“Il futuro è nostro”: il peso di una responsabilità

Io e la mia eco-ansia

Avevo solamente sette anni quando, sul mio diario segreto dell’epoca, cominciai a scrivere dell’estinzione del Panda Rosso, del riscaldamento globale e della fine del mondo.

Non avevo ancora sviluppato uno spirito critico che si potesse dire realmente tale, ma a una conclusione verosimile ero comunque riuscita a giungere.

Ve la cito testualmente:

È tutta colpa dell’uomo. L’uomo deve aggiustare le cose.

So che non fosse normale il fatto che una bambina di quell’età perdesse il sonno a rimuginare sull’inquinamento, ma, quando cresci in una realtà che va alla deriva, diventa quasi inevitabile.

Guardavo i notiziari e l’impotenza mi atterriva. Ascoltavo gli adulti parlare di questa e quell’altra crisi ecologica, ed ecco che mi veniva il mal di pancia.

Ciò che davvero, però, mi causava malessere era il senso di responsabilità che sentivo ricadermi sulle spalle. Ero ben consapevole, ora come allora, che sarebbe toccato a me porvi rimedio.

In realtà, a ben pensarci, non è che fosse una riflessione di cui posso arrogarmi il merito. Non scaturiva dalla mia sviluppata sensibilità o da una precoce e incredibile perspicacia.

Era un qualcosa che mi veniva ripetuto di continuo: il destino della Terra era nelle mie mani.

Avrei dovuto fare la raccolta differenziata, usare la bicicletta per andare a scuola, bere dalla borraccia, comprare prodotti che non fossero in confezioni di plastica… Se me ne fossi astenuta, l’apocalisse si sarebbe abbattuta su noi tutti.

Ero davvero convinta di avere una parvenza di controllo e di poter, così, effettivamente fare la differenza.

Sebbene riconosca che il rispetto di queste regole sia sacrosanto per garantire una cittadinanza che possa definirsi civile, ho, però, ora contezza che quella che mi è stata propinata – che ci è stata propinata – è una pia illusione.

Abbiamo ereditato un pianeta al collasso, prosciugato delle sue risorse e iper-sfruttato, e ci è stato, poi, presentato il conto. Mentre i grandi procedono nei loro affairs, inseguendo il qui e ora e distruggendo quel che poco rimane, ci viene detto che il futuro è di nostra competenza, che siamo noi a doverne cambiare le sorti.

Dobbiamo, al contempo, correggere gli errori di un passato in cui neanche esistevamo e lavorare affinché ci sia un futuro di cui non ci godremo nemmeno i frutti.

Hanno tralasciato di dirci, tuttavia, che i nostri sforzi… sono vani. E che continueranno a esserlo fino a quando le vostre vedute saranno colme di denaro e non di terre fertili, acque limpide e natura sterminata.

Noi siamo disposti a sacrificarci per ottenerlo. Lo facciamo ogni giorno, d’altronde.

E voi?

 

Perché la diffusione di Covid-19 è correlata all’inquinamento?

Il rispetto dell’ambiente è un principio che viene insegnato ai bambini dai primi anni di scuola per sensibilizzarli al più grande problema della nostra umanità: l’inquinamento. Da sempre l’uomo ha modificato la natura per adattarla ai suoi bisogni, ma, dal settecento con la prima rivoluzione industriale, questi processi si sono intensificati. Sono così emerse nuove patologie che prima erano poco note. Basti pensare alle neoplasie polmonari, alla maggiore suscettibilità alle infezioni respiratorie, ma anche ad allergie, pneumoconiosi, intossicazioni alimentari da metalli e tante altre.

Quali sono le fonti principali del danno ecologico?

Ciò che ci preoccupa maggiormente è l’inquinamento atmosferico, le cui cause principali sono il traffico veicolare e le emissioni industriali. Fra gli inquinanti più rappresentati nell’aria abbiamo il monossido di carbonio, i nitriti, il benzene, gli idrocarburi policiclici aromatici ed altri. Tutte sostanze riconosciute come cancerogeni certi o probabili dalla IARC (International Agency Research on Cancer). L’inquinante più temibile è però rappresentato dal particolato, formato da particelle aereo-disperse che trasportano componenti organiche e non e le veicolano nelle vie aeree. Distinguiamo essenzialmente, a seconda della dimensione, PM10 con diametro inferiore a 10 micron e PM2,5 con diametro inferiore a 2,5 micron, ma ne esistono anche di più piccole (PM1, PM0,1). Più sono piccole maggiore è la loro capacità di infiltrarsi nelle vie respiratorie e causare un danno.

Cosa sta succedendo in questo periodo?

Negli ultimi giorni hanno fatto scalpore le immagini da satellite prima della Cina ed ora del nostro paese. Queste dimostrano come, già nei primi tempi di “lockdown” per l’emergenza Coronavirus l’inquinamento sopra le nostre teste sia fortemente diminuito. Nell’immagine sopra si può osservare il confronto della situazione in Italia a metà gennaio (sinistra) con quella dei nostri giorni (dati rilevati dal satellite Sentinel-5P dell’Agenzia Spaziale Europea, ESA). Purtroppo ciò non è l’unico legame che l’inquinamento ha con l’attuale epidemia di COVID-19. Un’analisi congiunta delle Università di Bologna e Bari ha correlato i livelli elevati di PM10 ad un aumento della diffusione dell’infezione. Secondo quanto riportato, il particolato fungerebbe da carrier per il virus. Ecco perché nella pianura padana, dove le attività industriali e lo smog sono cospicui, il virus si sarebbe diffuso così velocemente. Un’espansione, almeno all’inizio parzialmente limitata al nord Italia, per la geografia del territorio che appare chiuso dalle Alpi ai confini.

Un vecchio studio cinese ci aveva avvisato

Andando indietro nel tempo, al novembre 2003, si può trovare uno studio ecologico cinese che aveva rapportato la qualità dell’aria all’epidemia di SARS. Le città che pagarono un maggior prezzo in termini di mortalità furono quelle in cui l’indice di inquinamento atmosferico (API) era più elevato. Anche per loro la spiegazione principale era legata al maggior trasporto del virus PM10-mediato. Ovviamente c’è anche una plausibilità biologica: l’esposizione ad una dose maggiore di inquinanti atmosferici compromette la funzionalità polmonare (come fa il fumo di sigaretta del resto) così da poter causare dei quadri clinici di polmonite più gravi. Inoltre l’inquinamento ostacola l’attività di un particolare tipo di cellule, ovvero i macrofagi alveolari, che rappresentano l’ultima barriera di protezione del nostro sistema respiratorio dai patogeni che penetrano fino a livello alveolare.

L’analisi ecologica cinese fu condotta in 5 regioni con almeno 100 casi di SARS: Guangdong, Shanxi, Hebei, Beijing e Tianjin. Queste furono distinte in base all’API tra i mesi di aprile e maggio 2003 in regioni a basso, moderato ed alto indice di inquinamento e si è valutata la mortalità per SARS nei tre gruppi nello stesso periodo. I risultati, sintetizzati nel grafico cartesiano sopra, furono i seguenti:

  • Su 1546 pazienti analizzati residenti in regioni a basso API, 63 sono morti per SARS con una percentuale di fatalità del 4,08%;
  • Tra 3590 pazienti provenienti dalle regioni ad indice moderato, ne sono decedute 269 (mortalità del 7,49%);
  • 17 morti su 191 pazienti nelle zone ad alto API, con l’8,90% di mortalità.

Da ciò possiamo dedurre una buona correlazione tra la qualità dell’aria ed il diffondersi di epidemie virali. Anche per questo la tutela dell’ambiente in cui viviamo deve essere quindi un argomento primario. Tutti i paesi sviluppati del mondo devono porre attenzione senza appoggiarsi alla politica dello slogan e favorendo l’avvento delle rinnovabili come unica fonte energetica. Gli obiettivi 20-20-20 prevedevano: riduzione del 20% delle emissioni di CO2, riduzione del 20% della richiesta di energia ed aumento del 20% delle fonti rinnovabili entro il 2020. Il 2020 è arrivato e dobbiamo fare un passo in più. Il pianeta si ribella e noi ora ne siamo vittime, ma bisogna ricordare che ne siamo stati anche i carnefici.

Antonio Mandolfo

Bibliografia

https://www.ilsole24ore.com/art/l-inquinamento-particolato-ha-agevolato-diffusione-coronavirus-ADCbb0D

https://www.focus.it/scienza/salute/coronavirus-covid-19-smog-inquinamento-lombardia

https://ehjournal.biomedcentral.com/articles/10.1186/1476-069X-2-15

 

 

 

 

 

 

 

Mostra “Capire i cambiamenti climatici”

La grande sensibilizzazione in atto sui temi del cambiamento climatico sta avendo un “effetto- eco” molto positivo.

La sempre maggiore comprensione del fenomeno, oltre che sensibilizzare le coscienze, aumenta la consapevolezza della necessità di cambiamento e la curiosità.

A partire dallo scorso weekend, famiglie e scolaresche stanno affollando il Museo di Storia Naturale di Milano per visitare la mostra “Capire il cambiamento climatico” –Experience exhibition.

 

 

Anche grazie ad ENGIE Italia, Global&Active Partner della mostra, sono stati prolungati gli orari di apertura nei prossimi due weekend, a partire da oggi, venerdì 22, poi domenica 24, venerdì 29 e domenica 31 marzo, fino alle 19:30 così da garantire la migliore fruibilità della primo evento dedicato al cambiamento climatico.

Uno spazio narrativo ed esperienziale in cui i visitatori scoprono le cause e gli effetti attuali e futuri del riscaldamento globale, attraverso il linguaggio fotografico visivo, ludico e ricreativo di National Geographic, le tecnologie digitali immersive e interattive, e la curatela scientifica di Luca Marcalli Presidente Società Meteorologica Italiana.

Uno dei “focus” principali della mostra è quello di stimolare emotivamente i visitatori a diventare loro stessi soggetti attivi per la salvezza del pianeta.

 

 

Tra le diverse iniziative in programma, ENGIE sta realizzando un Kit per le scuole, che trae ispirazione dal percorso didattico della mostra, per sensibilizzare ai temi dell’ambiente e all’adozione di quei comportamenti, apparentemente scontati e banali, ma in realtà virtuosi che consentono risparmio energetico,la tutela dell’ambiente e dunque la preservazione della nostra identità.

“L’obiettivo di ENGIE è quello di essere leader nella transizione a zero emissioni di C02.

Vogliamo accompagnare le aziende e le comunità in questa transizione proponendo soluzioni mirate, innovative e digitali, che incidono positivamente sulla riduzione dell’impatto ambientale” – ha commentato Olivier Jacquier CEO ENGIE Italia.

E’ necessario continuare tracciare il solco di un percorso che è appena iniziato, che prevede non solo la maturazione graduale di un pensiero etico e rispettoso della “nostra casa naturale”, ma che deve’essere abbinato a concretezza e pragmatismo.

Antonio Mulone

Un bruco mangia-plastica per salvare il pianeta

Chi lo doveva dire che un bruco comunemente usato come esca dai pescatori fosse in grado di biodegradare il polietilene, o PE, una delle plastiche più resistenti e più diffuse al mondo?

Il bruco in questione è la larva della farfalla Galleria mellonella, meglio nota a pescatori con il nome di camola del miele o tarma maggiore della cera. A fare questa importante scoperta è stata una biologa italiana, Federica Bertocchini dello Csic, l’Istituto spagnolo di Biomedicina e Biotecnologia della Cantabria. L’italiana avrebbe condotto l’esperimento , dopo una intuizione casuale lavorando su tutt’altro, insieme a  Christopher Howe, del dipartimento di Biochimica dell’università di Cambridge.

Durante l’esperimento, un centinaio di larve dono state poste vicino a una busta di plastica nella quale, già a distanza di 40 minuti, sono comparsi i primi buchi. Dopo 12 ore la massa della busta si era ridotta di 92 milligrammi: un tasso di degradazione estremamente rapido, rispetto a quello finora osservato in altri microrganismi capaci di digerire la plastica (alcune specie di batteri nell’arco di una giornata riescono a degradare 0,13 mg).

“Se alla base di questo processo chimico ci fosse un unico enzima, la sua riproduzione su larga scala utilizzando le biotecnologie sarebbe possibile” ha osservato Bombelli. “La scoperta potrebbe essere uno strumento importante per liberare acque e suoli dalla grandissima quantità di buste di plastica finora accumulata”.

Alessio Gugliotta