Messina nel 1780: il quartiere “San Giovanni”

Ritorna l’appuntamento dedicato al viaggio nella Messina del 1780. L’architetto Giannone oggi ci accompagna nel quartiere “San Giovanni”.

Il quartiere

La contrada di San Giovanni era situata nella parte settentrionale della città, tra il torrente Boccetta e il Borgo inferiore. Fino al 1537 era denominato Borgo di San Giovanni, in quanto l’antico confine della città era circoscritto al Boccetta.                                                                                                                                                  Nell’Ottocento la grande piazza fu trasformata in un giardino pubblico, successivamente Villa Mazzini, obbligando la demolizione dell’antico lavatoio delle sete. Dopo le distruzioni del 1908, il nuovo piano decretò la demolizione del complesso di Sant’Andrea e di San Giovanni.

Mappa del quartiere “San Giovanni” – Fonte: “Messina nel 1789. Viaggio in una capitale scomparsa” ©Luciano Giannone, 2021

Chiesa di San Giovanni di Malta

La chiesa era a pianta rettangolare, a tre navate separate da file di sette robusti pilastri in pietra, vi erano altrettante cappelle laterali per ogni lato le quali ospitavano un gran numero di altari, opere pittoriche e scultoree e diversi monumenti funebri e sepolture. La facciata, in marmo bianco e pietra rossa, riprendeva il modello incompiuto del San Lorenzo del Buonarroti, maestro di Del Duca, adottando la conformazione della facciata a due ordini con nicchie laterali e inframezzate da coppie di paraste. Al centro della facciata vi era un pronao formato da due colonne e un arco al di sopra del quale, nel secondo ordine, vi era una grande finestra balconata.
La facciata era posizionata su un alto basamento che compensava il differente livello con la parte absidale, ad esso si accedeva tramite quattordici gradini semicircolari ed era cinto da una balaustrata.

Messina nel 1780
Vista chiesa San GIovanni di Malta – Fonte: “Messina nel 1789. Viaggio in una capitale scomparsa” ©Luciano Giannone, 2021

Il terremoto del 1908 danneggiò gravemente la Chiesa: crollarono i muri perimetrali, la volta, la parte sinistra della facciata, mentre la tribuna ebbe danni limitati.
Nel piano regolatore del 1910 la chiesa fu sottoposta a vincolo di conservazione, che però fu rimosso dal piano Borzì: i resti dell’edificio furono distrutti con la dinamite, per permettere la costruzione del Palazzo del Governo; venne tuttavia risparmiata la tribuna, che venne restaurata e riaperta nel 1926.

La Chiesa di San Giovanni di Malta dopo il terremoto del 1908 – Fonte: “Messina nel 1789. Viaggio in una capitale scomparsa” ©Luciano Giannone, 2021

Gran priorato dei cavalieri di Malta

Il Priorato nacque come convento della chiesa di San Giovanni nel VI secolo e anch’esso venne danneggiato e abbandonato durante la dominazione araba.  Esistono descrizioni dettagliate dell’edificio, presso il quale “si accedeva da un grande portale ad arco in pietra sovrastato dallo stemma del priore Naro. Sul lato destro vi era un’antica porta grande ad arco (murata) che corrispondeva ad un ampio magazzino con una apertura che si affacciava sul piano di S. Giovanni; A sinistra dell’ingresso erano due stanze ‘terrane’, di cui una utilizzata come carcere, ed una camera con piano superiore. Seguiva il muro del giardino con 27 merli e porta d’ingresso con lo stemma del priore Gattinara, un pozzo e camere il primo piano i cui ingressi mostravano ancora le insegne familiari.

Danneggiato dal sisma del 1783, venne restaurato e al suo interno furono trasferite le funzioni appartenute al distrutto Palazzo Reale. Dopo l’Unità d’Italia fu acquistato dalla Provincia divenendo il palazzo del Prefetto e venendo difatti ricostruito nel 1877 dagli architetti Leone Savoia e Giuseppe Bonaviri.
Così come per la Chiesa di San Giovanni, il Priorato venne seriamente danneggiato dal terremoto del 1908 e demolito con la dinamite nel 1912, permettendo la costruzione della nuova Prefettura progettata da Cesare Bazzani.

Fontana e gran beveratura di San Giovanni

La fontana era alta cinquanta palmi e le sue fattezze sono facilmente interpretabili dall’accurato rilievo di Hitorf e Zanth pubblicato nel 1835: in una prima grande vasca ottagonale, ornata da quattro mascheroni e il citarista Arione cavalcante un delfino che comunicava con il lavatoio. Era presente anche un secondo corpo di impianto quadrangolare ai cui lati vi erano altrettanti leoni che versavano l’acqua dentro grandi vasi. Al di sopra, si appoggiava l’alto candelabro formato da un grande fusto circolare.

Sulla cima del candelabro vi era una statua raffigurante Messina, raffigurata dall‘Hittorff e dall’Houel in vesti militari.
Il lavatoio invece era lungo circa trenta metri ed era in marmo rosso; fu costruito al fine di permettere ai tintori e ai setaioli di lavare le proprie mercanzie nell’acqua dolce, essendo prima di allora costretti a farlo in mare.

 

Jean Laurent Houel , IV.e vue de Messine. Place de S.t Jean, 1784 – Fonte: “Messina nel 1789. Viaggio in una capitale scomparsa” ©Luciano Giannone, 2021

 

Fontane dei Cavallucci                                                                                     

Le quattro fontane sono state erette nel 1742, in occasione dell’anniversario secolare della consegna della lettera della Madonna ai messinesi, nella piazza di Santa Maria La Porta, probabilmente su disegno del sacerdote Gaetano Ungaro e scolpite da Giovan Battista Marino. Le fontane, identiche e simmetriche tra loro, erano posizionate su un basamento ornato con volute e un mascherone che versava l’acqua in una coppa. Sopra di esso si poggiava una vasca allungata, all’interno della quale sorgeva la scultura di un delfino cavalcato da un putto, dalla quale le fontane trassero il loro nome popolare.

Danneggiate dai bombardamenti del 1848, le fontane furono rimosse dalla Piazza e spostate nei pressi della Chiesa di San Francesco di Paola, separandole dai “cavallucci“, ricollocati nel laghetto artificiale del giardino a mare, dove restarono almeno fino al 1940.  Due delle quattro vasche ancora oggi sono posizionate presso largo di San Giacomo, alle spalle del Duomo.

Vista della Piazza Cavallucci e del Convento S. Andrea Avellino – Fonte: “Messina nel 1789. Viaggio in una capitale scomparsa” ©Luciano Giannone, 2021

 

Chiesa e convento di Sant’Andrea Avellino                                             

Il progetto della chiesa fu realizzato da Domenico Martinelli nei primi decenni del secolo, ma la fabbrica parti molti anni dopo la sua morte sotto la direzione di Giuseppe Donia. Successivamente Antonio e Francesco Saverio Basile ne rinnovarono il disegno. Il terremoto del 1783 fermò drasticamente il cantiere che ripartì molti decenni più tardi. La chiesa venne aperta al culto solamente nel 1851 su nuovo progetto di Antonio Tardi in forme strettamente neoclassiche e con una cupola ribassata.

Il terremoto del 1908 lasciò sorprendentemente quasi indenne la chiesa. In seguito venne ugualmente abbattuta con la dinamite per permettere la biforcazione tra Corso Cavour e via Garibaldi; anche il convento, danneggiato in maniera maggiore, venne demolito.

Foto d’epoca precedente al 1908 del Convento S. Andrea Avellino – Fonte: “Messina nel 1789. Viaggio in una capitale scomparsa” ©Luciano Giannone, 2021

Alla prossima!

Terminata anche questa tappa, vi diamo appuntamento alla prossima puntata, in cui “visiteremo” il quartiere “Caperrina”.

 

Marta Cloe Scuderi

Fonti:

Luciano Giannone, Messina nel 1780. Viaggio in una capitale scomparsa, Giambra Editori, Terme Vigliatore (ME), 2021.

https://www.youtube.com/@lucianogiannone9299

 

Messina nel 1780: il quartiere “Corso”

Ritorna l’appuntamento dedicato al viaggio nella Messina del 1780.  L’architetto Giannone oggi ci accompagna nel quartiere “Corso”.         

La strada Maestra era la strada più importante, per la sua lunghezza si segmentava in otto parti e sorgevano numerosi palazzi gentilizi e diversi edifici religiosi. Dopo il terremoto del 1783, la strada venne allargata diventando così il Corso della Messina borghese ottocentesca. L’asse viario ormai denominato via Cavour, venne ripristinato anche nel Piano di Luigi Borzì durante la ricostruzione post 1908.

Mappa del quartiere “Corso” – Fonte: “Messina nel 1789. Viaggio in una capitale scomparsa” ©Luciano Giannone, 2021

 

Stele dell’immacolata

Situata in origine in uno slargo di via dell’Uccellatore, frontalmente alla Chiesa di San Niccolò al Corso e accanto al Palazzo del Pendidattilo, venne commissionata dal Senato cittadino nel 1757 e innalzata da Giuseppe Buceti. La scultura, alta circa 14 metri, segue lo stile del barocco napoletano.  Al livello superiore quattro puttini si appoggiano sul piedistallo e tengono in mano fiori di bronzo, sopra di essi si eleva un globo ornato da volute, un drago e simboli cosmologici sul quale si appoggia la statua della vergine. Danneggiata nel 1783, venne restaurata nel 1815 e attualmente si trova nel piazzale antistante la parete nord del Duomo.

Ricostruzione della Stele dell’Immacolata e della Chiesa di San Nicolò dei Gentiluomini nel 1780 – Fonte: “Messina nel 1780. Viaggio in una capitale scomparsa” ©Luciano Giannone, 2021

 

La Stele dell’Immacolata oggi – ©Silvia Molino, Messina 2022

Chiesa di San Nicolò dei Gentiluomini

Una delle chiese di maggior prestigio, sede dell’Ordine gesuitico.

Nello stesso sito vi erano tre diverse chiese: Santa Cita, la Madonna dell’Accomodata e l’antica chiesa di San Niccolò dei Gentiluomini. Nel 1548 affidata ai Padri Gesuiti, la ricostruzione e ampliazione venne affidata a Camalech. A causa di un incendio nel 1585, i lavori si protrassero a lungo, la facciata venne ultimata solamente nel 1715: contraddistinta da 12 colonne di pietra mischia che inquadravano le 5 navate, tre portali alternati a grandi nicchie con all’interno quattro statue di Santi.

Il campanile posto nell’estremità della navata destra, era secondo in altezza solo a quello del Duomo.  La chiesa presentava inoltre un fitto apparato decorativo con le dieci cappelle ornate da stucchi ad oro e marmi mischi, la volta era stata interamente affrescata da Antonio Bova.

Crollata nel terremoto del 1908 e purtroppo non venne più ricostruita.

Facciata della Chiesa di San Nicolò semidistrutta dopo il sisma del 1908Fonte: “Messina nel 1780. Viaggio in una capitale scomparsa” ©Luciano Giannone, 2021

 

Casa professa dei PP. Gesuiti

Attigua alla Chiesa di San Niccolò vi era la Casa Professa dei Gesuiti. Costituita da due lunghe ali parallele separate da un chiostro e da un giardino, messe in comunicazione da parte di uno stretto corpo di fabbrica, con il progetto affidato ad Andrea Calamech, terminato in ordine dorico da Simone Gulli nel 1608. Il portale venne eretto nel 1724 da Pietro Cirino in marmo rosso.

Dopo la cacciata dei Gesuiti anche il grande palazzo fu ceduto ai Cistercensi, che lo riadattarono come convento.
Nel 1866 venne riadattato a sede della provincia e della Prefettura e verso la fine del secolo fu soggetto a importanti lavori di restauro nel corso dei quali fu adottata la tecnica Hennebique in cemento armato.

Nonostante l’impiego di queste “moderne” tecnologie, l’edificio venne completamente atterrato dalla scossa del 28 dicembre 1908.

Nell’area in cui sorgeva è stato eretto successivamente il “Palazzo dei Leoni”, sede della Città Metropolitana di Messina.

Il “Palazzo dei Leoni”, eretto nell’area dove sorgeva la Chiesa di San Nicolò dei Gentiluomini e la Casa Professa dei Padri Gesuiti – ©Silvia Molino, Messina 2022

Chiesa e convento di San Domenico

Senza dubbio una delle Chiese più antiche e ricche di opere d’arte di Messina. ondata nel XII secolo dai Cavalieri Templari su concessione di Ruggero I come Ospedale di San Marco.

Nel corso dei secoli il complesso fu ulteriormente allargato fino a raggiungere un’estensione di circa mezzo ettaro. Comprendeva, oltre alla Chiesa, un Chiostro, un vasto cortile, il convento, gli oratori di Sant’Orsola, dell’Ave Maria e della Pace, il Cappellone dei Genovesi e un alto campanile innalzato nel 1717.

La Chiesa di San Domenico, secondo la tradizione degli ordini mendicanti, era a navata unica posta singolarmente a livello inferiore rispetto al terreno circostante. All’interno era decorata da una moltitudine di cappelle laterali, circa dieci, riccamente ornate. A destra del portale d’ingresso vi era il monumento funebre del Visconte Vincenzo Cicala, ammiraglio di Carlo V e padre del celebre condottiero ottomano rinnegato Scipione Cicala, conosciuto come Sinan Pascià, attribuito ad Andrea Calamech.

Nella fase conclusiva dei moti del 1848, l’esercito borbonico dette fuoco all’intero aggregato utilizzato come deposito delle munizioni: la distruzione fu pressochè totale.

Chiesa della SS. Annunziata dei Teatini

I chierici regolari teatini, seguaci della regola istituita da San Gaetano da Thiene, giunsero a Messina nel 1607 venendo accolti in un primo momento nella Chiesa dell’Annunziata del Castellammare.

Verso la metà del secolo, grazie ai lasciti della contessa Giovanna Cybo e il sostegno del vescovo Simeone Carafa, la chiesa venne ricostruita, ampliata e aggregata a un nuovo grande corpo di fabbrica assunto a casa dell’ordine teatino.

Il progetto, sicuramente della facciata, fu affidato a Guarino Guarini, membro dell’ordine e attestato a Messina dal 1657 al 1662. Guarini sviluppò una facciata con asse nettamente diagonale rispetto all’asse principale della chiesa, smorzando magistralmente questa difformità attraverso uno sviluppo concavo del prospetto di concezione prettamente borrominiana.  Inoltre, pensò bene di erigere il campanile nella grande sacca di muratura piena venutasi a creare nella zona tra la facciata e la parte destra della navata per via dei loro angoli diversi.

Il 28 dicembre 1908 la chiesa venne completamente distrutta dalla furia tellurica. Gli ultimi resti della facciata vennero demoliti nel 1912.

La Chiesa della SS. Annunziata dei Teatini in una foto antecedente al 1908 – Fonte: “Messina nel 1780. Viaggio in una capitale scomparsa” ©Luciano Giannone, 2021

 

La chiesa di Sant’Antonio Abate, eretta nell’area dove sorgeva la Chiesa della SS. Annunziata dei Teatini – ©Silvia Molino, Messina 2022  

Casa dei Padri Teatini

Attigua alla Chiesa dell’Annunziata vi era la Casa dei Teatini, il cui prospetto venne anch’esso realizzato dal Guarini. Caratterizzata da finestre abbinate tra paraste, contraddistinto da grandi aperture ad arco a tre luci che cingono le varie coppie di finestre, le quali erano sormontate a loro volta da una terza apertura che formava, con i due spicchi laterali, una sorta di finestra termale.

Il grande fabbricato ospitava ben tre oratori: quelli di San Giacomo e di Santa Maria delle Grazie e il terzo denominato della Natività o dei Mercanti. Il terremoto del 1908 danneggiò seriamente l’edificio ma in maniera minore rispetto all’attigua Chiesa, tuttavia venne demolito nel febbraio 1912.

Ricostruzione della Chiesa della SS. Annunziata e dell’attigua Casa dei Padri Teatini nel 1780 – Fonte: “Messina nel 1780. Viaggio in una capitale scomparsa” ©Luciano Giannone, 2021

 

 

Alla prossima!

Terminata anche questa tappa, vi diamo appuntamento alla prossima puntata, in cui “visiteremo” il quartiere “I Banchi”.

 

Marta Cloe Scuderi

Fonti:

Luciano Giannone, Messina nel 1780. Viaggio in una capitale scomparsa, Giambra Editori, Terme Vigliatore (ME), 2021.

Immagine in evidenza:

Francesco Sicuro, Annunciata de Teatini, in Vedute e prospetti della città di Messina, 1768, in Luciano Giannone, Messina nel 1780. Viaggio in una capitale scomparsa, Giambra Editori, Terme Vigliatore (ME), 2021.

Messina nel 1780: il quartiere “Piazza Duomo”

Ritorna l’appuntamento dedicato al viaggio nella Messina del 1780. L’architetto Giannone oggi ci accompagna in uno dei punti nevralgici della nostra città: il quartiere di Piazza Duomo.

L’area divenne uno dei principali centri della vita cittadina a partire dal XII , quando venne consacrata la Cattedrale normanna, ma fu solo nel corso degli anni ’50 del 1500 che da slargo medievale l’area si trasformò in una moderna piazza rinascimentale, fulcro del potere religioso e politico della città.

Mappa del quartiere “Piazza Duomo” – Fonte: “Messina nel 1789. Viaggio in una capitale scomparsa” ©Luciano Giannone, 2021

Duomo di Santa Maria La Nova

La Cattedrale di Messina, denominata Duomo di Santa Maria la Nova, ha una lunga storia, funestata da diversi terremoti ed incendi che ne hanno fatto un cantiere a cielo aperto sino ai giorni nostri: la prima costruzione venne realizzata in epoca bizantina, intorno al 530 a.C., durante l’era dell’imperatore Giustiniano.

La nuova Cattedrale, consacrata nel 1197 alla presenza dell’imperatore Enrico VI e della consorte Costanza d’Altavilla, seguì il modello delle grandi chiese normanne: impianto a croce latina rivolta ad Oriente, tre navate, tre absidi mosaicate, la facciata romanica, l’alto campanile posto a sinistra. 

Nel corso del XVI secolo si ebbe la maggiore attività del cantiere del Duomo che interessò il rivestimento marmoreo della facciata, il coro ligneo intarsiato in avorio e madreperla, la creazione di dodici cappelle del superbo apostolato marmoreo, la pavimentazione a tarsie.

Nei primi anni del 1600 venne completata la decorazione delle cappelle del SS. Sacramento e della Sacra Lettera e fu realizzato un ricchissimo baldacchino in bronzo.

Danneggiata dal terremoto del 1638, fu oggetto di vari restauri; in particolare gli interni, a partire dal 1682, vennero decorati in stile barocco dall’architetto Andrea Gallo.

Il successivo terremoto del 1783 distrusse il campanile e la parte superiore della facciata, mentre il terremoto del 1908 causò il crollo di gran parte della struttura: solamente la zona absidale, la cripta e la parte inferiore della facciata rimasero in piedi. 

Campanile del Duomo

La prima torre campanaria è della stessa epoca della chiesa giustinianea. Il campanile vero e proprio, risalente alla successiva epoca normanna, fu restaurato e ricostruito dopo i danni causati da un fulmine, raggiungendo la quota di circa 92 metri di altezza, misura abbastanza singolare per l’epoca.

Questo campanile, raffigurato in tantissime viste ed incisioni dell’epoca, era diviso in cinque livelli collegati al primo tramite una scala a chiocciola. Al di sopra della torre si elevava un altro corpo di fabbrica che ospitava le campane; sulla cima del campanile era presente un angelo in ottone posto su un perno in modo che potesse cambiare posizione in base al soffiare del vento.

Dopo la riconquista spagnola del 1678 il campanile venne spogliato dei numerosi tesori, tra cui le statue di Scipione ed Annibale di epoca romana -di cui si è persa traccia-, e dei documenti custoditi nel primo livello, tra cui molte pergamene attestanti le memorie ed i privilegi della città ed una ricca collezione di manoscritti greci, che furono trasportati a Madrid.

Danneggiato dal terremoto del 1693 e da un fulmine nel 1728, venne in gran parte distrutto dal terremoto del 1783 fino al totale abbattimento nel 1863 a causa di problemi di carattere strutturale che non erano stati risolti dalle varie ristrutturazioni.

L’attuale torre campanaria, con il suo peculiare orologio astronomico, risale agli anni ’30 del secolo scorso.

Visuale dall’alto di Piazza Duomo nel 1780 (ricostruzione) – Fonte: “Messina nel 1780. Viaggio in una capitale scomparsa” ©Luciano Giannone, 2021

Monumento equestre a Carlo II d’Asburgo

La statua rappresenta una raffigurazione allegorica della città ribelle, rappresentata da un’idra, domata dall’imperatore spagnolo; venne eretta nel 1684 nella piazza dove sorgeva il Palazzo Senatorio, che era stato distrutto nel 1678 a seguito della riconquista spagnola.

Il re Carlo, con indosso armatura e stivali, a cavallo di un vigoroso destriero rampante che schiaccia l’idra adornato da una sella e bardature molto decorate, impugna nella mano destra lo scettro mentre con la sinistra il freno del cavallo.

Per realizzare la statua fu usato il bronzo ricavato dalla fusione della più grande campana del Duomo.

Nel 1707 Filippo V ordinò la rimozione dell’idra e fece cancellare le scritte offensive per la città di Messina.

Durante i moti risorgimentali del 1848 la furia popolare smembrò la statua.

Di essa non si ebbero più notizie certe: si narra che sia stata fusa per ricavarne dei cannoni; altre fonti, invece, sostengono che i suoi resti  furono portati a Napoli.

Ricostruzione di Piazza Duomo con in primo piano il Monumento equestre di Carlo II – Fonte: “Messina nel 1780. Viaggio in una capitale scomparsa” ©Luciano Giannone, 2021

Palazzo della Regia udienza

Sede della Corte Stratigoziale fino al 1679, l’edificio fu restaurato dopo il 1783 per divenire il Palazzo dell’Appalto. Sede della Biblioteca Comunale e degli uffici dei tribunali, fu gravemente danneggiato dal terremoto del 1908 e quindi abbattuto nel 1914.

Di esso rimangono numerose fotografie ed incisioni che mostrano un edificio imponente, con quattordici aperture sulla piazza molto decorate, con abbinamento di balconi e finestre sugli stessi poggioli, ed un grande portone, con colonne in marmo, anch’esso sovrastato da un balcone finemente decorato. Un cornicione in stile dorico coronava l’edificio. 

Fontana di Orione

La Fontana di Orione, progettata e realizzata dall’architetto Montorsoli, tra il 1550 ed il 1553, è considerata una delle più belle fontane rinascimentali.

La fontana, in marmo di Carrara, si compone di tre parti: il basamento dodecagonale, la grande vasca ed il candelabro. Vi sono quattro statue che raffigurano i fiumi Nilo, Eufrate, Tevere e Camaro, diversi mostri marini ed otto bassorilievi che narrano episodi tratti dalle Metamorfosi di Ovidio.

Il candelabro risente della filosofia neoplatonica: i quattro fiumi sono ascrivibili al primo livello cosmologico insieme ai mostri marini, sirene e tritoni, posti nella parte inferiore del candelabro. Al livello successivo troviamo le Naiadi che annunciano il passaggio dalla materia alla forma. Il terzo livello, l’Anima Cosmica, è rappresentato da putti e figure angeliche che cavalcano delfini. L’ultimo livello, la Mente Cosmica, è rappresentata dal gigante Orione con il fedele cane Sirio.

Ricostruzione della Fontana di Orione, la Statua equestre e il Palazzo della Regia udienza – Fonte: “Messina nel 1780. Viaggio in una capitale scomparsa” ©Luciano Giannone, 2021

Le altre chiese

Nell’area di Piazza Duomo sorgevano anche due importanti chiese: la Chiesa di Sant’Agata e la Chiesa di San Lorenzo.

La prima, eretta nel 1126, fu danneggiata gravemente del terremoto del 1783 e definitivamente distrutta da quello del 1908.

La seconda, parte dell’ampio progetto di ricostruzione e riorganizzazione della piazza ad opera del Montorsoli, fu
completamente distrutta nel 1783.

Alla prossima!

Terminata la nostra seconda tappa, vi diamo appuntamento alla prossima puntata, in cui “visiteremo” il quartiere Quattro Fontante/Purgatorio.

 

Marta Cloe Scuderi

Fonti:

Luciano Giannone, Messina nel 1780. Viaggio in una capitale scomparsa, Giambra Editori, Terme Vigliatore (ME), 2021.

 

L’obelisco egizio del Duomo di Messina

Messina è una città antichissima: la tradizione (per calcolo del grande Francesco Maurolico attraverso la cronologia di Eusebio da Cesarea) pone la sua nascita nell’anno 1765 a.C. (!), una datazione confermata dall’odierna ricerca archeologica (alla quale per la prima volta appunto in tema di preistoria diedero grande impulso i membri del Circolo Archeologico Codreanu tra cui Franz Riccobono). Eppure, a Messina scarseggiano lasciti dell’antichità, monumenti che riportino al tempo più lontano della sua esistenza, e quelli che ci sono sono praticamente nascosti o poco valorizzati o non divulgàti.

Un pezzo importantissimo e antichissimo, nonché misteriosissimo, della nostra storia si trova proprio sotto i nostri occhi, ma forse l’avremo visto innumerevoli volte senza accorgercene (assurdo per quanto sia!): avete mai guardato sopra le colonne angolari oltre le quali si apre l’abside, nel nostro Duomo? Se non l’avete fatto, fatelo: troverete due “pietre egizie”.

L’abside del Duomo di Messina e le due pietre egizie – Fonte: colapisci.it

Pietre egizie a Messina?

L’occhio sano e dotato, e un buono zoom d’una macchina fotografica, possono facilmente osservare due piccoli obelischi che si ergono proprio al di sopra di quelle colonne, sorreggendo l’arco a sesto leggermente acuto dell’abside.

Delle due, solamente una reca scolpite figure di chiarissimo stile egizio, e ben visibili, oltre a dimostrare una perfetta levigazione del materiale; l’altra, meno precisa nella fattura ma comunque aggraziata, è ornata da figure di stile chiaramente diverso, somiglianti più vagamente a quelle dell’arte egizia.

Leggere queste cose può risultare impressionante, sono parole difficili da credere, ma si tratta della verità. Se vi capitasse d’osservare da vicino, vi accorgereste che c’è una figura d’Iside o Hathor con le corna di mucca, un’altra forse di Maat con le ali spiegate, e che i riquadri sono tutti circondati da geroglifici.

È risaputo che molti materiali con cui fu eretto il Duomo in principio furono recuperati dall’area dei laghi del Peloro, presumibilmente smontando l’antico tempio che si ergeva nel “terzo lago”; la diffusa consapevolezza di questo fatto ha dato da pensare che dunque questi pezzi d’“arte egizia” possano provenire proprio dai laghi, e che dunque lo stesso edificio dedicato all’ignota deità acquatica o ctonia (di cui parlava Solino) fosse allora un tempio egizio. Se questo fosse vero, la storia di quell’area s’infittirebbe.

Ora che avete letto e probabilmente la vostra curiosità è stata fomentata, vi svelo un’altra cosa: quelle che ci sono dentro il Duomo non sono gli originali, ma due copie, là collocate in sostituzione degli originali, che ora si trovano al Museo Regionale di Messina.

©Daniele Ferrara – Uno dei due obelischi, Museo Regionale di Messina 2021

Sconosciute anche ai sapienti

Rincresce estremamente e profondamente dovere dire che la posizione in cui si trovano non è lontanamente adeguata a reperti di tale importanza: si ergono nei giardini, a sinistra rispetto all’ingresso principale, davanti alle porte dei magazzini. In poche parole, le due pietre egizie sono poco accessibili all’attenzione di chi visita il riposo della nostra storia, e per giunta esposte alle intemperie, che a lungo andare deteriorano e deterioreranno la fine e antica opera scultorea di quegli obelischi. È una posizione, occorre dirlo, che riflette perfettamente e fedelmente lo scarsissimo interesse dei nostri organi ufficiali di cultura per questi due monumenti, o meglio residuo di monumento. Una curiosità: accanto, nel medesimo luogo, c’è forse l’unica statua esistente di Madonna della Lettera, che non a caso gode d’egualmente povera attenzione.

Oltretutto, questa, è la condizione generale in cui versa il patrimonio storico di Messina in troppi casi: abbandonato dalle istituzioni che possono salvarla, ma costantemente indicato e trattato da altri studiosi, che poi però vengono sistematicamente attaccati e tacciati di tuttologia.

Sono stati effettuati pochissimi studî su questi importantissimi reperti; tra questi occorre segnalare quello del noto storico messinese Alessandro Fumia, instancabile autore di molteplici ricerche sulla nostra identità in tutte le direzioni. Conducendo un’attenta analisi, egli ha rilevato elementi accostabili al periodo achemenide dell’Egitto e tracciato ipotesi sul tempio che qui sorgeva.

Finora tuttavia la risposta definitiva (o quasi) sui reperti è ben lontana, probabilmente proprio per l’assenza di un vero confronto sull’argomento tra le menti erudite che possa, a via d’aggiustamenti e compromessi sui varî dati rilevati, mediare fino alla conclusione più probabile di questo enigma storico, del quale trarrebbe giovamento Messina stessa, che languisce per la poca conoscenza che ha di sé stessa la sua popolazione.

Fonte: strettoweb.com

Un obelisco egizio… ellenistico

Senza la presunzione d’avere il parere risolutivo ma con l’assoluta sicurezza di quanto affermo, voglio fornire anch’io una teoria su questi due obelischi, che ho potuti osservare entrambi da vicino durante una visita. Uno solo degli obelischi è veramente antico, ma non bisogna farsi ingannare: non è veramente egizio, o almeno non appartiene ai secoli dell’Egitto “classico”, ma è di periodo ellenistico (fra 323 a.C. e 500 d.C.). Questo mi sento di dirlo per un dettaglio inequivocabile: tra le figure ce n’è una maschile rappresentata frontalmente nell’atto dell’anasyrma, ossia la sollevazione della veste che in questo caso scopre i genitali, tipico del dio Afrodito o Ermafrodito, maschio dall’aspetto femmineo, che si accompagna ad Afrodite, non certo un dio egizio bensì greco e diffusosi in età ellenistica. Quanto ai geroglifici, finora mai interpretati, sono forse quelli l’elemento che più di tutti urge studiare, per comprendere se contengano davvero concetti di senso compiuto o se siano invece semplici ornamenti scolpiti in un tempo in cui nessuno più capiva gli originali; ma senza uno studio egittologico, e senza porre al riparo questi manufatti dalle intemperie, la verità non verrà mai raggiunta. Probabilmente, questo piccolo obelisco è stato direttamente intagliato in questa città o nelle vicinanze per ornare un tempio adibito a qualche culto egizio (ce n’erano in tutto l’Impero Romano) oppure è stato scolpito in Egitto ma sempre in epoca ellenistica e poi è stato trasportato qui; l’altro pezzo, invece, è probabilmente una copia modellata da un ottimo scalpellino in periodo normanno, forse nella fabbrica del Duomo, per fare coppia con l’altro e a sua immagine.

©Daniele Ferrara – L’obelisco ellenistico, in cui è raffigutato l’atto dell’anasyrma, Museo Regionale di Messina 2021

Se effettivamente quel piccolo obelisco provenisse dal tempio dei laghi non è facile dirlo, per essere così bisognerebbe porre che esso sia stato costruito direttamente in periodo ellenistico o che in tal epoca il nume adorato sia stato egittizzato e quindi onorato attraverso l’arte egizia, ma prima di quelle di Giulio Solino (III secolo d.C.) non abbiamo altre notizie sul luogo sacro. Dicerie, meno fondate, si sono tramandate anche sull’esistenza d’un antico culto egizio a Santa Maria Alemanna, ma ancòra ce n’è di strada da fare verso la verità.

Che aspettate? Andate a vedere sia le copie nel Duomo che gli originali al Museo!

 

Daniele Ferrara

 

Immagine in evidenza:

Fonte: colapisci.it

L’orologio astronomico del Duomo di Messina

Eventi naturali e bellici nei secoli tentarono di affondare il territorio messinese, riuscito nonostante tutto a sopravvivere e rinascere straordinariamente. Tra i capolavori della città, un posto privilegiato è dato all’imponente orologio astronomico, famoso in tutto il mondo. Esso, infatti, regala quotidianamente a mezzogiorno uno scenario senza paragoni.

Le fasi di realizzazione

Costruzione orologio – Fonte: www.messinaierieoggi.it

La costruzione, alta 60 metri (originariamente era di 90 metri) e fortemente voluta dall’arcivescovo Angelo Paino (1870-1967), risale agli anni ’30 del secolo scorso. Fu realizzata in soli tre anni dall’azienda di Theodore Ungerer, proveniente da Strasburgo; Frederic Klinghammer, noto ingegnere tedesco, si occupò della parte tecnica, mentre Francesco Valenti realizzò il progetto della torre campanaria.

L’elemento peculiare della possente torre del campanile è il complesso meccanismo dell’orologio astronomico che modula con fare maestoso lo scorrere delle ore e dei giorni.

L’orologio si concepì per offrire in sette scene la rappresentazione della storia civile e religiosa di Messina. L’inaugurazione, avvenuta il 13 agosto del 1933, è ricordata attraverso una lapide posta nel lato sud del campanile.

Le solenni rappresentazioni

©Alice Buggè – Il Leone, simbolo della città di Messina, particolare della torre Campanile, Messina 2021

Nei giorni successivi all’inaugurazione, fu permesso al popolo messinese di ammirare un grandioso spettacolo al quale mai avevano assistito.

Allo scoccare di ogni mezzogiorno, eleganti ed elaborati meccanismi danno vita a svariate scene.

La prima ritrae Dina e Clarenza scandire le ore e i quarti suonando le campane, in ricordo del loro eroico contributo durante i Vespri Siciliani; contemporaneamente alcune statue simboleggianti il ciclo della vita – infanzia, adolescenza, maturità e vecchiaia – si alternano sfilando davanti ad uno scheletro, simbolo della Morte ineluttabile.

Subito dopo è possibile ammirare il simbolo della città, un imponente leone incoronato. E’ posto al di sotto del quadrante dell’orologio mentre scuote la testa e la coda e sventola la bandiera messinese; termina il suo spettacolo con tre ruggiti, lasciando il posto al gallo che si palesa alla piazza aprendo le sue ali e stendendo il collo per poi cantare tre volte.

Successivamente, seguono le note musicali dell’“Ave Maria” di Schubert. Essa è accompagnata dall’apparizione di una colomba dorata, il cui volo richiama alla memoria la nascita del Santuario di Montalto.

È possibile, inoltre, assistere ad una diversa scena liturgica che varia a seconda della festività corrente.

Per ultimo, è messo in scena l’evento più importante della storia religiosa di Messina: San Paolo e gli ambasciatori messinesi mentre sfilano davanti alla Madonna che tende loro la lettera scritta nel 42 d.C. commemorandosi patrona della città.

Un evento che per ben dodici minuti tiene alti gli occhi di passanti che hanno il privilegio di assistere ad uno spettacolo così solenne.

©Alice Buggè– Dina e Clarenza e il Gallo, particolare del Campanile, Messina 2021

Le componenti strutturali

Quanto alla struttura, l’orologio si articola in due “caroselli”: in basso troviamo quello dei giorni, ognuno dei quali -da lunedì a domenica- è rappresentato allegoricamente da figure della mitologia greca; in alto, il carosello dell’età costituito da statue rappresentanti le quattro fasi della vita, con al centro la morte dotata di una falce, pronta a colpire.

La parte più complessa è certamente quella astronomica di cui fa parte un calendario perpetuo che indica giorni, mesi, anni e feste mobili, in grado di distinguere gli anni normali dagli anni bisestili. È presente persino un planetario che riproduce il sistema solare, i pianeti posti in modo corretto intorno al sole, ruotando in sincronia ai tempi di rivoluzione reali, con la luna che chiude il quadro scandendo le fasi lunari.

L’orologio astronomico sito accanto al Duomo di Messina non è solo tra le più alte e complesse opere della meccanica e delle conoscenze astronomiche e fisiche, ma la sua unicità deriva anche dalla sua ampia articolazione, vantando ben 54 statue mosse con precisione dagli ingranaggi.

©Alice Buggè – Il calendario perpetuo e l’angelo che indica i giorni, particolare della torre del Campanile, Messina 2021

 

Mario Cosenza, Marika Costantino

 

Fonti:

 Comune di Messina

colapisci.it

www.ilsicilia.it

http://discovermessina

 

Quando “nacque” Piazza Duomo: il ruolo della fontana di Orione

La piazza è per definizione luogo di ritrovo e riunione per i cittadini e favorisce l’incontro, un aspetto importante tutt’oggi negato dalla pandemia. Ogni messinese può dirsi legato alla piazza principale della sua città, Piazza Duomo, ma è curioso sapere come questa per moltissimo tempo fu sottovalutata proprio dai suoi cittadini: era chiamata chianu (letteralmente pianura) e considerata luogo informe, senza coerenza architettonica. Questo proprio perché piazza è anche

“area libera (…) limitata da costruzioni, spesso architettonicamente importanti” (Treccani).

Fino al 1500, invece, questo spazio mancava proprio di unità architettonica e di stili ed era privo di un disegno prospettico.

Un cambiamento importante in questo senso si deve a un religioso, scultore e architetto rinascimentale italiano: Giovanni Angelo Montorsoli. Il frate infatti, giunto a Messina nel 1547, realizzò un progetto che avrebbe finalmente dato una dignità architettonica – su stampo rinascimentale – alla città e che avrebbe visto protagonista una delle sue opere più importanti: la fontana di Orione.

©Luciano Giannone – La fontana di Orione – Messina, 2019

Messina ai tempi del Montorsoli

Ma qual era il contesto in cui si trovò a lavorare il Montorsoli?

Nel Cinquecento si diffonde ovunque l’importanza dell’arte e della letteratura e si comincia a parlare di Rinascimento, di una nuova rappresentazione dello spazio – basato su regole geometriche e prospettiva – e di un ritorno ai classici.

In questo periodo la Sicilia è governata da Carlo V d’Asburgo, re di Spagna. A seguito dello sviluppo artistico e letterario nascono qui le prime accademie, spesso segrete poiché non particolarmente apprezzate dalle potenze straniere e dalla Chiesa. Tra queste è importante nominare l’Accademia della Fucina, epicentro della vita intellettuale e politica della città, sostenuta persino dal Senato messinese.

Il motto virgiliano dell’Accademiaformas vertit in omnes (si trasmuta in tutte le forme) – deriva dalle Georgiche e fa riferimento al dio Proteo, inafferrabile perché mutabile. La frase riprende inoltre Ovidio e la rappresentazione del dio etrusco Vertumno, anch’esso capace di mutare la propria forma e sovrapponibile, dunque, a Proteo stesso. Questa scelta potrebbe chiaramente dipendere dalla capacità dell’Accademia di cambiare la sua identità e mantenerla segreta per poter sopravvivere nel tempo.

 

La fontana di Orione

Ritorniamo al 1547 e all’arrivo del Montorsoli a Messina. In quell’anno fu ufficialmente inaugurato un complesso intervento di ingegneria idraulica per condurre le acque del Camaro a servizio della città. La fontana di Orione fu commissionata al Montorsoli proprio dal Senato e dall’Accademia per onorare l’avvenimento.

©Luciano Giannone – Dettaglio della fontana di Orione raffigurante il fiume Camaro – Messina 2019

La fontana può anche essere letta in chiave politica, come esaltazione della potenza locale. Essa riprende infatti simbolicamente l’Accademia della Fucina: i bassorilievi, raffiguranti scene delle Metamorfosi di Ovidio, ci riportano al motto legato alla trasformazione. Troviamo inoltre il dio etrusco Vertumno, legato anche qui al dio marino Proteo, da cui prende il tridente.

©Luciano Giannone – Dettaglio della fontana di Orione raffigurante il dio etrusco Vertumno – Messina, 2019

 

Quando il chianu divenne una piazza

Non sarebbe però bastata la realizzazione dell’opera montorsoliana per far sì che quel chianu divenisse una vera piazza. A Messina il Montorsoli, come detto precedentemente, fu costretto a fronteggiare vari ostacoli e si rese subito conto di quanto fosse importante un progetto che andasse ben oltre la fontana: una renovatio urbis che poteva essere tale solo grazie alla contaminatio (contaminazione) rinascimentale, basata principalmente su regole geometriche e prospettiva.

Per far sì che ciò accadesse sembrava essere fondamentale e necessario l’abbattimento di due delle tre navate di una delle chiese più frequentate del periodo, la chiesa medievale di S.Lorenzo, situata a fianco della Cattedrale normanna (spazio occupato oggi in parte dal Salotto Fellini) e che occupava una sezione dello spazio in cui il Montorsoli avrebbe poi collocato la fontana.

Chiesa di S.Lorenzo e fontana di Orione per opera del Montorsoli – Fonte: Biblioteca regionale universitaria di Messina 

La fontana monumentale guida lo sguardo dell’osservatore verso l’alto: un esempio sono la mano destra di Orione (leggendario fondatore della città) e lo sguardo del cane Sirio che favoriscono il verticalismo. Ma il genio del Montorsoli si nota soprattutto nel legame tra la fontana, la chiesa e un’ulteriore struttura (presente solo nel progetto): il sistema di gradini della fontana tracciava, infatti, gli assi di simmetria di queste strutture. Il Montorsoli aggiunse inoltre dei dettagli alla chiesa medievale – delle colonne ioniche, un timpano e la cupoletta – così da creare una continuità ottica con la fontana.

©Luciano Giannone – Dettaglio della fontana di Orione raffigurante Orione e il cane Sirio – Messina, 2019

 

Piazza Duomo: luogo di incontro e di libertà

Appare dunque chiaro – soprattutto ora che un ritorno alla vicinanza e al contatto è ciò che forse più desideriamo – l’importanza dell’opera del Montorsoli. Lo scultore ci ha donato, seppur oggi vi siano differenze importanti rispetto al progetto iniziale della piazza, quel luogo che conosciamo noi oggi: tappa obbligatoria dei turisti ma ancor più spazio di incontro, quell’area libera che ogni vera piazza dovrebbe essere per i suoi cittadini.

 

 

Cristina Lucà

 

Fonti:

Aricò Nicola, Architettura del tardo Rinascimento in Sicilia. Giovannangelo Montorsoli a Messina (1547-57)

Archivio storico messinese 73 

 

Immagine in evidenza:

©Luciano Giannone – La fontana di Orione – Messina, 2019