einstein dice che il tempo rallenta o accelera a seconda della velocità con cui ci si muove rispetto a qualcos’altro. Avvicinandosi alla velocità della luce, una persona all’interno di un’astronave invecchierebbe molto più lentamente di un suo gemello rimasto a casa. Inoltre, secondo la teoria della relatività generale di Einstein, la gravità può piegare il tempo.

Immaginiamo un tessuto quadridimensionale chiamato spazio-tempo. Quando qualcosa che ha massa si trova su una porzione di tessuto, provoca una “fossetta” o una flessione dello spazio-tempo. Tale flessione fa sì che gli oggetti si muovano su un percorso curvo e quella curvatura dello spazio è ciò che conosciamo come gravità.

Rappresentazione dello spazio-tempo Fonte: LabEx

Sia la teoria della relatività generale che quella speciale sono state dimostrate con la tecnologia satellitare GPS, che ha a bordo orologi atomici molto precisi. Gli effetti della gravità, così come la maggiore velocità dei satelliti orbitanti attorno alla Terra rispetto agli osservatori a terra, fanno sì che gli orologi, non regolati, guadagnino 38 microsecondi al giorno.

Questo effetto, chiamato dilatazione del tempo, sta a significare che gli astronauti effettivamente viaggiano nel tempo e tornano sulla Terra leggermente più giovani dei loro gemelli identici che rimangono sul pianeta. Quindi, si potrebbe viaggiare solo in avanti nel tempo.

Teorie alternative sui viaggi nel tempo

Mentre le teorie di Einstein sembrano rendere difficile il viaggio nel tempo, alcuni gruppi hanno proposto soluzioni alternative per saltare avanti e indietro nel tempo.

Buchi neri

Secondo la relatività generale, avvicinandosi ad un buco nero, il tempo rallenta sempre di più, dato che esso possiede un’enorme massa gravitazionale. Quindi, se spostassimo rapidamente una nave attorno ad un buco nero, o creassimo artificialmente questa condizione con un’enorme struttura rotante, si potrebbe viaggiare nel futuro. Tuttavia, l’equipaggio dovrebbe viaggiare alla velocità della luce affinché funzioni.

Stringhe cosmiche

Si tratta di stretti tubi di energia estesi per tutta la lunghezza dell’universo in continua espansione. Si prevede che queste regioni sottili, lasciate dal cosmo primordiale, contengano enormi quantità di massa, quindi potrebbero deformare lo spazio-tempo intorno ad esse. Le stringhe cosmiche sono infinite o in loop, senza fine. L’avvicinamento di due di tali stringhe, parallele l’una all’altra, piegherebbe lo spazio-tempo in modo così vigoroso e in una configurazione così particolare da rendere possibile il viaggio nel tempo.

Principio di autoconsistenza di Novikov (“Paradosso del nonno”)

Il principio afferma, in sostanza, che il passato è immutabile. Più precisamente, in un anello temporale chiuso, gli eventi devono essere determinati non solo dagli eventi passati, ma anche da quelli futuri: per questo motivo è impossibile impedire un evento già avvenuto dal suo futuro; tutt’al più si può far sì che si verifichi.

Un classico esempio è il paradosso del nonno, in cui un viaggiatore del tempo torna indietro ed uccide i suoi genitori, o suo nonno, o altrimenti interferisce nella loro relazione; così lui non potrebbe essere mai nato, o la sua vita sarebbe cambiata per sempre.

Se ciò accadesse, secondo alcuni fisici, non si creerebbe una linea temporale alternativa, quindi non saresti nato in un universo parallelo, ma andando nel passato andresti in un altro universo diverso dal quello in cui sei nato (non potresti influenzare la tua nascita). Secondo altri, i fotoni che compongono la luce preferiscono l’autoconsistenza nelle linee temporali, ciò ci fa capire che il viaggio nel passato è vietato/impossibile.

Illustrazione del paradosso ©Jacopo Burgio

Gli esseri umani potrebbero non essere in grado di resistere affatto al viaggio nel tempo. Viaggiare quasi alla velocità della luce sarebbe letale. Anche l’uso della gravità sarebbe mortale. Per sperimentare la dilatazione del tempo, si potrebbe stare in vicinanza ad una stella di neutroni, ma le forze che una persona sperimenterebbe la farebbero a pezzi.

Quindi è possibile viaggiare nel tempo?

Anche se il viaggio nel tempo non sembra possibile con la fisica che conosciamo oggi, il campo è in continua evoluzione. I progressi delle teorie quantistiche potrebbero forse fornire una certa comprensione di come superare i paradossi del viaggio nel tempo.

Una possibilità potrebbe essere risolvere il mistero di come certe particelle riescano a comunicare istantaneamente tra loro, più velocemente della velocità della luce. Nel frattempo, tuttavia, i viaggiatori appassionati al tempo possono almeno sperimentare il viaggio indirettamente, attraverso i libri e il mondo del cinema.

GREAT SCOTT!

Gabriele Galletta

Interstellar: un viaggio nello spazio tempo, tra fisica e fantascienza

L’amore per la fisica di Nolan ritorna con Interstellar. Ma avrà commesso errori scientifici anche questa volta?

Christopher Nolan, lo sappiamo, nella fisica ci sguazza. E con Interstellar è voluto andare oltre. Si, perché ha coinvolto addirittura Kip Thorne, premio Nobel per la fisica nel 2017 per la scoperta delle onde gravitazionali. Quindi sarà fisicamente perfetto, direte voi… Non esattamente, perché, in genere, dove comincia Hollywood si ferma la fisica.

Siamo sulla Terra, dove una calamità naturale ha stravolto l’ecosistema, tanto da permettere come unica coltivazione quella del mais, mettendo così a rischio la sopravvivenza del genere umano. La NASA ha riscontrato vicino all’orbita di Saturno un cunicolo spazio-temporale, il cosiddetto wormhole, che si pensa sia stato creato da esseri penta-dimensionali. Esso, teoricamente, conduce da tutt’altra parte dell’Universo, precisamente vicino ad un gigantesco buco nero, Gargantua, attorno a cui orbitano ben dodici pianeti, che si spera possano ospitare la vita. La NASA decide così di inviare, nella missione spaziale Lazarus, dodici scienziati, uno per pianeta, per riportare dati sulla loro abitabilità.

Il protagonista è Joseph Cooper (Matthew McConaughey), ingegnere ed ex pilota della NASA, ridottosi a gestire delle piantagioni di mais. Durante una tempesta di sabbia, Cooper nota sul pavimento della camera di sua figlia Murph delle strisce di sabbia ben definite. Egli intuisce subito che si tratta di un codice binario che cela delle coordinate geografiche. Seguendo queste indicazioni giunge, insieme alla figlia dodicenne, ad una base NASA, dove il professor Brand gli mostra i dati ricevuti dagli scienziati della missione Lazarus, iniziata più di dieci anni prima. Cooper, nonostante le resistenze di Murph, parte quindi in missione per verificare la vivibilità di tre dei dodici pianeti.

Tutto il film si basa sull’esistenza del wormhole. Ma che cos’è, in fisica, un wormhole?

Il wormhole Lorentziano, o ponte di Einstein-Rosen, è una scorciatoia, un cunicolo, che per l’appunto squarcia lo spazio-tempo e unisce due punti remoti dell’Universo. Il wormhole dovrebbe essere composto da un buco nero d’entrata, che assorbe tutta la materia a sé circostante, e un buco bianco d’uscita, che al contrario la emette. Interessante a leggersi, ma abbiamo prove certe della loro esistenza? Purtroppo no. Infatti, mentre i buchi neri si basano su solide teorie e riscontri sperimentali (per i quali Penrose, Genzel e Ghez hanno vinto il premio Nobel per la fisica nel 2020, ne parliamo qui), i buchi bianchi costituiscono ancora una mera speculazione.

I primi wormhole attraversabili, che rispettano la Relatività Generale, furono ipotizzati per la prima volta proprio da Kip Thorne, consulente scientifico del film, e da un suo studente, Mike Morris (essi infatti presero il nome di wormhole di Thorne-Morris). Questo tipo di wormhole, tuttavia, pur essendo ammissibile nella Relatività Generale, richiederebbe la presenza di un particolare tipo di materia esotica con densità negativa di energia. Si presume, inoltre, che alcuni paradossi circa i viaggi nel tempo, insiti nella relatività generale, comportino l’irrealizzabilità dei viaggi tramite wormhole.

Quindi, per il momento, più che di scienza stiamo parlando di fantascienza.

Ma Cooper e la sua navicella, l’Endurance, attraversano comunque il fantomatico wormhole e arrivano nei pressi di Gargantua. Il film offre a questo punto una rappresentazione molto realistica di un buco nero supermassiccio, tanto da valergli il premio Oscar per gli effetti speciali, oltre che uno straordinario sforzo da parte degli scienziati.

Arrivano quindi sul pianeta di Miller, uno dei dodici scienziati della missione Lazarus. Distruttivi moti ondosi imperversano sulla superficie del pianeta, ricoperta unicamente da acqua. Questi moti ondosi sono prodotti dalla forte attrazione gravitazionale di Gargantua. Talmente forte, però, che avrebbe dovuto attrarre a sé, inesorabilmente, la stessa Endurance. Inoltre, come se non bastasse, nel film viene sottolineato come un’ora passata sul pianeta di Miller corrisponda a sette anni passati sulla Terra. Questo è un errore: infatti, affinché ciò si realizzi, il pianeta dovrebbe essere così vicino al buco nero da venirne irrimediabilmente risucchiato e, di conseguenza, distrutto.

Ma un’altra domanda sorge spontanea: qual è la fonte di calore di questi pianeti? Non c’è nessuna stella attorno ad essi. Come la Terra viene riscaldata dai raggi del Sole, anche i pianeti che orbitano attorno a Gargantua dovrebbero godere del calore di una Stella per permettere la vita: così non è, risultando freddi e inospitali.

Dopo mille peripezie, comunque, Cooper decide di entrare dentro Gargantua. Ma nella realtà dei fatti, non è possibile. L’incredibile forza di gravità di un buco nero comporterebbe un fenomeno chiamato spaghettificazione che, come suggerisce il nome, fa sì che un corpo, superato l’orizzonte degli eventi, si disintegri, tanto da ridursi alle dimensioni di uno spaghetto. Anche se decidessimo di ignorare questo fenomeno, saremmo comunque soggetti ad una spaventosa e letale dose di radiazioni fortemente energetiche (raggi X e raggi gamma), che non ci lascerebbero scampo. Infine, una forza gravitazionale così intensa, in pratica, fermerebbe il tempo! Quindi Cooper, una volta entrato nel buco nero, morirebbe di vecchiaia senza raggiungerne mai il centro. Ma andiamo oltre e parliamo del tesseract, un evergreen dei film di fantascienza.

Cooper giunge in una struttura a cinque dimensioni, il tesseract. Si accorge molto presto, però, che questa è una proiezione penta-dimensionale della stanza di sua figlia Murph. Capisce così che può inviare dei dati nel passato, per convincere sé stesso prima della partenza a restare a casa. Invia infine i dati relativi al buco nero a Murph, che nel frattempo è diventata una brillante fisica, affinché possa utilizzarli per risolvere l’annoso problema della sopravvivenza sulla Terra. Che sia una cosa tecnicamente irrealizzabile è chiaro, ma le motivazioni fisiche di ciò sono radicate nella teoria, più precisamente nei paradossi insiti nella stessa.

Facciamo finta che io inventi la macchina del tempo. Torno indietro nel passato e uccido mio nonno prima che possa nascere mio padre. Come ho fatto a nascere, inventare la macchina del tempo e uccidere mio nonno? Intrigante, vero? Benvenuti nel magico mondo dei viaggi nel tempo.

Il film si conclude con la visione di una stazione spaziale che sfrutta la penta-dimensionalità, realizzata grazie agli studi di Murph basati sui dati di Cooper.

Nonostante gli errori scientifici, la simulazione del buco nero ha rappresentato una delle più veritiere rappresentazioni mai realizzate. Saremo in grado di viaggiare nello spazio e nel tempo? Riusciremo, un giorno, a sfruttare i wormhole per raggiungere i posti più remoti dell’Universo? Non possiamo ancora saperlo, la scienza è ancora troppo giovane. Ma sognare non costa nulla.

Giovanni Gallo

Giulia Accetta

Premio Nobel per la Fisica 2020: dalle galassie ai buchi neri

Stoccolma, 6 ottobre: il premio Nobel per la Fisica 2020 conferma ancora le teorie di Einstein.

Quest’anno la Reale Accademia di Svezia premia gli scienziati Roger Penrose, Reinhard Genzel e Andrea Ghez per i loro contributi al misterioso mondo dell’astrofisica. Tra galassie e buchi neri, curiosiamo un po’ più a fondo nei loro lavori.

Il contributo di Penrose

Pensatore libero, anticonvenzionale ed eclettico, Roger Penrose è un matematico e cosmologo inglese, vincitore del 50% del premio Nobel per la Fisica 2020 grazie ai suoi studi del 1965. Grazie a dei brillanti metodi matematici è riuscito a provare che la formazione dei buchi neri è una solida previsione della teoria della relatività generale. Egli ha dimostrato che, al centro dei buchi neri, la materia si addensa inesorabilmente a tal punto da divenire una singolarità puntiforme con densità infinita. Ha compreso anche che i buchi neri rotanti possono liberare enormi quantità di energia, sufficienti a spiegare l’emissione delle più potenti sorgenti di radiazione dell’universo, quali i quasar e i lampi di raggi gamma.

Prima fotografia di un buco nero.

Ma cos’è, in effetti, un buco nero?

Per provare a comprendere un concetto così complesso, esploriamo quanto teorizzato dal celebre Albert Einstein con la teoria della relatività generale del 1916. Essa si basa sul modello matematico dello spaziotempo elaborato da Minkowski, che ha introdotto la struttura quadridimensionale dell’universo: la posizione di ogni punto viene individuata non soltanto dalle tre coordinate dello spazio, ma anche dal tempo. In questo senso, ogni punto dello spaziotempo rappresenta un vero e proprio evento, verificatosi in un dato luogo ed in un preciso momento.

Abbandoniamo quindi le idee newtoniane di spazio e tempo assoluti e distinti e immaginiamo lo spaziotempo come una sorta di “tessuto universale”, in cui sono immersi tutti i corpi celesti esistenti. Questi, per definizione, possiedono una certa massa, proprietà fondamentale affinché si generi attrazione gravitazionale (e quindi un campo) sui corpi vicini. L’intuizione chiave di Einstein fu che un campo gravitazionale curvi lo spaziotempo. Più un corpo è massiccio, più è forte il suo campo gravitazionale, maggiori sono la deformazione che causa ed i condizionamenti che impone al moto dei corpi vicini.

Un buco nero è quindi una concentrazione di massa talmente imponente da far collassare lo spaziotempo su se stesso in un unico punto, chiamato singolarità. Attorno a questo si trova una porzione di spazio delimitata dal cosiddetto orizzonte degli eventi. Una volta oltrepassato tale confine, non c’è alcun modo né per la materia, né per le radiazioni, di sfuggire all’attrazione gravitazionale. Per scamparvi, infatti, dovrebbero raggiungere una velocità infinita.

Un po’ complicato? Per avere un’idea di ciò che accade, immaginiamo di lasciar scivolare una sfera su un telo elastico. Intuitivamente, esso cederà a delle deformazioni. Se adesso aggiungessimo un’altra sfera di massa minore, noteremmo che le curvature sarebbero trascurabili rispetto a quelle generate dal primo corpo. Il secondo, inoltre, essendo più leggero, tenderebbe a convergere sempre più velocemente verso il primo, il che è un po’ quello che accade ai corpi celesti che orbitano attorno al buco nero.

Deformazione dello spaziotempo a seconda della massa.

I lavori di Genzel e Ghez

I buchi neri sono fenomeni tra i più potenti e affascinanti dell’intero Universo. Viene da chiedersi dove sia il buco nero più vicino a noi, quanto sia esteso o quanto siamo distanti dal suo orizzonte degli eventi. I due scienziati Genzel e Ghez hanno risposto a queste domande.

Se dobbiamo a Penrose la dimostrazione teorica dell’esistenza dei buchi neri, è invece merito degli scienziati Genzel e Ghez il contributo sperimentale alla loro osservazione. Il tedesco Reinhard Genzel e la statunitense Andrea Ghez, vincitori del restante 50% del premio, hanno studiato per oltre due decadi il comportamento delle stelle situate in prossimità del centro della Via Lattea. In questa zona, nascosta alla vista da una densa nube di polveri interstellari, hanno visto come le stelle danzino attorno ad un buco nero supermassiccio, Sagittarius A*, un mostro di massa pari a 4 milioni di volte quella del Sole.

Ma c’è di più: la necessità di misure sempre più precise ha portato alla creazione di strumenti di tecnologia all’avanguardia, come il Very Large Telescope in Cile o l’interferometro infrarosso Gravity, grazie ai quali l’Europa detiene un ruolo da protagonista nel panorama della grande ricerca scientifica internazionale.

                             ESO’s Very Large Telescope (VLT) 

La scelta di assegnare il premio Nobel a questi lavori riconferma ancora oggi l’importanza e la validità della teoria della relatività di Einstein. Stuzzica l’immaginario collettivo sulla complessità ed il fascino del cosmo, fonte inesauribile di scoperte ed altrettanti interrogativi. Quindi naso all’insù ed occhi fissi alle stelle: i misteri del nostro Universo sono ancora tutti da scoprire.

Giulia Accetta

Giovanni Gallo

La Scienza di Star Trek tra Teletrasporto e Viaggio Interstellare

Le avventure di Star Trek sono davvero uno spettacolo di scienza o soltanto un mix di fantascienza senza senso? Sarà possibile arrivare a realizzare le fantastiche innovazioni che abbiamo ammirato sia nella serie originale che nei programmi successivi, o si tratta di fantasie hi-tech ideate per trascendere la realtà

In Star Trek la scienza fa spesso da fondamento alla trama: la tecnologia è essenziale per i membri dell’equipaggio della “USS Enterprise”, affinché riescano a svolgere il loro compito. “Star Trek è scritto in modo abbastanza intelligente ed è più fedele alla scienza di qualsiasi altra serie di fantascienza mai mostrata in televisione“, ha dichiarato il fisico David A. Batchelor.

Un delicato equilibrio tra l’accuratezza scientifica e il rischio di commettere imprecisioni è costante nello spettacolo, aspetto caratterizzante di tutti gli episodi. Ecco spiegate alcune delle tecnologie standard di Star Trek, più o meno in ordine crescente di “incredibilità scientifica”.

Dispositivi di occultamento (Invisibilità)

Ad oggi esistono dispositivi di occultamento rozzi, che consistono in ingombranti strati di meta-materiali i quali possono nascondere solo piccoli oggetti dalla visibilità, in una gamma limitata di colori. Nuove varietà di meta-materiali produrranno senza dubbio effetti migliori, ma allo stato attuale non sembrano in grado di fornire una completa invisibilità.

Una foto di come appaino i meta-materiali Fonte:coscienza-universale.com

Trasportatore (Teletrasporto)

Non abbiamo ancora la minima idea di come costruire un trasportatore simile a quello che osserviamo in azione durante gli episodi di Star Trek. Questo dispositivo sfrutta un raggio che viene irradiato da un punto A a un punto B, dove si ferma precisamente e ricostruisce il soggetto trasportato. Tutti gli atomi e le molecole rimaterializzati appaiono così nella posizione corretta e adesi tra loro, come se non fosse avvenuta alcuna smaterializzazione.
Ma, nel rimaterializzarsi, come mai tutto rimane integro quando una folata di vento, così come la costante forza di gravità, dovrebbero disturbare i singoli atomi? Nessuna legge fisica dà oggi un indizio su come ciò potrebbe essere anche solo pensabile. Il massimo che è stato ottenuto finora è teletrasportare un piccolo numero di atomi e fotoni, al fine di sviluppare i computer quantistici.

Propulsione a curvatura

La capacità di manipolare lo spazio è il concetto più importante della velocità di curvatura. Nell’universo di Star Trek, essa è ottenuta tramite l’uso di una trasmissione a curvatura. Questa reazione crea del plasma altamente energetico (elettro-plasma), dotato di un proprio campo magnetico e che reagisce con le bobine di curvatura dell’astronave. Le bobine di curvatura sono tipicamente racchiuse in una navicella di curvatura. Il tutto genera un “campo di curvatura” o “bolla” attorno all’Enterprise, consentendo alla nave e al suo equipaggio di rimanere al sicuro mentre lo spazio si manipola.

Questo modello di viaggio spaziale implica l’allungamento del tessuto dello spazio-tempo in un’onda che fa contrarre lo spazio davanti a un oggetto, mentre quello dietro di esso si espande. E’ un po’ come se tale oggetto tirasse la sua destinazione verso di sé, mentre spinge indietro il suo punto di partenza. L’oggetto dovrebbe quindi essere in grado di “cavalcare” questa regione di spazio piatto.

Schema propulsione a curvatura Fonte: How Staff Works

La Metrica di Alcubierre

Questo modello rientra nella “Metrica di Alcubierre”, la quale, interpretata nel contesto della Relatività Generale, prevede che una bolla di curvatura possa formarsi in una regione precedentemente piatta dello spazio-tempo e allontanarsi a delle velocità che superano quella della luce. L’interno della bolla costituisce il sistema di riferimento inerziale per qualsiasi oggetto che la abita.

Sostanzialmente la nave non si muove all’interno di questa bolla, ma viene trasportata mentre la regione stessa si muove. Gli effetti relativistici convenzionali, come la dilatazione del tempo, non si applicherebbero. Quindi, le regole dello spazio-tempo e le leggi della relatività non sarebbero violate nel senso convenzionale.

Questo metodo non si basa su un movimento più veloce della luce in senso stretto, poiché un raggio di luce all’interno di questa bolla si muoverebbe sempre più velocemente della nave. È invece “più veloce della luce” nel senso che la nave raggiunge la sua destinazione più velocemente di un raggio di luce che viaggia fuori dalla bolla di curvatura.

Metrica di Alcubierre Fonte: Çetin BAL

Ma è davvero possibile costruire un’astronave del genere?

Il fisico Miguel Alcubierre ha suggerito l’uso della cosiddetta “materia esotica“, un tipo teorico di materia con energia negativa. Se potesse essere scoperta o creata, la materia esotica potrebbe respingere lo spazio e il tempo e creare un campo gravitazionale.

Le difficoltà

Per prima cosa, non esistono metodi noti per creare una bolla di curvatura di questo tipo in una regione dello spazio che non ne contenga già una. In secondo luogo, supponendo che ci sia un modo per generare tale bolla, non esiste ancora alcun modo noto per abbandonarla una volta entratici. Di conseguenza, la “Metrica di Alcubierrerimane, almeno fino a questo momento, solo una teoria.

Nel 2012 l’Advanced Propulsion Physics Laboratory della NASA (Eagleworks) ha annunciato di aver iniziato a condurre esperimenti per capire se un “motore a curvatura” fosse effettivamente realizzabile. Durante il progetto è stato sviluppato un interferometro per rilevare le distorsioni spaziali prodotte dall’espansione e dalla contrazione dello spazio-tempo della Metrica. Nel 2013 sono stati pubblicati i risultati del loro test sul campo di curvatura, durato 19,6 secondi in condizioni di vuoto, ma tali risultati sono stati inconcludenti.

Attualmente una tecnologia del genere sembra ancora possibile e i tentativi di provare il contrario sono stati finora infruttuosi. Come possiamo però ambire a diventare una specie interstellare, quando tutte le sperimentazioni necessarie richiederebbero secoli?
Per fortuna, come la storia ci ha insegnato, ciò che è considerato impossibile cambia nel tempo.

Conclusione

Star Trek è una divertente combinazione di scienza reale e scienza immaginaria. La scienza reale rappresenta lo sforzo di omaggiare le più grandi conquiste dell’umanità, mentre la scienza immaginaria è un campo di gioco che espande e stimola la mente.
Si tratta senz’altro dell’unica serie di fantascienza realizzata con un grande rispetto per la vera scienza e per la scrittura intelligente.

 

Live long and prosper 🖖

Gabriele Galletta

La Fisica di Star Wars #2: spade laser e Rotta di Kessel

Benvenuti in questo secondo episodio dedicato alla galassia lontana lontana, bando alle ciance andiamo a vedere le lightsabers e la rotta di Kessel.

Lightsabers

Le prime forme dell’arma erano conosciute come “protosabers” che richiedevano pacchi batteria, collegati all’elsa della lightsaber, attaccati a cinture indossate dai Jedi. Non erano l’ideale in quanto limitavano i movimenti dei Jedi durante il combattimento.

I componenti necessari per il funzionamento della lightsaber sono contenuti nell’elsa, il cuore dell’arma. Qui accade tutta la fisica, o forse la magia. Contiene le celle di potenza e vari altri componenti che puoi vedere nella foto sotto.

Descrizione di come l’energia delle cellule di potenza è diretta attraverso una serie di lenti di focalizzazione ed energizzatori che convertono l’energia in plasma. Fonte: Starwars Fandome

Si dice che le lightsabers siano composte da laser. Tuttavia, l’utilizzo dei laser solleva diversi problemi.

Qualcosa che rifletta la fine del raggio

Se avessi una spada laser, non esisterebbe un modo per “fermare” il raggio a una certa lunghezza. Andrebbe avanti e taglierebbe tutto lungo suo cammino. Sono in corso ricerche che sfruttano le leggi della meccanica quantistica e della relatività per fermare la luce per un breve periodo di tempo, ma non sarà ancora pratico in quanto si tratterebbe di un effetto temporaneo.

I laser non si scontrano

L’altro problema con i laser è che i fotoni non hanno massa. Se due fasci di luce si attraversassero, questi non si scontreranno, si incroceranno e continueranno a tagliare tutto.

Nella foto della cella di potenza nell’elsa ho menzionato il plasma. Il plasma è il quarto stato della materia, è un gas ionizzato superhot, il che significa che il gas diventa così caldo e/o così eccitato che gli elettroni perdono il legame con il loro atomo, rendendo il gas altamente conduttivo.

La spada laser al plasma ha diversi problemi legati a temperatura e incontrollabilità. Il plasma è altamente conduttivo, quindi grazie alle leggi dell’elettromagnetismo di Maxwell possiamo controllarne la forma con un campo elettromagnetico, degli scienziati in Francia stanno cercando di controllarlo tramite la fusione nucleare.

Quando due lame al plasma entrano in contatto diretto, quasi certamente si verifica una riconnessione magnetica, provocando un rilascio esplosivo del plasma delle spade.

Eulero e Heisenberg dimostrarono che, per intensità sufficientemente elevate, la luce può effettivamente interagire con se stessa (effetto dovuto alle fluttuazioni quantistiche del vuoto).

Fonte di alimentazione compatta e abbastanza potente

L’energia necessaria per alimentare qualcosa di così potente richiederebbe una grande batteria. Non qualcosa di portatile. Per renderla abbastanza potente avresti bisogno di 15 MWh di energia, quanto basta per alimentare una piccola città.

Utilizzando tecniche di laser ad altissima intensità, è stato dimostrato che è necessaria un’incredibile quantità di energia per alimentare una simile spada laser. Se la fonte di energia fosse la fusione nucleare, una simile spada laser richiederebbe 1011 kg di combustibile per funzionare per un minuto.

E’ possibile nel mondo naturale della scienza replicare questo pezzo di armamento?

Il fisico teorico Michio Kaku nel suo libro ‘La fisica dell’impossibile’ ne parla brevemente. Crede che in questo secolo saremo abbastanza avanzati con la nostra nanotecnologia per fare grandi progressi nel campo delle batterie. Suggerisce di usare come lama un’asta telescopica in ceramica resistente al calore. Ci consentirebbe di esercitare il potere del plasma e quindi realizzare una spada laser che non violerà nessuna legge della fisica.

Rotta di Kessel

Mai sentito il famoso vanto di Han Solo secondo cui il Millennium Falconha fatto la rotta di Kessel in meno di 12 parsec“? Pochi sanno che da una prospettiva astronomica non aveva senso. Un Parsec è un’unità di distanza, non di tempo.

Perché Solo dovrebbe usarlo per spiegare la velocità del Millenium Falcon?

Ci sono due teorie. La prima è che la frase detta da Solo contenesse un errore di terminologia. La seconda è molto più interessante: quando Obi-Wan si è seduto di fronte ad Han Solo in quella cantina angusta, avrebbe incontrato un viaggiatore del tempo.

Cos’è il parsec?

Coniato dall’astronomo britannico Herbert Hall Turner, il termine “parsec” viene da “parallasse” e “secondo“, 1 parsec di distanza equivale a 3,26 anni luce (3,08×1016 metri).

The Essential Atlas, la rotta di Kessel era un percorso di 18 parsec (59 anni luce), utilizzato dai contrabbandieri per aggirare i blocchi imperiali, il cui percorso viaggia attorno a “The Maw“, un ammasso di buchi neri.

Perché Solo dovrebbe descrivere la velocità con cui ha viaggiato usando la distanza?

Per ridurre la distanza percorsa, i piloti dovrebbero aggirare pericolosamente i bordi dei buchi neri, cercando di evitare la spaghettificazione. Se Solo era un pilota abbastanza abile da volare abbastanza vicino ai buchi neri, e tagliare quasi 20 anni luce, allora la sua nave era davvero veloce.

Immagine della Rotta di Kessel Fonte: Slashgear

Essendo in grado di ballare attorno alle singolarità (buchi neri), il Millennium Falcon si afferma come una nave veloce e il vantarsi di Solo ha senso. Ma questo solleva un problema più intrinseco: la rotta Kessel copriva quasi 40 anni luce di cosmo. Se Star Wars seguisse le leggi della fisica, prendere quella rotta cambierebbe la cronologia della vita di Han Solo.

In A New Hope, Solo stabilisce che il Millennium Falcon può andare “0,5 oltre la velocità della luce“, accendendo la speranza per un’argomentazione scientificamente accurata. La velocità della luce è il limite di velocità universale e niente può superarla.

Viaggio nel tempo

Poiché la rotta di Kessel accorciata copre 12 parsec (39,6 anni luce), una nave che viaggia quasi alla velocità della luce impiegherebbe poco più di 39,6 anni per arrivarci. Considerando la dilatazione del tempo, chiunque guardasse la rotta di Kessel avrebbe visto Solo accelerare per 40 anni, ma Solo stesso avrebbe vissuto solo poco più di mezza giornata. Nel tempo necessario a Han per completare solo una rotta di Kessel, nel resto della galassia passano 40 anni.

C’è la scappatoia dell’azionamento a curvatura. Se riesci a percorrere una distanza minore piegando lo spazio stesso, non c’è problema di dilatazione del tempo. Ma un dispositivo di azionamento a curvatura non è mai menzionato esplicitamente in Star Wars.

Come potrebbe funzionare una simile rotta di contrabbando? Chi ha la lungimiranza di contrabbandare qualcosa che l’altra parte non vedrà per 40 anni? E immagina come funzionerebbe per il contrabbandiere. Parte per una rotta Kessel, e 16 ore dopo torna per scoprire un mondo cambiato.

“May the Force be with You, Always!”

 

Gabriele Galletta

Fusione nucleare: le frontiere dell’energia per un mondo sostenibile

Eccoci con l’ultimo articolo della nostra serie sulle energie rinnovabili. Oggi parleremo di una delle, se non della più discussa forma di energia ossia, l’energia nucleare.

Le centrali nucleari sfruttano l’uso di reazioni nucleari che rilasciano energia nucleare per generare calore, che più frequentemente viene utilizzato nelle turbine a vapore per produrre elettricità in una centrale nucleare. L’energia nucleare può essere ottenuta da fissione nucleare, decadimento nucleare e reazioni di fusione nucleare. Attualmente, la stragrande maggioranza dell’elettricità prodotta dall’energia nucleare è prodotta dalla fissione nucleare di uranio e plutonio che però ha evidenti problemi di sicurezza (basti pensare ai disastri di Chernobyl e Fukushima) e relativi allo smaltimento delle scorie radioattive. I processi di decadimento nucleare sono utilizzati in applicazioni di nicchia come i generatori termoelettrici a radioisotopi; usati principalmente nel campo dell’esplorazione spaziale dalle missioni Apollo in poi. La generazione di elettricità dalla potenza di fusione rimane al centro della ricerca internazionale. In quest’articolo parleremo principalmente di quest’ultima.

Generatore termoelettrico a radioisotopi

Fusione nucleare

La fusione nucleare è una reazione che spinge due o più nuclei atomici ad avvicinarsi al punto da unirsi e fondersi (superando la repulsione elettromagnetica), creando uno o più nuclei atomici e particelle subatomiche differenti (neutroni o protoni). La differenza di massa tra i reagenti e i prodotti, se vengono usati elementi fino al numero atomico 28 (nichel), si manifesta come rilascio di energia (reazione esotermica), se invece si usano elementi successivi, si manifesta come assorbimento di energia (reazione endotermica). Questa differenza di massa sorge a causa della differenza di “energia di legame” atomica tra i nuclei atomici prima e dopo la reazione.

La fusione è il processo che alimenta le stelle attive o “sequenza principaleo altre stelle di grande magnitudine. Proprio grazie all’energia irradiata dalle stelle durante il processo di reazione, queste possono brillare di luce propria e impedisce alle stesse di collassare sotto la propria forza di gravità.

Nella fusione nucleare la massa e l’energia sono legate dalla teoria della relatività ristretta di Albert Einstein secondo l’equazione (leggermente famosa): E=mc2

In questo tipo di reazione il nuovo nucleo costituito e il neutrone liberato hanno una massa totale minore della somma delle masse dei nuclei reagenti, con conseguente liberazione di un’elevata quantità di energia, principalmente energia cinetica dei prodotti della fusione.

Affinché avvenga una fusione, i nuclei devono essere sufficientemente vicini, in modo che la forza nucleare forte predomini sulla repulsione coulombiana (i due nuclei hanno carica elettrica positiva, si respingono): ciò avviene a distanze molto piccole, dell’ordine di qualche femtometro (10−15 metri). L’energia necessaria per superare la repulsione coulombiana può essere fornita ai nuclei portandoli ad altissima pressione (altissima temperatura, circa 10⁷ kelvin, e/o altissima densità).

Schema della fusione che avviene nelle stelle

Si intuisce dunque che la temperatura raggiunta durante la reazione sia paragonabile a quella delle stelle e analogamente  non abbiamo la tecnologia per sopportare tali temperature. Per sopportarle dovremmo spendere più energia di quanta prodotta e quindi il bilancio energetico sarebbe negativo e non converrebbe. Questo bilancio energetico, in passato, veniva calcolato in base al criterio di Lawson. Al giorno d’oggi esiste una rivisitazione in chiave moderna che si basa sul criterio di ignizione.

Nuove frontiere in sperimentazione

In questo momento il reattore più avanzato è ITER che sfrutta una configurazione tokamak per confinare il plasma, cioè le particelle che producono la reazione e quindi il calore, lontano dalle pareti del reattore, per non farle fondere, grazie a un campo magnetico. Tecnologia già vista (ovviamente non a quei livelli), per darvi un esempio, nel reattore Arc di Iron Man (eroe della Marvel).

Reattore Tokamak
Reattore Arc di Iron Man

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fin ora abbiamo parlato della fusione “a caldo”, ma il futuro del nucleare non risiede qui, ma bensì nella tanto curiosa e polemizzata, fusione a freddo.

Fusione a freddo

Il 23 marzo 1989, l‘Università dello Utah, negli Stati Uniti, annunciò i risultati di un esperimento condotto da due professori di elettrochimica, Martin Fleischmann e Stanley Pons. In un dispositivo da tavolo hanno ottenuto reazioni di fusione nucleare tra nuclei deuterio (isotopo pesante dell’idrogeno) a livelli di energia molto bassi e la generazione di energia termica in eccesso inspiegabile senza emissioni di radiazioni potenzialmente pericolose, il che era abbastanza inaspettato.

Cella elettrolitica di Fleischemann e Pons

Il dispositivo era sostanzialmente una cella elettrolitica, ossia un contenitore in vetro riempito con acqua pesante (cioè acqua in cui l’idrogeno è sostituito dal deuterio) in cui erano immersi due elettrodi: facendo passare della corrente attraverso la cella, l’acqua si scomponeva nei suoi costituenti, ossigeno e deuterio. I due scienziati dissero di aver tenuto acceso il loro sole per alcuni giorni, continuando a far circolare la corrente elettrica e rimboccando di tanto in tanto la cella di acqua, e di aver osservato degli occasionali e improvvisi aumenti di temperatura del liquido. Che, spiegarono, non erano imputabili a reazioni chimiche note, ma per l’appunto, a un meccanismo in cui due nuclei di deuterio si fondevano insieme formando un nucleo di elio (l’isotopo 3He), la liberazione di un neutrone e l’emissione di raggi gamma. Quindi una fusione nucleare.

In realtà il livello di energia era enormemente superiore a quello normalmente attribuito a fenomeni esotermici (sia chimici che fisici) prevedibili in quel tipo di esperimento.

Tale esperimento è stato ripetuto con successo alternato in molti laboratori in tutti i paesi del mondo. Fallimenti e mancanza di riproducibilità in vari esperimenti hanno generato un diffuso scetticismo su questo fenomeno, che ha rapidamente sostituito l’eccessivo interesse mostrato immediatamente dalla comunità scientifica.

Confinamento Muonico

Un altro modo per realizzare la fusione a freddo è il confinamento muonico. Il muone è una particella dotata di una massa pari a circa 200 volte quella dell’elettrone e possiede una durata della vita media di circa 2,2 milionesimi di secondo. Tale particella, nel disintegrarsi, converte il 99,5% della sua massa in energia. La prima verifica sperimentale di questo fenomeno fu eseguita nel 1957 da Luis Alvarez a Berkeley, ma verifiche approfondite dimostrarono poi che la quantità di energia prodotta, seppur inconfutabilmente prodotta, era molto piccola, poiché il muone riusciva a catalizzare, al più, una sola reazione prima di disintegrarsi.

Ad oggi, le ricerche sullo sfruttamento delle potenzialità di questa particella nell’intervallo di temperature che va da -260°C a 530°C, ha portato all’interessante risultato di circa duecento fusioni per ogni muone, un valore comunque ancora troppo basso visto che è appena sufficiente a compensare l’energia di alimentazione dello stesso reattore muonico.

Conclusioni

Vent’anni dopo quel primo esperimento di Fleischmann e Pons, tuttavia, la ricerca sulla fusione fredda ha fatto notevoli passi avanti, sia sperimentali che teorici, in modo che questa scienza empirica abbia riacquistato credibilità. Oggi esiste un settore della fisica della materia condensata nucleare, noto come LENR (Low Energy Nuclear Reactions).

Questo tipo di energia è tutt’ora molto discusso e preso di mira dalle varie società scientifiche, ma come abbiamo visto le possibilità sono enormi e ci sarebbe la possibilità di creare una fonte di energia completamente pulita e rinnovabile, senza i rischi, che sappiamo tutt’ora presenti nella fissione nucleare.

Sperando di un giorno di poter raggiungere la perfezione di Tony Stark e di avervi dato una buona panoramica sulle ultime frontiere delle energie rinnovabili questo era l’ultimo articolo della serie.

“L’energia nucleare è inutile in un mondo dove un virus può uccidere un’intera popolazione, lasciandone intatta la ricchezza.” (V per Vendetta)

Gabriele Galletta

Materia e antimateria, lo Yin e lo Yang della fisica quantistica

Da Einstein e Schrödinger fino a Dirac: un viaggio alla scoperta dell’antimateria

Siamo agli inizi del ‘900, più precisamente nel 1905, quando viene presentata per la prima volta la Teoria della Relatività Ristretta di Albert Einstein, solo un paio di decenni prima della scoperta di Arthur Schrödinger dell’equazione madre della meccanica quantistica, branca della fisica che avrebbe dominato gli scenari futuri del mondo scientifico.

Fu a questo punto che i due fisici Klein e Gordon tentarono di adattare l’equazione di Schrödinger alla relatività ristretta di Einstein, senza tuttavia riuscire nel loro intento. Il loro approccio, infatti, non restituiva risultati accettabili per l’interpretazione della funzione d’onda (che rappresenta lo stato di un sistema fisico).

Qualche anno dopo, nel 1928, fu il fisico Paul Dirac ad ovviare alle problematiche della formula di Klein-Gordon, presentando alla comunità scientifica la sua nota equazione (la quale niente ha in comune con quella versione travisata, che tanto frutta ai tatuatori di tutto il mondo).

 

Equazione di Dirac, origine della meccanica quantistica relativistica

Risolvendo la sua equazione, Dirac si trovò davanti ad una scoperta sconvolgente: essa ammetteva soluzioni ad energia negativa, totalmente in opposizione ai dettami della fisica classica, fino ad allora imperante. Se fino a quel momento infatti tutte le leggi della fisica si basavano sul concetto di materia, adesso ci si trovava innanzi ad uno scenario nuovo ed affascinante, tutto incentrato sulla contrapposizione dicotomica di materia e antimateria.

Ma che cos’è quindi l’antimateria?

L’equazione di Dirac dimostrava l’esistenza, per ogni particella, di una “gemella” perfettamente identica, eccetto che per delle proprietà opposte. Ad esempio, per l’elettrone troviamo il positrone! Quando una particella di materia ed una di antimateria interagiscono tra loro, esse annichiliscono, scomparendo nel nulla, lasciando dietro sé pura energia e “strane” particelle.

 

Annichilazione elettrone-positrone. Fonte: Okpedia

 

Anche se tutto ciò può apparire frutto di pura astrazione, l’antimateria è sotto i nostri occhi molto più di quanto effettivamente possa sembrare. Basti pensare infatti ad alcune sofisticate ed utilissime tecnologie, come la PET (tomografia ad emissione di positroni), basata sul fenomeno dell’annichilazione tra elettrone e positrone, a seguito del quale si ottiene l’emissione di fotoni gamma (particelle di luce) che, come tante lampadine, illuminano la parte del corpo in esame.

 

Tomografia a Emissione di Positroni (PET)

Ciò che tutt’oggi conosciamo sul misterioso universo dell’antimateria è solo una piccola parte di un ben più complesso e misterioso scenario, che potrebbe sorprenderci ancora in futuro, dando vita a sempre nuove applicazioni della scienza nella nostra vita quotidiana.

 

Giovanni Gallo

Giulia Accetta

Buchi neri, grande passo avanti della scienza

Oggi per la prima volta nella storia vedremo le foto di un buco nero.
Un evento di portata storica.
È lo straordinario successo di un gruppo di ricerca formato da scienziati internazionali che ha riunito una rete di telescopi sparsi su tutta la Terra per raggiungere la risoluzione necessaria a “fotografare” il misterioso fenomeno.

La diretta della conferenza dell’Eso (European Southern Observatory) avrà inizio alle ore 15 e sarà trasmessa su Youtube nel canale della Commissione europea.
Su Focus lo speciale sarà trasmesso dalle ore 14:30 fino alle 16:00, e ancora in seconda serata questa sera alle 23:15.

I risultati del progetto, dal nome Event Horizon Telescope, segneranno una pietra miliare nell’astrofisica, che potrebbe confermare ma anche smentire alcune delle principali teorie che costituiscono la base della nostra comprensione del cosmo, inclusa la teoria della relatività di Albert Einstein.

 

 

 

I buchi neri si generano quando le stelle muoiono, collassano su se stesse e creano una “regione” dove la forza di gravità è così forte che nulla può sfuggire venendo risucchiati per sempre.

Fino ad oggi gli scienziati non sono mai stati in grado di fotografarli, ma sono riusciti solo ad ascoltarli: quando i buchi neri si scontrano l’uno con l’altro, rilasciano infatti enormi onde gravitazionali che sono state rilevate da appositi strumenti negli osservatori degli Usa e anche dell’Italia.

L’impossibilità di fotografare questi fenomeni è dovuta ad una serie di motivi.

La loro attrazione gravitazionale rende impossibile la fuga della luce.

Inoltre i buchi neri si trovano molto distanti dalla Terra.

Ciò che gli scienziati stanno cercando di catturare è “l’orizzonte degli eventi”, il confine di un buco nero e il punto di non ritorno oltre il quale tutto viene risucchiato per sempre.

 

 

 

Sebbene sia uno dei luoghi più violenti dell’universo, gli scienziati ritengono che i radiotelescopi possano catturare i fotogrammi dell’orizzonte degli eventi.

Oltre a mostrare l’immagine, gli scienziati sperano di fare chiarezza su alcuni dei temi più dibattuti in astronomia e fisica teorica. Uno di questi è la forma dei buchi neri: secondo la teoria della relatività, essi sono circolari, ma altri scienziati ritengono sia ‘prolata’, ovvero schiacciata lungo l’asse verticale, o ‘oblata’, schiacciata lungo l’asse orizzontale.

Se non fossero circolari, questo – secondo gli scienziati di Event Horizon Telescope – non vorrebbe dire che la teoria della relatività è sbagliata, ma che semplicemente “nella fisica c’è ancora molto da capire”.

Un evento di portata astronomica, proprio per restare in tema, che traccia un solco nello studio dell’astrofisica e che rischia di porre in discussione perfino il buon vecchio caro Albert Einstein.

Antonio Mulone