Bombe carta e petardi in Val di Susa: attivisti NoTav attaccano la polizia

Nella giornata di ieri mattina un gruppo di 250 attivisti No Tav ha lanciato l’offensiva. Secondo le fonti investigative, gli attivisti si sono separati in diversi gruppi per raggiungere il cantiere della Torino-Lione di Chiomonte. Qui, tra i boschi della Clarea, si sono preparati per il loro attacco. Bombe carta e petardi sono state lanciati contro i reparti mobili delle forze dell’ordine. In risposta sono stati lanciati gas lacrimogeni.

ora e sempre no tav
(Fonte: notav.info)

L’obiettivo della folla: superare gli schieramenti dei carabinieri e della polizia per raggiungere i cantieri.

I No Tav

Nella giornata di ieri sono intervenuti anche i leader storici del movimento NoTav come Alberto Perino e Nicoletta Dosio. L’appuntamento al campo sportivo di Giaglione, in Val di Susa, è stato convocato dopo la ripresa dei lavori di allargamento del cantiere di Chiomonte.

Manifestanti No Tav in Val di Susa
Manifestanti No Tav in Val di Susa (Fonte: legambiente.it)

Una manifestazione contro i lavori di devastazione della Val Clarea e contro la militarizzazione del territorio.

Questo è quanto affermano ad alta voce i No Tav che da anni criticano la realizzazione di infrastrutture per l’alta velocità ferroviaria. Il motivo? Il costo proibitivo e soprattutto l’impatto ambientale.

Il gruppo ha lanciato bombe carta e petardi contro i reparti mobili delle forze dell’ordine, al cancello del sentiero “Gallo-Romano” che sbarra l’accesso all’area di cantiere di Chiomonte, allargato nei giorni scorsi per i lavori della nuova Torino-Lione.

Ci sono stati due feriti tra le forze dell’ordine che hanno risposto con lanci di lacrimogeni. Al momento, non è stata data notizia di fermi.

La Tav avanza verso Torino

Il 26 agosto scorso è stato approvato il progetto preliminare dei lavori intorno alla Torino-Lione.

Nella lista dei lavori già assegnati ci sono:

  1. Le cavità di interscambio a Chiomonte (40 milioni)
  2. I monitoraggi ambientali dei cantieri italiani (16,3 milioni)
  3. La direzione lavori per la valorizzazione dei materiali di scavo (8,5 milioni)
  4. Il coordinamento delle attività per la sicurezza degli addetti sui cantieri in fase di progettazione (7,8 milioni)
  5. E 5,4 milioni impegnati per la protezione dei cantieri italiani

Sono 35 le imprese impiegate con quasi 700 addetti perlopiù sul versante francese, mentre, sono 6 le imprese messe in moto a Chiomonte con, attualmente, una quarantina di addetti impiegati.

Come previsto dalla variante approvata dal Cipe nel 2018, sarà il cantiere della Maddalena a ospitare la principale area di lavori per lo scavo del tunnel di base in territorio italiano, opera che vale 8,6 miliardi nel suo complesso.

Secondo quanto stabilito dall’accordo –Grant Agreement– sottoscritto con Francia e Unione Europea, a inizio 2021 si dovrebbe tornare a scavare in Val di Susa per realizzare le nicchie di interscambio all’interno dell’attuale galleria geognostica.

I Si TAV

E se da una parte l’azione dei contestatori si fa strada con la mobilitazione e con risvolti violenti, non mancano le manifestazioni a favore della grande opera.

Torino sarà bellissima e ci sarà lavoro e speranza per tutti. Altrimenti sarà bellissima solo per quella parte di città che sta bene.

Questo è quello che afferma Mino Giachino, leader e fondatore dei Si TAV Si, riunitisi ieri mattina in piazza Castello a Torino.

Manifestanti Si Tav a Torino
Manifestanti Si Tav a Torino (Fonte: torino.repubblica.it)

Per coloro che sostengono il cantiere del futuro, la Tav ci metterà in rete con il mercato mondiale e con l’economia globale. Continua Giachino: “Dire no alla Tav, vuol dire negare lavoro e speranza di futuro”.

Ai giovani che vanno a protestare davanti al cantiere suggerisce di  far fronte comune e mettere insieme le loro energie per costruire il futuro.

Maria Cotugno

Firmato il RCEP in Asia: la più grande area economica free trade

Domenica 15 novembre è nata la Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP), l’area economica di libero mercato più grande del mondo. 15 paesi che producono 1/3 del Pil mondiale e in cui vive 1/3 dell’umanità.

(fonte: La Repubblica)

«Nelle attuali circostanze globali, il fatto che l’RCEP sia stato firmato dopo otto anni di negoziati porta un raggio di luce e di speranza tra le nuvole», ha detto il premier cinese Li Keqiang dopo la firma virtuale.

Gli Obbiettivi dell’Accordo

La firma sull’accordo arriva mentre venti di scissione mettono a dura prova la tenuta dell’Unione Europea, e gli Stati Uniti rispolverano la loro vecchia politica protezionista; arriva, soprattutto, nel mezzo della profonda crisi economica causata dall’epidemia di Covid-19. Molti stati firmatari, infatti, stanno ancora combattendo il coronavirus e sperano che il RCEP li aiuti ad attutire i costi della pandemia.

Il RCEP mira a creare una gigantesca area di libero scambio tra i dieci stati dell’ASEAN (Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico) – Indonesia, Thailandia, Singapore, Malesia, Filippine, Vietnam, Birmania, Cambogia, Laos e Brunei – e Cina, Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda.

Inizialmente le nazioni aderenti al negoziato commerciale erano 16, ma l’India ha deciso di uscire dalle negoziazioni per il timore che l’accordo potesse danneggiare la sua economia interna, a causa delle merci cinesi a basso costo; mantiene comunque la possibilità di aderire a questo accordo in un secondo momento.

I Benefici dell’Accordo

  • Tutte le nazioni firmatarie otterranno dei benefici netti: la progressiva eliminazione delle barriere doganali permetterà la riduzione, fino all’azzeramento, dei dazi sui beni, garantendo una maggior semplicità degli scambi.
  • L’accordo commerciale introdurrà anche una maggiore trasparenza negli scambi commerciali, non solo sui beni, ma anche nello spostamento di fondi destinati agli investimenti.
  • Assicurata la cooperazione tecnica e commerciale, tra cui il commercio elettronico, che verrà costruita sulle collaborazioni già oggi esistenti e servirà a massimizzare i benefici per le nazioni coinvolte.
  • L’accordo include anche la proprietà intellettuale, ma esclude tutto ciò che riguarda la protezione dei lavoratori e dell’ambiente.
  • Più complicato è il capitolo della competizione internazionale dato che dovranno decadere le pratiche anti-competitive a danno delle aziende straniere, per favorire così la competizione commerciale.

    (fonte: Euronews)

La conformità agli Accordi Internazionali

  • Il RCEP nasce in linea con i maggiori accordi internazionali legati al commercio e agli accordi doganali: viene infatti sancito, nelle linee guida e dei principi dell’accordo, il rispetto del WTO, GATT e del GATS.
  • Andrà a sostituire i numerosi accordi bilaterali di collaborazione tecnica e commerciale che sono stati firmati dall’ASEAN nel corso della sua esistenza.
  • Sarà anche la prima regione commerciale intercontinentale a vedere la luce, dal momento che il trattato per il libero commercio dei beni e servizi tra Ue, Usa e Canada è fallito miseramente (TTIP).

Questo patto commerciale è visto da molti come un mezzo per la Cina di espandere la propria influenza nella regione e stabilire le regole, dopo anni di passività da parte degli Stati Uniti durante la presidenza di Donald Trump.

Nel gennaio 2017, quest’ultimo aveva ritirato il suo paese dal grande progetto concorrente, il Trans-Pacific Free Trade Treaty (TPP), promosso dal suo predecessore, Barack Obama.

 

Manuel De Vita

Vaccino Pfizer: arriva la firma UE per 300 milioni di dosi, 27 all’Italia. Borse in rialzo e Trump all’attacco

Una luce in fondo al tunnel si è accesa con l’annuncio dell’efficacia al 90% del vaccino prodotto dall’industria farmaceutica americana Pfizer in collaborazione con la società tedesca Biontech.

Sarebbe semplicistico pensare di essere giunti alla resa dei conti nella lotta contro la pandemia. Troppe sono le incertezze intorno all’efficacia e alla possibilità di distribuzione del nuovo vaccino che rendono la soluzione al problema ancora lontana.

Si tratta di un vaccino innovativo, che stimola la risposta genetica nella lotta al virus sfruttando il MRNA. Per tutti i dettagli sulle caratteristiche tecniche del vaccino Pfizer e degli altri vaccini anticovid in via di sperimentazione vi rimandiamo a questo articolo.

Al momento si parla solo di una speranza che, comunque, non ha tardato a suscitare entusiasmo e fervore.
La prima a rispondere positivamente? La borsa.

L’impatto economico dell’annuncio di Pfizer

L’annuncio dell’efficacia del vaccino ha avuto una forte incidenza sui mercati azionari di tutto il mondo: le principali borse hanno registrato un rialzo.
I guadagni, superiori al 5%, hanno coinvolto in particolare il settore del turismo, il settore aereo e quello petrolifero, i grandi sacrificati dal Covid. Si apre invece una fase di discesa per i colossi che hanno trainato l’economia durante tutta la pandemia: a Piazza Affari è il caso di Diasorin, società leader nella produzione di test sul Covid e tamponi; una battuta d’arresto si ripercuote anche su Amazon e Netflix. Lo conferma Equita:

Riteniamo che la notizia abbia risvolti positivi per alcuni settori come petroliferi, finanziari e consumi discrezionali e negativi per healthcare e consumer staples”.

Il Ftse Mib negli ultimi 12 mesi, Borsa Italiana – Fonte: it.businessinsider.com

Secondo gli esperti di Barclays, la banca internazionale britannica, l’eliminazione dei due fattori principali di incertezza, cioè l’elezione del presidente americano e la ricerca di un vaccino, potrebbe provocare una “rotazione settoriale”, dalle obbligazioni e dai beni di rifugio, come l’oro, verso investimenti più rischiosi.

La teoria del complotto di Donald Trump

L’impatto si è fatto sentire, in particolare, negli Stati Uniti d’America, dove l’annuncio ha innescato, all’indomani delle elezioni presidenziali, forti polemiche. Protagonista della scena è Donald Trump che non ha esitato ad utilizzare la notizia del vaccino come un’ulteriore arma di contestazione dell’esito delle elezioni.

Trump sostiene la teoria del complotto su Twitter – Fonte: www.express.co.uk

Il presidente ancora in carica ha accusato la casa farmaceutica statunitense di aver aspettato il risultato delle elezioni per dichiarare l’efficacia di un vaccino che, come confermato dal vicepresidente Mike Pence, sarebbe stato finanziato da lui stesso.
Trump si dichiarerebbe vittima di una cospirazione pianificata da Pfizer: se la notizia fosse stata divulgata prima del tre novembre, Joe Biden non avrebbe avuto alcuna possibilità di conquistare la Casa Bianca. Ne è sicuro Trump Jr., il quale definisce la tempistica dell’annuncio “nefarious”.

Il figlio di Trump sostiene la teoria del complotto – Fonte: www.dailymail.co.uk

Non è la prima volta che la Pfizer si distacca dall’azione del quasi ex presidente. Adesso respinge le accuse e nega di aver ricevuto dei fondi pubblici. A quanto detto dalla casa farmaceutica, la sperimentazione del suo vaccino non avrebbe niente a che fare con l’operazione Warp Speed, l’iniziativa statunitense di collaborazione tra pubblico e privato per lo sviluppo di vaccini, terapie e test diagnostici contro il coronavirus. Lo ha chiarito Kathrin Jensen:

Non siamo mai stati parte di Warp Speed. Non abbiamo mai preso denaro né dal governo Usa né da nessuno”.

Gli unici fondi pubblici utilizzati sarebbero quelli tedeschi versati a Biontech. Pfizer avrebbe invece attinto esclusivamente a fondi privati.

Del resto, sarebbe difficile immaginare una collaborazione tra Trump e la casa farmaceutica: i rapporti erano già da tempo in rotta di collisione, soprattutto dopo la battaglia intrapresa dal presidente, nel luglio del 2018, contro l’aumento del prezzo dei farmaci sostenuto da Pfizer. Di certo all’azienda farmaceutica non mancava una ragione per provare astio nei confronti di Trump: l’annuncio avvenuto dopo le elezioni potrebbe essere, come sostenuto dal presidente, la vendetta di Pfizer? Non abbiamo alcun dato certo né per confermarlo né per smentirlo. Certa e innegabile è però la slealtà di Trump che, pur di portare acqua al suo mulino, sarebbe capace di inventare qualsiasi menzogna: un dato che sembra far crollare la teoria del complotto.

Il vaccino Pfizer in Europa

Nessuna teoria e congettura, invece, in Europa dove, come affermato da Eric Mamer, portavoce dell’esecutivo comunitario, in queste ore l’Ue dovrebbe firmare con Pfizer un contratto per avere 300 milioni di dosi. Il collegio dei commissari dell’Ue ha dato già il via libera a sottoscrivere il contratto.

La distribuzione del vaccino, come spiegato dalla Commissione Ue

avviene sulla base della popolazione di ciascun Stato membro rispetto al totale degli abitanti dell’Ue”.

L’Italia dovrebbe ottenere il 13,5 % della prima tranche di dosi, cioè 27 milioni di dosi, già disponibili fra fine dicembre e inizio gennaio, previsione confermata anche dall’approvazione dell’Ema, l’agenzia europea per i medicinali.

Rassicuranti questi dati che danno l’immagine di una speranza che ha intrapreso la strada della realtà.

Chiara Vita

Open Day UniMe 2020 – Digital Edition: Giorno 1

Al via domani il primo appuntamento della tre giorni di Open Day UniMe, l’orientamento telematico che l’Ateneo Peloritano offre ai futuri iscritti, nell’impossibilità di farlo in presenza per lo stato emergenziale.

Lunedì 20 luglio – Area Scienze economiche, giuridiche e umanistiche

La prima giornata sarà dedicata agli studi dell’area economica, giuridica e umanistica.

Protagonisti

  • Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne
  • Dipartimento di Economia
  • Dipartimento di Giurisprudenza
  • Dipartimento di Scienze Politiche e Giuridiche
  • Dipartimento Scienze Cognitive, Psicologiche, Pedagogiche e degli Studi culturali

Coloro i quali volessero assistere all’Evento, potranno farlo in diretta sulla pagina Facebook dell’Ateneo.

I servizi e le agevolazioni saranno presentati esclusivamente sulla piattaforma Teams nel corso di tutti e tre i giorni (gli orari sono consultabili nei programmi).


Qui consultabili i programmi dettagliati relativi alla giornata:

https://www.unime.it/sites/default/files/20_PROGRAMM.pdf

https://www.unime.it/sites/default/files/20_SERVIZI_0.pdf

Claudia Di Mento

MES e SURE. Ecco cosa sono, come funzionano e le criticità che hanno fatto discutere

Dopo aver discusso nel dettaglio la scorsa settimana le caratteristiche dell’intervento effettuato dalla BCE in risposta alla crisi causata dal Covid-19, la linea temporale degli interventi posti in essere dalle istituzioni europee suggerisce come passi successivi il SURE e il MES.

Il 2 aprile Ursula Von der Leyen, presidente della Commissione Europea, ha annunciato ai microfoni lo strumento SURE (“Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency”), appunto, letteralmente, “supporto per mitigare i rischi di disoccupazione dovuti all’emergenza”.

Considerato come uno strumento con carattere temporaneo, dovrebbe terminare alla conclusione dell’anno 2022, con una dotazione per il periodo considerato di 100 miliardi di euro.

Come funziona?

E’ prevista la creazione di un fondo ad hoc di cui i paesi europei saranno i “soci” e verseranno una garanzia di €25 miliardi; la quota della garanzia versata da un Paese sarà proporzionale alla percentuale del suo PIL rispetto a quello dell’UE – ad esempio l’Italia verserà il 13% di questi 25 miliardi.
Lo stesso fondo, che poggia le sue basi sulla garanzia dei paesi europei, emetterà dei bond per raccogliere i 100 miliardi necessari alla propria capitalizzazione che verranno prestati agli stati che ne presenteranno richiesta.

Invece, il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) è un’organizzazione intergovernativa, istituito grazie alle modifiche apportate al Trattato di Lisbona dal consiglio UE nel marzo 2011. Predisposto ad un’entrata in vigore nel 2013, questa fu anticipata al 2012 a causa della crisi dei debiti sovrani.

Normalmente il MES, anche Fondo Salva-Stati, presta denaro ai Paesi che non riescono più a finanziarsi sul mercato emettendo bond, poiché i mercati finanziari nutrono scarsa fiducia sulla loro solidità economica (come già accaduto alla Grecia). Il prestito può essere effettuato attraverso una delle due linee di credito (precauzionale o rafforzata) e può comportare delle condizionalità, concordate attraverso un Memorandum d’intesa.

Nel 2017 era stata proposta una riforma del MES, ma dopo tante riprese la riforma è stata rimandata causa COVID-19.

Il 9 aprile scorso è stato proposto il Pandemic Crisis Support, una linea di credito speciale, in cui i paesi possono richiedere somme fino al 2% del proprio PIL (per l’Italia sarebbero fino a 36 miliardi), con la condizione che i fondi siano utilizzati solo per finanziamenti diretti o indiretti dei costi sanitari dovuti alla crisi Covid-19. Questi fondi potranno essere richiesti fino al 2022 e nessuno Stato è obbligato a richiedere il prestito, ma è assolutamente libero di scegliere se attivarlo e quanto richiedere.

Il modo con cui il MES reperirà i fondi da prestare ai paesi che ne faranno richiesta sarà lo stesso utilizzato dal fondo SURE, emettendo dei propri bond.

I due strumenti appaiono carichi di supporto per fronteggiare la crisi Covid-19 che ha messo in ginocchio i Paesi dell’Eurozona, tuttavia, al loro interno, presentano degli aspetti da analizzare con cura.

Le critiche

In riferimento al MES, la principale critica rilevata è stato l’accordo approvato nell’Eurogruppo di aprile, quando il Consiglio europeo ha proposto come requisito per accedere al fondo senza condizioni, avendo così opportunità di accesso al credito, l’obbligo di utilizzare le risorse ottenute per finanziare le spese sanitarie (mascherine, guanti, respiratori, dispositivi medici, personale, etc.).

Qualche settimana fa Paolo Savona, presidente della CONSOB, ha dato il suo parere riguardo il MES:

Il nodo cruciale è il rapporto tra debito pubblico e Pil: se il rapporto salirà nelle dimensioni previste, il mercato reagirà. Così come reagiranno i cosiddetti Paesi frugali”.

In riferimento a questo, ci sono degli aspetti che non possono essere sottovalutati: tra le tante critiche, una di queste è mossa dai vertici politici italiani: la dotazione è insufficiente, insieme al vincolo di destinazione della spesa, questi risultano essere, infatti, dei paletti alla libera decisione.

Riguardo lo SURE, quali potrebbero essere gli effetti per il futuro date le criticità? Tra queste vi è una probabile insufficienza di capacità finanziaria per rispondere all’emergenza e, anche qui, si parla sempre di prestiti da dover rimborsare. In più, ancora non è stata data piena operatività al sistema: si dovrà aspettare a lungo?

Tuttavia, secondo il professore Carlo Cottarelli, utilizzando questi strumenti, in particolare il MES, “il risparmio sarebbe 9 volte più grande (per 10 anni) di quanto avverrebbe col taglio dei parlamentari, tanto voluto da chi non vuole il MES“.

Nonostante gli accesi dibattiti tra le leadership politiche d’Europa, questi, tra i tanti strumenti eretti nell’area Euro, risultano essere la corda a cui i Paesi in difficoltà si aggrappano, speranzosi che l’Europa possa rivelarsi così come si presentò alla sua nascita: garante e promotrice di continuità allo sviluppo dei Paesi.

Contenuto in collaborazione con Starting Finance:

Marco Amato
Rossana Arcano

Il PEPP e i primi passi per salvare l’economia. Ecco come l’Ue reagisce al Covid-19

In questi mesi di lockdown tra le pagine di giornale, le notizie d’ultima ora in TV, le ricerche Google, le news riguardo gli strumenti adottati dall’UE per fronteggiare il Covid-19 ci hanno inondato di informazioni. La timeline di interventi è ricca di euro, clausole e principi. Su Twitter, il profilo della presidente della BCE Christine Lagarde cinguettava “Tempi straordinari richiedono azioni straordinarie”.

Ripercorrendo l’iter dall’inizio dell’emergenza, uno dei primi strumenti adottati è stato il PEPP- Pandemic Emergency Purchase Programme –, programma straordinario di acquisto di titoli pubblici e privati, stanziato il 24 marzo dalla BCE, per un valore di 750 miliardi di euro poi quasi raddoppiato per arrivare ad oltre 1350 miliardi di euro.

Dobbiamo definirlo straordinario perché, in realtà, costituisce un’aggiunta all’APP – Asset Purchase Programme – il famoso Quantitative Easing della BCE che ha stanziato dal 2016 un range tra 15 mld e 80 mld al mese. Questo prevede, oltre agli acquisti di titoli pubblici, acquisti di diverse tipologie di titoli, tra cui obbligazioni bancarie garantite, obbligazioni private, titoli emessi con cartolarizzazione, etc.

Insomma: la BCE ha iniziato ad acquistare titoli in tutti i Paesi europei.

Com’è costituito il PEPP?

Da ciò che dispone la BCE, il PEPP ha le stesse regole previste per l’APP. Difatti, è costituito dal 10% di titoli emessi da organizzazioni internazionali e banche specifiche dell’Eurozona, il 90% di titoli di Stato o obbligazioni.

Concentrandoci sui titoli di stato per comprendere cosa siano, ogni mese il Ministero delle Finanze emette titoli ad una cifra, che restituirà successivamente ed in cambio offre un coupon – una cedola – di solito semestrale, che è il tasso d’interesse. Ogni anno, chi acquista il titolo, riceve una cedola della cifra sottoscritta.

Il PEPP è un “bene di tutti”?

C’è da fare chiarezza: questo bazooka carico di miliardi di euro prevede che il 90% dei titoli sia ripartito nell’Area Euro in base alla regola della capital key, cioè la quota di capitale della BCE detenuta da ogni banca centrale nazionale (di solito in relazione al PIL nazionale). Perciò è un bene di tutti in relazione al peso di ciascun Paese nel grande salvadanaio d’Europa.

Quale effetto avrà?

Il principale effetto di questo intervento della BCE riguarda lo spread. 

Lo spread – ovvero la differenza tra il rendimento dei titoli di stato italiani e tedeschi con scadenza a dieci anni- ci indica come varia l’interesse che dobbiamo pagare sul nostro debito. In Europa lo misuriamo con i titoli tedeschi, considerati i più stabili. 

In un momento di crisi come questo, dove le attività produttive sono rimaste congelate per mesi, il governo è dovuto intervenire indebitandosi molto per evitare che le conseguenze della crisi fossero più gravi. Il sostegno della BCE con il PEPP ha permesso che l’interesse si mantenesse ad un livello basso. L’interesse diminuisce poiché, quando la BCE interviene sul mercato dei titoli di stato per acquistare dei bond, la domanda di questi titoli aumenta, ma se c’è una maggior richiesta di un qualsiasi bene nel mercato allora il prezzo aumenta ed il tasso d’interesse diminuisce. 

La nuova dotazione di 1350 mld di euro per questo programma di emergenza garantisce un’estrema liquidità al mercato dei titoli di Stato, impedendo l’innescarsi del circolo vizioso che ha reso ancora più drammatica la grande recessione per alcuni Paesi dell’Eurozona (tra cui l’Italia).

Per capire con dei dati l’intensità e l’importanza di questo intervento, grazie al PEPP, infatti, il totale di debito pubblico italiano detenuto da istituzioni europee, a fine 2020, dovrebbe ammontare al 37,8% del PIL (Osservatorio CPI), la sola BCE dovrebbe detenerne circa il 30%. Numeri importantissimi, ma non è tutto oro ciò che luccica ed è doveroso domandarsi se non siamo troppo dipendenti dalla BCE. 

Cosa succederebbe se la BCE dovesse intervenire per ritirare liquidità dal sistema a causa di una fiammata inflazionistica (ipotesi veramente improbabile nel breve periodo)? Quando andranno a scadenza questi titoli e la BCE nel 2021 terminerà il suo programma, quanto ci costerà rifinanziare questa quota di debito senza l’aiuto della BCE?

Possiamo comprendere l’urgenza di effettuare delle politiche economiche che rendano maggiormente sostenibile il debito pubblico in futuro, futuro nel quale non potremo pretendere di essere ancora fortemente dipendenti dall’intervento delle istituzioni europee. 

Contenuto in collaborazione con Starting Finance:

Marco Amato
Rossana Arcano

Il Decreto “Rilancio”: ecco le mosse del Governo per risollevare l’economia

Il 13 maggio il Consiglio dei Ministri ha approvato il Decreto Legge “Rilancio”. Una manovra da circa 155 miliardi di euro, di cui 55 in extra-deficit, destinati a rivitalizzare e sostenere la provata economia nazionale in questa nuova fase.

Il Decreto prevede numerosi interventi per rinforzare i settori della salute e della sicurezza, sostenere le imprese, i redditi da lavoro, il turismo e la cultura. Tra le misure vi è anche la cancellazione delle clausole di salvaguardia, eliminando così gli aumenti delle imposte (Iva e accise) previsti a partire dal 2021.

Nel vasta e corposa normativa d’urgenza vi sono tre aspetti fondamentali che suggeriscono l’indirizzo che il Premier Conte ha deciso di dare al governo e che sono indicativi delle dinamiche interne alla maggioranza: la sanatoria degli irregolari, il reddito di emergenza e la cassa integrazione straordinaria.

Circa il primo punto, il Decreto mira a garantire l’emersione del lavoro nero e la regolarizzazione limitatamente però ai braccianti, colf e badanti, di cittadinanza italiana e straniera con un rapporto di lavoro irregolare e cittadini stranieri con permesso di soggiorno scaduto. Rimangono dunque esclusi i lavoratori irregolari nel settore dell’edilizia e gli «invisibili» dei ghetti, quelli cioè senza permesso di soggiorno.

Il procedimento di regolarizzazione viene avviato mediante richiesta, esperibile tanto dal lavoratore quanto dal datore di lavoro, che chiede l’emersione del rapporto di lavoro non regolare. La richiesta può essere presentata dai cittadini stranieri con permesso di soggiorno scaduto dal 31 ottobre 2019. Questi potranno richiederne uno temporaneo di 6 mesi pagando 160 euro. Se entro quel termine otterranno un contratto di lavoro, il permesso verrà convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro. Nel caso in cui sia il datore di lavoro a presentare l’istanza di emersione del rapporto di lavoro deve indicare la durata del contratto di lavoro, la retribuzione non inferiore a quella prevista dal contratto collettivo, e pagare 400 euro.

 

Per incentivare l’emersione del lavoro nero si è reputato necessario garantire un’immunità nei confronti del datore di lavoro che presenta l’istanza. Lo scudo viene escluso per chi negli ultimi cinque anni sia stato condannato anche in via non definitiva per i reati di caporalato, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, tratta e sfruttamento della prostituzione, reclutamento di minori, droga.

Il secondo punto è quello del Reddito di Emergenza (REM). Si tratta di un nuovo istituto concepito per venire incontro a quei nuclei familiari rimasti esclusi dal Reddito di Cittadinanza e altri sussidi (circa 1 milione). Il Rem può variare da 400 a 800 euro e verrà erogato in due quote. I requisiti necessari per ottenere il Rem sono: la residenza in Italia (non la cittadinanza) e ISEE inferiore a 15mila euro.

Infine la cassa integrazione straordinaria. Su tale questione è necessaria una dovuta premessa sul funzionamento di questo istituto. La cassa integrazione è uno strumento ampiamente utilizzato in tutto il mondo. In Italia è gestita dall’INPS, che si occupa di rimborsare le aziende o di pagare direttamente una parte degli stipendi dei lavoratori anche quando questi non lavorano o lavorano a un orario ridotto. Il ricorso massiccio alla cassa integrazione, dovuto alla crisi pandemica, e l’impreparazione del personale hanno rallentato notevolmente le operazioni di erogazione dei sussidi. Ad essere maggiormente in difficoltà è la Cassa Integrazione in Deroga, quella destinata alle imprese con meno di 5 dipendenti e a tutte le altre imprese che normalmente non avrebbero accesso alla cassa ordinaria. Il 5 maggio l’INPS dichiarava di aver ricevuto 277 mila domande e di averne pagate 46 mila, per un totale di 97 mila beneficiari. Numeri piuttosto bassi sia per quanto riguarda le domande effettivamente pagate che per  le richieste arrivate all’INPS, probabilmente soltanto una frazione del totale.

La Cassa Integrazione in Deroga segue infatti un percorso burocratico molto più complicato. Per farne richiesta un’impresa deve prima passare dalla sua regione. Ogni passaggio in più può rallentare qualsiasi pratica, ma in questo caso, non tutte le regioni sono ugualmente preparate a gestire la mole di richieste.

In Campania e Veneto le richieste sono state gestite in maniera piuttosto efficiente, mentre la Lombardia ha incontrato grossissime difficoltà. In Sicilia i dipendenti della regione sono arrivati a chiedere un bonus di 10 euro per ogni pratica sbloccata, provocando l’irritazione della ministra per la Pubblica amministrazione, Fabiana Dadone.

Grazie al Decreto “Rilancio” i lavoratori e le aziende potranno adesso rivolgersi direttamente allo Stato presentando le proprie richieste all’Inps.

Filippo Giletto

Il coronavirus non fermerà il turismo a Messina. Il piano dell’assessore Caruso: “La nostra città dovrà diventare una meta per i siciliani”

L’emergenza Coronavirus ha modificato la nostra quotidianità, costringendoci a rinunciare a molte attività anche se adesso, in piena fase due, si pensa già a tornare alla normalità.  Gli esercizi commerciali tornano in attività, noi possiamo iniziare a uscire di casa.

Tuttavia rimangono delle complicazioni, soprattutto a livello economico. In particolare, il settore del turismo è quello che ha subito l’impatto più schiacciate e che continuerà ad assorbirne gli effetti ancora per molto tempo: l’impossibilità di effettuare spostamenti penalizza quelle attività legate all’accoglienza di visitatori, ma non solo.

Per questo abbiamo contattato l’assessore alla Cultura, al Turismo e al Brand Messina Enzo Caruso per farci spiegare come l’amministrazione messinese si stia preparando ad affrontare la questione.

Tutto ha inizio dalle Serate della cultura in TV (ne abbiamo parlato qui): l’iniziativa di mostrare, su diverse emittenti locali, dei documentari a proposito di luoghi (anche inediti) della nostra città.

L’idea iniziale parte dal fatto che dopo tanti mesi passati in casa abbiamo bisogno di una “cura”ha sottolineato l’assessore. Se una persona non ha la possibilità di svagarsi, la cultura dovrebbe essere una cura dello spirito. Per risollevare un po’ gli animi, insomma.

Le serate della cultura in TV sono state pensate nell’ottica del servizio alla persona, in questo momento difficile. E anche per sopperire alla mancanza degli eventi dal vivo veri e propri.

Tuttavia, se questa era una delle funzioni manifeste dell’iniziativa, quella latente è ben più articolata. L’assessore spiega infatti che: 

Stiamo per lanciare la campagna pubblicitaria del turismo a Messina: vogliamo portare i siciliani a Messina, conosciuta ormai da tutti come città di passaggio. Vorremmo farla diventare una meta.

Quest’anno non sarà semplice organizzare le vacanze, con tutte le limitazioni in termini di spostamento che stiamo vivendo. In ogni caso, gli spostamenti all’interno della regione sembrerebbero essere consentiti e molti siciliani si sposteranno da una città ad un’altra.

Noi stessi diventiamo consapevoli di quello che abbiamo da offrire. Abbiamo un “tesoro” che non è mai stato sviluppato e messo a sistema – ha aggiunto.

Le nostre spiagge, le nostre colline, i borghi, l’architettura, le fontane, le chiese, le fortificazioni. Il centro storico stesso è sempre stato identificato solo con il campanile. Ma abbiamo tante altre cose che noi stessi non abbiamo mai conosciuto e apprezzato.

Messina si trovava in difficoltà anche prima dell’emergenza Covid-19: la città si spopola sempre più, minando l’economia del territorio.

Messina si è svuotata, e non solo di giovani.

Con la chiusura di tanti uffici pubblici, intere famiglie si sono trasferite. La città è fatta ormai di impiego pubblico, i nostri figli vanno a cercare lavoro fuori. E chi riempie i negozi della città? L’obiettivo è popolarli di gente che viene da fuori per i grandi eventi.

Si pensi alla Vara, al ferragosto messinese o al Natale. L’obiettivo è sfruttare questi eventi come attrattivi: la gente viene a visitare la città e sosta anche per qualche giorno.

In questo modo l’economia di ristoratori, albergatori e imprenditori del settore turismo aumenterebbe.

C’è, poi, anche la questione della tassa di soggiorno che viene usata per sviluppare il settore turistico. Si tratta, nello specifico, di un’imposta di carattere locale applicata a carico delle persone che alloggiano nelle strutture ricettive di territori classificati come località turistica o città d’arte (Wikipedia).

Quella messinese non ha fruttato molto (solo 250 mila euro) e con l’emergenza sanitaria si prevedono scenari peggiori.

Far ricrescere l’economia per ottenere più fondi, da investire poi in turismo: è questo l’obiettivo principe dell’amministrazione comunale messinese che, tra l’altro è l’unica in Italia ad aver promosso la delega dell’assessorato allo sviluppo e promozione delle fortificazioni, pezzi di storia troppo spesso rimangono poco conosciuti. Sul sito del Comune di Messina c’è un’apposita sezione dedicata al Brand Messina, tra cui un percorso di conoscenza dei nostri forti.

Vogliamo far diventare queste fortificazioni dei grandi attrattori, perché sono le più belle terrazze sullo stretto di Messina, ha concluso l’assessore.

Noi di UniVersoMe ringraziamo l’assessore Enzo Caruso per la disponibilità e ricordiamo che nei prossimi giorni ci sarà un nuovo appuntamento su TCF per visitare luoghi inediti della città.

Angela Cucinotta

Cos’è il Quantitative Easing e perchè la Corte Costituzionale tedesca si è messa contro la BCE durante la pandemia

La Corte Costituzionale tedesca ha dato 3 mesi di tempo alla Banca centrale europea per difendere la proporzionalità del Quantitative Easing, mettendo in dubbio il rispetto del mandato e del Trattato del programma di acquisti di titoli pubblici, il celebre Pspp (Public sector purchase programme), avviato dalla BCE dal mese di marzo del 2015 per rilanciare l’economia europea (e non solo) dopo il freno causato dalla crisi del 2008. L’intervento della Corte Costituzionale ha inevitabilmente, in modo implicito,  gettato dei dubbi anche sulle recenti misure adottate dalla BCE per aiutare i Paesi europei ad affrontare l’imminente nuova crisi economica generata dal Covid19.

Ma procediamo per gradi.

  • Cos’è il debito pubblico

Lo Stato necessita di  denaro per garantire i servizi necessari ai propri cittadini, sostenere la crescita economica attraverso continui investimenti e finanziare il proprio deficit, in caso di prevalenza delle spese sulle entrate. Denaro che viene richiesto da parte dello Stato, sotto forma di prestito, quando non dispone delle risorse necessarie per coprire il proprio fabbisogno. Il debito pubblico può essere inteso pertanto come il debito che lo Stato contrae o ha contratto nel passato verso i creditori, ovvero verso tutti quei soggetti che hanno contribuito al suo finanziamento. I titolari del suddetto debito sono soggetti sia pubblici che privati, interni o esterni alla nazione, inglobando quindi all’interno della cerchia dei creditori: singoli risparmiatori o investitori, ma anche imprese piuttosto che banche o altri Stati.

Gli strumenti finanziari impiegati dallo Stato per finanziare il proprio debito pubblico sono molteplici, tuttavia l’emissione di obbligazioni a medio-lungo termine o a breve scadenza è considerato lo strumento finanziario più ricorrente per ottenere il denaro necessario.

Le obbligazioni corrispondono ai famosi ‘’Titoli di Stato’’ emessi in Italia dal Ministero del Tesoro e spesso al centro del dibattito internazionale, soprattutto quando si verificano forti impennate dello spread (differenziale di rendimento tra i BTP italiani e BUND tedeschi), la cui crescita repentina incute timore agli investitori e mette a serio rischio la stabilità finanziaria dei Paesi che già di per sé  non godono di una sana salute finanziaria.

  • Cos’è lo spread

La Germania viene identificata di frequente come benchmark per il confronto con gli altri Paesi, per la sua spiccata solidità finanziaria nella zona euro. Proprio per questo motivo, ogniqualvolta il differenziale di rendimento tra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi cresce in modo esponenziale, si interpreta come un campanello di allarme. Significa infatti che la solidità finanziaria dell’Italia sta correndo un rischio. È quello che è successo agli inizii della diffusione della pandemia, tristemente nota a noi tutti, come COVID-19, che ha gettato l’Italia in una situazione di estrema emergenza, inizialmente non percepita in modo proattivo dal resto del resto dell’Unione Europea, salvo poi accorgersi del grave rischio a cui si stava andando in contro.

L’aumento dello spread provoca un significativo aumento del rischio percepito, che si traduce in un aumento dei tassi di interessi sui singoli prestiti contratti tra lo Stato Italiano e i suoi creditori. Aumento dei tassi di interesse significa che diviene più difficile, nonché più oneroso, per lo Stato Italiano accedere al credito e finanziare la propria spesa pubblica, poichè sarà costretto a sostenere un costo di interessi ancora più alto, che incrementano il valore del debito contratto.

  • Il ruolo della BCE durante la pandemia

In effetti, la BCE il suo contributo lo ha dato in diversi modi, primo fra tutti il famoso e ingente piano di quantitative easing (QE), ovvero il programma per l’emergenza pandemica di acquisti netti di attività per 750 miliardi lanciato a fine marzo, noto con l’acronimo Pepp — Pandemic Emergency Purchase Programme — il programma di acquisto titoli per far fronte all’emergenza pandemia, attraverso l’immissione di liquidità nel sistema finanziario europeo.

I programmi di QE sono stati oggetto di critiche fin dal loro primo esordio, specie tra i paesi dell’eurozona che hanno sempre sostenuto di avere i propri conti pubblici in ordine, come la Germania. La Bce compra titoli di stato sul mercato secondario, ovvero i titoli già emessi dagli stati e in possesso delle banche, aumentando così la base monetaria disponibile nell’eurozona con l’obiettivo di fornire liquidità agli istituti in modo che dispongano delle condizioni per continuare e ampliare la concessione di crediti, stimolando al tempo stesso le attività economiche e in particolare l’aumento dell’inflazione. Da sempre la Bce giustifica gli acquisti con la necessità di riportare il tasso d’inflazione dell’eurozona vicino alla soglia del 2%, riconosciuto l’obiettivo primario dell’istituto. La profonda recessione verificatasi in seguito alla crisi del 2008, infatti, aveva portato il tasso d’inflazione vicino allo zero, sfiorando le soglie della deflazione, una condizione sostanzialmente prossima al collasso dell’economia.

Nonostante le motivazioni dettate dalla crisi del 2008, il 5 maggio 2020 i giudici della corte di Karlsruhe hanno dichiarato ‘’parzialmente incostituzionali’’ i programmi di QE che sono stati messi in atto nel 2015, sotto la presidenza di Mario Draghi. Il pronunciamento sembrerebbe non riguardare il nuovo programma di acquisti PEPP, sopracitato. Tuttavia ciò che viene messo in discussione rimane comunque il modus operandi  della BCE e lo strumento messo in atto, è lo stesso che è stato adottato per arginare le conseguenze economiche della pandemia: non si possono pertanto escludere delle ripercussioni future. L’incipit della sentenza sarebbero alcuni ricorsi, secondo i quali queste operazioni risulterebbero un finanziamento diretto ai bilanci pubblici dei paesi dell’eurozona, un’operazione vietata dall’articolo 123 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. La Corte Costituzionale tedesca aveva già affrontato la questione nel 2017, rimandando il tutto alla Corte di giustizia dell’Unione europea, dal momento che la Bce è un’istituzione comunitaria. La corte di Lussemburgo non aveva accolto i ricorsi, ma con la sentenza del 5 maggio Karlsruhe ha di fatto rigettato la decisione.

I giudici tedeschi in realtà hanno confermato che il QE della presidenza Draghi non viola i trattati europei. Ciò che la Corte contesta è il fatto che la loro attuazione non rispetta i criteri di proporzionalità e adeguatezza rispetto ad altri ambiti del sistema economico. Il riferimento esplicito riguarda gli effetti sul bilancio pubblico tedesco e soprattutto sul risparmio, che sarebbe stato penalizzato dai bassi tassi d’interesse (se i tassi di interesse sono estremamente bassi non avrebbe senso per i risparmiatori depositare i propri soldi presso i conti correnti della Banche, poiché non crescerebbero). La sentenza ha ordinato alla Bundesbank, la banca centrale tedesca, di cessare l’acquisto dei titoli e di prepararsi a vendere quelli già acquistati. Alla Bce vengono concessi 3 mesi, per fornire una documentazione dettagliata e dimostrare che i suoi programmi in realtà non hanno violato i criteri di proporzionalità e adeguatezza.

  • La risposta di Lagarde non ha tardato ad arrivare.

In una videoconferenza organizzata da Bloomberg sulla imminente e necessaria riapertura dell’economia e sulla protezione della salute pubblica, Lagarde, ha infatti dichiarato che la Bce ha già un organo al quale riferisce sulle misure intraprese e gli strumenti utilizzati, e questo è il Parlamento europeo.

Solo di fronte al Parlamento, la Bce ha l’obbligo istituzionale di spiegare come «analizza, soppesa, misura» gli strumenti che utilizza per la sua politica monetaria. Una minore quota di debito detenuta dal settore privato riduce nell’immediato il rischio associato a un certo livello di debito pubblico, in termini di possibili crisi sul mercato dei titoli di Stato. Aumenta però la dipendenza dalle istituzioni europee che hanno finanziato l’Italia e, in particolare, dalla BCE. Quest’ultima continuerà a finanziare l’Italia e gli altri paesi “stampando moneta”. In questa situazione, e assumendo un’ottica di medio termine, se il settore privato manterrà volontariamente i più elevati livelli di liquidità, il finanziamento monetario dei deficit pubblici non dovrebbe comportare particolari conseguenze inflazionistiche: gli elevati deficit pubblici, causati dalla pandemia, sarebbero finanziati in modo permanente dalla BCE attraverso il cosiddetto “signoraggio”, con cui si intende l’insieme dei redditi derivanti dall’emissione di moneta. Se invece la liquidità esistente nel sistema fosse mobilizzata in modo massiccio nel medio periodo (attraverso il canale del credito bancario) potrebbero insorgere problemi.

L’Osservatorio sui conti pubblici italiani (OCPI) evidenzia tuttavia, che, in presenza di pressioni inflazionistiche, se la BCE dovesse vendere sul mercato i titoli italiani e di altri paesi europei per assorbire l’enorme liquidità creata negli ultimi anni, incluso quest’anno, i tassi di interesse sui titoli di Stato italiani tornerebbero a crescere, così come aumenterebbe il peso del maggiore debito pubblico creato (inevitabilmente) nel corso di quest’anno.

Marco Bavastrelli

Mario Draghi e la sua lettera all’UE: il debito pubblico è l’unica strada

“Da un grande potere derivano grandi responsabilità” – Spider Man

Con una lettera inviata al Financial Times l’ex Presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi si è espresso sulla via finanziaria che dovrebbe seguire l’Europa, prefigurando le misure economiche che porterebbero all’uscita dal vortice coronavirus che rischia di devastare l’UE e – in particolare – la già fragile economia italiana.

Resa pubblica e gratuita dall’autorevole giornale economico-finanziario del Regno Unito, la lettera descrive l’inevitabilità della recessione che la pandemia mondiale provocherà. Una recessione che, però, secondo l’ex presidente non deve tramutarsi in una depressione prolungata.

Per vincere questa sfida di epocali dimensioni c’è un solo mezzo: l’aumento del debito pubblico.

Situazioni critiche hanno contraddistinto la vita dell’ex Presidente della BCE, che nel 2011 dovette gestire la più grande crisi finanziaria della storia dell’euro. Celebre la frase Whatever it takes, pronunciata in un discorso che passerà alla storia, per tranquillizzare gli investitori sulle misure che sarebbero state adottate dalla BCE per salvare l’euro e garantire la solidità finanziaria dell’Unione Europa.

‘’Tutto ciò che sia necessario’’ fu realmente messo in

atto, con iniezioni di capitale al ritmo di 60 miliardi di euro al mese che metteranno in risalto la figura di Mario Draghi sul panorama internazionale come 2colui che ha salvato l’euro”.La sua parola conta ancora moltissimo, ed ogni volta che la crisi internazionale chiama, “Supermario” risponde. Ed anche questa volta l’ha fatto con l’editoriale pubblicato su FT che – secondo molti – può già essere considerato un Manifesto della politica economica contemporanea. Una ricetta tra “lacrime e sudore”:

La perdita di reddito a cui va incontro il settore privato — e l’indebitamento necessario per colmare il divario — dovrà prima o poi essere assorbita, interamente o in parte, dal bilancio dello stato. Livelli molto più alti di debito pubblico diventeranno una caratteristica permanente delle nostre economie e dovranno essere accompagnati dalla cancellazione del debito privato.

La soluzione secondo Draghi, è chiara ed inequivocabile: l’indebitamento privato deve essere assorbito dal pubblico tramite debito governativo, ovvero ampliare i bilanci pubblici per proteggere i cittadini da uno shock economico irreversibile.

Draghi non si limita a spiegare cosa deve essere fatto, ma indica anche lo strumento imprescindibile per raggiungere lo scopo:

L’unica strada efficace per raggiungere ogni piega dell’economia è quella di mobilitare in ogni modo l’intero sistema finanziario…immediatamente, evitando le lungaggini burocratiche. Le banche, in particolare, raggiungono ogni angolo del sistema economico e sono in grado di creare denaro all’istante devono prestare rapidamente a costo zero alle aziende favorevoli a salvaguardare i posti di lavoro. E poiché in questo modo esse si trasformano in vettori degli interventi pubblici, il capitale necessario per portare a termine il loro compito sarà fornito dal governo, sotto forma di garanzie di stato su prestiti e scoperti aggiuntivi

Ricorrere quindi al settore finanziario per proteggere la capacità produttiva dei paesi, sfruttare i mercati obbligazionari per finanziare le imprese. Le banche dovrebbero prestare fondi a tasso zero alle imprese, per impedire che si perdano posti di lavoro e chiaramente tutto questo è possibile, soltanto con garanzie fornite dallo Stato. Questo significa: abbandonare l’obiettivo del deficitdifferenza tra entrate e uscite fiscali di uno stato, che in caso di valore negativo dà origine ad un disavanzo pubblico da finanziare con l’emissione di un nuovo debito pubblico –  pari al 2%, ma accettare valori pari all’8% o addirittura il 10% del Pil. Percentuali eccezionali, per una situazione eccezionale.

Un uomo che sembra nato per gestire le crisi, quelle economiche così come quelle umane.

La sua filosofia resta la stessa del 1962 – anno che cambiò la sua vita a causa della morte di suo padre: “Ricordo che a sedici anni, dopo una vacanza al mare con un amico, lui tornò a casa e poteva fare quello che voleva, io invece trovai ad aspettarmi un cumulo di corrispondenza da sbrigare e di bollette da pagare. Ma i giovani non pensano a quello che gli succede e a come reagirvi. Reagiscono e basta. È molto importante, salva dalla depressione anche in situazioni difficili”, dichiarava in un’intervista del 2015 a Repubblica.

Toccare il fondo ma reagire, dunque. Come ne usciremo, è presto ancora per dirlo. Niente e nessuno, però, può impedirci di sperare che a condurre il periodo post Covid-19 ci sia lui, Supermario Draghi.

Marco Bavastrelli