Dietro le quinte di Sanremo

©Giulia Greco, Sanremo 2019

Avete presente quando da bambini pensavate che quando sareste diventati grandi avreste fatto una determinata cosa che in quel momento vi affascinava? Come “da grande conoscerò Michael Jackson, lo vedrò” lo pensai a 10 anni immaginandomi a 20 anni – beh dai, noi credevamo di essere grandi a soli 20 anni – ad un suo concerto, ad intervistarlo!! Bene, tre anni dopo scomparve. Ma se c’è uno di quegli infantili desideri che ho realizzato è stata di certo questa esperienza a Sanremo. Si, lo so cari lettori, forse è arrivato il momento di smetterla di parlarne, però questa volta è diverso!!

Non posso spiegare cosa ho vissuto, non riuscirei a farlo capire ad altri. A Sanremo anche la confusione è musica, per questo ricorderò ogni singolo istante, ogni via, ogni occasione ed esperienza con una canzone diversa… ognuna farà parte del concerto della mia vita. – Marta Frangella, Speaker di Radio UniVersoMe

Teatro Ariston – ©Giulia Greco, Sanremo 2019

Pensandoci a mente fredda sicuramente sarà stata la Giulia di 10 anni a spingermi ad andare, senza pensarci due volte: lo dico perché mi sono ritrovata in un vortice di eventi che solo adesso riesco a delineare. Tutta la mia avventura è iniziata con un messaggio di Cristina di domenica pomeriggio, alle 18.20 per l’esattezza, io ho pensato “oddio ma che vuole mo’, lo sa che non posso andare”. Ma il senso di colpa si è fatto sentire subito, e nel giro di qualche minuto ho saputo che dovevo sostituire la fotografa che doveva partire. Da un momento all’altro i miei programmi della settimana successiva si sono stravolti, per ritrovarmi alle 4.00 del mattino di lunedì su un pullman diretto all’aeroporto. La scimmietta che batteva i piatti nella mia testa si è fermata incredula per tutto quel che stava accadendo. Stavo andando a Sanremo e ancora non avevo la più pallida idea di come raggiungerlo, di dove avrei dormito e tutto il resto, ecco.

Il cuore di San Remo durante il festival va al ritmo delle canzoni che in quei giorni diventano i tormentoni di tutta Italia e non si può fare altro che lasciarsi coinvolgere. – Elena Perrone, Speaker di Radio UniVersoMe

Da sinistra: Marta, Cristina, Giulia ed Elena

Sanremo è una cittadina che senza il festival ha ben poco da dare, e forse questo era appurato, ma è talmente curata, che le palazzine bianche e perfettamente armoniche rendono l’ambiente un’evasione… solo per i turisti: chi sta dietro alla rassegna canora ha una crisi di nervi dopo l’altra. Casa Sanremo era l’headquarter dei giornalisti, luogo dove si trova la sala stampa Lucio Dalla, fonte di non poche polemiche per l’ultima edizione. In questo luogo un po’ mistico ed un po’ tanto improbabile, i soggetti erano i più disparati: aspiranti cantanti, aspiranti modelli, aspiranti giornalisti, gente piena di speranza insomma, che cerca di acchiappare il vip di turno per una qualsiasi opportunità. Il motto che aleggiava per la struttura era “o la va o la spacca”, la dignità aveva fatto posto alla sfrontatezza. Solo così si riesce ad ottenere quel che si vuole, a Sanremo. Francesco Renga in un’intervista ha detto <<qui è concentrato in una settimana tutto il lavoro che facciamo in un anno>> e la stessa cosa vale per chi sta dietro le quinte. Corri da una parte all’altra, appostamenti coordinati come militari in tempo di guerra, la strategia è fondamentale.

Statua di Mike Bongiorno – ©Giulia Greco, Sanremo 2019

Ma quanto è stato utile conoscere questo mondo? In ambito giornalistico sicuramente manna dal cielo: per chi vuole intraprendere questa carriera deve interfacciarsi da subito con situazioni così complicate. Quel che accade in una città dimenticata e poco meritocratica come Messina, non è nemmeno una palestra per la vita di un reporter. Lì bisognava crearsi le opportunità ed accettare anche le porte in faccia dei manager. Soprattutto quando, nella gerarchia delle emittenti, puoi essere paragonato al portaborse. La formazione di una settimana che vale per un anno intero, con i suoi pro ed i suoi contro. È stato un po’ come il primo giorno di liceo: vedi i grandi dell’ultimo anno che ti sembrano irraggiungibili, quelli già “studiati” all’adolescenza che frequentano le classi di mezzo, ed infine ci sei tu, novellino del primo anno carico come pochi perché finalmente sei entrato nel periodo più confusionario della tua vita.

 

 

L’aria che si respira nella città di Sanremo è fresca e colorata come i fiori che offre.  Un attimo prendi un caffè e l’attimo dopo hai accanto chi fino alla sera prima guardavi in tv. Animata da milioni di persone, la città riesce ad unire i pensieri di tutti, grazie alla sua musica. Da 69 anni a questa parte, ogni anno. Magia, no? – Cristina Geraci, responsabile della Radio UniVersoMe

Comprendi che esistono tanti meccanismi da dover imparare, ed è di più il lavoro di tutti quelli che popolano quel pezzo di terra ligure in 7 giorni che il programma che vediamo in tv e rende poco partecipativo il pubblico.

Forse è una lacuna dei palinsesti tv italiani? Del modo di operare? La politica economia è di gran lunga superiore della politica sociale. Sanremo si riempie di produttori, talent scout, discografici, che regolano buona parte dell’andamento della rassegna. È nell’indole dell’italiano politicizzare ogni cosa di dominio pubblico, ma è anche nella sua indole nascondere tutto ciò che è possibile per indirizzare lo spettatore verso uno scopo ben preciso.

Le ragazze “giudici” di The Voice

Non sto insinuando che il risultato finale sia stato deciso a priori, ma che si tende a monitorare l’opinione pubblica (voi direte “grazie Giulia hai scoperto l’acqua calda”) secondo le tendenze del momento ed intanto i pecoroni ci cascano, ancora più triste è che di mezzo ci sia la musica. Ah, la musica, rifugio per tanti, riscoperta per altri, ogni singolo essere umano ha la propria melodia. Perché macchiarla?

Sanremo è tradizione, Sanremo è quella settimana di festival per l’intero popolo italiano, unione sotto una bandiera strappata e ricucita innumerevoli volte.

P.S. ho visto pochi fiori. Ci sono rimasta molto male.

 

 

Giulia Greco

 

Gli estremisti collezionano l’ennesima sconfitta

Ferire, bruciare, sgozzare, l’hanno fatto in molti, ma davanti alla macchina da presa, in quel modo sfacciato e vanitoso, no. È facile e perfetto per colpire l’immaginazione.”
DACIA MARAINI

Ostaggi dell’Isis annegati in una piscina

Furono i Romani uno dei primi popoli a vedere di che pasta fosse fatta la matrice terroristica, li battezzarono Sicarii, fazione estremista degli Zeloti, bramavano l’indipendenza politica della Giudea da Roma.
Ad oggi sono svariati i gruppi terroristici: Stato Islamico, Al Shabaab, Talebani; solo alcuni dei nomi noti che, attraverso la loro bestia nera, tentano, giorno dopo giorno, di imporci il loro progetto egemonico; tentando di indottrinarci tutti secondo un unico credo, che il più delle volte sfocia nel fanatismo.
Ahimè, quella delle persone che hanno visto sfumare i loro sogni a causa delle loro brutalità, è una lunga lista. Dal 2003 ad ora sono 44 i cittadini italiani che sono venuti a mancare.

16 Maggio 2003, Luciano Tadiotto, tecnico italiano, perde la vita in una serie di attentati terroristici a Casablanca. 7 luglio 2005, Benedetta Ciaccia, analista finanziaria, resta uccisa in uno degli attentati contro la metro di Londra. 13 novembre 2015, Valeria Solesin, 28 anni, studentessa veneziana della Sorbona è una delle vittime al teatro Bataclan. Era lì con il suo fidanzato per il concerto degli Eagle of Death Metal. 11 dicembre 2018, Strasburgo, 29 anni, il giornalista Antonio Megalizzi, freddato a Strasburgo dagli spari di un terrorista.

Loro, sfortunatamente, sono soltanto alcuni dei tanti uomini che cercano di dar un volto nuovo a questo mondo che, fra tragedie e guerre, ha perso la sua genuinità; uomini che di questo mondo amano l’odore, i colori e tutti i modi in cui esso si manifesta.

Ma qual è la loro arma più forte? Con cosa ancora ci riescono a tenere in pugno?

Muadh al-Kasasibah, prigioniero dell’Isis, arso vivo

L’immaginazione è il mezzo perfetto di cui fanno uso costantemente, con una sceneggiatura non da poco, riescono ad arrivare a migliaia, ma anche milioni di persone alla volta facendo “uso” di uomini come Muadh al-Kasasibah, arso vivo all’interno di una gabbia.
È proprio con azioni del genere che tentano di avanzare i loro “discutibili” ideali, è proprio con azioni del genere che riescono ad arrivare con un uomo solo ad intaccare una società intera, entrano nelle nostre vite senza che noi effettivamente ce ne rendiamo conto ed è così che vorrebbero noi sposassimo la loro ideologia, il loro concetto dell’ Islam; dove anche bere, fumare ed ascoltare musica può diventare oltraggio; come nel caso di Ayham Hussein, 15 anni, decapitato in una piazza di Mosul, in Iraq, dopo esser stato sorpreso ad ascoltare musica occidentale dal suo lettore cd.

Sarebbero entusiasti nel constatare che i loro attentati hanno creato una certa alienazione mentale sul resto del mondo, non permettendo più alla gente di vivere un viaggio come una vacanza, una pausa dalla vita quotidiana, bensì qualcosa da cui stare lontani finché le acque si calmino, sarebbero entusiasti nel vedere che tutte le forme dell’arte vengano osservate con un occhio diverso, un occhio che oramai è abituato ad indossare sempre più spesso occhiali con lenti scure.

Tuttavia è per uomini come Muadh al-Kasasibah, che di fronte ad una morte a dir poco ingiusta non si è piegato ad una guerra che sul campo sarebbe già finita da tempo, ad una guerra mentale che usa l’immaginazione come mezzo di conquista globale. Ha dimostrato forza, ma soprattutto ha resistito ad un’idea di religione che non è quella associata alla figura dell’ Islam, religione che non ammette uccisione e terrorismo.
Ed è proprio per questo che noi dobbiamo continuare ad essere giornalisti, viaggiatori, rivoluzionari. Proprio perché nel nostro piccolo stiamo combattendo la guerra più grande. Una guerra dove le armi non contano, conta solo il coraggio di essere il cambiamento che vorremmo vedere nel mondo.

#NotInMyName, manifestazione contro il terrorismo

Fin quando noi saremo questo, è vero, questi gotici giustizieri ci potranno anche portare via i nostri cari ma non è per questo che i progetti dei nostri beneamati resteranno castelli in aria. Non è per questo che ci metteranno l’uno contro l’altro; razze o religioni che siano, non dobbiamo e non possiamo permettere né che un sobrio velo ci crei sgomento né che una passeggiata con la famiglia diventi un calcolo statistico per prevenire un attacco terroristico; per poi comunque comprendere che è forse impossibile constatare un filo logico che porti al controllo di tutti gli spazi sociali.

Nonostante la paura i castelli verranno ultimati, però con l’eccezione che questa volta saranno anche più imponenti di quanto lo erano già nell’immaginario dei nostri Cari sognatori, ma la cosa più rilevante è che per i terroristi sarà l’ennesima sconfitta.

Mattia Castano

Caro Babbo Natale

 

Caro Babbo Natale, 

Io vorrei sapere: il Natale cos’è? 

So che il Natale è fatto di addobbi, di lucine, di alberi di Natale di ogni tipo, di presepi.  

Ogni anno, i primi di Dicembre si riaprono gli scatoloni e con loro si riscopre anche quella famosa magia del periodo che, poi, il sei Gennaio verrà posata nel ripostiglio e accantonato l’incanto natalizio.

Allora ti dico, caro Babbo Natale: non sembra quasi una routine, con le parti assegnate e imparate a memoria, che si ripete ogni anno? 

Ci insegnano fin da piccoli che in questo periodo dovremmo volerci un po’ più bene, dovremmo imparare a donare, scambiarci i regali. Siamo tutti pronti a brindare, a rispondere ‘’anche a te e famiglia’’. Sembriamo tutti addestrati a goderci queste festività, ad amarci di più, a fare e ricevere doni. 

Ed in fondo, mi dico: che male c’è? 

Forse è una festa comandata dalla religione o forse è una festa in termini consumistici. 

Ma, caro Babbo Natale, che ci costa poi allontanare un po’ di questo cinismo ed interpretare questa parte che, alla fine, ci rende felici? 

Basti pensare a tutti i bambini che ti scrivono lettere, in cui esprimono i loro desideri; che credono davvero che il Natale sia speciale e che dal camino o dai tetti, questa notte passerai tu con le tue renne e la tua slitta. 

 E sai cos’altro mi piace di questa magica commedia che è il Natale? Quell’esatto momento in cui addobbo l’albero di Natale con la mia famiglia, e siamo tutti lì riuniti in una stanza, dove le preoccupazioni sembrano non entrare.  

E’ magico anche il materialismo dei regali, sì.

”Perché?” dirai tu, Babbo Natale? Perché sai quant’è bello la sera del ventiquattro scambiarsi i regali con le persone care? Quell’istante in cui effettivamente non importa cosa c’è sotto la carta regalo, conta solo chi lo ha fatto. 

Ma soprattutto, caro Babbo Natale, quant’è bello quando tornano tutti i miei amici dal freddo Nord e finalmente li ritrovo tutti qui, seduti attorno ad un tavolo a giocare a carte. 

 

Caro Babbo Natale, alla fine lo so cos’è il Natale. 

Il Natale è stare con le persone che ami, è tornare a casa.  

 

Jessica Cardullo

Sindrome da Natale precoce e l’altra faccia della festività più attesa dell’anno

Molti sarebbero d’accordo con Cremonini che canta: “Dalle ultime ricerche di mercato si evince che la gioia è ancora tutta da inventare”. Secondo la scienza invece la felicità alberga nel cuore di chi si dedica agli addobbi natalizi con un po’ di anticipo. Sembra quindi che questa esigenza non sia dettata dalla voglia di battere tutti sul tempo sorprendendo con la decorazione più originale. La riflessione che sto per proporvi ha avuto inizio dalla constatazione di un fatto. Durante le ultime settimane di novembre, mentre mi aggiro per le vie di Messina, osservo le prime lucine tipiche di Natale ad ornamento di case e negozi. Continuando a passeggiare, riesco a scorgere la presenza di un albero di Natale attraverso la finestra di un appartamento che dà sulla strada. Lo stesso scenario. Ogni anno. Io, già di mio cinica e poco incline ai festeggiamenti, reagisco d’impulso indignata ed esprimo il mio disappunto, perché tutta quest’aria di festa precoce contribuisce a rincarare la mia già elevata dose di ansia. Senza voler limitare la libertà di nessuno…per quale motivo non si può semplicemente aspettare l’8 dicembre come da tradizione? Io, che se detenessi il potere di controllare il tempo lo fermerei o porterei indietro le lancette, non ho nessuna voglia di anticiparlo senza godermi la giusta attesa.

Comunque, una volta passato lo sfogo, torno sui miei passi e mi fermo a riflettere: mi convinco che dietro a questa tendenza di anno in anno sempre più comune, che prendo l’iniziativa di rinominare scherzosamente “sindrome da Natale precoce”, ci siano dei motivi ben più profondi da capire. Effettivamente, faccio alcune ricerche e trovo delle informazioni interessanti che riporto qui di seguito. Scopro che secondo un team di psicologi, se rientrate tra quelle persone che avevano già allestito albero e presepe qualche settimana prima di dicembre, significa che siete più felici degli altri. Non mi accontento di questa spiegazione un po’ fine a sé stessa, pertanto decido di approfondire e leggere ulteriormente. Traggo le seguenti conclusioni: stando agli studi di esperti psicoterapisti, impegnare la mente nella predisposizione degli addobbi natalizi ci distoglie dai problemi quotidiani e dallo stress, risveglia il “fanciullino” che è in noi e fa rinascere la nostalgia di un’infanzia spensierata che si desidera ripristinare. Ultimo effetto, ma non meno importante, sarebbe quello che le decorazioni appese fuori dalle porte degli appartamenti, nei balconi, e nei pianerottoli, migliorerebbero i rapporti con il vicinato e renderebbero più simpatici.

Per quanto io possa riporre estrema fiducia nella scienza, mi sento di dissentire da queste affermazioni, soprattutto dall’ultima, consegnando un’analisi dal mio punto di vista sociale e culturale un po’ diversa. Una versione che potrebbe sembrare forse troppo scettica, ma in cui tanti altri potrebbero riconoscersi, frutto di esperienze personali e collettive. Parto dal fatto che nonostante negli anni la mia famiglia abbia sempre esposto i festoni natalizi dietro la porta di casa, i signori condòmini del mio bizzarro e singolare palazzo che non rivolgevano il saluto prima di Natale, hanno proseguito a non farlo. La cosa più eclatante però è stata trovare, una volta rientrati a casa dopo un’uscita, le foglie della stella di Natale (che era esposta nel pianerottolo di casa) staccate dai rami e sparse sullo zerbino di casa. A quanto pare, più che aver suscitato simpatia, abbiamo favorito un atto di sfregio immotivato.

Una tesi che vorrei rielaborare da un’altra prospettiva è quella relativa all’equivalenza “persona che addobba in anticipo = persona felice”. Io non credo che si voglia comunicare proprio questo. Semmai, è simbolo di quanto bisogno ci sia di riacquistare serenità, che si finisce con il ricercarla in lucine e festoni, quasi fosse una soluzione terapeutica che finalmente, dopo un anno di frenesia, di monotona quotidianità e di dispiaceri, ci riporta alla realtà, intensificando i legami affettivi e familiari. Il problema però è che si tratta di un’illusione effimera e fugace, circoscritta alle vacanze natalizie destinate a finire nei primi di gennaio. Quest’inno alla gioia inoltre mette molto a disagio quelle persone che invece non riescono a manifestare queste stesse emozioni intrise di ottimismo in questo magico periodo dell’anno, perché si ritrovano a fare i conti con dei bilanci non necessariamente positivi per tutti, sui mesi passati. Ci si ricorda di quanto costruito, ma anche di ciò che si è perso. Se si vive soli e lontani da casa, Natale non è più lo stesso. In tempi di crisi, c’è chi non ha neanche la fortuna di sedersi a un cenone a mangiare come penseremmo fosse normale e scontato per tutti.

Secondo il pensiero di molti, a Natale la felicità dovrebbe essere contagiosa. I musoni e le facce malinconiche non sono ben accetti, quasi fosse una colpa. Eppure, esiste un fenomeno definito “Christmas Blues” che designa quelle persone investite da una sempre più diffusa tristezza che coincide con il clima di festività. Sono gli stessi amici o parenti che magari fingono di stare bene o di fare i regali di Natale con piacere. Io sono pro Christmas Blues e non biasimo chi si rispecchia in questo stato d’animo. “It’s okay not to be okay”. Che ben venga il dolore, se può diventare fonte di rinascita e di nuove consapevolezze, così come dovrebbe essere uno dei veri sensi del Natale.

Altra piaga poi sono i regali: ormai si sa, pubblicizzare il Natale è diventato anche uno scopo commerciale. I doni di Natale, se proprio dovete farli, fateli carichi di valore affettivo. Meglio così che privi di qualsiasi significato. Quelli fatti forzatamente vengono percepiti, sempre, e non vengono apprezzati già dal momento dello scarto. E poi, fate regali piccoli, che l’unica cosa grande che in varie forme desideriamo ma che non si può comprare, è la felicità, quella autentica però, non artificiale frutto di temporanei addobbi.

Il Natale insomma mette un po’ tutti a dura prova; è una ricorrenza controversa che spacca la società in due parti: chi lo ama e chi lo odia. In quest’ultima categoria di persone rientrano coloro che temono e ripudiano le tavolate. I momenti in cui le famiglie si riuniscono non solo possono riaccendere vecchi rancori e accentuare le attuali tensioni, ma spesso si tramutano in una serie di interrogatori da cui sembra una sfida uscirne vivi: “Ma il fidanzatino?” oppure “Quando ti laurei?” o ancora “Quando ti sposi?”, per finire con “Quando fate un figlio?”, e altre varie domande invadenti.

Effetti collaterali del Natale a parte, resta sicuramente una festività ricca di simbolismo e di spiritualità, da trascorrere con le persone che amiamo, senza obblighi o ansie. Concediamocelo almeno per due settimane. Facciamo una pausa, prendiamo un bel respiro, e ricominciamo a vivere, magari meglio di prima, la vita che desideriamo per il nostro bene, perseguendo i nostri sogni. Solo questo potrà ridonarci gioia. Questo è il mio augurio per voi lettori, studenti e non. Anche se a tratti posso essere risultata pessimista, in realtà il mio intento è di essere solo realista, con uno sguardo più fedele della realtà che possa raccontare l’altro lato delle feste, quello più scomodo e velato, troppo poco dibattuto.

 

Giusy Boccalatte

Foto di: Giulia Greco

l’Italia è un museo a cielo aperto. Ma i musei in Italia?

Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea – Roma ©GiuliaGreco, 2017

Ogni volta che organizzo l’itinerario di un viaggio, una delle prime ricerche che faccio su internet  riguarda i musei che posso visitare nella meta da me scelta. Fino ad adesso ho avuto modo di visitare buona parte dell’Europa ed alcune città oltre oceano, ed ognuna di esse aveva un’attrattiva culturale ed artistica che meritava di essere visitata.

Ciò che mi ha sempre stupito e rincuorato, è stata la veloce possibilità di controllare immediatamente i siti web dei rispettivi musei, con le relative informazioni generali necessarie. Anche l’impostazione del sito è sempre piacevole da guardare, come la soddisfacente facilità di poter prenotare preventivamente il biglietto. E poi vogliamo mettere l’assoggettazione capitalista che i negozi dei musei esercitano? Vuoi o non vuoi qualcosa la devi comprare!! Accidenti… Peccato che tutte le volte in cui mi ritrovo a visitare una città italiana, ed ogni città ha un museo, tutta questa situazione idilliaca scompare miseramente.

Pergamon Museum – Berlino ©GiuliaGreco, 2018

Secondo un recente studio di Oxford Economics l’Italia è uno dei Paesi con il più alto numero di musei in base al numero di abitanti – più precisamente uno ogni 12 mila abitanti – disponendo, ad esempio una quantità di aree archeologiche, monumenti e musei triplicati rispetto alla Francia ma solo il museo del Louvre di Parigi incassa quanto tutti i nostri musei. Nel nostro Bel Paese abbiamo 4976 musei, lo sapevate?

La ricerca di Oltre Manica ha analizzato le strutture ed il loro rapporto con la tecnologia che caratterizza il 21esimo secolo: solo 57% dei nostri musei dispone di un sito internet o di account social. Rispettivamente un museo su due non ha un indirizzo web, e solo 1 su 4 redige una newsletter. Ancora più “divertente” è la situazione con le biglietterie online: solo uno su cinque ne ha una.

 

Museo di Roma in Trastevere – Roma ©GiuliaGreco, 2017

Ovviamente le circostanze diventano critiche riguardo l’internazionalizzazione e la comunicazione in lingua inglese: solo il 40% ha personale che parla in inglese e solo il 54% di quelli che detiene un sito web con traduzioni in lingua straniera. Ora, io capisco la nostra reticenza nella conservazione di una nostra cultura “elitaria” e di “nicchia” ma, signori miei, è tempo di imparare! Un po’ di furbizia!

In Italia l’80% dei musei non ha un negozio, e appena quattro sono attrezzati con un ristorante. Soltanto al Castello di Schonbrunn , a Vienna, tra caffè e ristoranti si contano 8 strutture (una ha perfino due stelle Michelin)  e British Museum e Louvre incassano ogni anno circa 22 milioni di euro con i servizi aggiuntivi, mentre al Metropolitan di New York il commercial trading vale oltre 50 milioni di dollari.

Metropolitan Museum of Modern Art – New York ©GiuliaGreco, 2018

Conseguentemente, il sistema museale italiano si regge su una contraddizione di fondo: è il più ricco del mondo per quantità di collezioni e per presenza sul territorio, ma il meno efficiente dal punto di vista del funzionamento e delle tante occasioni sprecate.

Intorno agli anni  ’50  e  ’60, si è sviluppata la cosiddetta “didattica dell’arte” che consiste nell’insieme degli strumenti e metodologie finalizzati al trasmettere un valore educativo fruibile per tutti, rendendo le opere esposte comprensibili ai più. La formulazione di nuovi programmi che coinvolgessero maggiormente la popolazione, ha potenziato la strategia museale rendendo le principali gallerie vere e proprie chicche del nostro patrimonio. Solo che… solo che, il problema odierno è che tutti i più importanti musei dispongono, sì, di validi dipartimenti di educazione, però le condizioni precarie e la mancanza di fondi non danno l’opportunità di offrire servizi ottimali.

MuME – Messina ©GiuliaGreco 2017

Considerati tutti questi dati, ci rendiamo conto che riassumiamo il detto “pane a chi non ha i denti”. Sarà che siamo pigri, che lasciamo che facciano gli altri al posto nostro, e chi porta avanti la “baracca” si spezza la schiena con risultati minimi. A tal proposito vi consiglio la lettura di un vecchio articolo di UVM riguardo il MuME (Museo Interdisciplinare Regionale di Messina -https://universome.unime.it/2017/06/19/museo-messina-litalia-fatta-adesso-bisogna-gli-italiani/), quante opere abbiamo ancora nascoste, quanta cultura dovrebbe essere conosciuta per creare una coscienza collettiva più ricca e consapevole? E soprattutto, puntando sui musei: quanti posti di lavoro riusciremmo a creare? Secondo la ricerca dell’Università di Oxford circa 250.000…

 

 

Giulia Greco

L’istruzione in discussione: il valore della laurea negli atenei del sud

Con voce tonante Matteo Salvini ha annunciato di volere rimettere mano a una questione che riguarda da vicino il futuro e l’inserimento nel mondo lavorativo dei giovani neolaureati o in procinto di laurearsi. Nella fattispecie la proposta in materia non rappresenta uno scenario nuovo; si tratta di dare avvio a una riforma, già discussa in passato, che intende abolire il valore legale della laurea e dei titoli di studio. Alla Scuola di Formazione Politica della Lega, lo scorso 12 novembre, il vicepremier ha usato queste parole: “Negli ultimi decenni sia la scuola che l’università sono stati considerati serbatoi elettorali e sindacali, semplici fornitori di documenti”. In spiccioli, il Ministro dell’Interno, ha detto che i luoghi in cui viene impartita l’istruzione sono dei vacui erogatori di titoli, degli spazi adatti a incastrare consensi politici. L’appello non è scivolato in basso, come le foto che Matteo Salvini posta su Instagram mentre si trova a cena (per fare un giro nei suoi social, dai un’occhiata qui), ma ha ricevuto una replica da Marco Bussetti, Ministro dell’istruzione: “È un tema di cui si dibatte da tanti anni, per adesso non è in programma, ma non è detto che in futuro non possa essere analizzato”. Almeno per ora la faccenda pare essersi sciolta in un grande nulla di fatto, l’ennesima misura grossolana e azzardata che attrae e incanta chi è in attesa di un forte scossone da parte della coalizione gialloverde.

Non è senz’altro la prima volta che la Lega si incammina su questa strada. La messa in discussione del titolo di studio è un tema che aveva già appassionato Umberto Bossi, e non senza però una valida e maliziosa attenuante, se ricordiamo la lunga trafila del figlio Renzo per ottenere il diploma, ma anche le più recenti notizie riguardo una laurea che avrebbe conseguito in Albania (link). Anche Maria Stella Gelmini aveva sollevato la questione che ha continuato in seguito a stare a cuore alla squadra del Prof. Mario Monti. I pentastellati, Beppe Grillo in primis, sono fautori di analoghe opinioni sulla faccenda, tanto che il 31 luglio scorso Maria Pallini, deputata del Movimento 5 Stelle ha depositato una proposta di legge che prevede «il divieto di inserire il requisito del voto di laurea nei bandi dei concorsi pubblici».

Ma prima di analizzare i motivi di questa posizione, chiariamo subito cosa si intende per valore legale della laurea:

Il principio del valore legale dei titoli universitari è sintetizzato nel Testo unico delle leggi sull’istruzione superiore (R.D. 31.8.1933, n.1592, art. 167). La riforma universitaria in Italia (DM 509/1999) che ha introdotto i nuovi titoli accademici di ‘laurea’ e di ‘laurea specialistica’, ha voluto confermare esplicitamente il principio del valore legale affermando che i titoli conseguiti al termine dei corsi di studio dello stesso livello, appartenenti alla stessa classe, hanno identico valore legale (art. 4.3) (fonte Wikipedia)

Quindi, il valore legale del titolo di studio indica il grado di ufficialità riconosciuto ai sensi della legge a un determinato certificato ottenuto in una Università. Abolire questo principio consente di mettere sullo stesso piano due lauree conseguite in due branche differenti, attribuendo un maggiore rilievo a caratteristiche diverse che non rientrano nelle conoscenze e nelle nozioni acquisite nel piano del corso universitario. In un documento, risalente al 2013, che si può trovare sul sito della Lega (link), ci sono alcuni dei motivi che hanno orientato questa scelta: “Oggi una laurea presa in una qualsiasi Università italiana ha lo stesso identico valore, ma sappiamo bene che diversi Atenei, soprattutto meridionali, offrono un servizio nettamente inferiore alla media. Questo squilibrio provoca la mancanza di concorrenza tra Atenei, ma soprattutto si ripercuote sul meccanismo dei concorsi pubblici che penalizza sistematicamente chi proviene dalle Università del Nord”. Nel libero mercato rappresenterebbe un progresso, secondo i fautori, perché in questo modo le università, chiamate a puntare sulla concorrenza e sulla qualità, farebbero a gara tra loro per primeggiare sulle altre in materia di formazione, accelerando così un processo virtuoso che porterebbe a uno sviluppo del sistema dell’istruzione superiore.

Peccato che Matteo Renzi aveva gridato che ci sono di fatto in Italia università di serie A e serie B già alcuni anni fa all’inaugurazione dell’anno accademico al Politecnico di Torino (link). Le differenze tra gli atenei verrebbero ad aumentare a dismisura, e ciò comporterebbe una ulteriore svalutazione delle università del sud, vessate da problemi reali e presunti, sulla scia anche di luoghi comuni non sempre fondati. Come avviene negli USA sarebbero valutati positivamente, nelle assunzioni ai concorsi, non tutti i laureati in una disciplina che hanno il massimo dei voti, ma solo coloro che provengono da conclamate istituzioni accademiche, collocate quasi tutte al nord. Questo porterebbe a un netto divario tra i ceti, fornendo “un’istruzione all’altezza” soltanto a chi può permettersela. Una soluzione quindi che ha poco di equilibrato, considerato anche il fattore discrezionale per stabilire quali sono i parametri che definiscono un’istruzione di qualità, e che, se diventasse una possibilità concreta, provocherebbe un ulteriore declino di un sud già penalizzato.

Eulalia Cambria

 

Finalmente l’ATM riceve gli studenti universitari – UniVersoMe riporta l’incontro

Si è svolto giorno 9 Novembre 2018, nei locali ATM di Via La Farina, l’incontro tra l’Azienda Trasporti Messina, un membro del consiglio federale di Sicilia Vera ed i rappresentanti delle associazioni universitarie.

In particolare per l’ATM sono intervenuti il presidente Giuseppe Campagna, il direttore generale Natale Trischitta, l’esperto del sindaco in materia di viabilità Leonardo Russo,ed il direttore della tranvia Vincenzo Poidomani; per Sicilia Vera la neolaureata in Giurisprudenza Liliana Bonfiglio; per le associazioni universitarie Andrea Fiore (Atreju), Giuseppe Mangiapane (Chirone), Federico Alati (Figli d’Ippocrate), Andrea Barone (Gea Universitas), Lavinia Rita Parisi (Morgana) e Salvatore Ingegneri (Uninsieme). Era inoltre presente al tavolo, il coordinatore della testata d’ateneo UniVersoMe Alessio Gugliotta.

 

Il tavolo ha affrontato il tema di mobilità e trasporti, in relazione alle necessità del corpo studenti. L’ATM si è dimostrata fin da subito incline ad accogliere le proposte degli studenti, chiedendo ai rappresentanti il coinvolgimento dei manager dell’UniMe, così da incardinare l’incontro all’interno di una successione di tavoli tecnici, volti al soddisfacimento delle esigenze degli studenti in termini di mobilità urbana.

Gli esperti del sindaco hanno inoltre suggerito agli altri rappresentanti di supportare l’azienda trasporti già dalla fase progettuale.

Le associazioni studentesche hanno riportato sia i disagi degli studenti nello spostarsi con i mezzi del trasporto  sia un insieme di proposte,  suggerendo alcune soluzioni atte a migliorare l’attuale situazione di disagio.

 

Andrea Fiore interviene riguardo alla questione dei trasporti che attanaglia da tempo la realtà universitaria messinese, una realtà che crea disagi per la comunità studentesca e problemi che sono stati già sollevati da tempo e più volte in questi ultimi mesi da parte della comunità studentesca, che ricordiamo conta circa 24.000 studenti. Andrea al fine di risolvere i vari problemi avanza delle proposte sperando che vengano prese in considerazione dai membri dell’ATM e quindi si avvia un confronto tra i rappresentanti e il direttore ATM, in primo luogo.

La prima proposta avanzata da Andrea trae fondamento dal problema dell’inefficienza del sistema di trasporto. In particolare, gli studenti del Polo Papardo ad esempio, che devono dirigersi verso la zona nord, lamentano le lunghe attese e le poche corse delle navette, cui consegue l’inevitabile ritardo alle lezioni. Viene proposta una corsa in più: quella delle 8:10 per quanto riguarda la linea 24 a causa degli autobus e degli Shuttle sempre affollati e quindi la difficoltà a poter usufruire del servizio perché è programmata la sola corsa delle 7:55 che parte dall’Annunziata verso il Papardo e non è sufficiente. Stesso problema si presenta per la fine dell’orario delle lezioni.

Proposta finale di Andrea è la richiesta di poter usufruire di una serie di vantaggi e agevolazioni sui costi di parcheggio nelle zone di interscambio con tram e bus, ad esempio lo Zir, con un abbonamento con costi ridotti. Proposta condivisa anche dall’associazione Morgana. Il direttore Trischitta a questa proposta risponde che con l’acquisto del biglietto si ha diritto a un tagliando da esporre nelle automobili. Quindi il problema è di mettere a conoscenza gli studenti, di informare meglio.

Lavinia Rita Parisi chiede delucidazioni in merito a questa distinzione tra i parcheggi per i dipendenti e i parcheggi per gli studenti. Il direttore risponde che questo sistema è già in funzione e che si è proposto l’uso del “bike-sharing”. Iniziativa che si vuole mettere in atto con la collaborazione del ministero dell’ambiente e Mobility Manager, Dott. Marino, e Mobility Manager del Comune, Ing. Mondello. Il direttore ATM propone di estendere queste iniziative anche agli studenti prevedendo accordi col Ministro dell’Ambiente per usufruire di bici e altre agevolazioni indirizzate agli studenti. Per questo occorrerà indire una apposita riunione.

Lavinia propone un accordo tra gli studenti con un contratto d’affitto regolare di almeno un anno e l’azienda parcheggi, per poter parcheggiare nelle strisce blu adiacenti con delle convenzioni. Il direttore risponde che è un argomento che potrebbe essere inserito nelle modifiche che l’ATM vorrebbe cominciare ad attuare ma non dipende solo dall’azienda. È oggetto di competenza del Dipartimento Mobilità Urbana del Comune, l’intenzione sarebbe di rendere più utilizzabile il parcheggio Zaera. Un’altra proposta sollevata da Lavinia è quella di lanciare anche dei sondaggi per capire cosa interessa esattamente agli studenti e quali orari precisi vorrebbero.

Federico Alati interviene chiedendo perché all’interno dei vari poli non si possa avere una navetta dell’ATM che arrivi ai poli come succedeva vent’anni fa. L’ ing. Russo risponde dicendo che è un tema complesso che in passato c’era un accordo e che un mese fa ne hanno discusso con la dott. Marino proprio quando era stato attuato il piano Shuttle. Questi problemi si possono risolvere grazie allo Shuttle, nel senso che l’azienda non ha le risorse per fare tutto ma si potrebbe prendere in carico una linea che passa ogni 20 minuti per la città ma sarebbe meglio un accordo con l’università per venire incontro a questo problema. L’obiettivo dell’ATM sarebbe partire da ciò che già funziona, integrando e potenziando.

L’ATM chiede un aiuto da parte dell’Università, una sinergia tra questi due enti per mettere a disposizione dei servizi validi che funzionino, quindi viene suggerito ai rappresentanti delle associazioni studentesche di organizzare un incontro con la dott. Marino.

Andrea Fiore ricorda un’alternativa proposta dalla sua associazione, cioè quella di far partire il servizio di “Car-pooling” per ovviare alle difficoltà di raggiungimento dei poli prevedendo una serie di stalli di parcheggio gratuiti o a prezzo ridotto dove poter  usufruire di auto. L’ing. Russo risponde che nell’atto pratico la soluzione riscontra varie difficoltà ma che comunque l’ATM non si occupa di questa tipologia di servizio. L’ATM resta aperta e favorevole ad aiutare gli studenti anche perché il 90% dell’utenza è rappresentata da loro.

Lavinia afferma che il mese scorso le associazioni studentesche hanno incontrato la dott. Marino in merito alla fermata Q8 che si trova sotto il Papardo, e in merito alla quale c’è la necessità di dialogo tra l’ATM e l’università. L’ing. Russo risponde che potrebbe fornire gli orari di arrivo degli Shuttle e l’università si potrebbe orientare stabilendo delle navette cinque minuti dopo l’arrivo dei bus.

Il Presidente sottolinea come la situazione dell’incontro con i rappresentanti delle associazioni lo renda contento perché ci sono obiettivi chiari e non secondi fini politici o speculativi. Alcune richieste non possono purtroppo essere soddisfatte, probabilmente infatti la miglior cosa sarebbe proprio di riformulare il sistema perché ci sono alcune norme che prevedono dei turni particolari, vincoli particolari, stop obbligatori, delle norme che non consentono di operare in modo normale e non c’è la possibilità di violare alcune norme che devono essere rispettate a partire dall’autista finendo con l’amministrazione.

Gli Shuttle purtroppo trova molte difficoltà a causa del traffico in alcune zone della città e il problema quindi non è il numero di Shuttle messi a disposizione.

Federico ricorda che gli studenti lamentano il fatto che ricevono non si riesce ad usufruire di un servizio all’altezza del prezzo che si paga.

Liliana propone un bus sostitutivo del tram da far passare alle 8 del mattino in modo che gli studenti si possano suddividere tra tram e Shuttle alle 8 del mattino.

 

 

L’incontro si conclude con l’intesa di approfondire ancora le questioni e le proposte messe in campo.

                                                                                                              Giusy Boccalatte

Selina Nicita

Cosa fare dopo la laurea triennale

“Luglio col bene che ti voglio vedrai non finirà..” cantava così Riccardo Del Turco nel 1968 e sul fatto che non finirà subito questo mese non aveva del tutto torto, una visione di sicuro molto attuale nonostante il mezzo secolo di distanza. A rendere complicate le prime settimane di Luglio sono i social, in particolar modo Instagram, network fotografico in auge di questi tempi, in cui si contraddistinguono principalmente tre tipologie di utenti: i tuoi amici che si fanno foto di gruppo al mare (senza te), i tuoi amici in vacanza all’estero che fanno mille stories (senza te però taggandoti) e tu che non pubblichi foto dall’ ‘82 e leggi questo articolo come intermezzo tra un manuale e l’altro (maledicendo i tuoi amici al mare e all’estero) . Per alcuni potranno anche esser arrivate le vacanze ma abbiate un minimo di pietà dai! Per molti invece, è l’inizio di un tour de force infinito: c’è chi sta affrontando la maturità, chi lavora tutta la stagione estiva, chi tra un esame e l’altro fa esami, e c’è chi si sta laureando. Proprio di quest’ultimi vorrei parlarvi e cercare di fare una panoramica assieme a voi del laureando in triennale. Tre anni passati a studiare più di notte che di giorno, tre anni bevendo più caffè che qualsiasi altra bevanda acqua compresa, tre anni di “accetto dal 18 in su”. Credo che ognuno di voi si possa specchiare almeno in una di queste frasi, ma quella in cui vi riscontrete maggiormente è la seguente: “E ora che faccio? Anno sabbatico, inizio a lavorare o continuo gli studi?”. L’immediato futuro mette paura al neo-laureato che dopo tre anni di fatica nel guadagnarsi un ruolo nel proprio ateneo ed essersi fatto la bellezza di tre amici deve ricominciare tutto da capo.

Oggi cercherò di darvi una guida da seguire per affrontare il post laurea (triennale) senza cadere in preda all’ansia e per capire cosa si vuole fare della propria vita!

  1. AGGIORNATE IL VOSTRO CURRICULUM VITAE

Avete conseguito una laurea in giornalismo, scienze politiche o psicologia? Le grandi multinazionali stanno cercando te altro che non avrete un futuro! Una ricerca EUROSTAT, sistema statistico europeo, afferma che i due piu grandi brand di fast food, rispettivamente McDonald e Burger King assumono dipendenti in possesso dei suddetti corsi di laurea triennale. KFC, dal canto suo, assume personale specializzato ovvero con un titolo di studio magistrale, quindi proseguite gli studi se volete fare carriera. (Proprio per questo mi sono iscritto ad un CdL magistrale in giornalismo).

  1. VIAGGIATE

Viaggiare, prendersi del tempo per se stessi potrebbe aiutare ad allontanare tutte le ansie relative il futuro imminente. Camminate, condivedete la fatica con un amico e ritroverete voi stessi. Assaporate ogni momento del vostro anno sabbatico, provate di tutto, esplorate e mettetevi alla prova, più il cammino è tortuoso ed in salita, migliore sarà la vostra esperienza, non equiparabile con nessun altro percorso formativo-universitario. Vivete a pieno ogni esperienza lavorativa che affronterete, nessun manuale è in grado di formarvi come l’esperienza sul campo.

  1. SFRUTTATE AL MEGLIO I VOSTRI CONTATTI

Avete una cugina che lavora alle Poste Italiane? Uno zio che lavora in ferrovia?

Dal rapporto annuale ISTAT (dati reali) emerge che tra il 2008 e il 2017 l’utilizzo dei canali formali è sceso di 5,4 punti. Le raccomandazioni, la rete di amici, parenti e conoscenze, sono ancora oggi il modo principale per trovare lavoro in Italia. Lo racconta il 90% di coloro che sono alla ricerca di un impiego e la tendenza riguarda anche i laureati: uno su quattro ottiene un posto proprio attraverso le conoscenze. Come aveva suggerito tra le polemiche il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, sostenendo davanti agli studenti bolognesi che è meglio “giocare a calcetto” piuttosto che “mandare in giro curricula”. Viva il posto fisso, viva Checco Zalone!

  1. IMPARATE LINGUE

Le lingue oggi giorno sono fondamentali per trovare un impiego, lo si sa. Ma non è importante solo a livello lavorativo, infatti, conoscere più lingue darà maggiore valore al vostro CV. Ecco perché Ibiza rappresenta una meta super gettonata dagli universitari di tutto il mondo, un’occasione di incontri culturali e mille possibilità di incontri formali ed informali in cui le lingue sono le protagoniste indiscusse. Tra l’altro quest’anno si terrà presso il club Amnesia Ibiza un meeting con i massimi esperti di sociolinguistica e si discuterà di pidgin e creoli del Mediterraneo (solo per pochi).

  1. FINGETEVI MORTI

Per ovviare a tutti i problemi di ansia, insicurezza e povertà che il post-laurea implica bisogna fingersi morti proprio come le simpatiche ed intuitive caprette che spopolano nei new digital media oggigiorno. Un metodo semplice ma altrettanto efficace per scappare dalle proprie responsabilità e vivere “senz penzier”.

La soluzione? In realtà non esiste. Bisogna solamente prenderne coscienza della propria volontà e decidere cosa fare seguendo le proprie passioni ed inesguendo i propri sogni, e come diceva Mark Twain: «Tra vent’anni sarai più deluso dalle cose che non hai fatto che da quelle che hai fatto. Perciò molla gli ormeggi, esci dal porto sicuro e lascia che il vento gonfi le tue vele. Esplora. Sogna. Scopri».

Vincenzo Francesco Romeo

Vita

No, non è uno dei soliti pezzi in cui si racconta di quanto la vita sia bella o di quanto sia facile alzarsi e sorridere dopo aver spento quattro/ cinque volte la sveglia. 

No, non è un lungo trafiletto che si trasforma in un inno alla vita. 

Sono qui per dirvi la nuda e cruda verità: la vita è fragile. 

Già.  

Magari già conoscete una frase come questa o aforismi simili come “la vita è un soffio”.  

Frasi fatte, sentite e risentite, postate e condivise un po’ come se volessimo trovare un motto di auto incoraggiamento. 

Che, poi, forse è anche giusto: d’altronde ogni giorno siamo impegnati ad affrontare quella che è una ” serie di sfortunati eventi”.  

Ma intanto viviamo e non ce ne accorgiamo; ci adagiamo nella convinzione che siamo noi a governare questa vita, a gestire i nostri impicci. E invece lo sappiamo, sappiamo che non è così: camminiamo come marionette appese a dei fili in mano al destino o a chissà chi. 

Pertanto ci ritroviamo a svegliarci la mattina pensando a quanto sia terribile il lunedì, a quanto sia noioso studiare, andare a scuola o all’università o a lavorare; pensiamo solo che vorremmo dormire qualche ora in più.  

E intanto non ci accorgiamo che quella frase motivazionale è vera, la vita è fragile. Si spezza come un fiore in balia del vento: sembra cullarti ma in realtà da un momento all’altro è pronto a sradicarti dal tuo solido e forte terreno. 

È la vita. Che va. 

Chi non fa progetti per il futuro, chi non si immagina da grande con un bel lavoro, con una grande famiglia, con i capelli bianchi? Chi non si immagina di essere felice?  

Il problema della nostra esistenza fondamentalmente è questo: ci illude di un futuro senza farci soffermare sul presente.  

Adesso. In questo labile adesso cosa ti rimane? Cosa ci rimane se da un momento all’altro può rimanerci…nulla. 

L’unica cosa che persiste, in questa vita, è l’amore. L’amore in ogni sua forma, per noi stessi o per gli altri.  

Resta donarci totalmente a questa vita, che sia solo per oggi o per il domani che chissà se verrà.  

Abbiamo la speranza e la forza di vivere e di continuare a farlo, nonostante le cose succedano.  

Ci rimane meritarcela questa vita e credere che oggi sia il nostro futuro. 

 

Per Francesco e Raniero,

La redazione