Messina 1908 – 2018. La storia di un grande evento, il nostro

Orologio fermo alle 5.20, ora esatta dello scatenarsi del sisma della mattina del 28 dicembre 1908 (foto scattata nel già 1909)

Cosa fu, chiese il figlio al padre, aspetta disse il padre al piccolo.

Queste, silenti, brevi e semplici parole alle 5.15 di quella fredda mattina.

Soltanto cinque minuti dopo, nel momento in cui il bimbo stava per riprendere sonno, ad un tratto un boato, eccola, l’ira funesta della madre terra, che sprigionò tutta la sua forza laddove niente fu come prima. 

Tutto diventò altro, un tutt’uno tra inferno e paradiso, tra cielo e terra, tra acqua e fuoco, tra vento e quiete.

Messina subiva quello che noi oggi conosciamo come l’evento sismico più potente della nostra storia recente, uno di quelli che raggiunse il 7° grado della scala Mercalli, uno di quelli che vorresti essere nato in altro luogo del pianeta al solo pensiero.

Carmelo, questo il nome del bambino, si trovò dalla sua cameretta, dove discuteva col padre, a venire estratto dalle macerie della loro casa, del loro plesso, del loro rione. Quelle voci, quelle grida e quei lamenti, Carmelo li sentiva come fossero un sogno vissuto realmente al quale non diede molto peso, tanto in fin dei conti da lì a poco si sarebbe svegliato, pensò in cuor suo, per cui perchè preoccuparsi più di tanto…

Si rese conto nemmeno pochi istanti dopo che non era un sogno ma una realtà viva, attuale, vera più che mai. Lì iniziò a vedere con gli occhi di un bambino, quale lui era, tutto il dramma della vita: corpi riversi sotto i solai, sotto le travi e mobilia, mobilia ovunque, specchi rotti, legna, pietre, tantissime pietre, tutte le pietre del mondo dirà negli anni seguenti nei suoi racconti monotoni per i quali sarà financo schernito dalle future generazioni. 

Particolare degli interni di un appartamento in via Fossata nel 1909

 

Correva l’anno del Signore 1908 in quel di Messina, gia sede di provincia e prima tra le quattro città di distretto configurate nell’ottica borbonica dal punto di vista amministrativo. In ordine di importanza queste le quattro città già demaniali e di distretto in un tempo precedente: Messina, Castroreale, Patti e Mistretta.

Carmelo era figlio di quel tempo, figlio di quella terra ovvero di questa nostra stessa terra, Messina, la Sicilia, la nostra isola.

Diranno alcuni, figlio delle terre al di là del faro.

Così venivano intese infatti tutte le zone della Sicilia che non si trovavano “al di qua del faro” in cui ricadevano, geograficamente parlando, i centri della Calabria. Una dicitura già presente all’epoca borbonica e riportata per abitudine descrittiva nei vari passaggi di regno e/o annessioni territoriali.

Come lui, altre piccole anime, le quali nulla chiedevano, se non vivere a casa loro, in quella che era la loro città, tra quella che era la loro gente. Le Regie Poste, gli uffici amministrativi, abitazioni, statue, rioni, caseggiati, strutture ecclesiastiche e chi più ne ha più ne metta, andarono sgretolati nel giro di soli 37 secondi, interminabili e da nessuno mai pensati.

E’ vero, dirà qualcuno anni dopo, nel corso dei secoli altri furono i terremoti gravi ancor prima del 1908, basti ricordare uno su tutti il cosiddetto “terremoto di Castroreale dell’inizio del secolo 700”, 5.4 della scala Richter che colpì per forza di cose anche la città di Messina o i vari terremoti di Calabria dove ancora e sempre Messina per la vicinanza geografica ne subiva gli effetti non di poco conto.

Tornando al ricordo limpido del piccolo Carmelo, durante i mesi a ridosso del tragico evento cominciò a carpire cosa si stesse facendo e come si stesse operando. Fu preso in carico da alcuni parenti rimasi miracolosamente illesi durante il sisma e con loro alla fine crebbe negli anni successivi, almeno fintanto che non raggiunse la maggiore età e decise di proseguire la sua giovane vita, da messinese, impegnandosi nel sociale e mettendosi al servizio della sua comunità. Altri ancora, che il piccolo Carmelo lo conoscevano bene, dissero che alla fine diventò un infermiere prestando la sua opera in quel che fu poi per tutti la culla della sanità messinese. Carmelo, cresciuto da questi parenti, passava i pomeriggi a guadare come pezzo per pezzo nasceva il già Regio Ospedale Piemonte, per molti inteso Ospedale Civico, che fu interamente finanziato dal comitato piemontese che con la ingente cifra per quel tempo di lire 600.000, contribuì alla costruzione di uno dei primi plessi presenti in città interamente pianificati in cemento armato.

Ospedale Piemonte visto da sud ( il suo retro) anno 1911

 

E’ chiaro che tra le macerie e il legname che regnava in quel periodo, il cemento armato fu subito visto come soluzione risolutiva ai possibili futuri problemi sismici e quale azione lungimirante per un prosieguo di vita “normale” e ancor più vissuta in piena sicurezza. L’ospedale Piemonte, racconterà negli anni ancora il piccolo Carmelo, raccolse l’eredità del Grande Ospedale di Santa Maria della Pietà, edificato a partire dal 1542, sull’area dove oggi sorge il Palazzo di Giustizia.

Messina con difficoltà oggettive cercò fin da subito di risollevarsi come sempre nei secoli seppe fare, ma qui le cose andarono a rilento. Il Governo del tempo, visto e considerato che molti uffici amministrativi, sia comunali che provinciali andarono distrutti e venne persa molta documentazione pubblica, ordinò il trasferiemento a tempo indeterminato (e fino a revoca governativa) degli stessi in quel della Città Regia del Castro Regale (attuale Castroreale), al tempo rientrante già nella provincia messinese.

Fu così, Carmelo raccontava ai prorpi assistiti durante lo svolgimentio del proprio lavoro, che Castroreale venne designata quale sede di provincia, sostituendosi subito dopo il 1908, di fatto, alla vicina ed amica Messina, accogliendo moltissimi esuli messinesi con le loro famiglie al seguito.

Carmelo crebbe, e con lui, anche la sua passione per la storia, la storia della sua terra.

Pensa un po’ , in un giorno di ordinario suo lavoro disse ad collega, anch’egli appassionato di storia locale; sapevi che il pulpito del nostro duomo fu distrutto dal sisma del 1908? e ricostruito sulla copia esatta di quello presente nel duomo monumentale di Castroreale?” No! rispose il collega, sapevo che l’originale ancor prima era il nostro messinese e che sulla base del nostro fu copiato a Castroreale.. E sai bene”! aggiunse Carmelo, e fu fortuna che Castroreale precedentamente lo copiò esattamante dal nostro, perchè nel terremoto del 1908 qui da noi, il nostro andò distrutto e l’unica copia fedele esattamente uguale restò in originale proprio quello di Castroreale! Da questo fu ricopiato l’attuale presente nel nostro duomo ovvero nella Cattedrale di Messina.  Per bacco! rispose il collega; e aggiunse: ma tu tutte questa cose come fai a saperle? Sembri più uno storico che un infermiere! Curiosità, disse Carmelo, semplice curiosità e abbassando lo sguardo aggiunse: io ero piccolo, e la più piccola pietra che allora sentì sul mio corpo mi impose e mi portò alla conoscenza, a scoprire, ad essere interessato ad essa, perchè se non lo fossi stato, tu stesso saresti rimasto all’oscuro su ciò che fu ed è la tua storia e la tua storia caro collega è la tua vita, il tuo nettare, la linfa per dare un futuro alle nuove generazioni. Magari un dì in questa misera vita, visitando te, i tuoi tardi nipoti, verranno devoti dove spento e sepolto sarai, ma verranno consapevoli di aver appreso da te un pezzeto di storia in più sulla loro terra, sulla loro zona e sulle loro vicende. Non credi?

Facciata del duomo di Messina distrutta

Il collega rimase perplesso, non sapeva che Carmelo vide il padre e la famiglia morire sotte le macerie e non sapeva, non poteva carpire la forza che aveva avuto a risollevare i ricordi da quelle stesse macerie, anche soltanto la storia, una di quelle che umilmente rimase ad ascoltare, accettando però l’idea che “bisogna passarci per capire” e mai sottovalutare e schernire gli effetti di una tragedia altrui.

Questo il tributo per i 110 anni dal tragico terremoto che colpì la nostra città, la nostra gente e i nostri luoghi più cari.

La Redazione Cultura Locale coglie l’occasione dell’anniversario del terremoto per ricordare l’importanza della prevenzione e della cultura della sicurezza in ambito sismico ricordando a se stessa per prima che puntare sulla conosenza del rischio, sulla formazione della cittadinanza e quindi della società civile, rappresenta la differenza tra rischiare e rimanere illesi in caso di possibili futuri drammi, che noi tutti ci auguriamo mai più accadano, ma che certamante devono far riflettere sulle decisioni e progettazioni urbanistiche dei prossimi anni.

Auguri per un sereno e felice nuovo anno e arrivederci con nuove storie, vicende da quel ed in quel di Messina.

Fonte immagini: pagina Facebook Messina Antica

Filippo Celi

 

Il duomo di Messina: un grandioso reliquiario per una città che non molla

Pochi luoghi possono raccontarci la storia della città di Messina più del suo Duomo. Fondato in periodo bizantino ma ampliato alle dimensioni attuali sotto Ruggero II d’Hauteville, la storia di questo maestoso tempio, dedicato a Maria Vergine Assunta, è stata per secoli la storia della Città, una storia fatta di grandezza e declino, di continue distruzioni e pazienti ricostruzioni: raso al suolo nel 1908, ricostruito e poi nuovamente danneggiato dai bombardamenti alleati nel 1943, il Duomo, così come la Città, è sempre caparbiamente risorto dalle sue stesse ceneri. Il volto che oggi questo monumento offre ai visitatori è ovviamente quello delle ricostruzioni novecentesche, per molti aspetti drasticamente diverso dall’aspetto con cui si presentava indietro nei secoli d’oro della sua storia; ma, dietro i lineamenti essenziali della facciata e l’apparenza spoglia dell’interno, si celano con discrezione le vestigia dei fasti passati. Tralasceremo dunque alle uscite a venire il grandioso campanile, col suo orologio meccanico tanto caro ai turisti, per andare alla ricerca di queste tracce nascoste che tanto possono raccontarci, sulla storia della nostra Città.

Si parte dalla maestosa facciata a salienti, su cui spiccano eleganti le tre ogive dei tre portali gotici. Quello centrale, quattrocentesco, opera del Piperno (1412), è riccamente decorato in stile; lo sovrasta un medaglione raffigurante l’Incoronazione della Vergine, di Pietro de Bonitate (1465) mentre, nella lunetta, la statua cinquecentesca della Madonna in trono, del Mazzola, contrasta forse in maniera un po’ troppo stridente con lo sfondo ottocentesco, affrescato con angeli musicanti da Letterio Subba. Sui lati del portale, a destra e a sinistra, si snodano delle fasce decorate a bassorilievi rappresentanti le attività nei campi, di gusto squisitamente gotico trecentesco. I due portali laterali invece, più piccoli, sono anch’essi datati fra il ‘400 e il ‘500 e presentano nelle lunette le immagini della Madonna (quello sinistro), e di san Placido, compatrono della città (quello destro). Degni di nota anche gli accessi laterali alla chiesa, con portali cinquecenteschi opera di Rinaldo Bonanno e Polidoro Caldara; l’ingresso a sud presenta anche un corpo aggiunto con eleganti bifore tardo-gotiche quattrocentesche.

L’interno è a tre navate, con tre absidi, ciascuna delle quali è decorata interamente da mosaici in stile bizantino, databili fra il XIV e il XV sec.. L’unico sopravvissuto interamente è quello dell’abside di sinistra, raffigurante la Madonna in trono fra angeli; interamente ricostruito è quello grande dell’abside centrale, col maestoso Cristo benedicente; parzialmente originale ma ampiamente danneggiato quello dell’abside destra, con san Giovanni Evangelista fra san Nicola e san Mena. Completamente contemporanei sono invece i mosaici dell’arco trionfale, evidente tributo all’iconografia del Salvator Mundi, dipinto di Antonello da Messina conservato alla National Gallery; proprio Antonello compare raffigurato, assieme a san Luca, rispettivamente a destra e a sinistra del Cristo benedicente.

Mentre la navata centrale, spoglia, risente molto della ricostruzione novecentesca, le due navate laterali sono decorate da una successione di nicchie con cappelle dedicate ai dodici Apostoli: è quel che resta del monumentale complesso dell’Apostolato, progettato dal Montorsoli nel 1550 come tentativo ambizioso e concettosamente manierista di dare un unico respiro stilistico e formale all’ornamento delle due navate. Ultimato nella prima metà del ‘600, distrutto nel 1908, è oggi fedelmente ricostruito; le statue degli Apostoli sono opera di autori novecenteschi, salvo quella di San Giovanni Battista, nella terza campata della navata di destra, che è preesistente al complesso dell’apostolato e datata 1525, opera dello scultore Antonello Gagini. Procedendo verso il transetto, nella navata centrale troviamo il pulpito, ricostruito sul modello di quello cinquecentesco opera di Andrea Calamech; è detto “pulpito degli eresiarchi” perché presenta, sul fusto, i volti dei quattro eresiarchi Maometto, Lutero, Zwingli e Calvino, un tema inconsueto, ma in linea con lo spirito culturale della Controriforma. Lungo la navata sinistra invece, passando dall’atrio nord si può raggiungere la bella sagrestia settecentesca, con pregevoli mobili in legno a intarsio, e da lì la Cappella dei Canonici.

Superate le cappelle dell’apostolato, si raggiunge il transetto, preceduto a sinistra dall’altare del Redentore, tardo-cinquecentesco, e a destra da quello dell’Assunta, dei primi del ‘600, entrambi parzialmente ricostruiti; accanto all’altare del Redentore c’è una formella raffigurante san Girolamo in penitenza, di Domenico Gagini. L’abside di sinistra è il meglio conservato; mantiene ancora i mosaici originali e la ricca decorazione barocca della scuola di Jacopo del Duca, con le otto statue di sante vergini, i putti e i medaglioni; alle spalle dell’altare, detto del Santissimo Sacramento, si raggiunge la cappella delle reliquie. L’abside di destra, invece, dedicato a San Placido, era stato originariamente affidato a Innocenzo Mangani, ma quella che si vede oggi è solo una ricostruzione.

L’abside centrale invece conserva, inglobato nell’altare “coram populo”, un bel paliotto argenteo della famiglia Juvarra (1701). Infine, anche se si tratta di una ricostruzione, è impossibile non notare l’altare maggiore, con l’icona della Madonna della Lettera sovrastata da un sontuoso baldacchino barocco copia dell’originale di Simone Gullì; ricopre l’icona una manta d’argento che, durante la festa della Madonna della Lettera, viene sostituita dalla pregevole Manta d’Oro, opera di Innocenzo Mangani (1668), custodita al Museo del Tesoro del Duomo. È degno di nota infine che nello spazio tra i pilastri del transetto e il Coro trovano sepoltura diversi arcivescovi di Messina, tra cui Angelo Pajno, che ne promosse la ricostruzione dopo il terremoto del 1908.

Tante sarebbero le altre cose a cui dare attenzione una volta che si entra in questo monumento grandioso: ma basta il poco che vi stiamo mostrando per dimostrare che quella che potrebbe sembra una austera e spoglia cattedrale novecentesca in cemento armato, altro non è che un enorme reliquiario, che racchiude in se le vestigia preziose del grande passato di una città che, nonostante tutte le avversita, ha sempre continuato, e forse continua ancora a sperare nella sua resurrezione.

Foto di: Francesca Maiorana

Gianpaolo Basile

Giornate FAI 2016: una discesa nel cuore nascosto del Duomo di Messina

Le giornate FAI arrivano a Messina. Per tutta la giornata di oggi fino alle 17:30 e domani dalle 9:30 allo stesso orario, avrete la possibilità di visitare la cripta del Duomo di Messina: un autentico gioiello dell’arte messinese, solitamente chiuso al pubblico per via dei restauri in corso gestiti proprio dal Fondo per l’Ambiente Italiano, una associazione senza fini di lucro che dal 1975 si occupa della salvaguardia del patrimonio storico, culturale e ambientale del Bel Paese. Noi di UniVersoMe non potevamo davvero lasciarci scappare l’occasione di scendere a dare una occhiata, ed è per questo che dedichiamo questa uscita speciale della rubrica “Messina da Scoprire” ad offrirvi una nostra piccola “visita guidata” in questo posto così ricco di fascino e di storia.

La storia di Messina, città più volte distrutta e ricostruita, si intreccia con quella del suo Duomo, basilica monumentale e antichissima, che ne condivide le sorti da almeno nove secoli e ne rappresenta tutt’oggi il più noto simbolo, anche nell’immaginario collettivo dei suoi abitanti. Quel che è forse meno noto è che, celata nelle sue viscere, al di sotto del transetto e delle tre absidi, si nasconde una autentica “chiesa nella chiesa”. Benché infatti indicata come “cripta del Duomo”, questa struttura seminterrata sembra non avere mai avuto quelli che erano i ruoli tipici delle cripte nell’architettura cristiana, cioè di luogo di sepoltura per santi, membri del clero o personaggi importanti; al contrario, si è sviluppata nei secoli come una vera e propria chiesa a se stante, col nome di Santa Maria sotto il Duomo.

La storia della cripta del Duomo inizia nel 1080, anno della sua costruzione ad opera del monarca normanno Ruggero II; a quel periodo risale probabilmente la struttura di base, con le sue volte a crociera sorrette da colonne ben più antiche, verosimilmente riutilizzate dai resti di edifici greci, romani e bizantini, e sormontate da capitelli in stile romanico. La vera svolta nell’aspetto della cripta si ha però a partire dal 1638, anno in cui il luogo di culto, interrato a causa di continui alluvioni, viene recuperato dalla Congregazione degli Schiavi della Madonna della Lettera, guidata dal nobile Giuseppe Stagno. È dietro il loro impulso che la struttura, cambiato il nome in “Nostra Donna della Lettera”, acquisisce l’aspetto che ancora oggi la rende caratteristica e suggestiva: la selva di colonne dell’antico ipogeo d’epoca normanna fiorisce con la ricca decorazione barocca a stucco, progettata dallo scultore e orefice fiorentino Innocenzo Mangani, attivo a Messina negli anni ’50 e ’60 del Seicento. L’estetica barocca dello stupore a tutti i costi trova la sua massima espressione nel trionfo di volute ed elementi floreali, e se non fosse sufficiente la qualità delle decorazioni a suscitare la meraviglia nel visitatore, basti pensare che in origine gli spazi fra gli stucchi erano illuminati da una doratura oggi parzialmente scomparsa, e animati da pregevoli affreschi, di cui resta soltanto qualche vaga traccia qua e là e un piccolo putto che affiora, appena riconoscibile, nella cornice sopra una colonna nella zona sottostante all’abside centrale.

 

Non sono più visibili, inoltre, all’interno della cripta, diversi dipinti di autori locali seicenteschi e settecenteschi (Quagliata, Tricomi, Tuccari, Romeo e alcuni anonimi) che ne ornavano le pareti, oggi esposti al Museo Regionale di Messina; si auspica il loro ritorno in sede a restauro concluso, così come si spera in un futuro recupero quantomeno del pavimento ottocentesco, costruito a seguito di uno dei numerosi restauri e oggi ancora sepolto sotto il cemento. La cripta infatti, pur essendo sopravvissuta pressoché illesa ai due grandi sismi del 1783 e del 1908 (pur necessitando in entrambi i casi di lavori di consolidamento che hanno portato nel primo caso alla costruzione dei muri di separazione che oggi dividono la struttura in tre ambienti, e nel secondo all’innalzamento del piano di calpestio) è stata nei secoli spesso soggetta ad allagamenti, soprattutto per via della vicinanza al il torrente Portalegni e al mare.

Ulteriori lavori di restauro sono ancora necessari affinché questo luogo possa ritornare il più vicino possibile agli splendori originali; ma, nell’attesa che ciò accada, la sua temporanea apertura diventa una occasione imperdibile per chi cerca di ritrovare le impronte di una Messina perduta.

Gianpaolo Basile

Ph: Martina Galletta