L’orologio astronomico del Duomo di Messina

Eventi naturali e bellici nei secoli tentarono di affondare il territorio messinese, riuscito nonostante tutto a sopravvivere e rinascere straordinariamente. Tra i capolavori della città, un posto privilegiato è dato all’imponente orologio astronomico, famoso in tutto il mondo. Esso, infatti, regala quotidianamente a mezzogiorno uno scenario senza paragoni.

Le fasi di realizzazione

Costruzione orologio – Fonte: www.messinaierieoggi.it

La costruzione, alta 60 metri (originariamente era di 90 metri) e fortemente voluta dall’arcivescovo Angelo Paino (1870-1967), risale agli anni ’30 del secolo scorso. Fu realizzata in soli tre anni dall’azienda di Theodore Ungerer, proveniente da Strasburgo; Frederic Klinghammer, noto ingegnere tedesco, si occupò della parte tecnica, mentre Francesco Valenti realizzò il progetto della torre campanaria.

L’elemento peculiare della possente torre del campanile è il complesso meccanismo dell’orologio astronomico che modula con fare maestoso lo scorrere delle ore e dei giorni.

L’orologio si concepì per offrire in sette scene la rappresentazione della storia civile e religiosa di Messina. L’inaugurazione, avvenuta il 13 agosto del 1933, è ricordata attraverso una lapide posta nel lato sud del campanile.

Le solenni rappresentazioni

©Alice Buggè – Il Leone, simbolo della città di Messina, particolare della torre Campanile, Messina 2021

Nei giorni successivi all’inaugurazione, fu permesso al popolo messinese di ammirare un grandioso spettacolo al quale mai avevano assistito.

Allo scoccare di ogni mezzogiorno, eleganti ed elaborati meccanismi danno vita a svariate scene.

La prima ritrae Dina e Clarenza scandire le ore e i quarti suonando le campane, in ricordo del loro eroico contributo durante i Vespri Siciliani; contemporaneamente alcune statue simboleggianti il ciclo della vita – infanzia, adolescenza, maturità e vecchiaia – si alternano sfilando davanti ad uno scheletro, simbolo della Morte ineluttabile.

Subito dopo è possibile ammirare il simbolo della città, un imponente leone incoronato. E’ posto al di sotto del quadrante dell’orologio mentre scuote la testa e la coda e sventola la bandiera messinese; termina il suo spettacolo con tre ruggiti, lasciando il posto al gallo che si palesa alla piazza aprendo le sue ali e stendendo il collo per poi cantare tre volte.

Successivamente, seguono le note musicali dell’“Ave Maria” di Schubert. Essa è accompagnata dall’apparizione di una colomba dorata, il cui volo richiama alla memoria la nascita del Santuario di Montalto.

È possibile, inoltre, assistere ad una diversa scena liturgica che varia a seconda della festività corrente.

Per ultimo, è messo in scena l’evento più importante della storia religiosa di Messina: San Paolo e gli ambasciatori messinesi mentre sfilano davanti alla Madonna che tende loro la lettera scritta nel 42 d.C. commemorandosi patrona della città.

Un evento che per ben dodici minuti tiene alti gli occhi di passanti che hanno il privilegio di assistere ad uno spettacolo così solenne.

©Alice Buggè– Dina e Clarenza e il Gallo, particolare del Campanile, Messina 2021

Le componenti strutturali

Quanto alla struttura, l’orologio si articola in due “caroselli”: in basso troviamo quello dei giorni, ognuno dei quali -da lunedì a domenica- è rappresentato allegoricamente da figure della mitologia greca; in alto, il carosello dell’età costituito da statue rappresentanti le quattro fasi della vita, con al centro la morte dotata di una falce, pronta a colpire.

La parte più complessa è certamente quella astronomica di cui fa parte un calendario perpetuo che indica giorni, mesi, anni e feste mobili, in grado di distinguere gli anni normali dagli anni bisestili. È presente persino un planetario che riproduce il sistema solare, i pianeti posti in modo corretto intorno al sole, ruotando in sincronia ai tempi di rivoluzione reali, con la luna che chiude il quadro scandendo le fasi lunari.

L’orologio astronomico sito accanto al Duomo di Messina non è solo tra le più alte e complesse opere della meccanica e delle conoscenze astronomiche e fisiche, ma la sua unicità deriva anche dalla sua ampia articolazione, vantando ben 54 statue mosse con precisione dagli ingranaggi.

©Alice Buggè – Il calendario perpetuo e l’angelo che indica i giorni, particolare della torre del Campanile, Messina 2021

 

Mario Cosenza, Marika Costantino

 

Fonti:

 Comune di Messina

colapisci.it

www.ilsicilia.it

http://discovermessina

 

Ridisegnare Messina: il coraggio di una comunità che non si arrende

Ad ormai un mese dall’adozione delle prime misure di contrasto al Coronavirus, le nostre abitudini sono del tutto cambiate. In qualche modo ci siamo dovuti adeguare, continuando ad essere “produttivi” anche da casa. Però, questo purtroppo non basta. Le conseguenze di questa epidemia rischiano di essere ancora peggiori, non solo sul piano sanitario, ma anche sul quello economico e sociale.

In questo contesto, dove l’unica certezza risiede ancora nell’intramontabile saper di non sapere, avvertiamo come la necessità di far prendere una boccata d’aria alla mente. Oggi più di ieri, valori come quello della solidarietà politica, economica e sociale ci appaiono nelle loro forme più nitide, come il chiaro suono delle campane nell’eco delle nostre vie deserte.

A tale scopo, noi di UniVersoMe abbiamo deciso di raccontarvi la storia per immagini di una Messina diversa. Una città vulnerabile, messa sotto assedio da un’epidemia di portata biblica, ma che nonostante tutto trova il coraggio per non arrendersi. L’autrice, che abbiamo avuto modo di intervistare (rigorosamente via webcam), è Rita Lauro, una giovane studentessa di Biotecnologie Mediche, la quale ha realizzato quest’opera al fine di promuovere la raccolta fondi organizzata dalla Prof.ssa Maria Grazia Sindoni (tramite la piattaforma GoFundMe) finalizzata al sostegno delle strutture sanitarie di Messina, sostenuta anche dall’Unime.

Rita, mossa proprio da un sentimento di solidarietà, ha ridisegnato uno dei simboli più significativi per la nostra città.

Messina ai tempi del coronavirus – © Rita Lauro

 

Ciao Rita, cosa ti ha spinto a promuovere l’iniziativa di GoFundMe tramite questo disegno?

In generale tendo a considerare l’arte come un mezzo per migliorare le cose. La situazioni è difficile ed a meno che qualcuno non si impegni a trovare un lato positivo, tutti vedremo solo “il nero” di essa. Tuttavia non avrei mai avuto questa iniziativa senza la motivazione infusami dalla mia coordinatrice, che un giorno mi disse: “C’è bisogno ogni tanto che nei periodi di nero qualcuno metta un po’ di luce”. È così che decisi di dedicarmi, nel mio piccolo, alla realizzazione di un’immagine che fosse semplice, ma rappresentativa della situazione. Un veicolo di speranza, che potesse essere utilizzato per promuovere un’iniziativa di scopo benefico per la città di Messina.

Il medico con la bandiera della città - © Rita Lauro
Il medico con la bandiera della città – © Rita Lauro

Il Leone

Partendo dal Leone, l’ho sostituito col medico, la figura che in questo momento rappresenta il nostro “eroe ideale”. Solo adesso forse ci si rende pienamente conto dell’importante ruolo di queste persone e quanto essi tengano a preservare la vita, sacrificandosi per gli altri, donando loro anche solo un giorno in più.

Dina e Clarenza

Scendendo giù, ho deciso di sostituire Dina e Clarenza con due infermiere, fortemente e fisicamente sacrificate in questo contesto (insieme a tutto il resto del personale volontario). Al pari delle due leggendarie eroine siciliane, che rimasero vigili tutta la notte dell’8 agosto 1282 per allertare la città dell’assedio italo-francese guidato da Carlo I D’Angiò, anche chi lavora in corsia oggi sta compiendo, con immenso sacrificio, un enorme atto d’amore per la nostra città.

IL Gallo

Sempre sullo stesso piano, ho dovuto scegliere che ruolo attribuire al Gallo, forse la figura più “sacrificata” del disegno; è stato infatti sostituito da questo maledetto virus “legato” con delle corde. La scelta delle corde non è casuale; esse non sono catene, capaci di imprigionare in modo assoluto il virus, non sarebbe stato (purtroppo) sufficientemente realistico. Esse rappresentano invece qualcosa che stiamo cercando di stringere e contenere; se tutti stringiamo forte e tiriamo insieme questa corda, allora avremo maggiori possibilità di fermare l’avanzata della malattia. Tutto sta a noi e a quanto stringiamo questo “cordone sanitario”.

Gli infermieri con il virus "legato"e l'ambulanza - © Rita Lauro
Le infermiere con il virus “legato”e l’ambulanza – © Rita Lauro

La Madonna della lettera

Nel riquadro successivo c’è la Madonna con i vari personaggi che le girano attorno, che ho sostituito (senza voler risultare sacrilega) con l’ambulanza, mezzo che identifica un po’ la nostra nave di salvataggio. In questo periodo in cui le nostre libertà sono limitate all’essenziale, non dobbiamo mai dimenticarci che nel momento del bisogno possiamo sempre “affidarci” ad i mezzi ed alle strutture sanitarie della nostra città.

Il carosello delle età

Al piano successivo ho inserito, al posto del carro delle età, un‘anziana, una donna ed una bambina, raffigurate per intero. Loro in qualche misura rappresentano tutti noi. Sono i nostri nonni, genitori, fratelli, figli e nipoti, ed anche loro giocano un ruolo in questa battaglia, un ruolo minimo, ma essenziale, fatto di rispetto reciproco ed un grande senso di responsabilità.

La chiesa di Montalto

Ho usato lo spazio della Chiesa di Montalto per esaltare un simbolo altrettanto importante, ossia il legame tra l’Università e la città di Messina, ricordando il continuo ruolo di collaborazione tra le due realtà e le persone che le compongono.

 

Unime e lo stemma della città, la famiglia riunita ed il ricercatore
Unime e lo stemma della città, la famiglia riunita ed il ricercatore -© Rita Lauro

Il carosello dei giorni della settimana

Per gli ultimi due riquadri ho deciso di dare un’interpretazione più futuristica. L’ultimo l’ho lasciato volontariamente vuoto, per permettere a chiunque voglia di personalizzarlo a piacimento. Nel penultimo, invece, ho inserito un ricercatore, la figura più nascosta, ma allo stesso dal ruolo particolarmente delicato in questa emergenza. Forse solo adesso ci si rende conto dell’importanza della ricerca. Alcuni studiosi dicono che questa pandemia finirà solo con un vaccino. Ebbene, sarà solo grazie al mondo della ricerca (del quale spero un giorno di fare parte) e di chi lo sosterrà (anche economicamente), se riusciremo a tornare alle nostre vite.

Mata e Grifone

Nella mia testa il disegno era ormai terminato, però qualcosa mancava. Ho avuto come il sentore che non fosse abbastanza. E così mi sono venute in mente le figure mitologiche di Mata e Grifone. Vuoi che loro, in un momento di tale gravità, non si preoccupino di noi? Grifone è preoccupato, Mata ha gli occhi lucidi, entrambi invece di portare lo scettro e la spada, portano materiale sanitario. Tutte le figure dell’immagine indossano una mascherina, a sottolineare l’importanza del tali beni in questo momento.

Ti ha aiutato qualcuno nella realizzazione di quest’opera?

Lo sfondo è un’opera di una mia amica, Giusy Pantano, che si occupata della digitalizzazione dell’immagine. Uno speciale ringraziamento va alla mia coordinatrice, la Prof.ssa Alessandra Bitto, che ha ispirato questo lavoro ed il suo scopo benefico.

 

Qualunque modo abbiate scelto in questo periodo, direttamente od indirettamente, per contribuire a superare l’emergenza, l’unico comune denominatore è la solidarietà: per chi è in difficoltà, economica o sanitaria, questo sentimento comune può davvero cambiare le cose ed aiutare a superare anche le sfide più ardue.

Salvatore Nucera 

Pub Crawl: divertimento itinerante con AEGEE Messina

AEGEE-Messina ritorna con il suo tanto atteso PUB CRAWL!

Siete pronti a passare una serata tra alcol e divertimento?

Solo AEGEE ti dà questa possibilità: un tour per i pub più rinomati del centro nel quale, divisi in squadre, ci si sfiderà in nuovissimi giochi alcolici. E chi farà più punti riceverà dei premi!

Ad accompagnarvi durante la serata saranno presenti i ragazzi dell’associazione, ciascuno pronto a spiegarvi i giochi all’interno dei pub previsti, situati nelle vicinanze del Duomo: ChupaSciaraniraLa Fabbrica AlcolicaSkylineDocker’sGrey GoosePabetto.
Il Pub crawl vi aspetta Giovedì 5 Dicembre alle 21:45, appuntamento a Piazza Duomo!

La quota di partecipazione è di soli 7€ a persona e le squadre possono essere composte da massimo 6 partecipanti.
Per partecipare è necessario compilare questo format entro Lunedì 2 Dicembre alle ore 12:00.

Affrettatevi perché i posti sono limitati!
E chi tardi arriva… giovedì non beve!

Per informazioni:
Cristina Lucà +39 342 584 1808

Un Diluvio di musica per Messina: Michelangelo Falvetti, compositore dimenticato

Se c’è una categoria di personaggi con la quale la Storia è stata più ingiusta, almeno per quanto riguarda Messina, è quella dei musicisti. Tra i pittori, tutti si ricordano del grande Antonello; tra gli scultori, del Montorsoli; tra i letterati, di La Farina, Cannizzaro, Maurolico, Bisazza; tutti, questi ultimi, “numi tutelari” di altrettanti licei cittadini. Se si parla invece di musicisti, subentra il vuoto più totale: l’unico conservatorio cittadino è intitolato ad Arcangelo Corelli, brillante compositore e violinista del periodo barocco, che con Messina non ebbe mai nulla a che spartire; solo i più colti si ricorderanno di Antonio Laudamo, compositore ottocentesco cui è dedicata l’omonima Filarmonica, nonchè la sala che porta il suo nome al teatro Vittorio Emanuele; a Mario Aspa, contemporaneo e collega, è andata peggio, dovendosi accontentare di una stradina secondaria poco lontana dal teatro stesso.

Un musicista che non ha avuto invece neppure questa fortuna (eppure se ne meriterebbe eccome), è invece Michelangelo Falvetti: compositore sconosciuto e geniale di origini calabresi, operò a

Messina alla fine del Seicento, come Maestro di Cappella della Cattedrale; la recente riscoperta di alcune delle sue opere, proprio risalenti al periodo messinese, ci ha permesso di gettare una luce su questa grande e complessa mente musicale che altrimenti sarebbe rimasta abbandonata all’oblio.

Della vita e delle opere di Michelangelo Falvetti sappiamo veramente poco e quel poco che sappiamo lo dobbiamo soprattutto a due musicologi contemporanei: Niccolò Maccavino e il messinese Fabrizio Longo.

Apprendiamo così che Michelangelo Falvetti nacque nel piccolissimo paesino di Melicuccà, nell’entroterra calabrese, nell’anno 1642. Della sua formazione musicale non sappiamo nulla, anche se possiamo supporre, dato che prese gli ordini sacerdotali, che ricevette i primi rudimenti musicali in seminario, come era comunissimo all’epoca.

Una fonte indiretta ci suggerisce infatti la sua presenza nella città peloritana, nel 1669, a 27 anni: si tratta della dedica fattagli da un suo collega musicista, il violinista Giovanni Antonio Pandolfi Mealli, attivo nella Cappella Senatoria del Duomo di Messina, che nel 1669 dà alle stampe a Roma un libro di sonate, ciascuna dedicata a un suo collega diverso della cappella senatoria.

Nel 1670, Falvetti è chiamato a Palermo, dove diventa maestro di cappella e scrive numerose composizioni, soprattutto oratori. Il suo ruolo nel contesto musicale della città non era affatto marginale, tanto che, nel 1679, lo troviamo tra i fondatori dell’“Unione dei Musici”, una sorta di associazione di mutuo soccorso per i musicisti. In questo periodo è anche documentata la sua presenza a Catania, dove sono eseguiti alcuni suoi lavori.

Nel 1682, Falvetti torna a Messina, succedendo al conterraneo Domenico Scorpione nel ruolo di Maestro di Cappella del Duomo. Certo, Messina non è più quella della sua giovinezza: è appena uscita dalla violenta repressione della rivolta antispagnola ed è una città distrutta, disonorata, umiliata. Forse non è un caso che la sua prima opera del periodo messinese, quella che compose per il proprio insediamento e che è oggi considerata il suo capolavoro, sia un oratorio a cinque voci intitolato “Il Diluvio Universale”; il tema della giusta ma implacabile punizione divina, forse metafora della vendetta degli Spagnoli verso la città, domina l’intero lavoro, che solo alla fine si riapre con uno spiraglio di luce e speranza nella riconciliazione fra la terra e il cielo.

Sono diverse le opere che Falvetti scrive a Messina, ma solo il “Diluvio” e il successivo “Nabucco” (1683) ci sono rimaste per intero e sono ad oggi state eseguite e registrate almeno una volta. Si tratta di un piccolo, ma eloquente saggio delle capacità artistiche di questo brillante compositore: in un periodo storico in cui la musica è quasi una forma di artigianato, Falvetti da sapiente maestro padroneggia tutte le risorse armoniche e contrappuntistiche che la tecnica del periodo gli offre e le sfrutta al servizio di una scrittura estremamente espressiva, drammatica, teatrale in senso lato.

Come spesso accade nell’estetica barocca, tutto è giocato in funzione dell’impatto emotivo, della capacità della musica di rappresentare un “affetto”, una emozione; se i testi abbondano di prosopopee e personificazioni (concetti astratti che diventano personaggi, come la Morte, la Giustizia Divina, l’Idolatria, la Superbia), alla musica va il ruolo di rivestire di “carne ed ossa”, di emozioni umane questi concetti astratti, e di avvicinare il dramma dell’episodio biblico alla comprensione empatica dello spettatore, facendogli provare ciò che i personaggi provano. Anche quando la scrittura musicale vira verso la complessità del contrappunto, non c’è astrazione: tutto è tangibile, concreto, carnale, a volte persino sensuale, come quando il ritmo accenna dei movimenti di danza.

Della vita di Falvetti, passato il 1695, anno in cui cede il posto di Maestro di Cappella, si perdono le tracce. Restano oggi le sue opere, lentamente uscite dalle paludi dell’oblio per andare prima a finire sugli scaffali polverosi delle biblioteche, sotto forma di studi musicologici, e poi, finalmente, a trasformarsi di nuovo in musica, per le orecchie degli ascoltatori. È nel 2010 che il direttore argentino Leonardo Garcia Alarcòn riscopre questi due oratori, li mette in scena la prima volta dopo secoli e li registra, con grande successo di pubblico e critica, soprattutto all’estero.

In Italia questo successo è più lento ad arrivare, e negli 8 anni successivi sono state pochissime le esecuzioni di questo autore. In Sicilia, terra che lo vide fiorire, Falvetti è tornato, dopo 300 anni, solo pochi giorni fa, quando a Palermo al Teatro Massimo è stato messo in scena “Il Diluvio Universale”, a cura di Ignazio Maria Schifani. Da Palermo a Messina il passo è breve: c’è da chiedersi quanto ancora dovremo attendere per sentire le sue note risuonare, di nuovo, nella città del Diluvio…

Gianpaolo Basile

 

 

…a Messina si trova il secondo organo a canne più grande d’Italia?

Appassionati di musica, esultate: Messina ha una sorpresa che fa per voi. Se vi dovesse capitare di fare due passi in piazza Duomo a Messina una domenica mattina, tenete le orecchie bene aperte: già dall’esterno del grande tempio cittadino, potreste facilmente sentire la nitida voce, ora possente ora dolcissima, del secondo più grande organo a canne d’Italia.

Proprio così: con le sue 16.000 canne, l’Organo della Cattedrale di Messina è il secondo in Italia per dimensioni, sorpassato (peraltro neanche di troppo) solo dal grande Organo del Duomo di Milano.

Il pallino per la musica, a Messina, pare non essere mai mancato, così come la voglia di fare le cose in grande. La presenza di un organo in Cattedrale è documentata dal 1560, quando fu edificato all’angolo del pilastro sinistro dell’abside un maestoso strumento riccamente intagliato, per volontà dell’Arcivescovo; neanche 15 anni dopo, per volere del Senato, gli organi diventano due, uno di fronte all’altro; nel corso del XVI secolo, ne viene edificato un terzo, poi un quarto, dove oggi si trovano rispettivamente le cappelle dell’Assunta e del Risorto; ben quattro strumenti, che durante le solennità venivano suonati da altrettanti organisti, che, insieme col coro e altri musicisti, formavano l’organico della Cappella Musicale del Duomo di Messina, stipendiata

dal Senato.

Di questo grandioso apparato musicale, più volte ritoccato nel corso dei secoli per adattarsi ai gusti dell’epoca, oggi non resta nulla; ma, fortunatamente, durante il periodo di ricostruzione successivo al terremoto del 1908, si pensò di riparare al danno subito con un nuovo strumento più grande di tutti i precedenti messi assieme. Commissionato alla ditta Tamburini di Crema, una delle più importanti d’Italia, il nuovo organo fu ultimato nel 1930, ma ebbe vita breve: distrutto infatti dai bombardamenti del 1943, fu ricostruito dalla stessa ditta, ma ancora più in grande, nel 1948.

È questo l’organo che possiamo vedere e sentire oggi: con le sue cinque tastiere e i suoi 170 registri, può passare, nelle mani giuste, dai suoni più dolci e delicati a quelli più possenti e maestosi, in una gamma pressochè infinita di sfumature timbriche.

Ma c’è di più: le canne infatti sono divise in più corpi d’organo, distribuiti appositamente in diverse zone della chiesa: nei transetti di destra e di sinistra, dietro l’altar maggiore, in controfacciata, addirittura sopra l’arco trionfale. Il suono arriva quindi agli ascoltatori da davanti, da dietro, dai lati, persino dall’alto, in modo da sfruttare al meglio le peculiarità acustiche dell’edificio e creare incredibili effetti stereofonici.

Trattandosi di un organo sinfonico (secondo il gusto continentale in voga quando fu costruito), rende il massimo delle sue potenzialità in concerto, soprattutto in pezzi appositamente pensati per questo tipo di strumenti, come quelli di autori francesi del periodo romantico e tardo-romantico (vi offriamo un assaggio qui), pur potendo eseguire qualsiasi repertorio; oltre ad essere ovviamente ottimo per accompagnare il canto liturgico e la musica sacra.

Ma direi che ne abbiamo già parlato abbastanza: ora tutto quello che vi resta da fare è lasciar parlare la musica, correndo in Duomo ad ascoltarlo…

Gianpaolo Basile

Image credits:

 

1)  Mstyslav Chernov, https://commons.m.wikimedia.org/wiki/File:Messina_Duomo_,_Organ._Messina,_Island_of_Sicily,_Italy,_Southern_Europe.jpg#mw-jump-to-license

2)  Hajottu, https://commons.m.wikimedia.org/wiki/File:Kathedrale_von_Messina@_Orgel_20171018.jpg#mw-jump-to-license

 

 

Il duomo di Messina: un grandioso reliquiario per una città che non molla

Pochi luoghi possono raccontarci la storia della città di Messina più del suo Duomo. Fondato in periodo bizantino ma ampliato alle dimensioni attuali sotto Ruggero II d’Hauteville, la storia di questo maestoso tempio, dedicato a Maria Vergine Assunta, è stata per secoli la storia della Città, una storia fatta di grandezza e declino, di continue distruzioni e pazienti ricostruzioni: raso al suolo nel 1908, ricostruito e poi nuovamente danneggiato dai bombardamenti alleati nel 1943, il Duomo, così come la Città, è sempre caparbiamente risorto dalle sue stesse ceneri. Il volto che oggi questo monumento offre ai visitatori è ovviamente quello delle ricostruzioni novecentesche, per molti aspetti drasticamente diverso dall’aspetto con cui si presentava indietro nei secoli d’oro della sua storia; ma, dietro i lineamenti essenziali della facciata e l’apparenza spoglia dell’interno, si celano con discrezione le vestigia dei fasti passati. Tralasceremo dunque alle uscite a venire il grandioso campanile, col suo orologio meccanico tanto caro ai turisti, per andare alla ricerca di queste tracce nascoste che tanto possono raccontarci, sulla storia della nostra Città.

Si parte dalla maestosa facciata a salienti, su cui spiccano eleganti le tre ogive dei tre portali gotici. Quello centrale, quattrocentesco, opera del Piperno (1412), è riccamente decorato in stile; lo sovrasta un medaglione raffigurante l’Incoronazione della Vergine, di Pietro de Bonitate (1465) mentre, nella lunetta, la statua cinquecentesca della Madonna in trono, del Mazzola, contrasta forse in maniera un po’ troppo stridente con lo sfondo ottocentesco, affrescato con angeli musicanti da Letterio Subba. Sui lati del portale, a destra e a sinistra, si snodano delle fasce decorate a bassorilievi rappresentanti le attività nei campi, di gusto squisitamente gotico trecentesco. I due portali laterali invece, più piccoli, sono anch’essi datati fra il ‘400 e il ‘500 e presentano nelle lunette le immagini della Madonna (quello sinistro), e di san Placido, compatrono della città (quello destro). Degni di nota anche gli accessi laterali alla chiesa, con portali cinquecenteschi opera di Rinaldo Bonanno e Polidoro Caldara; l’ingresso a sud presenta anche un corpo aggiunto con eleganti bifore tardo-gotiche quattrocentesche.

L’interno è a tre navate, con tre absidi, ciascuna delle quali è decorata interamente da mosaici in stile bizantino, databili fra il XIV e il XV sec.. L’unico sopravvissuto interamente è quello dell’abside di sinistra, raffigurante la Madonna in trono fra angeli; interamente ricostruito è quello grande dell’abside centrale, col maestoso Cristo benedicente; parzialmente originale ma ampiamente danneggiato quello dell’abside destra, con san Giovanni Evangelista fra san Nicola e san Mena. Completamente contemporanei sono invece i mosaici dell’arco trionfale, evidente tributo all’iconografia del Salvator Mundi, dipinto di Antonello da Messina conservato alla National Gallery; proprio Antonello compare raffigurato, assieme a san Luca, rispettivamente a destra e a sinistra del Cristo benedicente.

Mentre la navata centrale, spoglia, risente molto della ricostruzione novecentesca, le due navate laterali sono decorate da una successione di nicchie con cappelle dedicate ai dodici Apostoli: è quel che resta del monumentale complesso dell’Apostolato, progettato dal Montorsoli nel 1550 come tentativo ambizioso e concettosamente manierista di dare un unico respiro stilistico e formale all’ornamento delle due navate. Ultimato nella prima metà del ‘600, distrutto nel 1908, è oggi fedelmente ricostruito; le statue degli Apostoli sono opera di autori novecenteschi, salvo quella di San Giovanni Battista, nella terza campata della navata di destra, che è preesistente al complesso dell’apostolato e datata 1525, opera dello scultore Antonello Gagini. Procedendo verso il transetto, nella navata centrale troviamo il pulpito, ricostruito sul modello di quello cinquecentesco opera di Andrea Calamech; è detto “pulpito degli eresiarchi” perché presenta, sul fusto, i volti dei quattro eresiarchi Maometto, Lutero, Zwingli e Calvino, un tema inconsueto, ma in linea con lo spirito culturale della Controriforma. Lungo la navata sinistra invece, passando dall’atrio nord si può raggiungere la bella sagrestia settecentesca, con pregevoli mobili in legno a intarsio, e da lì la Cappella dei Canonici.

Superate le cappelle dell’apostolato, si raggiunge il transetto, preceduto a sinistra dall’altare del Redentore, tardo-cinquecentesco, e a destra da quello dell’Assunta, dei primi del ‘600, entrambi parzialmente ricostruiti; accanto all’altare del Redentore c’è una formella raffigurante san Girolamo in penitenza, di Domenico Gagini. L’abside di sinistra è il meglio conservato; mantiene ancora i mosaici originali e la ricca decorazione barocca della scuola di Jacopo del Duca, con le otto statue di sante vergini, i putti e i medaglioni; alle spalle dell’altare, detto del Santissimo Sacramento, si raggiunge la cappella delle reliquie. L’abside di destra, invece, dedicato a San Placido, era stato originariamente affidato a Innocenzo Mangani, ma quella che si vede oggi è solo una ricostruzione.

L’abside centrale invece conserva, inglobato nell’altare “coram populo”, un bel paliotto argenteo della famiglia Juvarra (1701). Infine, anche se si tratta di una ricostruzione, è impossibile non notare l’altare maggiore, con l’icona della Madonna della Lettera sovrastata da un sontuoso baldacchino barocco copia dell’originale di Simone Gullì; ricopre l’icona una manta d’argento che, durante la festa della Madonna della Lettera, viene sostituita dalla pregevole Manta d’Oro, opera di Innocenzo Mangani (1668), custodita al Museo del Tesoro del Duomo. È degno di nota infine che nello spazio tra i pilastri del transetto e il Coro trovano sepoltura diversi arcivescovi di Messina, tra cui Angelo Pajno, che ne promosse la ricostruzione dopo il terremoto del 1908.

Tante sarebbero le altre cose a cui dare attenzione una volta che si entra in questo monumento grandioso: ma basta il poco che vi stiamo mostrando per dimostrare che quella che potrebbe sembra una austera e spoglia cattedrale novecentesca in cemento armato, altro non è che un enorme reliquiario, che racchiude in se le vestigia preziose del grande passato di una città che, nonostante tutte le avversita, ha sempre continuato, e forse continua ancora a sperare nella sua resurrezione.

Foto di: Francesca Maiorana

Gianpaolo Basile