Violenza: è l’ora di dire BASTA

 

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Imagine all the people, living life in peace

 

Se vi chiedessi: “quali sono i maggiori problemi esistenti nel mondo?”, voi cosa rispondereste? La fame, ovviamente, la povertà, i politici disonesti, la guerra, le malattie. Ma, secondo me, una delle più imponenti piaghe sociali è la violenza.

Noi siamo esseri umani e, come tali, siamo caratterizzati dal lume della ragione. Quel lume che si perde in alcune occasioni, quel lume perso che ci fa diventare aggressivi, cattivi, impetuosi. Quante volte si dice “è come se avesse perso il lume della ragione”?Scatta qualcosa, si perdono le inibizioni, i freni ed ecco che diventiamo feroci, che ci avvaliamo della violenza per imporci su altri esseri umani.

Sassari, Roma, Orlando, Santa Monica, Francia. Cosa accomuna questi cinque luoghi? Li accomuna il fatto che, nelle ultime ore degli ultimi giorni, sono stati sbattuti in prima pagina per atti di violenza. E così entriamo in campi molto delicati quali il femminicidio, l’omofobia, fino ad una delle più stupide motivazioni per cui ci si avvale di questa “arma”: il calcio. E poi, ancora: bullismo, terrorismo. Violenza psicologica, violenza fisica.

Siamo liberi di NON parlare, siamo liberi ma con dei limiti, siamo liberi dietro metaforiche sbarre. Gli uomini nascono liberi di poter vivere la propria vita come vogliono e, per mano di altri uomini, finiscono per non poterlo realmente fare.

In questi giorni sono ricominciate le campagne che dicono stop alla violenza sulle donne. Si legge sui giornali ”Sassari: ragazzo picchia la sua fidanzata, arrestato e rilasciato, torna da lei per vendicarsi a SPRANGATE o ”Roma: marito ammazza moglie perché non le ha sorriso quando lui desiderava”. Giorno dopo giorno si sentono storie di uomini che, imbestialiti da non si sa cosa, ammazzano una di noi. Una di noi: perché non importa se è una ragazza nata dall’altra parte del mondo, è una di noi, una sorella, una moglie, una figlia, un’amica. Sembrano storie così lontane da noi che non ci accorgiamo che, invece, sono così vicine. Oggi potrebbe toccare a me, solo perché mi sono fidata di dire “sì” a un caffè, solo perché ho detto “ti amo”, solo perché ho voluto costruire con te qualcosa.

Tutto questo, cento volte è stato detto a ognuna di noi, non è amore. E, se lo è, è un amore malato e bisogna dirlo, bisogna denunciarlo per salvarsi. Gli schiaffi, i pugni non sono amore. Questo NON È AMORE. Invece, per chissà quale motivo, quello che non viene reputato Amore (con la A maiuscola) è il sentimento che si instaura tra due persone dello stesso sesso. Due persone che si amano normalmente, senza schiaffi, senza coltelli, con qualche litigata fisiologica, se appartengono allo stesso sesso non sono normali. È contro natura. La sentite pure voi? Si chiama Omofobia.

Ed è così che ti ritrovi ucciso. Perché sei andato in un locale a festeggiare con il tuo ragazzo, con il tuo amore, a ballare, a divertirti e un pazzo entra e ti spara. E ti spara non perché, secondo alcune dichiarazioni, è facente parte dell’Isis (l’emblema contemporaneo del terrorismo e della violenza) ma perché ha visto due ragazzi omosessuali baciarsi e si è arrabbiato. Capite? Si è arrabbiato. Ah, ma non era l’unico: un uomo, diretto al Gay Pride di Los Angeles, è stato fermato, il 12 giugno scorso, a Santa Monica dove gli sono stati sequestrati fucili d’assalto ed esplosivi che, come da lui dichiarato, voleva utilizzare a quell’evento.

Ma se anche lo Sport, simbolo dell’unione tra i popoli e le persone, viene umiliato con notizie di tifosi che si picchiano tra di loro, dove arriveremo? Se anche questi Europei 2016, che dovrebbero rappresentare il mondo unito IN FRANCIA contro il terrorismo, vengono macchiati così, con queste disgustose notizie?

Il lume della ragione. Ma dove lo abbiamo lasciato, signori miei? Chi ci ha fatto credere che abbiamo il permesso di alzarci la mattina e andare a violare la libertà delle persone? Chi ci ha fatto credere che abbiamo il potere di giudicare qualcuno, di fargli del male se non è come noi o se non si comporta come vogliamo noi? Con quale sangue freddo riusciamo ad alzare le mani su un altro essere umano, a ucciderlo o a portarlo al suicidio?

Oggi è lunedì e io ho voluto iniziare la settimana con una parola: basta.

Adesso basta.

Elena Anna Andronico

C’è chi dice NO

Gli studenti dell’Università degli Studi di Messina hanno detto NO alle mafie.

Questa mattina, grazie alla preziosa collaborazione dei professori Chiara e Moschella, si è svolto presso il Rettorato l’evento “I giovani e la lotta alla mafia. In ricordo di Giovanni Falcone.“, che ha visto da programma i saluti del Magnifico Rettore e gli interventi di diverse autorità, accompagnate dagli speech di due studenti e dalla mostra fotografica allestita dagli stessi studenti presso l’atrio del Rettorato. L’evento di per se è stato un chiaro segnale di non sottomissione nei confronti del fenomeno mafioso, e oltre alla commemorazione di una figura fondamentale come quella di Falcone, è riuscito a descrivere i connotati di una mafia che dagli anni ’60 si è impossessata dapprima della sua terra natia per poi espandersi fino ad arrivare a colpire il potere centrale e a farsi carico di azioni spregevoli e atteggiamenti che, se inizialmente venivano visti al sud come qualcosa di “normale”, hanno varcato i confini del Tevere per arrivare fin sotto le Alpi.

Ma l’evento di per se è uno specchietto per le allodole se visto sotto l’ottica pura del ricordo: ci hanno sempre abituati a vedere le cose sotto il punto di vista del “ricordare è giusto, tenere viva la memoria e non permettere più atteggiamenti dello stesso stampo”, bypassando di fatto quello che a mio modo di vedere è il nodo fondamentale della questione, cioè l’educazione.

Troppo facile dire che Falcone, Borsellino, Livatino e tanti altri, magistrati e non, siano esempio per noi se poi a questi propositi non seguono azioni concrete che si sviluppano già in fase pre-adolescenziale. Non siamo educati fin da bambini a schierarci apertamente contro le mafie, e non parlo solo di quelli che sono i media di uso comune ma di educazione civica nel senso più puro del termine. Siamo sempre stati condizionati dalla distinzione “bravo e mafioso” e “scarso ma onesto”, precludendo la via della meritocrazia, del “bravo e onesto”, in favore della più agevole via del clientelismo e dell’interesse personalistico, in un mondo e in una terra dove la mafia si respira ogni giorno, anche oggi, dove la generazione che dovrebbe ribellarsi, in modo più o meno assordante, alle logiche del favoritismo e che rappresenterà la classe politica del domani non fa altro che scendere a compromessi e a giocar al “politico di stampo prima repubblica” in fantomatiche posizioni di potere che a dir la verità di potere ne hanno poco e sono solo il banco di prova per futuri momenti di scelta elettorale.

Combattere la mafia significa anche debellare questo malcostume, scendere in campo preparati, con l’ardore che dovrebbe contraddistinguere un cittadino interessato a sé ma anche al bene comune, ma soprattutto che dovrebbe attraverso un processo democratico scegliere da che parte stare e chi sostenere guardando esclusivamente al merito, cercando di costruire attorno a se una società fatta finalmente non di gente “brava e onesta”, ma esclusivamente “brava”, perché l’onestà dovrebbe essere terreno comune dove coltivare sogni e ambizioni e far crescere la speranza di una società migliore. Una massa di gente con coscienza e criterio, che la mafia vuole vederla SCONFITTA. Oggi gli studenti Unime, anche attraverso questa iniziativa, hanno avuto la forza e il coraggio di scegliere di intraprendere questa strada, con l’auspicio che nonostante sia particolarmente tortuosa non cambino mai idea, ma che anzi, piuttosto che camminare, possano iniziare a correre.

https://youtu.be/kQdXRxv_QcE

Salvo Bertoncini

C’eravamo tanto “votati”

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Voi la guardate la televisione? Fate male. Da troppo tempo i mezzi d’informazione come il tanto caro Tg, oltre a perdere colpi giorno dopo giorno seguendo notizie che potevano essere divulgate tre anni dopo o andare in onda tre anni prima (non faceva differenza), rischia di allontanarci troppo dalla realtà quotidiana. Lo so lo so, voi mi direte sicuramente “la realtà fa schifo, mi chiudo in casa a drogarmi di serie TV, ingozzandomi di schifezze…tanto se succede qualcosa mi avviseranno” ma una passeggiata ogni tanto, soprattutto a noi studenti, male non fa. Alle soglie della sessione estiva occhi per l’attualità non ne abbiamo sicuramente, anzi, pensiamo sempre che sia il giorno sbagliato (per studiare) e il giorno giusto (per… avete capito) perché tanto “anche oggi mi laureo nel duemilaMAI”.

Cosi come la Luna di Miele dello studente è ormai finita, quella del consigliere comunale Paolo David, si è interrotta bruscamente giovedi scorso quando la Squadra Mobile di Messina lo ha arrestato dopo tre anni e mezzo di “peace and love” amministrativa con un bel cambio casacca a Dicembre 2015 (si sa come sono le casacche, quando sono sporche o non piacciono più, si cambiano). Sulla consumazione del matrimonio la Procura indaga. L’accusa è di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione elettorale: non proprio bruscolini. Non è ovviamente compito nostro giudicare nessuno. A leggere le intercettazioni sembra però che David si definisse insieme ai suoi sodali il “cavallo giusto”, quello su cui puntare per ottenere quel che si vuole (ma se il cavallo è lui, i fantini chi sono?) e fosse una specie di fattorino del Conad che portava la spesa a parecchie famiglie in cambio di una cosa che “sembrerebbe” trovarsi nella Costituzione all’art. 48 come “personale ed eguale, libero e segreto”: il voto. Non solo: singolare episodio quello dell’ambulanza che il 25 Maggio 2013 si presenta davanti ad un patronato (poi dicono che la sanità non funziona) e carica pacchi di spesa come se fossero alle porte quelli dell’Isis, sotto la supervisione del socio di David. I famosi “prezzi bassi e fissi” prendendo in prestito lo slogan della nota cooperativa rossa. Solo che in questi casi la rete di corruttele che si sta disegnando somiglia sempre meno ad un errore o ad un fraintendimento.

Una volta il politico beccato a compiere atti illeciti aveva dei difensori simpatici: quando beccarono il tesoriere di Umberto Bossi, tale Patelli, per delle tangenti, il Senatur dichiarò:”è un pirla”. Badate, non perchè avesse sbagliato ma perchè si era fatto beccare. Oggi per David le bocche in consiglio comunale sono della stessa espressività di un comodino, in barba ad una sana moralità politica che aveva gia ricevuto un colpo mortale con l’inchiesta Gettonopoli. E parlare di politica davanti a episodi del genere è complicato anche per il sognatore più vivace.
Pensiamoci, cari colleghi, quando ci presenteremo alle urne il 18 e 19 Maggio per eleggere i componenti del Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari, organo consultivo del MIUR: un voto non si scambia con un pacco di pasta, una granita o un caffè. Un voto è una cosa seria, è un diritto che costituisce espressione della nostra volontà, libera e consapevole. Noi ridiamo facendo informazione (provandoci almeno) ma non lasciamo che questi poco illustri episodi di politically (s)correct passino indenni senza lasciare, se non un energica reazione, perlomeno un pò d’indignazione. Si dirà che le parole sono solo fiato (pensate David diceva di fare politica) ma il loro peso non è qualcosa di trascurabile, e quando il periodo del “sono bravo e bello” finisce come il viaggio di nozze con la carta di credito scoperta, i fatti, le azioni e le omissioni diventano nitida immagine di quel che realmente siamo.

Noi, voi, gli altri…

Ci sono storie che non esistono” diceva uno dei (troppo) famosi trailer di Maccio Capatonda: lo sapeva anche lui, lo sanno tutti, che certi episodi, certi eventi dovrebbero esistere solo nelle (peggiori) favole che non leggeremmo mai. Mentre il freddo pervade ogni anima pia (ma anche no) dell’Ateneo messinese, mentre gli esami si avvicinano e molti di noi non hanno ancora capito come prenotarsi (fingiamo bene vero ragazzi?) e mentre la città sprofonda nell’immondizia ma abbonda di autobus rossi arancioni e bianchi (la fantasia non ci manca) il peggio del peggio di peggiore ci travolge e ci deprime troppo facilmente. Chi ad esempio non è depresso ma ha tanta voglia di ridere è uno dei tanti oscuri candidati messinesi all’esame di abilitazione alla Professione Medica, che il 4 Febbraio scorso non ha potuto sostenere l’esame per via di un errore di CINECA, consorzio che si occupa della predisposizione delle prove a livello nazionale, che molto genialmente ha inviato 125 plichi per 150 candidati. Immaginiamolo li, seduto al suo posto con tre quarti dei muscoli in tensione per un giorno che potrebbe cambiare la sua vita, vestito al meglio, oppure di fretta per aver studiato tutta la notte ed essersi svegliato tardi , e ad un certo punto gli viene detto che l’esame è stato rinviato a “data da destinarsi”. A poco servono le scuse del rettore Navarra (anche perchè è gia un bel po’ che facciamo “CINECA akbar) e l’avvio di un azione risarcitoria a carico del consorzio, considerato che gia nel 2014 questo era stato protagonista di un pasticcio simile con i test d’ingresso alle scuole di specializzazione in medicina. Come dire “fatti una domanda e datti una risposta”: chi dovrebbe maledire per primo, sempre il nostro oscuro candidato, mentre conta la dose di tranquillanti che ha ingerito per “star sereno” all’esame? Qualcuno ha sussurrato che, in tutta questa storia, la fortuna abbia voltato le spalle ai poveri studenti: se dovessimo fare un elenco però, andremmo sicuramente indietro nel tempo e scopriremmo, ancora una volta, “una storia che non esiste”. Riflettiamo ancora su di loro, professionisti rientrati anche dall’estero per non perdere questa opportunità, e che hanno atteso per almeno 6 ore presso il padiglione F del Policlinico notizie dal MIUR, sentendosi infine sentenziare che sarà preparato un test ad hoc per il “caso Messina”. Poco importa se l’articolo 4 del Regolamento del 2001 prevede che “ciascuna prova scritta si svolge contemporaneamente nelle diverse sedi individuate con contenuto identico in tutto il territorio nazionale”. Ma si dai, cosa vuoi che sia, in un paese dove la legge è un optional e non vince il piu bravo neanche ai concorsi, bensi’ “il piu bravo che è magari il piu fortunato”. Merita in questo editoriale, uno spazio dedicato al “caso Tomasello” (anche se di caso ha ben poco, è proprio tutto chiaro). Nel 2013 il prof. Dario Tomasello, figlio dell’ex rettore Francesco Tomasello ma soprattutto noto per essere una persona affabile con i propri studenti, di compagnia e sorprendentemente erudito, vince il concorsone per Ordinario battendo il piu anziano Fontanelli, allievo (come Tomasello) del luminare di Letteratura Italiana Giuseppe Amoroso. Si dirà “capita” ma lo sconfitto non si arrende e alla fine scopre che il vincitore ha “copiato e incollato” pagine e pagine dei lavori di Amoroso, senza le famose virgolette che avrebbero reso il tutto assolutamente normale. Quel che lascia di stucco è la risposta del Ministero:”Visionata la documentazione» la commissione (che lodava il vincitore anche per i «contributi originali») ritiene di «non dover modificare il giudizio di abilitazione già reso nei riguardi del prof. Tomasello”. Tradotto in italiano (materia tanto cara ai contendenti): se io scrivo una seconda Divina Commedia, di piu o meno quattro righe, ma poi copio uno o due enciclopedie Treccani da qualcuno, posso tranquillamente ottenere una cattedra, magari anche con tanto di genuflessioni in serie della commissione. Ora, a parte il farsi quattro risate (perchè questo stiamo facendo, nient’altro) vogliamo credere che ai piani alti abbiano riflettuto bene prima di dare questa risposta e vogliamo soprattutto credere all’onestà di Tomasello. Certo è che il messaggio allo studente che si vorrà accostare in futuro all’insegnamento non può che essere la modifica di quello precedentemente scritto: “ai concorsi vince il piu bravo, che il piu fortunato e che magari è anche il piu furbo”.

Mo’ me lo segno, avrebbe detto Massimo Troisi. Noi amiamo dire:”esistono storie che non esistono”