La Neve in Fondo al Mare, tra neuropsichiatria e infanzia

La Neve in Fondo al Mare è un romanzo che tratta temi attuali da un punto di vista originale. – Voto UVM: 4/5

 

Il nuovo libro di Matteo Bussola, fumettista e scrittore veronese, già autore di numerosi fortunati libri di narrativa che hanno scalato le classifiche negli anni, è ora sugli scaffali delle librerie, pronto per essere letto da ragazzi e lettori più maturi.

Trama, temi, personaggi di La Neve in Fondo al Mare

La storia è narrata dalla voce ed attraverso il punto di vista di Caetano, il padre dell’adolescente Tommy. I due si trovano in un reparto ospedaliero di neuropsichiatria infantile, perché Tommy soffre di anoressia nervosa. A questa situazione fa riferimento uno dei temi fondamentali del libro: Il rapporto genitori-figli, il quale è trattato attraverso pochi ma interessantissimi personaggi, di cui ne vediamo alcuni.

Abbiamo Franco, il “padre manager”, uomo sulla mezza età che incarna le idee ed il modo di esprimersi dell’italiano medio delle vecchie generazioni. In apparenza estremamente superficiale, schietto, ed insensibile nei confronti della figlia Marika, autolesionista. Eppure, sarà attraverso la sua voce che l’autore ci regala una delle immagini più belle ed efficaci del libro…

 

-Scoprire la profondità della tristezza di un figlio, a neanche sedici anni, è come trovare qualcosa in un posto in cui non te lo saresti mai aspettato. In cui proprio non dovrebbe esserci. (Franco)

-Che vuoi dire? (Caetano)

-Tipo, non so. Come trovare la neve in fondo al mare.

Insieme a Franco e Caetano (unici padri nel reparto) troviamo Amelia, che dà tutta sé stessa per aiutare la figlia Eva, sofferente di bulimia. Poi ancora Giulia in compagnia del figlio Giacomo, giovanissima star del web in declino, che non riesce a tornare alla “vita normale” dopo la fine del lockdown.

È proprio il lockdown un altro elemento fondamentale della vicenda: I dolori dei ragazzi sembrano tutti legati alla quarantena. Ed è così che Matteo Bussola (l’autore) tratta i drammi dell’isolamento spostando l’attenzione su una fascia della popolazione spesso ignorata dai media. sugli adolescenti. Sull’impatto che mesi e mesi di restrizioni abbiano avuto su ragazzi e ragazze in un’età così fragile, “a cui il virus fa il solletico”, ma che si trovano costretti a “salvare gli adulti. I figli che devono salvare i genitori.”

Oltre quanto detto, i temi trattati sono attualissimi (la vicenda stessa ha luogo nel presente) e innumerevoli, condensati in appena centottanta pagine.  Si viene a formare un romanzo breve ma intenso e reso scorrevole dal linguaggio elegante dell’autore.

 

La neve in fondo al mare
Il nuovo libro di Matteo Bussola già in cima alle classifiche. Fonte: Instagram @matteo.bussola

Lingua, stile del romanzo e struttura di La Neve in Fondo al Mare

Il racconto è strutturato in un intreccio: Gli eventi del presente vengono alternati ad episodi dell’infanzia di Tommy, il tutto, come detto, sempre dal punto di vista del padre, che costituisce la voce narrante del romanzo.

La sintassi è semplice, generalmente formata da periodi brevi, tenuti insieme da legami paratattici o di giustapposizione. Solo raramente, nelle parti del testo in cui lo stile vuole essere più ricercato, la sintassi si fa più distesa e complessa, ma sempre senza appesantire troppo la lettura.

Sono frequenti invece i dialoghi, attraverso i quali l’autore caratterizza e fa esprimere i personaggi.

Così parla per esempio Franco:

“Ormai una diagnosi non la si nega a nessuno, per questo hanno tutte le malattie del mondo. E se non imparano a leggere sono dislessici, e se non sanno le tabelline hanno la cosa, là, come si chiama, la discalcolosi.”

Sempre attraverso i dialoghi si riproduce il gergo giovanile, che l’autore riesce bene a rappresentare attraverso i prestiti dall’inglese (cringe, skippo, follower) e le espressioni tipiche dei giovani di oggi (“non so, fra”, “un botto di like”).

“Ma la roba buffa non è tanto la mia, perciò di norma, se ci capito su, skippo. Niente di personale” (Tommy)

Infine, Matteo Bussola arricchisce la sua prosa con diversi elementi poetici. In particolare, il testo è ricco di similitudini, di cui si è già dato un esempio sopra “[…] come trovare la neve in fondo al mare”, espressione che, tra l’altro, dà il titolo al romanzo.

 

 

Francesco Malavenda

La casa in collina: autoritratto di un’anima

Era il 1949 quando la nota casa editrice Einaudi pubblicò in unico volume dal nome Prima che il gallo canti, quelli che possono essere definiti i romanzi più intimi di Cesare Pavese: Il Carcere (risalente al periodo di esilio a Brancaleone Calabro) e La casa in collina che racconta della Resistenza, a cui lo stesso Pavese non parteciperà, rifugiandosi in campagna. La narrazione si presenta fortemente autobiografica, delineando come in autoritratto di Van Gogh, i costanti lineamenti della poetica pavesiana: la disarmonia tra l’intellettuale e la realtà, tra la città e il primitivo mondo delle Langhe, il ruolo della memoria individuale.

Si nasce e si muore da soli…

Il racconto vede protagonista Corrado, un docente che si ritira in collina per sfuggire ai bombardamenti che imperversavano nel periodo post armistizio del settembre ’43. Corrado predilige passare le sue giornate in solitudine e isolamento, accompagnato solo dal cane Belbo (omaggio alla città natale di Pavese). Si trova però sempre più spesso a frequentare un’osteria, le Fontane, che scopre essere gestita da Cate, un amore proveniente direttamente dal passato, con il figlio Dino che potrebbe essere suo.

“Con la guerra divenne legittimo chiudersi in sé, vivere alla giornata, non rimpiangere più le occasioni perdute.”

Corrado da una vita scansa le responsabilità, anche adesso, di fronte alla tragedia della guerra, vive con apparente indifferenza le vicende storiche che accadono intorno a lui. Il protagonista si presenta come l’inetto per eccellenza: non esterna mai le proprie idee, non si risolve mai all’azione, resta a guardare da spettatore la barbarie della guerra. L’apparente stasi della vita di Corrado viene sconvolta da una retata nazista che porterà all’arresto di Cate e degli amici, solo lui e Dino riusciranno a salvarsi insieme.  Dopo vari nascondigli, i due si separeranno, Dino si arruolerà nella resistenza partigiana, Corrado, insicuro e incapace di affrontare l’impegno di una scelta, deciderà di tornare al paese natale e alla sua “casa in collina”.

Non vedevo differenza tra quelle colline e queste antiche dove giocai bambino e adesso vivo.

Il viaggio di ritorno con la vista degli orrori della guerra, farà da sfondo alla più intima e disillusa riflessione sul senso della guerra e dell’esistenza umana, una crisi esistenziale destinata a non avere fine.

La casa in collina di Cesare Pavese
Cesare Pavese mentre fuma la pipa. Fonte: ilmiolibro.kataweb.it

Vivere per caso non è vivere…

Nella casa in collina, ancora una volta Pavese ci parla del dissidio, del contrasto tra la solitudine contemplativa dell’intellettuale e le azioni che il momento storico e ideologico richiedono, e lo fa proprio attraverso Corrado (alter ego dello stesso Pavese) debole e irresoluto che non sa decidersi tra le tante antitesi poste nel romanzo:

Tra la città e la collina, Torino devastata dai bombardamenti mentre la collina risulta i locus amoenus dove Corrado può rivivere i ricordi dell’infanzia o l’amore passato con Cate, ma la storia nullifica questa opposizione.  Dopo l’8 settembre, con lo scoppio della guerra civile anche la campagna è attraversata dalla violenza e tutti sono chiamati a scelte drastiche e radicali. Significativa l’assenza di Corrado nel momento della retata e il suo successivo disimpegno, con la scelta di rimanere nascosto.

Chi si impegna e chi è vittima del dubbio e dell’incertezza, questa crisi riguarda sia la vita privata che quella pubblica di Corrado. Se egli non sa decidersi ad aderire alla lotta partigiana contro i repubblichini, sul piano personale subisce gli stessi tormenti. Questo contrasto reso ancora più evidente nel finale, quando il giovane Dino decide di abbandonare la sicurezza del collegio per entrare tra i partigiani, abbandonando Corrado nella sua incapacità di agire. Anche con Cate, il protagonista si pone innumerevoli domande per comprendere se il loro amore sia veramente finito, ma non fa nulla per riallacciare davvero il loro legame; dopo la retata, Corrado non saprà più nulla del destino della donna.

Quella tra l’uomo e la Storia, di cui la guerra è una metafora assai evidente ed esplicita. Qui la crisi interiore di Corrado si fa carico del pensiero dell’autore, rivelando una più ampia riflessione sul significato dell’esistenza umana, mettendo in relazione il valore della vita e il senso della morte, specie quella di natura violenta. Corrado non sa risolvere questo enigma, come notiamo nelle ultime righe del romanzo:

Io non credo che possa finire. Ora che ho visto cos’è guerra, cos’è guerra civile, so che tutti, se un giorno finisse, dovrebbero chiedersi: – E dei caduti che facciamo? perché sono morti? – Io non saprei cosa rispondere. Non adesso, almeno. Né mi pare che gli altri lo sappiano. Forse lo sanno unicamente i morti, e soltanto per loro la guerra è finita davvero.

Soltanto per loro la guerra è finita davvero…

 La conclusione si fa introspezione, il detto diventa esame di coscienza del protagonista (e dello stesso Pavese) che dà una visione intellettuale e letterata, osservando l’insensata sofferenza della guerra e senza trovare giustificazione alle tante morti. Corrado comprende il dolore della condizione umana e dall’altro lato si rammarica della propria impotenza e dell’impossibilità di fermare la sofferenza collettiva, realizzando il paradosso della riflessione. Ed è proprio in queste ultime pagine che il velo si squarcia e diventa impossibile distinguere Corrado da Pavese, dove gli incubi e le paure dello scrittore si fondono con il personaggio da lui creato.

 

Gaetano Aspa 

In onore di Antonello da Messina: la “Mostra Antonelliana” e l’Istituto “Antonello”

Oggi, 30 marzo, ricade il 68esimo anniversario dell’inaugurazione di uno degli eventi di portatatta internazionale dei favolosi anni ’50 messinesi: la “Mostra Antonelliana” del 1953, dedicata, appunto, al grande Antonello da Messina. In questo articolo ripercorriamo le tappe salienti di questa manifestazione.

Al pittore è stata dedicata, inoltre, una delle storiche scuole messinesi; stiamo parlando dell’Istituto di Istruzione Superiore “Antonello”, alla ribalta in queste setimane per una polemica imbastita da un consigliere comunale. Senza scendere nei dettagli della diatriba, questo articolo vuole sottolineare l’importanza di questo istituto nella storia e nella cultura della nostra città.

La “Mostra Antonelliana” del 1953

Di una possibile mostra dedicata ad Antonello si iniziò a parlare già nel 1949, come si evince da un articolo del Notiziario d Messina. In realtà il comitato organizzativo si costituì solo qualche mese dopo.

Inizialmente legata alla riapertura del Museo regionale, chiuso al pubblico nel 1946, la mostra, alla fine, fu allestita nell’ala est del piano nobile del Palazzo Municipale.

Foto storiche e il bollo della Mostra Antonelliana – Fonte: tempostretto.it

La cerimonia di inaugurazione fu un grande evento. Inizialmente fu scoperto il busto di Antonello, ancora presente sulla scalinata principale del Municipio. Poi si susseguirono gli interventi istituzionali, davanti ad una sala gremita; tra i più importanti citiamo l’intervento di Salvatore Pugliatti – presidente del Comitato esecutivo e vero deus ex machina della mostra –  e quello del sindaco Carmelo Fortino, che, inoltre, diede lettura a un messaggio del Presidente della Repubblica Luigi Einaudi, assente a causa di doveri dell’ufficio. L’ultimo intervento – il più atteso – fu del Ministro della Pubblica Istruzione Antonio Segni, che concluse il suo contributo inaugurando ufficialmente la mostra.

In totale erano esposti 142 dipinti, 18 dei quali erano certamente riferibili ad Antonello da Messina – tra le tante: l’Annunciata, esposta alla Galleria regionale a Palermo – e 9 erano a lui attribuiti. Purtroppo furono negati i prestiti dei suoi capolavori ubicati nella National Gallery di Londra – come il San Girolamo nello studio e l’Autoritratto col berretto rosso –  e di altre opere, come il San Sebastiano di Dresda e il Ritratto Trivulzio dei Musei Civici di Torino.

L’Annunciata di Palermo (1476) di Antonello da Messina – Fonte: wikipedia.org

L’altra parte della mostra era dedicata alla pittura del ‘400 siciliano e si concludeva con i dipinti messinesi degli artisti antonelliani.

Numerose furono le personalità illustri che visitarono la mostra; tra le tante è opportuno segnalare la presenza di Giorgio La Pira, dello scrittore Leonardo Sciascia e del leader del PCI Palmiro Togliatti.

La mostra, inizialmente prevista per tre mesi – dal 30 marzo al 30 giugno -, si concluse il 31 agosto, a causa dell’ingente flusso di visitatori.

L’Istituto d’Istruzione Superiore “Antonello”

La scuola nasce nel 1861 come Regia Scuola Tecnica Governativa e solo nel 1885 prende il nome di “Antonello“.

A causa del rovinoso terremoto del 1908 e dei due conflitti mondiali, l’istituto è costretto a cambiare locazione più volte; nonostante ciò riesce a conservare l’attività scolastica.

Come testimoniato da documenti presenti negli archivi dell’istituto, l“Antonello” annovera, tra gli studenti che hanno frequentato la scuola, personaggi illustri che hanno contribuito alla crescita sociale e culturale della città di Messina e non solo; tra i più celebri ricordiamo Salvatore Quasimodo, Salvatore Pugliatti e Giorgio La Pira.

Con la riforma della scuola media unificata  (legge 31-12-1962) gli iscritti crescono sensibilmente e ciò porta ad una radicale trasformazione della scuola; nasce, così, l’Istituto Professionale di Stato per il commercio, nei locali di Via della Zecca n°68, con sedi coordinate di Milazzo, Letojanni e Naso.

Nel 1993, l'”Antonello” adotta la sperimentazione del ” Progetto 92 ” diventando così Istituto Professionale di Stato per i Servizi Commerciali e Turistici.

Nel 1999 grazie all’istituzione dell’indirizzo “Alberghiero e della Ristorazione”, l’istituto ottiene un forte incremento delle iscrizioni ed il trasferimento negli spaziosi locali di Viale Giostra n°2, dove si trova ancora oggi.

L’Istituto “Antonello” nella sua collocazione attuale – fonte: tempostretto.it

Negli ultimi vent’anni la scuola ha saputo creare una fitta rete di relazioni con associazioni del settore, enti ed istituzioni, sia a livello nazionale che internazionale.

Ad oggi  l’istituto conta circa 1000 alunni per un totale di 55 classi ed è attualmente sotto la guida della dirigente scolastica Laura Tringali, assessora alla pubblica istruzione del Comune di Messina.

 

Emanuele Paleologo, Mario Antonio Spiritosanto

 

Fonti:

http://www.iisantonellomessina.it/

Messina negli anni Quaranta e Cinquanta, Istituo di Studi Storici Gaetano Salvemini – Messina, Atti di Convegno 1998, Sicania, Messina

Immagine in evidenza:

Il celebre “San Girolamo nello Studio” (1474-1475 circa) di Antonello da Messina – Fonte: larchitetto.it

 

Chichita Calvino: «Lei è i miei occhi»

È morta lo scorso 23 giugno, a quasi 93 anni, Ester Judith Singer, ribattezzata “Chichita” dalla tata messicana. A dare la notizia della morte, avvenuta a Roma, è stata la casa editrice Einaudi.


«Si conobbero. Lui conobbe lei e se stesso, perché in verità non s’era mai saputo. E lei conobbe lui e se stessa, perché pur essendosi saputa sempre, mai s’era potuta riconoscere così.» Il barone rampante 

Era rimasta vedova nel 1985 quando lo scrittore Italo Calvino era morto a Siena, era una giovane traduttrice argentina quando lo conobbe a Parigi nel 1962, in occasione di un ciclo di incontri letterari, per poi sposarlo due anni dopo a La Havana.
Persona dotata di straordinaria cultura e intelligenza che, grazie al suo lavoro da traduttrice, ha contribuito a diffondere e a curare l’opera di Calvino nel mondo, protagonista sottintesa dei suoi libri, ha custodito fino alla fine la memoria e l’eredità letteraria dello scrittore dalla sua casa di Campo Marzio, nel cuore di Roma, nella quale continuava a leggere, a documentarsi, a incontrare intellettuali e studenti.
Doloroso pensare che questa fonte inesauribile di memorie si sia spenta. Lo scrittore le sottoponeva ogni sua nuova pagina, sicuro di averne il giudizio che gli serviva. «Lei è i miei occhi. Guarda il mondo e me lo racconta» diceva Calvino. Di scrivere un libro non ne voleva sapere, detestava la parte della «vedova di» che dispensa aneddoti.


«Vedi, forse io ho paura di te. Ma non so dove rifugiarmi. L’orizzonte è deserto, non ci sei che tu. Tu sei l’orso e la grotta. Perciò io sto ora accucciata tra le tue braccia, perché tu mi protegga dalla paura di te.»Prima che tu dica “Pronto”

Serena Votano