Egitto: morti e feriti dopo il crollo di un palazzo di 13 piani

Paura e disperazione. Sono questi i sentimenti che nella tarda mattinata di ieri hanno scosso gli abitanti di Alessandria d’Egitto quando un palazzo di 13 piani è crollato su sé stesso intrappolando decine di persone che si trovavano al suo interno.

Il crollo

Il tragico evento è accaduto nel distretto di El-Montazah, precisamente nella zona di Sidi Bishr, nella parte orientale della città. Il crollo improvviso ha coinvolto anche le auto parcheggiate nelle vicinanze e quelle di passaggio. Alcune sono rimaste schiacciate dalle macerie; inoltre, alcuni detriti che hanno colpito degli oggetti infiammabili vicini hanno provocato un incendio che fortunatamente è stato domato in poco tempo dai pompieri. Molti palazzi vicini a cui era collegato l’immobile sono stati danneggiati e di conseguenza fatti evacuare.

Come si legge dalle informazioni riportate sul sito Youm 7 al piano terra del palazzo si trovava un supermercato, mentre gli altri piani erano abitati da residenti locali e alcuni appartamenti venivano utilizzati come case vacanza e affittati ai turisti durante la stagione estiva, quindi con molta probabilità ci sarebbero vittime straniere.

Soccorritori – fonte: skytg24.it
Le dichiarazioni

L’ultimo piano dell’edificio aveva un ordine di demolizione e l’intera proprietà era stata esaminata dal comitato incaricato di ispezionare gli edifici a rischio crollo.

Secondo le autorità locali, l’immobile costruito negli anni ’70 era già noto per via di alcune sopraelevazioni non a norma e, di conseguenza, si sarebbe dovuto abbattere e rimuovere l’ultimo piano. 
Il governatore locale Muhammad al-Sharif, tramite un comunicato stampa, ha inoltre confermato la presenza di vittime sotto le macerie del palazzo. I soccorritori e le forze dell’ordine sono già in stato d’allerta per individuare possibili sopravvissuti e trasportarli agli ospedali più vicini.

La sottosegretaria del ministero della Salute, Amira Tahio, ha confermato in un’intervista telefonica con il canale Al-Hadath la presenza certa di quattro feriti. Si tratta di persone di passaggio colpite dai detriti e già ricoverati in ospedale. Il più grave ha riportato la rottura di una gamba, mentre gli altri presenterebbero solo lievi escoriazioni.

Secondo il sito egiziano di informazione online Al-ahram, la Decent Life Foundation ha annunciato che fornirà un risarcimento finanziario di 25.000 EGP (lira egiziana) alle famiglie delle vittime del disastro.

Le indagini

Una squadra della pubblica accusa ha ispezionato la scena e ha incaricato la protezione civile e i funzionari municipali di mettere in sicurezza l’area e le proprietà adiacenti, se necessario,

Intanto, il pubblico ministero ha sequestrato l’edificio e avviato un’indagine per determinare la causa dell’incidente ed esaminare il fascicolo relativo alle precedenti prescrizioni per il palazzo. Le prime indiscrezioni parlano di una “spaccatura verticale” della struttura prima del definitivo crollo.

Soccorritori Alessandria d’Egitto – fonte: skytg24.it

I precedenti

Non è la prima volta che un evento del genere si verifica nella nazione egiziana. Due anni fa, nel 2021, nella capitale Il Cairo un palazzo di 10 piani crollò su sé stesso causando la morte di 25 persone e più di 70 feriti. Anche in quel caso era stato segnalato un abuso edilizio, visto che al palazzo erano stati aggiunti illegalmente ben quattro piani.

Sviluppi

Le ricerche che si sono protratte per tutta la notte hanno permesso ai soccorritori di estrarre il primo corpo senza vita che si trovava sotto i cumuli di macerie. Altre due persone, invece, sono state individuate ed estratte vive.

Ci vorrà molto tempo per individuare la presenza di altri corpi o sopravvissuti sotto i resti del palazzo. Per questo, squadre di volontari e soccorritori professionisti sono arrivati anche dalle provincie limitrofe, in quella che ormai è diventata una corsa contro il tempo tra la vita e la morte.

Giuseppe Cannistrà

Patrick Zaki, ancora nessuna assoluzione. Rinviata al 6 aprile l’udienza davanti al giudice

Nessuna assoluzione, almeno per ora, per Patrick Zaki. Lo studente egiziano dell’Alma Mater di Bologna deve aspettare fino al 6 aprile, ovvero la data fissata dal giudice monocratico del Tribunale per la Sicurezza dello Stato Egiziano di Mansura per il riesame del suo caso. L’accusa è quella di diffusione di false notizie in patria e all’estero ed è già costata al ricercatore egiziano una detenzione cautelare di ventidue mesi, iniziata il 7 febbraio 2020 e terminata solamente l’8 dicembre 2021. A comunicarlo lo stesso Patrick Zaki ai giornalisti in attesa all’esterno del tribunale.

Patrick Zaki, finalmente libero. fonte: mam-e.it

“Sono ottimista, siamo ottimisti. Ovviamente sto anche in ansia. So bene che c’è la possibilità di tornare indietro alla casella di partenza, so che esiste lo scenario peggiore. Ci penso. In queste settimane non ho ricevuto alcun segnale che mi desse indicazioni. Ormai comunque manca poco, partenza all’alba dal Cairo per arrivare in tempo a Mansura e via. Aspetterò all’esterno del tribunale con gli amici e la famiglia. A rappresentarmi dentro l’aula ci sarà il mio avvocato, Hoda Nasrallah”. Queste le parole rilasciate dello studente egiziano nella mattinata di ieri prima di venire a conoscenza della decisione di riaggiornarsi da parte del giudice. “Speriamo che qualcosa di buono accada il 6 aprile, dato che voglio essere di nuovo a Bologna il prima possibile. Penso che stiano provando a prendere tempo per la decisione finale, poi vedremo cosa succederà”.

L’attenzione e la vicinanza da tutto il mondo

Nel corso degli ultimi due anni le vicende personali di Patrick Zaki gli hanno attirato simpatie e vicinanza da parte di numerose realtà del mondo occidentale. Basti pensare alla presenza sul posto di diplomatici provenienti oltre che dall’Italia anche dagli Stati Uniti, dalla GermaniaSpagna e dal Belgio, oltre a una legale in rappresentanza dell’Unione europea. Questi, dato lo svolgimento dell’udienza a porte chiuse, hanno dovuto attendere all’esterno del Palazzo di Giustizia esattamente come i giornalisti. Anche il portavoce di Amnesty International in Italia, Riccardo Noury, ha commentato il rinvio: “È un’attesa ancora enormemente lunga quella di Patrick per avere finalmente la sua libertà. È una data che ricorre quella del 6 aprile. Nel 2020 e nel 2021 c’erano state altre udienze in questa data. Speriamo che sia l’ultimo giorno in cui Patrick si presenterà di fronte a un giudice e fino ad allora c’è da aspettare, da stargli vicino e accompagnarlo in questa lunga attesa di quella che speriamo sia l’ultima udienza”.

Corteo a sostegno della liberazione di Patrick Zaki, fonte: telenicosia.it

Il legame con l’Italia ma la volontà di non abbandonare l’Egitto

Intervistato sul suo futuro, Zaki ha rilasciato nuovamente parole di gratitudine nei confronti del nostro Paese e specialmente per Bologna, città presso la cui università frequenta il master in studi di genere dall’autunno 2019. “Non avrei mai immaginato tanta popolarità. Sono una persona normale come lo sono i miei genitori, ero uno studente tra migliaia e ora mi conoscono in tutta Bologna e in tutta Italia. Ho interloquito con Liliana Segre, il presidente Sergio Mattarella mi ha citato due volte, i diplomatici dell’ambasciata italiana in Egitto sono stati più che presenti. Sto vivendo tutto questo affetto a distanza ed è molto intenso, mi porto dentro l’esperienza del carcere ma anche la solidarietà che ha generato. Qualsiasi cosa accada sarò sempre grato a Bologna, all’Italia”.

“La prima cosa che intendo fare al mio ritorno sarà una passeggiata in Piazza Maggiore e poi fino all’Università”

Un legame, quello con il nostro Paese, che si è progressivamente rafforzato ed è stato manifestato in più occasioni mediante iniziative di solidarietà. Pensiamo al riconoscimento della cittadinanza italiana o a quella onoraria da parte di numerose città, tra cui anche la nostra. Nonostante le misure applicategli in palese violazione dei diritti umani fino al dicembre scorso Patrick non vuole abbandonare il suo Paese. “Non lascerò l’Egitto per sempre. Il mio lavoro riguarda l’Egitto. Non voglio scappare. Io partirò quando si potrà ma la mia famiglia resterà qui. Verrà a trovarmi, certo, ma questo è il mio Paese. Non lo abbandono”. L’ennesima dimostrazione di caparbietà e speranza da parte di un ragazzo animato da un nobile ideale: rendere il suo Paese un posto migliore, senza arrendersi alle angherie di un regime che più volte ha cercato di fare cadere il suo nome nel dimenticatoio, non fornendo informazioni all’opinione pubblica e soprattutto alla sua famiglia. Una sua condanna, a detta di molti, risulta oramai improbabile specie successivamente alla sua scarcerazione avvenuta lo scorso dicembre. Resta però un terribile dubbio, senza la mobilitazione da parte delle istituzioni italiane e delle migliaia di studenti scesi in piazza e immedesimatisi in un loro coetaneo, cosa sarebbe successo? E caso, ancora, continua a succedere a chi privo di questo eco mediatico?

Filippo Giletto

 

La Francia propone la risoluzione del conflitto in Palestina. Preoccupa l’esitazione USA

Il conflitto israeolo-palestinese non accenna a placarsi. Dopo nove giorni di scontri tra l’esercito israeliano e Hamas, il fervore con cui le notizie provenienti dal medioriente sono state recepite dall’opinione pubblica non ha mancato di stimolare le potenze occidentali. Ultima misura, in ordine di tempo, a emergere è stata quella presentata al tavolo delle Nazioni Unite dalla Francia e concordata con Egitto e Giordania. La proposta è arrivata al Consiglio di Sicurezza dell’ONU e punta a un cessate il fuoco in Palestina.

La risoluzione

Emmanuel Macron, insieme ad Egitto e Giordania, si appella all’Onu per cessare le violenze in Medioriente. Fonte: Huffingpost.

La proposta di tregua giunge in seguito all’ incontro fra il presidente francese Emmanuel Macron, l’egiziano Abdel Fatah Al-Sisi e, collegato in videoconferenza, il re Abdallah II di Giordania. Durante il meeting è emerso che

“i tre Paesi concordano su tre elementi: i lanci di razzi devono cessare, è giunto il momento di un cessate il fuoco e il Consiglio di sicurezza Onu deve prendere in mano la questione“.

L’Eliseo ha inoltre reso noti i motivi dell’accordo con i due paesi arabi: “Sono protagonisti influenti nei luoghi santi per la Giordania e su Gaza per gli egiziani”.

L’Egitto ha proposto “attraverso canali privati” un cessate il fuoco tra Israele e Hamas a partire dalle 6 di mattina (ora locale) di giovedì prossimo. Hamas avrebbe risposto favorevolmente mentre Israele, al contrario, non avrebbe manifestato alcun segno di resa.
La notizia, riportata dalla tv israeliana di Canale 12, è stata tuttavia prontamente smentita sul Times of Israel dal membro della leadership di Hamas, Izzat al-Rishq, che ha dichiarato:

“Non è vero ciò che alcuni media nemici hanno riferito, ovvero che Hamas abbia concordato ad un cessate il fuoco per giovedì. Nessun accordo o uno specifico calendario per questo è stato raggiunto” continua poi “Pur sottolineando che gli sforzi e i contatti dei mediatori sono seri e continui, le richieste della nostra gente sono chiare e ben note”.

L’ambiguità della posizione statunitense

La Cina fa sapere che sostiene senz’altro la proposta. Gli Stati Uniti hanno bloccato per otto giorni una dichiarazione sul conflitto e hanno giustificato il loro silenzio attraverso l’ambasciatrice americana Linda Thomas Greenfield: Non siamo stati in silenzio. Il nostro obiettivo è stato e continuerà ad essere quello di un intenso impegno diplomatico per porre fine a questa violenza”. Il presidente Joe Biden “ha espresso il sostegno per un cessate il fuoco”.

L’ambasciatrice americana ribadisce l’impegno nella risoluzione del conflitto ma gli Usa finora hanno bloccato dichiarazioni che secondo Washington potrebbero ostacolare o nuocere alla sua “diplomazia intensa ma discreta”. Fonte: ABC News.

Il sostegno di Biden, tuttavia, giunge dopo ben quattro telefonate al premier israeliano Benjamin Netanyahu nel corso delle quali ha ribadito più volte che Israele abbia il pieno diritto di difendersi contro “gli indiscriminati attacchi di razzi” di Hamas.

Una mossa, quella di Biden, che ha confuso la comunità internazionale e non ha mancato di apparire come un’attività diplomatica molto blanda. Dallo stesso Partito Democratico aumentano gli appelli rivolti al presidente per una presa di posizione più forte e netta per fermare Israele. Malgrado la gravità della situazione pare per il momento che la questione non rientri tra le priorità dell’agenda presidenziale .

La guerra continua

Nonostante gli appelli, aumentano le vittime in rapporto a nuovi attacchi perpetrati questa notte. Secondo quanto riferito dal portavoce dell’esercito israeliano Hidai Zilberman, i caccia dello Stato ebraico hanno sganciato 122 bombe in 25 minuti su circa 40 obiettivi sotterranei. L’attacco ha comportato la distruzione di oltre 12 chilometri di tunnel e numerosi depositi di armi e un centro di comando. Zilberman ha poi dichiarato: “Almeno 10 membri dei gruppi terroristici di Hamas e della Jihad islamica palestinese sono stati uccisi“. Ad essere preso di mira il quartiere Rimal, sobborgo residenziale di Gaza City, dove vivono “molti leader di Hamas”.

Razzi nello scontro tra Gaza e Israele. Fonte: AGI.

Le vittime complessive a Gaza, dall’inizio delle ostilità, sono ora 213, tra cui 61 bambini e 36 donne.
Questa mattina, invece, il lancio di razzi diretti verso un capannone agricolo israeliano, vicino alla linea di demarcazione, ha ucciso due operai thailandesi e ferito altre due persone. Ora il totale delle vittime in Israele è di 12 persone: 10 (tra cui 2 bambini) sotto i razzi e altre 2 per motivi collegati ai lanci.

Alessia Vaccarella

Un anno dalla detenzione di Zaki: UniMe si illumina di giallo per sostenerne la liberazione

Il 7 febbraio 2020 veniva fermato nell’ aeroporto del Cairo Patrick George Zaki, studente egiziano dell’Università Alma Mater di Bologna. A un anno dall’ingiusta carcerazione del giovane attivista, l’Università degli studi di Messina aderisce all’iniziativa solidale proposta da Amnesty International (sez. Sicilia) per sostenerne la liberazione.

L’impegno di UniMe

Nel comunicato stampa dell’ateneo messinese, pubblicato oggi, si ribadisce il sostegno e l’interesse per la tutela dei diritti umani, aprendo all’iniziativa che vedrà il Palazzo della Sede centrale illuminato di giallo nella serata dell’8 febbraio.

Numerose le manifestazioni di solidarietà da parte delle università italiane, tra cui Unime, il cui impegno sulla vicenda è tra i più notevoli. Nei mesi scorsi lo stesso Rettore, il professore Salvatore Cuzzocrea, ha partecipato all’appello della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI) che rilanciava la petizione in favore del ritorno a casa dello studente, luogo in cui avrebbe potuto riprendersi dalle sofferenze psicologiche inferte durante la detenzione. Le parole del vice presidente della Conferenza:

«Esprimo, anche a nome di tutta la Comunità Accademica, apprezzamento per la delibera della Giunta comunale di Messina sulla cittadinanza onoraria per Zaki e speriamo che questa mobilitazione degli atenei di tutto il nostro Paese e delle Istituzioni possa servire a muovere le coscienze. Ringrazio chi ha aderito e credo che il gesto dell’Amministrazione Comunale sia in piena sintonia con la campagna della CRUI».

Patrick Zaky, attivista e studente di UniBo. Fonte: Il Fatto Quotidiano.

Le accuse

Attivista per i diritti umani e collaboratore dell’associazione Eipr (Egyptian initiative for personal rights), Patrick è stato anche ex manager della campagna presidenziale di Khaled Ali, oppositore dell’attuale presidente Al-Sisi. La Freedom House, ong americana che si occupa di diritti civili e umani, non solo ha dichiarato l’Egitto “paese non libero” ma accusa Al-Sisi di governare in maniera sempre più autoritaria con la repressione dell’opposizione laica e islamista.

Quello che doveva essere un breve viaggio nella sua terra d’origine si è ben presto rivelato una detenzione di 12 mesi trascorsi nelle carceri egizie. Le accuse vanno dal rovesciamento del regime di potere (per cui è previsto il carcere a vita), all’incitamento alla manifestazione illegale, diffusione di notizie false e propaganda per il terrorismo. Torture, percosse, scariche elettriche, interrogatori lunghi giornate intere sono solo alcuni dei supplizi subiti dal giovane universitario, il quale è stato trasferito da Monsoura (sua città natale), al carcere di massima sicurezza di Tora, già molto noto come luogo in cui vengono sistematicamente violati i diritti umani dei detenuti.

Medesima sorte toccata poi a novembre scorso anche ad altri componenti dell’ong Eipr, con cui lo stesso Zaky collaborava: Mohammed Basheer, direttore amministrativo, Karim Ennarah, direttore per la parte giustizia penale, Abdel Razek, direttore generale.

Gli appelli per la scarcerazione e i rinvii della custodia cautelare

Nonostante le mobilitazioni per la sua scarcerazione da parte di atenei italiani ed europei, il presidente della Regione Emilia Romagna Bonaccini, il presidente del Parlamento Europeo David Sassoli, numerose personalità parlamentari, fino all’appello virtuale dell’attrice Scarlett Johansson, i numerosi rinnovi della custodia cautelare da parte delle autorità egiziane continuano a perpetuare una condanna profondamente ingiusta. L’ultimo rinvio a inizio febbraio, con cui si stabilivano ulteriori 45 giorni di prigionia.

Le lettere dal carcere

Intanto, nelle due ultime lettere giunte dal carcere alla famiglia (datate 22 novembre e 12 dicembre), Patrick Zaki scrive delle sue sofferenze fisiche ma soprattutto psicologiche, angosciato per il suo futuro e i suoi studi: «Le recenti decisioni sono deludenti come al solito, senza una ragione comprensibile. Ho ancora problemi alla schiena e ho bisogno di forti antidolorifici e di qualcosa per dormire meglio» e ancora «Continuo a pensare all’Università, all’anno che ho perso senza che nessuno ne abbia capito la ragione. Voglio mandare il mio amore ai miei compagni di classe e agli amici a Bologna. Mi mancano molto la mia casa lì, le strade e l’università».

Lettera di Zaki giunta alla famiglia lo scorso 12 dicembre. Fonte: AGI.

Ad unirsi al dolore della famiglia di Zaki anche i coniugi Regeni, che in questo anno hanno levato forte l’appello di giustizia per lo studente bolognese. Un appello rivolto in particolar modo alle istituzioni italiane, a cui si chiede un intervento quanto più urgente affinché non si verifichi l’ennesima vittima innocente per azione congiunta tanto di meccanismi di potere autoritari quanto dell’inefficacia da parte dello Stato nella protezione dei suoi cittadini.

Alessia Vaccarella

Caso Regeni, la procura di Roma chiude l’inchiesta: quattro gli accusati

Giorno 10 dicembre la procura di Roma ha ufficialmente chiuso le indagini sul caso dell’omicidio Giulio Regeni, il ricercatore friulano rapito, torturato e ucciso nel 2016 in Egitto.

Quattro membri della National Security egiziana sono accusati di sequestro di persona pluriaggravato, concorso in omicidio aggravato e concorso in lesioni personali aggravate.

La Storia di Regeni

È il 25 gennaio 2016, Giulio, un ragazzo di 28 anni, è ricercatore all’Università di Cambridge e si trova in Egitto per svolgere una ricerca sui sindacati indipendenti egiziani. Uscirà di casa, senza mai fare ritorno.

Solo il 3 febbraio verrà ritrovato il suo corpo privo di vita, seminudo e con segni evidenti di tortura, lungo la superstrada che collega il Cairo con Alessandria. Immediatamente partono le inchieste simultanee dalla procura di Roma e dalla procura del Cairo, con vari incontri tra gli inquirenti. Immediati, però, anche i tentativi di depistaggio da parte degli investigatori egiziani. Paventate le ipotesi di omicidio passionale e persino quello dello spaccio di droga. Moventi considerati sempre inverosimili dagli investigatori italiani.

Poi, il 24 marzo, in seguito ad un conflitto a fuoco in cui persero la vita cinque presunti sospettati dell’omicidio fu rivenuta la prima traccia di una pista collegata direttamente ai servizi segreti egiziani. Infatti, nella casa di uno dei sospettati fu ritrovato il passaporto di Giulio. Oltretutto le indagini rivelarono successivamente che a portare lì il documento fosse stato un agente della National security, i servizi segreti civili egiziani.

Roma richiamò il proprio ambasciatore al Cairo, lamentando la scarsa collaborazione egiziana nelle indagini. Dopo poco più di un anno l’Italia nominò un nuovo ambasciatore e i rapporti diplomatici tra i due paesi ripresero.

La svolta decisiva si ebbe nel dicembre del 2018, quando la Procura di Roma iscrisse nel registro degli indagati il nome di cinque militari egiziani ritenuti responsabili del sequestro di Regeni. É maggio del 2019 quando un supertestimone ascolta una conversazione tra uno degli agenti responsabili del rapimento e un altro poliziotto africano. Quest’ultimo rivelerà che Regeni fu ucciso dai servizi di sicurezza egiziani perché creduto una spia inglese.

(fonte: avvenire)

Il Resoconto della Procura

Il quadro che emerge è che Regeni sia stato seviziato e torturato per un totale di nove giorni con una ferocia sconcertante. Il tutto avvenuto «in più occasioni e a distanza di più giorni», con atti disumani: “perdita permanente di più organi”, “acute sofferenze fisiche”, “numerose lesioni traumatiche a livello della testa, del volto, del tratto cervico-dorsale e degli arti inferiori”, “urti a opera di mezzi contundenti”, “meccanismi di proiezione ripetuta del corpo contro superfici rigide ed anelastiche

Fondamentali le cinque testimonianze chiave raccolte dalla procura di Roma, di cui una racconta: «Ho visto Regeni nell’ufficio 13 e c’erano anche due ufficiali e altri agenti, io conoscevo solo i due ufficiali. Entrando nell’ufficio ho notato delle catene di ferro con cui legavano le persone… Lui era mezzo nudo nella parte superiore, portava dei segni di tortura e stava blaterando parole nella sua lingua, delirava… Era sdraiato steso per terra, con il viso riverso… L’ho visto ammanettato con delle manette che lo costringevano a terra…».

Oltretutto le sevizie che hanno portato alla morte del ricercatore, scrivono i magistrati, «sono avvenute per motivi abietti e futili e abusando dei poteri, con crudeltà …».

A rischiare il processo sono il generale Sabir Tariq, i colonnelli Usham Helmi e Athar Kamel Mohamed Ibrahim, e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif per il reato di sequestro di persona pluriaggravato, e nei confronti di quest’ultimo i pm ipotizzano anche il concorso in lesioni personali aggravate– essendo stato introdotto il reato di tortura solo nel luglio 2017, dopo l’omicidio- e il concorso in omicidio aggravato.

Verità per Giulio

(fonte: Il Fatto Quotidiano)

Cosa state facendo per la verità?”, il grido a rompere un silenzio sempre più assordante.

Sono gli stessi genitori di Giulio Regeni a puntare il dito contro il governo, prevalentemente verso il premier Giuseppe Conte e del ministro degli Esteri Luigi Di Maio

Mentre con il passare degli anni emergono i dettagli sull’omicidio del ricercatore e in in parallelo si assiste alla vergogna dell’ergastolo cautelare immotivato per lo studente dell’università di Bologna Patrick Zaki, i rapporti diplomatici e commerciali tra l’Italia e l’Egitto proseguono indisturbati.

Ci si aspetterebbe una presa di posizione netta che non c’è stata; silenzio italiano che ben concilia con il silenzio del resto dell’Unione europea, culla di diritti umani e democrazia. Il motivo è abbastanza semplice: l’Egitto è un grande partner commerciale. Il presidente del Consiglio europeo Charles Michel non ha fatto cenno ai diritti umani nella sua recente visita al Cairo, il presidente del Parlamento europeo David Sassoli ha rilasciato invece dichiarazioni in proposito senza che però fossero seguite da misure concrete, mentre i leader dei principali paesi europei continuano a fare affari e a intrattenere, tranquillamente, relazioni amichevoli con il regime di Al-Sis.

L’ultimo episodio è stato il conferimento della Legion d’onore, da parte del premier francese Emmanuel Macron al presidente egiziano a Parigi.  Ci sarebbero gli estremi per un incidente diplomatico con l’Italia, grande partner francese costretta ad assistere a tutto questo nelle stesse ore in cui vengono diffuse le notizie sulle sevizie a Giulio Regeni.

Mentre l’Italia e l’Europa puntano il dito contro l’Ungheria di Viktor Orban, invocando il rispetto dello stato di diritto come presupposto per l’erogazione dei finanziamenti comunitari, dall’altro lato della medaglia spiccano l’indifferenza e l’omertà rispetto a ciò che succede oltre i propri confini continentali, anteponendo gli interessi commerciali ai diritti umani.

Manuel De Vita

Zaky resta in carcere: prolungata la custodia di altri 45 giorni. Amnesty accusa l’Italia

(ilmessaggero.it)

Si prolunga per altri 45 giorni la custodia cautelare presso il carcere di Tora al Cairo dello studente egiziano Patrick Zaky che, prima di essere arrestato il 7 febbraio 2020 con l’accusa di propaganda sovversiva, frequentava ed era un dottorando per l’Università di Bologna.

A deciderlo, la Corte d’Assise egiziana in data 21 novembre, dopo un ennesimo rinvio disposto il 7 novembre scorso.

La storia sembra ripetersi all’infinito, come un cerchio che non vuole chiudersi: un ulteriore prolungamento della custodia era stato previsto a luglio 2020 e, da lì, solo altri temporeggiamenti e prolungamenti. Il tutto quasi nel silenzio dell’Italia, il cui intervento risulta sensibile e non idoneo alla scarcerazione del giovane.

Ad affermarlo è Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, che è intervenuto in una trasmissione di Radio Popolare proprio questa mattina:

È come se l’Italia avesse accettato l’idea che si tratta di un eventuale caso di mala-giustizia egiziana nei confronti di un cittadino egiziano e che, dunque, si lascia fare alla magistratura egiziana non tenendo conto che Patrick ha anche una storia italiana.

 

Cosa rischia Zaky in Egitto

Una vacanza in famiglia che si è trasformata in tragedia: Zaky, in carcere ormai da nove mesi, rischia di non ricevere la libertà prima di 25 anni. Questo in virtù dell’accusa di “diffusione di notizie false”, “incitamento alla protesta” e “istigazione alla violenza e ai crimini terroristici”, come disposto dai pubblici ministeri di Mansura.

Tutto sembra essere nato da dieci post di Facebook, ritenuti falsi dagli avvocati. Tuttavia, neanche gli appelli e le prove fornite in giudizio dagli stessi legali sono serviti a garantire la libertà al ragazzo.

Alla gravità dell’accusa si aggiungono le affermazioni degli avvocati del giovane, che sostengono che, al momento dell’arresto, Zaky sarebbe stato bendato ed ammanettato per 17 ore durante l’interrogatorio.

Non bisogna dimenticare, poi, che Zaky è asmatico: la situazione pandemica dell’ultimo anno lo pone come soggetto a rischio d’infezione da COVID-19, con conseguenze che potrebbero risultare disastrose per la sua salute e/o vita.

(ilfattoquotidiano.it)

Nuovi arresti di attivisti che collaboravano con Zaky

Negli scorsi giorni sono giunte notizie di tre arresti che hanno coinvolto i responsabili dell’E.I.P.R. (Iniziativa Egiziana per i Diritti della Persona), un’ONG egiziana che collaborava con lo studente (anch’egli attivista) per la tutela dei diritti umani in Egitto.

Si tratta di Mohammed Basheer, direttore amministrativo di EIPR; Karim Ennarah, direttore per la parte giustizia penale e Gasser Abdel-Razek, direttore generale della ONG.

L’accusa per tutti e tre gli esponenti è di essersi uniti ad un gruppo terroristico, aver diffuso false dichiarazioni che disturbano la sicurezza pubblicaaver danneggiato il pubblico interesse ed aver utilizzato un account online per diffondere false notizie.

(da sinistra: Mohammed Basheer, Karim Ennarah, Gasser Abdel-Razek – fonte: ishr.ch)

Così lo studente perde un importante cavallo di battaglia; infatti, l’EIPR aveva ingaggiato una lotta con la giustizia egiziana per ottenerne la liberazione.

L’appello di Amnesty

A questo punto il futuro della questione risulta più tetro di prima, con l’Egitto che sempre più muove atteggiamenti repressivi nei confronti di qualsiasi forma di attivismo e l’Italia che sempre meno riesce ad avere ingerenza in questioni che riguardano propri cittadini (vd. Giulio Regeni) o studenti.

Tuttavia, Amnesty International si batte ancora duramente per questa causa: è ancora possibile firmare l’appello per la scarcerazione del giovane dottorando. L’ONG lo ritiene, infatti, un prigioniero di coscienza detenuto esclusivamente per il suo lavoro in favore dei diritti umani e per le opinioni politiche espresse sui social media.

Al momento, sono state raggiunte più di 124.000 firme su un obiettivo di 125.000.

 

Valeria Bonaccorso

Patrick Zaki, rinnovata la detenzione per altri 45 giorni

Patrick Zaki è un attivista e ricercatore egiziano di 27 anni, che è stato arrestato al suo arrivo in Egitto il 7 febbraio 2020.

L’accusa consiste in reati di opinione, “incitamento alla protesta” e “istigazione a crimini terroristici”.

Il ragazzo è di origini egiziane e frequentava l’Università di Bologna finchè lo scorso febbraio non torna in Egitto.
Doveva trascorrere una breve vacanza con i suoi familiari ma una volta atterrato è stato sottoposto ad un lungo interrogatorio di 17 ore.

I suoi avvocati hanno riferito ad Amnesty International che gli agenti della NSA (Agenzia di sicurezza nazionale) che durante l’interrogatorio hanno bendato e ammanettato il ragazzo.
Inoltre vengono riferite altre torture quali uso di scosse elettriche; il ragazzo è anche stato picchiato sulla pancia e sulla schiena.

Le domande dell’interrogatorio vertevano sulle sue attività da attivista e sul suo motivo di residenza in Italia.

L’oggetto su cui si basa l’accusa sarebbe un profilo Facebook contenente dieci post di “incitamento alla protesta”, considerato però falso dagli avvocati di Patrick Zaki.

Patrick adesso si trova in detenzione preventiva dal 7 febbraio e fino a data da destinarsi.

Dopo numerosi rinvii, domenica scorsa, il 12 luglio, si è tenuta la prima udienza del processo.
Tuttavia, anche se gli avvocati del ragazzo hanno presentato le ragioni per cui si chiede la scarcerazione, il giudice ha deciso di prolungare la detenzione preventiva per altri 45 giorni.

Ci troviamo davanti ad un fenomeno tutto egiziano già denunciato e portato sotto l’occhio mediatico per il caso Giulio Regeni.
Anche Regeni era un dottorando, rapito il 25 gennaio 2016.
Il 3 febbraio successivo venne ritrovato senza vita e la narrazione dei fatti riporta controversie simili in quanto ad accuse.

L’Agenzia per la sicurezza nazionale in Egitto è responsabile di rapimenti, torture e sparizioni con lo scopo propagandistico di impaurire gli oppositori e reprimere il dissenso.

Amnesty International ha stilato un rapporto dal titolo “Egitto: ‘Tu ufficialmente non esisti’. Sparizioni forzate e torture in nome del contrasto al terrorismo“ nel quale analizza il fenomeno.
Sono molti infatti i casi di sparizioni improvvise e torture di studenti, attivisti politici e manifestanti.

Lo scorso 4 luglio Patrick ha mandato una lettera ai familiari, nella quale afferma:

“Cari, sono in buona salute, spero che anche voi siate al sicuro e stiate bene. Famiglia, amici, amici di lavoro e dell’università di Bologna, mi mancate tanto, più di quanto io possa esprimere in poche parole

Tuttavia il rinnovo della detenzione ad ulteriori 45 giorni fa preoccupare. Intanto crescono le polemiche, anche in seguito alla liberazione di Mohamed Amashah, un ragazzo con doppia cittadinanza, americana ed egiziana.
Questi infatti era finito in carcere dopo aver esposto un cartello in piazza Tahir, con la scritta “Libertà per tutti i prigionieri politici”.
Il rilascio è avvenuto solo grazie alle numerose pressioni del governo Trump e adesso si è discusso sulla necessità di un’azione simile da parte del Governo italiano.

Angela Cucinotta