Incontro a Washington tra Joe Biden e Mario Draghi: Italia e USA più vicine di fronte alle nuove sfide

Un dialogo durato circa un’ora e quaranta minuti quello tra Mario Draghi e Joe Biden in cui viene ribadita la vicinanza tra Italia e USA soprattutto riguardo gli argomenti più caldi di questo periodo storico. Nella conferenza stampa che si è svolta a Washington, in occasione della prima visita ufficiale del Presidente del consiglio italiano alla Casa Bianca, i due leader hanno comunicato la volontà di continuare ad aiutare l’Ucraina al fine di raggiungere la tanto desiderata pace.

“Non c’è più un golia” Draghi propone il percorso per arrivare alla pace

«La guerra ha cambiato fisionomia: inizialmente si pensava ci fosse un Golia e un Davide, era un’impresa disperata che sembrava non riuscire. Oggi il panorama si è completamente capovolto. Non c’è più un Golia. La parte che sembrava invincibile non lo è più.»

Queste le parole di Mario Draghi nella conferenza di Washington. A distanza ormai di mesi dall’inizio del conflitto secondo il presidente del Consiglio lo scenario è totalmente diverso. Riferimento alla grande tenacia che l’Ucraina ha dimostrato nel difendere il proprio territorio, anche grazie alle armi inviate dall’occidente. l’Ucraina a questo punto sembra aver guadagnato una posizione negoziale sufficiente – secondo Mario Draghi – per arrivare alla pace seguendo la via diplomatica. Risolvere il conflitto però non è semplice ed è necessario uno sforzo:

«Tutte la parti, e in particolare Russia e Stati Uniti, devono fare lo sforzo di sedersi a un tavolo

La possibile risoluzione delle ostilità dipende anche dalla volontà delle due superpotenze. Tuttavia sia Draghi sia successivamente Biden hanno ribadito:

«Deve essere una pace che vuole l’Ucraina, non una pace imposta da altri né tantomeno dagli alleati. Kiev deve essere l’attore principale, altrimenti sarà un disastro.»

Quindi per quanto gli Stati Uniti e le altre nazioni alleate possano svolgere un ruolo rilevante la pace deve essere ottenuta principalmente dall’Ucraina.

Incontro Draghi-Biden. Fonte: tg24.sky.it

“Evitare una crisi alimentare” il primo passo per il riavvicinamento delle parti in conflitto

«Come possiamo mettere fine a queste atrocità? Come possiamo arrivare a un cessate il fuoco? Come possiamo promuovere dei negoziati credibili per costruire una pace duratura? Al momento è difficile avere risposte, ma dobbiamo interrogarci seriamente su queste domande.»

Per Mario Draghi la diplomazia è la via prediletta per il raggiungimento della pace ma egli riconosce anche che è una via ancora difficilmente percorribile. Una delle soluzioni potrebbe essere spingere le parti in conflitto ad avvicinarsi, a piccoli passi. Raggiungere degli accordi su alcuni temi di uno spessore molto ampio, come ad esempio il permettere l’esportazione di grano dall’Ucraina ai paesi più poveri del mondo. Queste le dichiarazioni del presidente del Consiglio:

«Lo sblocco dei porti dell’Ucraina da parte delle forze russe per lasciar partire le navi cariche di grano verso i Paesi più poveri del mondo, scongiurando così una crisi umanitaria causata dalla scarsità alimentare può essere un primo esempio di dialogo che si costruisce tra le due parti in conflitto per salvare decine di milioni di persone.»

La questione energetica, possibile tetto al prezzo del petrolio e del gas

Tra i temi più importanti del dialogo tra Biden e Draghi c’è sicuramente la questione energetica.

«Il tetto al prezzo del gas ridurrebbe in parte i finanziamenti che l’Europa dà a Putin per la guerra. Stesso discorso per il petrolio a livello mondiale, si potrebbe creare un cartello dei compratori. Oppure, più preferibile per il petrolio, persuadere l’Opec e i grandi produttori ad aumentare la produzione, su entrambe le strade bisogna lavorare molto.»

Stando alle parole del presidente del Consiglio in conferenza stampa il presidente degli Stati Uniti avrebbe “accolto con favore” l’ipotesi di un tetto al prezzo del gas. Anche se gli USA sembrerebbero indirizzati più verso il tetto al prezzo del petrolio.

Per Draghi inoltre il problema energetico esiste indipendentemente dalla guerra in corso. In particolare la questione

«si è venuta ad aggravare un anno e mezzo prima della guerra. L’attuale funzionamento dei mercati non va, perché i prezzi non hanno alcuna relazione con la domanda e l’offerta. E’ una situazione che va affrontata insieme, l’Italia è molto attiva nel diminuire la dipendenza da gas.»

Italia e Stati Uniti, una vicinanza solida e necessaria

Riguardo l’incontro con il presidente USA, Draghi ha dichiarato:

«L’incontro è andato molto bene. Biden ha ringraziato l’Italia come partner forte, alleato affidabile, interlocutore, credibile e io l’ho ringraziato per il ruolo di leadership in questa crisi e la grande collaborazione che c’è stata con tutti gli alleati.»

Le parole, i gesti, gli atteggiamenti da parte dei due leader fanno emergere un’importante realtà: l’alleanza tra Italia e Stati Uniti è salda come mai lo è stata negli ultimi anni. Alcuni però tendono a criticare questo atteggiamento da parte del governo, accusandolo di essere troppo omologato, soprattutto per le scelte riguardo la guerra, agli USA. Non vi è però alcun dubbio che riguardi l’importanza di incontri come quello appena accaduto. Il dialogo, soprattutto se svolto in termini pacifici e non conflittuali, porta ad un confronto di idee e di conseguenza ad una crescita.

Francesco Pullella

Aiuti, Accise e Iva: il Governo Draghi stanzia 14 miliardi per contenere i costi del conflitto in Ucraina

Il premier Mario Draghi vuole provare a fare miracoli per l’Italia e per farlo nella giornata di ieri il Consiglio dei ministri ha approvato un pacchetto di misure dal valore di ben 14 miliardi. Lo scopo è quello di contenere il rincaro prezzi causato dal conflitto in Ucraina il quale, sommato ai due anni di pandemia e alla crisi generale, sta mettendo da tempo in ginocchio l’economia nel nostro Paese.

Il premier Draghi durante la cabina di regia di ieri ha dichiarato che il governo è pronto a tutto per aiutare l’Italia (fonte: zazoom.it)

Tentare di sostenere famiglie e imprese

Come detto, l’azione del governo è volta a sostenere le famiglie e le imprese nel far fronte al caro energia e carburante. Parallelamente, per non dovere nuovamente ricorrere a misure temporanee, l’esecutivo sta studiando dei metodi per ridurre la dipendenza italiana nei confronti del gas russo, unico vero fattore di ricatto per l’Europa da parte di Putin.

Solo poche settimane fa gli italiani si accalcavano in folte folte code presso le stazioni di rifornimento, per accaparrarsi carburante prima dell’annunciato rincaro del costo del petrolio. Poi, l’arrivo di bollette dell’energia dalle cifre duplicate, a parità di consumo con i mesi precedenti. Scenari questi che non hanno fatto altro che rincarare difficoltà già sussistenti dal periodo della pandemia.

«Nel clima di grandissima incertezza che c’è il governo cerca di far il possibile per poter dare un senso di direzione, di vicinanza a tutti gli italiani» ha dichiarato Draghi per spiegare le ragioni dei provvedimenti varati.

Secondo i dati, non si tratterebbe ancora di recessione dell’economia, ma di una fase di rallentamento pari a -0,2% nel trimestre. In ogni caso, c’è stato bisogno di un intervento del governo, il quale sarebbe pronto anche ad altro, a qualsiasi misura necessaria, in caso di peggioramento.

 

Due i decreti approvati

Due sono stati i decreti approvati per dare l’ok a tutto il pacchetto di misure da 14 miliardi, senza scostamento di bilancio. Inizialmente, era stata preventivata una cifra di 6-7 miliardi attraverso l’aumento della tassazione degli extraprofitti guadagnati dall’aziende dell’energia. Gli altri 8 miliardi sono stati “trovati” solo dopo, grazie a ulteriori manovre.

Nella tarda mattinata di ieri, dopo un confronto con i sindacati, il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto “Accise e Iva” per la proroga dello sconto sul carburante fino all’8 luglio, che altrimenti nella stessa giornata sarebbe scaduto.

Nel pomeriggio, poi, la riunione con i capidelegazione di maggioranza e il via libera al secondo, il decreto “Aiuti”, riguardante aiuti alle famiglie e all’economia, gli interventi pubblici a sostegno alle imprese e anche l’emergenza profughi per la guerra.

 

Il Decreto legge “Accise e Iva”: contegno dei prezzi e il pericolo della speculazione

Dopo una brevissima tregua, sono tornati a crescere i prezzi dei carburanti in tutta Italia. I dati rilevano una media nazionale del prezzo della benzina in modalità self sale a 1,798 euro/litro, mentre ancora più alta per il diesel a 1,815 euro/litro. Ovviamente i costi del servito sono più consistenti mentre il Gpl resta elevatissimo.

Con il decreto “Accise e Iva”, che conta un solo articolo e vale due miliardi, viene prorogato, come suddetto, il taglio delle accise e dell’Iva sui carburanti. Inoltre, sarà previsto un monitoraggio anti-speculazione, condotto dal Garante per la sorveglianza dei prezzi con l’aiuto della Guardia di Finanza. Saranno sottoposti a controllo anche i prezzi relativi alla vendita al pubblico.

Per Federconsumatori i costi sono ancora troppo alti e soprattutto privi di alcuna giustificazione. I provvedimenti potrebbero non servire a molto e a ciò si aggiunge l’ombra della speculazione.

Il Codacons spiega che, nonostante i tagli, ma anche il calo delle quotazioni in borsa del petrolio, gli italiani continuino a pagare i rifornimenti il 20% in più rispetto allo scorso anno e che per questo servirebbero interventi sui listini.

 

Il Dl “Aiuti”

Ben più numerosi (cinquanta) gli articoli del decreto “Aiuti”. Il principale intervento è quello ancora sul caro bollette. Verrà sfruttata l’estensione del credito d’imposta per le imprese energivore e il bonus Energia” (gas e luce) diventa retroattivo, venendo applicato dall’1 gennaio: l’eventuale pagamento di somme eccedenti sarà automaticamente compensato in bolletta una volta presentata l’Isee, la quale dovrà essere sotto i 12mila euro per poter ottenere il bonus.

Sta per essere messo a punto un fondo di 200 milioni che finanzia contributi a fondo perduto alle imprese più colpite dalle ripercussioni della guerra, le quali, per questo, hanno subito perdite di fatturato dovute alla flessione della domanda, dall’interruzione di contratti, progetti e dalla carenza di materie prime.

Verrà finanziato nuovamente il fondo di sostegno per gli affitti per il 2022, con 100 milioni. Per il Servizio sanitario, in arrivo 200 milioni per compensare i maggiori costi per l’aumento dell’energia. Infine, le garanzie sui prestiti bancari saranno estese fino al 31 dicembre.

 

Gli altri “Aiuti” approvati e il braccio di ferro sul termovalorizzatore della Capitale

Oltre a ciò, verrà anche corrisposto un contributo di 200 euro a lavoratori e pensionati con reddito medio-basso per contrastare l’inflazione. I rincari delle materie prime, invece, hanno spinto il Cdm a stanziare 3 miliardi nel 2022, 2,5 nel 2023 e 1,5 per 2024 e 2026, per contrastare il caro appalti, il quale mette a rischio anche il Pnrr.

Prorogato, inoltre, al 30 settembre il termine per poter accedere al Superbonus 110% da destinare alle villette unifamiliari.

Aiuti previsti anche per l’emergenza profughi. I Comuni che accolgono i minori non accompagnati in fuga dall’Ucraina verranno rimborsati dei costi sostenuti fino a un massimo di 100 euro al giorno pro capite.

Infine, per ridurre la dipendenza dalle importazioni di gas russo – uno dei temi più attenzionati – si guarda ancor di più alle fonti di energia rinnovabile. Verranno nominati uno o più commissari di governo per i rigassificatori galleggianti. Il mondo delle energie rinnovabili, però, fatica a causa dei lunghi iter per le autorizzazioni: ben undici i passaggi che gli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili devono fare per avere il consenso per i progetti. A questo proposito, intanto, si partirà dalla definizione di criteri uniformi per la valutazione dei progetti degli impianti.

Sul tema ambiente, peraltro, si è discusso ampiamente in cabina di regia, a causa di una norma sul termovalorizzatore per Roma, approvata nonostante il rifiuto del Movimento 5 Stelle.

 

Rita Bonaccurso

L’Unione Europea taglia sul carbone russo. Si pensa ad embargo anche su petrolio e gas

Ieri sera, durante una riunione dei suoi ambasciatori, l’Unione Europea ha approvato il quinto pacchetto di sanzioni contro la Russia. Tra queste spicca l’approvazione dell’embargo al carbone russo. Si tratta di una misura presa in considerazione e auspicata già settimane fa, ma che arriva in seguito alle pressioni derivanti dai sospetti di crimini di guerra perpetrati negli ultimi tempi in Ucraina dall’esercito russo. Così ha commentato la proposta la Presidente della Commissione UE Ursula Von Der Leyen «che – aggiunge – costerà circa quattro miliardi di euro l’anno».

La proposta della Commissione prevedeva, inoltre, il divieto a navi ed autotrasportatori russi di entrare nei territori dell’Unione, con alcune eccezioni per determinati prodotti agricoli, aiuti umanitari ed energetici. Quest’ultimo punto è stato accolto nel pacchetto definitivo di sanzioni, cui si aggiunge l’incremento di personalità russe inserite nella black list europea e ulteriori divieti dal valore di circa 15,5 miliardi.

La prima stilettata all’energia russa

L’embargo sul carbone rappresenta un primo colpo all’energia russa, ossia il punto più discusso in materia di sanzioni. L’Unione Europea (ed in particolare l’Italia, assieme alla Germania) ha una forte dipendenza dalle fonti di energia importate dalla Russia, soprattutto dal suo gas naturale e dal petrolio. Ma gli ultimi eventi – ed in particolare il massacro di civili verificatosi a Bucha – hanno compattato la linea UE verso l’inasprimento delle sanzioni. Chiarisce la Presidente della Commissione Von Der Leyen:

Queste atrocità non possono e non rimarranno senza risposta.

D’altronde, lo stesso Premier italiano Draghi ha aperto alla possibilità di un embargo (oltre che sul carbone) sul gas russo, con un già “rinomato” quanto criticato aut-aut:

Preferite la pace o il condizionatore acceso?

Ma ad ogni modo – chiarisce il Premier – sarà l’Unione a decidere. Una linea, quella dell’Esecutivo, sempre più certa sul da farsi, a discapito delle voci di diverse aree del Parlamento che invitano alla negoziazione, anziché alle sanzioni e all’invio di armi a favore della difesa ucraina.

E l’embargo sul carbone trova l’accordo anche della Germania, che fino ad ora si era duramente opposta (assieme all’Ungheria di Orbán) allo stop collettivo di tutte le importazioni di energia russa. Il Ministro della Finanza tedesco Christian Lindner aveva infatti suggerito di considerare separatamente petrolio, carbone e gas, poiché la velocità per la sostituzione dei fornitori potrebbe variare.

Ed infatti, opponendosi ancora aspramente all’embargo sul gas, ha affermato:

Ci troviamo davanti ad un criminale di guerra, è chiaro che dobbiamo porre fine ai legami economici con la Russia il prima possibile, ma il gas non potrebbe essere sostituito nel breve periodo. Farebbe più male a noi che a loro.

(fonte: au.sports.yahoo.com)

Stop all’energia russa sì, ma quando?

Corre veloce la Francia, che col suo Ministro dell’Economia Bruno Le Maire, si ritiene «pronta ad uno stop alle importazioni non solo di carbone, ma anche di petrolio russo». Ed aggiunge:

La realtà è che bloccare le importazioni di petrolio dalla Russia è la cosa che le farebbe più male.

Tuttavia, anche La Maire riconosce l’importanza di un intervento a livello comunitario, più che nazionale. «Importante convincere anche gli altri Stati membri».

Peraltro, lo stop a tutte le importazioni energetiche da Mosca non è tra i piani a breve termine dell’Unione. Né lo stop immediato al carbone: la Germania ha infatti ottenuto di posticipare di quattro mesi l’entrata in vigore del divieto, in modo tale da realizzare il piano nazionale per l’indipendenza dal carbone russo entro l’estate. «Se rimandassimo indietro quelle navi [che trasportano carbone] rischieremmo di non averne abbastanza», ha detto di recente il vicecancelliere tedesco Robert Habeck. (Il Post)

Ad ogni modo, testate come EuroNews hanno immaginato le possibili conseguenze di uno stop alle forniture di gas russo: tra le soluzioni proposte, quella di ricorrere al gas naturale liquefatto importato dagli Stati Uniti.

Sostituire il carbone russo e ridurre le emissioni

È possibile che tagliare il carbone russo non faccia poi così male: dopotutto – afferma Bloomberg – già prima delle sanzioni le compagnie energetiche europee faticavano a trovare il suddetto carbone, anche per via delle banche che ne negavano i finanziamenti. Nota il centro di studi Bruegel, poi, che le importazioni di carbone a livello europeo erano calate drasticamente dai 400 milioni di tonnellate nel 1990 ai 136 milioni nel 2020.

Sostituire il carbone russo non sarà difficile, ma sarà più costoso: i principali esportatori sono infatti Australia Indonesia, Paesi molto più distanti dall’Europa rispetto dalla Russia. Si tratterà di aumentare i costi di spedizione.

(fonte: balkaninsight.com)

Infine, si tenga a mente l’impegno delle varie città europee verso la decarbonizzazione, uno degli obiettivi da raggiungere entro il 2050 per evitare gli effetti catastrofici del cambiamento climatico. Secondo un report della Commissione Europea, gli edifici europei sarebbero responsabili di circa il 40% delle emissioni comunitarie e del 36% delle emissioni di gas serra.

Ottimizzare l’efficienza energetica rappresenta, quindi, la chiave per l’obiettivo “zero emissioni”: secondo Caterina Sarfatti, direttrice dell’azione della C40 Climate Leadership Group, permetterebbe anche di risolvere il crescente problema della povertà energetica in Europa. Politico ha delineato una serie di azioni che aiuterebbero nel raggiungimento di tale scopo a livello cittadino.

Valeria Bonaccorso

Approvato il Decreto Ucraina, ma senza l’aumento della spesa militare. Ecco l’accordo della maggioranza

In mattinata si è svolto a Palazzo Madama il voto del Senato circa l’approvazione del cosiddetto “Decreto Ucraina”, il disegno di legge già approvato alla Camera contenente disposizioni urgenti per sostenere l’Ucraina contro l’invasione russa. Il governo aveva apposto la questione di fiducia sul decreto, dal momento che la notizia del possibile aumento della spesa militare italiana al 2% del PIL entro il 2024 – apposto come ordine del giorno da Fratelli d’Italia – rischiava di mettere in pericolo la stabilità dell’Esecutivo, soprattutto dopo il no secco del leader del MoVimento 5 Stelle Giuseppe Conte a qualsiasi aumento della spesa militare che gravi sul bilancio nazionale.

Ad ogni modo, il Governo Draghi non ha avuto particolari difficoltà ad ottenere la fiducia al Senato: il voto si è concluso attorno alle 12 con 214 voti favorevoli 35 contrari, senza astensioni. Il provvedimento si deve quindi ritenere approvato.

Il motivo sta nel fatto che la maggioranza è riuscita a trovare un punto d’incontro sul decreto facendo cadere l’ordine del giorno che prevedeva l’aumento delle spese militari. L’odg era già passato alla Camera, ma per essere definitivamente approvato avrebbe dovuto essere sottoposto alla votazione delle commissioni congiunte Difesa ed Esteri al Senato, ove però la votazione non è stata possibile per via del ritardo della commissione Bilancio a presentare pareri sul testo.

L’odg sull’aumento della spesa militare è stato, quindi, automaticamente espunto assieme agli altri emendamenti ed il testo è stato votato così come approvato già alla Camera. Alla fine, l’accordo è stato raggiunto anche grazie alla mediazione del ministro della Difesa Lorenzo Guerini, che ha affermato che l’aumento si avrà in modo graduale e l’obiettivo è stato spostato dal 2024 al 2028.

Cosa contiene adesso il Decreto Ucraina

Il provvedimento approvato presenta ora misure per l’accoglienza dei profughi e dispone l’invio di equipaggiamenti militari a Kiev. Ai fini del primo obiettivo, è previsto lo stanziamento di 10 milioni di euro per incrementare di 16mila posti complessivi i centri di accoglienza e un fondo di 1 milione di euro per finanziare iniziative di università e enti di ricerca a favore degli studenti, ricercatori e professori di nazionalità ucraina che sono in Italia per ragioni di studio o di ricerca.

(fonte: tgcom24.mediaset.it)

Inoltre, sono state disposte misure per l’aumento della disponibilità di gas e la riduzione programmata dei consumi in qualità di strumenti di contrasto alla crisi del gas naturale derivante dal conflitto in Ucraina.

Un ulteriore punto di dibattito – per cui il capogruppo della commissione Esteri ed esponente del MoVimento Vito Petrocelli ha scelto di non votare la fiducia, nonostante le minacce di espulsione dal partito – è quello sul rafforzamento della presenza del personale militare italiano nelle iniziative della NATO e la cessione a titolo gratuito all’Ucraina sia di mezzi ed equipaggiamenti militari non letali di protezione sia di armi letali.

L’aumento della spesa militare e l’impegno preso con la NATO

In realtà, quello dell’aumento della spesa militare al 2% del PIL è un impegno decennale che l’Italia, assieme ad altri Paesi membri della NATO, si era assunta nel 2014 al vertice di Newport, in Galles. Da allora, nonostante l’aumento graduale della spesa militare, l’Italia non ha raggiunto la soglia prevista, fermandosi all’1,41% del PIL. Mancherebbero quindi circa 13 miliardi di euro per raggiungere quanto dedotto in accordo, ossia circa 38 miliardi in spesa militare entro il 2024.

Tuttavia, l’obiettivo in questione non rappresenta un accordo vincolante né un requisito per rimanere nella NATO: si pensava di accelerare il raggiungimento della soglia in occasione del conflitto in Ucraina. Invece, l’aumento sarà graduale e l’obiettivo è rimandato al 2028.

La NATO si finanzia tramite due tipi di contributi: diretti, che si realizzano tramite finanziamenti alle operazioni comuni dell’Alleanza, che presenta un bilancio annuale di 2,5 miliardi di euro; indiretti, che si realizzano tramite il contributo di ogni Paese ad un’operazione militare specifica. Pur non essendo vincolante, quello dell’aumento della spesa militare italiana rimane un impegno che gli ultimi governi alla guida del nostro Paese hanno rinnovato, assumendosene la responsabilità.

(fonte: teleborsa.it)

Il dibattito in aula questa mattina

Il voto in Senato è stato preceduto dalle dichiarazioni degli esponenti dei vari partiti, che hanno spiegato le proprie ragioni.

Delusi gli esponenti di Fratelli d’Italia come la senatrice Isabella Rauti, capogruppo della commissione Difesa, che ha affermato:

Avremmo votato a favore, come alla Camera, anche al Senato il decreto se avesse avuto un normale percorso con emendamenti, ordini del giorno, miglioramenti, confronto. Invece, il ricorso al voto di fiducia su una materia così sensibile sconfessa il governo.

Favorevoli invece le forze di maggioranza come Partito Democratico, Italia Viva, Forza Italia e Lega. Infine, favorevole anche il M5S. Durante il dibattito sono stati alzati da alcuni senatori dei cartelloni con scritto: «No alle armi», secondo un’iniziativa assunta dai gruppi di Alternativa, Italexit ed alcuni esponenti del gruppo Misto.

Le parole di Draghi

Intanto si sta svolgendo una conferenza stampa del Presidente del Consiglio Mario Draghi con la Stampa Estera, a cui ha dichiarato:

Sulle spese militari l’Ue superi le decisioni nazionali. Serve un coordinamento sulla Difesa, la Commissione proceda.

Il Premier ha anche commentato la telefonata col Presidente russo Vladimir Putin, affermando che -secondo quest’ultimo – non sarebbero mature le condizioni per un cessate il fuoco in Ucraina. Emerge, inoltre, la richiesta di avere l’Italia come garante – spiega il Premier – dell’attuazione delle eventuali clausole negoziate tra Russia e Ucraina.

Valeria Bonaccorso

Governo Draghi, si all’invio di armi in Ucraina e aumento fondi alla difesa ma la maggioranza si spacca

Per quanto sia unanime il riconoscimento all’Ucraina dello status di vittima della politica espansionistica regionale di Mosca, negli ultimi giorni l’opinione pubblica italiana e la maggioranza di governo sono stati attraversati da numerosi dubbi circa il ruolo che il nostro paese deve svolgere nel conflitto. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky continua infatti a sollecitare i paesi occidentali chiedendo l’invio di armi, mezzi e strumenti per far fronte all’esercito russo rimproverando a questi ultimi di non avere ancora fatto abbastanza.

Zelensky in collegamento con il Parlamento, fonte: meteoweb.eu

L’appello in realtà è stato prontamente raccolto dal Presidente del Consiglio Mario Draghi che, nel discorso effettuato successivamente al collegamento di Zelensky con il Parlamento riunito in seduta comune, si è dichiarato pronto ad aiutare il popolo ucraino con l’invio di ulteriori aiuti militari. La maggioranza parlamentare a sostegno dell’esecutivo si è però dimostrata divisa sulla strategia e gli obiettivi prefissati: specialmente sull’aumento della spesa militare.

 

L’invio di armi italiane a sostegno degli ucraini

I principali dubbi sull’accoglimento dell’appello di Zelensky ricadono sulle implicazioni etiche derivanti dall’invio o meno di armamenti. L’esecutivo però si è dimostrato sin da subito favorevole e questo perché la guerra in Ucraina è stata riconosciuta essere innanzitutto uno scontro ideologico. Ad essere contrapposti non sono solo Russia e Ucraina, ma anche quei valori conquistati dall’occidente europeo nel secondo dopoguerra e gli interessi di pochi oligarchi ad est.

Rimanere impassibili, o almeno limitarsi all’accoglienza delle centinaia di migliaia di profughi provenienti dall’Ucraina, senza dare un concreto supporto significherebbe tradire la nostra identità. Questa almeno è la narrazione condivisa dai principali leader europei ed occidentali e ribadita anche da Mario Draghi mercoledì scorso durante un intervento alla Camera. Incalzato sulla questione, alla domanda se con l’invio di armi l’Italia contribuisse alla carneficina che si sta perpetrando in Ucraina ha risposto: “La carneficina non distingue le divise ma distingue i bambini. È un terreno molto scivoloso. Perché se noi sviluppiamo le conseguenze di questo ragionamento, dovremmo dire di non aiutare i Paesi che vengono attaccati. Dovremmo sostanzialmente accettare di difendere il Paese aggressore non intervenendo. Dovremmo lasciare che gli ucraini perdano il loro Paese e accettino la schiavitù”.

 

L’aumento del budget per la difesa

Un altro tema caldo sull’agenda del governo è quello dell’aumento del budget della difesa. Attualmente a tale voce l’Italia destina circa 27 miliardi di euro l’anno ma l’esecutivo vuole aumentare tale cifra a 37 miliardi, circa il 2% del Pil. L’ordine del giorno, con cui il governo di impegnava al raggiungimento di tale obiettivo, ha raccolto il favore di una larghissima maggioranza (391 voti favorevoli e 19 contrari) ma col susseguirsi dei giorni sempre più malumori e dubbi sono stati sollevati dalle compagini parlamentari. Dal centrodestra solamente Fratelli d’Italia è rimasta favorevole all’iniziativa mentre la Lega sembra essersi accodata agli scettici facendo sapere, per voce del suo leader Matteo Salvini, che “le armi non sono mai la soluzione”. Anche il Partito Democratico spera nella possibilità di una nuova riflessione sull’argomento prima della nuova votazione, attesa in Senato per questa settimana. Chi si è dichiarato invece contrario a qualsiasi aumento è Giuseppe Conte. L’ex premier ha detto che il MoVimento 5 Stelle non potrebbe mai “assecondare un voto che individuasse come prioritario l’incremento delle spese militari a carico del nostro bilancio nazionale”. “…in un momento come quello attuale di caro-bollette, dopo due anni di pandemia, e con la recessione che si farà sentire sulla pelle di famiglie e imprese, non si capisce per quale motivo le priorità debbano essere le spese militari”. L’obiettivo però sembra essere in cima alle priorità dell’esecutivo che, stando alle fonti di Palazzo Chigi, qualora non riuscisse a ottenere la disponibilità dei partiti sarebbe pronto a porre la questione di fiducia  e ad aprire un eventuale crisi.

 

Quartiere residenziale di Mariupol raso al suolo, fonte: tgcom24

Ucraina, crisi umanitaria e nuovi incontri con la Russia

Mentre in Italia e negli altri paesi si discute sugli aiuti da fornire, a Kiev la guerra prosegue. Le forze di Putin non sembrano più intenzionate ad avanzare, rimanendo stanziate nelle zone già occupate, ma i bombardamenti continuano. Obiettivo principale dei russi a questo punto è il controllo nell’area della regione del Donbass con la città di Mariupol assediata ormai da diversi giorni. Il proseguirsi dei bombardamenti rende impossibile l’apertura di alcun corridoio umanitario in sicurezza e Zelensky stesso ha definito quanto sta succedendo nella città una catastrofe umanitaria.

“L’Ucraina non può abbattere i missili russi con fucili e mitra. È impossibile salvare Mariupol senza altri carri armati e aerei”

Ma anche in altri luoghi del paese i bombardamenti non si sono arrestati. Stando alla Difesa ucraina nelle ultime 24 ore la regione di Kiev è stata bombardata quasi quaranta volte mentre quella di Kharkiv circa duecento. Gli scontri dunque proseguono ma anche la macchina diplomatica non si è mai arrestata: domani e dopodomani i rappresentanti di Russia e Ucraina sono attesi a Istanbul per un nuovo round di incontri. Il Presidente Zelensky ha fatto sapere che l’Ucraina, al fine di ottenere la pace, è pronta ad accettare lo status di paese neutrale, rinunciando di fatto alla possibilità di entrare nella Nato, ed un accordo sul Donbass in cambio delle garanzie di sicurezza e l’integrità territoriale.

 

Filippo Giletto

Zelensky in video-collegamento con Palazzo Chigi, ma non tutti sono presenti

Ospitato nelle scorse settimane, tramite collegamento video, al Parlamento Europeo, a Berlino, Londra, Washington, Ottawa e Gerusalemme, il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky è atteso oggi a Palazzo Chigi. Un viaggio virtuale per il mondo, iniziato il 1° marzo, per chiedere aiuti per il suo Paese, dilaniato dal conflitto con la Russia.

 

Zelensky in collegamento con il Parlamento tedesco qualche giorno fa (fonte: evenpolitics.com)

Le polemiche e gli assenti

L’incontro con il Parlamento italiano è stato preceduto dalla polemica. Alcuni parlamentari, nelle scorse ore, avevano annunciato la loro assenza al Parlamento stamattina, in segno di protesta contro il premier Draghi, accusandolo di non essersi confrontato con il governo prima di prendere la decisione di accettare l’incontro:

«Il Parlamento è stato zittito da Draghi. – ha detto il senatore Crucioli – È inaccettabile che non sia previsto un dibattito o una interlocuzione tra i parlamentari, per prendere una risoluzione con voto rispetto a quello che il presidente Zelensky ci dirà. Parlerà solo il presidente del consiglio Draghi nella casa del Parlamento italiano e solo lui potrà tirare le somme ed esprimere la posizione del Paese, senza nessun dibattito democratico.».

Mattia Crucioli, ora nel gruppo di Alternativa, sostiene che, accettare di ascoltare le richieste che Zelensky da tempo fa al mondo, ancora una volta e in questa modalità, equivalga a schierarsi a favore delle scelte, in termini di guerra, dell’Ucraina e dunque contro la Russia, abbandonando una netta neutralità, almeno a livello teorico.

«Noi siamo contro l’invio delle armi, che, oltre ad essere contrario al nostro ordinamento, butta solamente benzina sul fuoco. E oltre alle questioni etiche, la nostra neutralità avrebbe evitato il rischio di una escalation militare e avrebbe permesso alla diplomazia, anche italiana, di fare la sua parte nel velocizzare le trattative per la pace.».

Ricevere il presidente significa, così, secondo alcuni, assecondare la sua linea d’azione, non vista di buon occhio, per le incessanti richieste di intervento nella dinamica della guerra rivolte al resto del mondo, come, ad esempio, con l’istituzione della no fly zone o l’invio di truppe. Se accontentato decreterebbe lo scoppio di una terza guerra mondiale.

L’incontro in agenda è visto, a detta di alcuni, come un “evento mediatico” svilente per il Parlamento, “un comizio tra il presidente Zelensky e Draghi, senza possibilità di interazione alcuna.”

Oltre il gruppo Alternativa, la pensano così, e avevano già dichiarato di aderire all’“ammutinamento” di stamane, il leghista Simone Pillon, Enrica Segneri del M5S, Emanuele Dessì, passato al PD e reduce da una trasferta in Bielorussia, e Gianluigi Paragone, leader di Italexit. Preannunciate anche due assenze tra le file di Forza Italia, quelle di altri parlamentari prima eletti con il Movimento 5 Stelle: Veronica Giannone e di Matteo Dall’Osso.

Quest’ultimo aveva pronunciato parole scottanti: “Sono orientato a non esserci, si dà visibilità solo a una parte. Anche Putin in Aula? Chi lo chiede fa bene”.

Ospitare Zelensky e non ascoltare quello che magari avrebbe da dire Putin, qualora gli venisse fatto e accettasse un invito, sarebbe una via più democratica, a quanto sembra, ascoltando le dichiarazioni di alcuni politici italiani.

Anche il presidente della Camera, Roberto Fico, si è espresso duramente sulla questione, dimostrando anche lui malcontento: l’Italia non dovrebbe affatto inviare armi, di cui il più recente convoglio è partito proprio stamattina dall’aeroporto civile di Pisa, tra altre critiche, per essere stato inserito sotto la dicitura di “aiuti umanitari”. Attenersi strettamente aun ruolo super partes”, promuovendo l’azione della diplomazia e la ricerca della pace immediata, per il presidente è l’unica cosa da fare.

 

Il “tour” per il mondo del presidente ucraino sta abbassando il sentiment nei suoi confronti?

Tutto ciò avviene all’indomani di una drastica svolta al Parlamento Ucraino: dopo la sospensione di 11 partiti e forze parlamentari, che non erano allineati al nazionalismo più oltranzista.

La stretta politica ha dato forza ai sospetti di chi già non apprezzava la linea di difesa di Zelensky, non disposto a ottenere la pace a tutti i costi, non fin quando questa prevedrà la cessione di anche solo una parte dei territori ucraini alla Russia, come proposto da quest’ultima in occasione degli scontri a Mariupol.

Negli scorsi giorni, inoltre, il presidente Ucraino, in collegamento con Gerusalemme, durante il suo intervento ha usato espressioni shock, che hanno scandalizzato molti, soprattutto il presidente israeliano. Ha paragonato quanto sta succedendo in Ucraina alla soluzione finale usata dalla Germania nazista contro il popolo ebreo.

«La nostra gente ora vaga per il mondo. Questa guerra totale vuole distruggere la nostra terra, la nostra cultura, i nostri figli» ha sbraitato Zelensky.

Queste parole non hanno suscitato sentimento positivo, anzi hanno scatenato critiche e proteste a Gerusalemme e Tel Aviv. Il presidente israeliano Naftali Bennett ha, infatti, dichiarato:

«Non credo che l’Olocausto dovrebbe essere paragonato a nessun altro evento. È stato un evento unico nella storia umana, con uno sterminio di un popolo metodico e su scala industriale in camere a gas. Un evento senza precedenti».

Zelensky, alla dura risposta ricevuta, ha controbattuto, dicendo che l’Ucraina scelse di salvare gli ebrei 80 anni fa. “Ora è tempo che Israele faccia la sua scelta“, ha proseguito. Bennett, però, non ci sta a paragonare Putin a Hitler, la guerra in Ucraina alla Shoa, anzi, ha ritenuto il paragone particolarmente oltraggioso.

Il presidente israeliano Bennett non ammette paragoni tra Ucraina e Shoa (fonte: lastampa.it)

Nonostante questo, Zelensky non si arrende, continuando a lottare per la sua causa. La pace a tutti i costi, per ora, non è una scelta contemplata, anche se è stata, nelle ultime ore, avanzata l’ipotesi di indire un referendum tramite il quale avere un riscontro dalla popolazione ucraina sulla linea adottata dal suo governo e quella da adottare in futuro.

 

Rita Bonaccurso

Ucraina nell’Ue: una strada difficile, ma possibile

Lunedì la Verchovna Rada (il Parlamento ucraino) ha pubblicato un tweet dichiarando che il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha firmato la domanda di adesione dell’Ucraina all’Unione Europea.

La domanda è stata seguita dall’approvazione, da parte del Parlamento Europeo, di una risoluzione in cui l’istituzione europea ha dichiarato di essersi assunta l’impegno (più politico che giuridico, dal momento che l’atto in questione non risulta vincolante) di permettere una tale adesione.

Il Presidente ucraino è poi intervenuto durante una plenaria straordinaria dell’Europarlamento dedicata al conflitto russo-ucraino. Dalle sue parole è emerso un desiderio di incoraggiamento ed inclusione dell’Ucraina negli ambienti europei, oltre i semplici rapporti di vicinanza:

Vogliamo essere membri a pari diritti dell’Ue. Stiamo dimostrando a tutti che questo è quello che siamo.

D’altronde, la richiesta – pur giungendo in un momento particolarmente difficile per l’Europa intera – si cala all’interno di una politica coerente perseguita da Zelensky sin dalla sua elezione, a partire dal 2019, quando la Verchovna Rada ha legalmente incluso nella Costituzione dell’Ucraina il percorso per l’adesione alla NATO e all’Unione Europea. La riforma dell’articolo 102 ha inoltre ampliato i poteri del Capo di Stato in tal senso, rendendone «il garante dell’attuazione».

Ucraina nell’Ue: i possibili scenari

Il percorso di adesione all’Unione Europea è spesso lungo e tortuoso e può durare molti anni. Per questa ragione la Presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, oltre ad accettare di buon grado la richiesta dell’Ucraina, ha fatto riferimento al fattore tempo:

Abbiamo un processo con l’Ucraina che consiste, ad esempio, nell’integrazione del mercato ucraino nel mercato unico. Abbiamo una cooperazione molto stretta sulla rete energetica, per esempio. Così tanti argomenti in cui lavoriamo a stretto contatto e in effetti, nel tempo, ci appartengono. Sono uno di noi e li vogliamo dentro.

(fonte: frontnews.eu)

Sembra difficilmente apprezzabile, invece, un percorso di adesione facilitata in vista delle condizioni che affliggono attualmente l’Ucraina, sebbene auspicata da Paesi come la Slovacchia, Slovenia e Repubblica Ceca.

Ma anche supponendo un’entrata immediata dell’Ucraina nell’Unione Europea, ci si chiede quali conseguenze una tale decisione assumerebbe. Come già affermato anche dalla Presidente von der Leyen, innanzitutto inclusione nel mercato unico. A tal proposito, uno dei requisiti fondamentali di adesione è l’esistenza di un’economia stabile che sia in grado di far fronte alla concorrenza e alle esigenze di mercato interne ed esterne all’UE.

Dal punto di vista militare, gli Stati dell’Unione sono legati da una clausola di difesa reciproca introdotta dal Trattato di Lisbona che li obbliga ad intervenire in aiuto dello Stato membro vittima di un’eventuale aggressione nel proprio territorio. Ciò significherebbe – nel breve termine – coinvolgere l’Unione nel conflitto con le forze russe.

Una conseguenza più sul lungo termine sarebbe quella di mettere a rischio la sostanziale funzione pacificatrice dell’Unione Europea, che, come affermava Giorgio Amendola nel 1974, «può avere solo una politica di neutralità, non di rivalità con le due potenze [Russia e Stati Uniti]».

Infine, libertà di movimento in tutto il territorio dell’Unione, soprattutto per le centinaia di migliaia di cittadini ucraini sfuggiti al conflitto. A tal proposito, Reuters ha riportato che la Commissione Ue sarebbe al lavoro per approvare la proposta di concedere ai rifugiati ucraini dei diritti di residenza temporanei senza dover passare attraverso lunghi iter burocratici per le richieste d’asilo.

Michel: «attenzione all’allargamento»

L’adesione è una richiesta di vecchia data dell’Ucraina, ma ci sono opinioni e sensibilità diverse sull’allargamento.

Così il Presidente del Consiglio Europeo Charles Michel ha commentato la richiesta di adesione dell’Ucraina, esprimendo alcune perplessità. Da anni si è palesata la contrarietà di molti Stati Ue all’allargamento – dal momento che includere nuovi Stati significa includere anche nuove opinioni sensibilità, quindi anche nuovi possibili contrasti. Già nel 2005 l’allora Commissario per la Politica europea di vicinato e negoziati di allargamento Olli Rehn aveva affermato che bisognava «consolidare l’agenda di allargamento dell’Unione, ma anche essere cauti coi nuovi impegni».

Zelensky e Michel (fonte: consilium.europa.eu)

Inoltre, Nel marzo 2016, l’allora Presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker ha dichiarato che «ci vorranno almeno 20-25 anni perché l’Ucraina aderisca all’UE e alla NATO».

Draghi: «Putin ascolti i suoi cittadini e abbandoni i piani di guerra»

Anche il Premier italiano Mario Draghi si è rivolto nei confronti del Capo di Stato russo con parole molto dure, durante un discorso tenuto in Parlamento circa l’approvazione della proposta di invio di armi all’Ucraina. La proposta in Parlamento ha incontrato alcune perplessità a cui il Presidente del Consiglio ha risposto:

Mandare aiuti militari, un sostanziale inedito anche per il nostro Paese, non significa, essere “rassegnati” alla guerra. Chi ha più di 60 chilometri di carri armati davanti le porte di Kyiv non vuole la pace in questo momento.

Intanto, l’Esecutivo si impegna ad approvare un piano contro la crisi energetica che colpirà l’Europa – specialmente l’Italia – ora che i rapporti di scambio con la Russia sono stati tagliati. A tal proposito il Governo ha deciso di dichiarare lo stato di emergenza per intervento all’Estero.

Valeria Bonaccorso

Nuovo DPCM: nuova stretta sul Green Pass, ma in Europa non c’è uniformità di vedute

É arrivata la firma del nuovo DPCM da parte del premier Mario Draghi. Le novità appena introdotte entreranno in vigore a partire dal 1 febbraio e riguarderanno l’utilizzo del Green Pass, la sua durata e soprattutto i luoghi in cui sarà possibile accedere senza. Poche le difformità rispetto alla bozza del decreto circolata negli scorsi giorni e conferma la linea politica tracciata dal governo: prevenire i contagi circoscrivendo sempre di più le attività dei non vaccinati.

fonte: ANSA.it

Le attività commerciali

Dal 1 febbraio per entrare nei negozi sarà necessario avere o il Green Pass base, ottenibile mediante tampone rapido o molecolare avente avuto esito negativo, o il Green Pass rafforzato. Quest’ultimo, come risaputo, richiede l’avere completato il ciclo vaccinale o l’essere guariti dal Covid-19, ma, ed ecco la prima novità, la sua durata verrà abbassata da 9 a 6 mesi. Ciò per invogliare il rinnovo dello stesso mediante la somministrazione della cosiddetta terza dose o dose booster. Chi è in possesso dell’uno o dall’altro certificato verde potrà accedere liberamente ad ogni attività commerciale o ufficio. Chi invece si trova in difetto potrà unicamente accedere a quei luoghi che soddisfano beni essenziali. Tra questi ovviamente i negozi di alimentari quali ipermercati, supermercati e discount, ma anche i negozi di animali domestici e di mangime per gli stessi. All’elenco si aggiungono anche farmacie, parafarmacie e altri esercizi specializzati di medicinali non soggetti a prescrizione medica, oltre che per il commercio al dettaglio di articoli medicali e ortopedici o dediti al commercio al dettaglio di materiale per ottica. Sono escluse le enoteche, mentre sarà consentito accedere anche dai benzinai, nei negozi che vendono legna, pellet e ogni tipo di combustibile per uso domestico e per il riscaldamento. Infine, pur senza il Green Pass, si potrà andare negli uffici delle forze di polizia e in quelli delle polizie locali per “assicurare lo svolgimento delle attività istituzionali indifferibili”, “di prevenzione e repressione degli illeciti” nonché per denunciare un reato o chiedere un intervento a tutela dei minori. Non sarà invece possibile entrare senza certificazione negli uffici postali o nelle banche per riscuotere le pensioni come invece inizialmente previsto dalla bozza. L’esclusione di quest’ultima possibilità è stata duramente criticata e sicuramente diverrà nei prossimi giorni la motivazione principale delle accuse mosse all’esecutivo.

La stretta “gentile” intorno ai NoVax ma mai un Europa così disunita

Ad oggi gran parte delle attività non essenziali nel nostro Paese richiedono il possesso della certificazione verde lasciando di fatto pochi margini a chi ancora resiste alla campagna vaccinale. La linea del governo appare chiara: evitare quanto più possibile l’introduzione di un generale obbligo vaccinale limitando gli spostamenti di chi non ha ricevuto nemmeno una dose.

Boris Johnon nella Camera dei Comuni, fonte: sputnik

Se l’Italia prosegue la stretta intorno ai non vaccinati, alcuni tra i Paesi europei hanno ormai da tempo deciso di perseguire politiche totalmente differenti. In Inghilterra Boris Johnson ha formalizzato ieri nella Camera dei Comuni quanto da lui annunciato nei giorni precedenti: la revoca delle raccomandazione del lavoro da casa, del mini Green pass vaccinale britannico e dell’obbligo di mascherine ovunque. Si tratta di alcune fra le misure presenti nel cosiddetto “piano B” adottato nella lotta contro la variante Omicron e, secondo l’esecutivo di Sua Maestà, non più necessarie dato il netto calo dei contagi avuto grazie al record di terze dosi booster dei vaccini. I mal pensanti però intravedono nella decisione del premier un tentativo di consolidare la sua posizione ammiccando alle frange più conservatrici del Paese. Johnson è stato travolto insieme ai membri del suo ufficio dal recente scandalo “partygate” che ha messo in cattiva luce non solo la sua persona ma anche le stesse misure anti-covid propugnate dal suo governo.

Totalmente in controtendenza è l’Austria, dove invece il parlamento ha approvato l’introduzione dell’obbligo vaccinale divenendo, ad oggi, il primo Paese europeo a farlo. Oltre all’obbligo, per incentivare la popolazione, il governo stanzierà 400 milioni di euro destinati ai comuni con la più alta percentuale di immunizzati ed istituirà una lotteria nazionale con premi da 500 euro per incoraggiare chi ancora non ha ricevuto la prima dose.

Infine vi è la Francia dove solo da lunedì prossimo entrerà in vigore il “pass vaccinale” francese, equivalente al super green pass italiano, che prenderà il posto del “pass sanitario” precedentemente disponibile anche senza vaccinazione ma con un tampone negativo.

Filippo Giletto

Per “The Economist”, l’Italia è il Paese dell’anno grazie a Draghi. Ecco tutti i dettagli

Come avviene di consueto dal 2013 a questa parte, la rivista inglese The Economist ha scelto il Paese dell’anno, ossia il Paese che meglio ha saputo realizzare una crescita rispetto all’anno precedente, criterio che si sostituisce a quelli di semplice ricchezza o influenza a livello mondiale o benessere dei cittadini.

Quest’anno, il titolo se l’è aggiudicato l’Italia, ma non per i suoi ottimi calciatori o per i vincitori dell’Eurovision – ha sottolineato la rivista nel proprio articolo – bensì, per via dei suoi politici: il Premier Mario Draghi è stato indicato come un primo ministro competente e rispettato a livello internazionale, che avrebbe saputo trovare un punto di convergenza tra le varie forze politiche al governo, finalmente in grado di mettere da parte gli interessi contrastanti. Non è infatti sconosciuto ai politologi stranieri il ruolo di grande impatto ricoperto da Draghi, soprattutto nel domare i grandi esponenti di destra come Salvini (ma non mancano anche voci dell’ala speculare).

Tra le motivazioni del The Economist per fare tale scelta: il PNRR, descritto come un «programma di profonde riforme» realizzato grazie alla spinta concentrica realizzata dal Premier; il tasso di vaccinazione tra i più alti d’Europa, con un 85,17% di cittadini che ha completato il ciclo ed un 88,37% di popolazione sopra gli anni 12 che ha ricevuto almeno una dose; una ripresa dalla crisi del 2020 più veloce di quelle di Francia e Germania.

 

Da «Italia, Paese che amo» a «Italia Paese dell’anno». Ma quanto durerà?

La rivista prosegue gettando del vero e proprio sarcasmo sulla debolezza dei precedenti governi, affermando che

“Silvio Berlusconi avrebbe dovuto seguire il monito dei vincitori dell’Eurovision 2021 e stare zitto e buono.”

Poi ha sottolineato che, per via di tale debolezza, la popolazione si era ritrovata ad essere più povera nel 2019 che nei primi anni 2000. Un occhio critico viene, infine, riservato alle future elezioni del Presidente della Repubblica del 2022, che vede Draghi proprio tra i possibili candidati. Il timore del The Economist è proprio quello che il premier, assumendo il “ruolo cerimoniale” di Presidente, lasci posto ad un successore meno competente.

(fonte: palermotoday.it)

Il dibattito sul prossimo Presidente della Repubblica è più che acceso. Più del 16% dei cittadini intervistati da Demos vorrebbe vedere Draghi al Quirinale, mentre un cospicuo 10% preferirebbe un secondo mandato di Mattarella, che, tuttavia, già mesi fa ha chiarito le proprie intenzioni a non ricandidarsi. L’ala destra del Parlamento, ed in particolare Fratelli d’Italia, agogna, invece, l’idea di avere Silvio Berlusconi come prossimo Presidente della Repubblica, ribadendo la necessità di avere a Capo dello Stato un «patriota».

 

Il fenomeno tecnopopulista di Draghi

Alcuni giorni fa, il quotidiano americano Politico ha parlato dell’Italia come laboratorio di esperimenti politici e ne ha descritto l’ultima “fuga sperimentale”: il tecnopopulismo.

«Nonostante il termine sia stato originariamente coniato nel 1995 per descrivere il populismo come alimentato dalla tecnologia, da allora ha assunto un nuovo significato: si parla del miscuglio post-ideologico tra governo tecnocratico e politica populista», scrive Politico.
«I tecnocrati e i populisti sono spesso visti come due poli opposti; tuttavia, in una recente pubblicazione, i politologi Bickerton e Accetti hanno sostenuto che – in realtà – tecnocrati e populisti hanno molto in comune: entrambi sono i prodotti dell’affievolirsi delle ideologie di destra e di sinistra, causato da vari fattori (inclusi il ridimensionamento del ruolo dell’appartenenza religiosa ed il crollo dell’Unione Sovietica), che hanno creato l’impressione che ‘non vi sia alternativa’ alla democrazia liberale».

 

(fonte: ilgiornale.it)
L’articolo afferma che questo miscuglio non sia destinato a rimanere un caso isolato alla Penisola, così come fu per l’esperienza del fascismo; anzi, alcuni individuano nel Presidente francese Macron un possibile portabandiera di questa nuova corrente politica.
Ma l’equilibrio minuziosamente costruito attorno alla figura dell’ex Presidente della BCE sarà destinato a durare? Secondo Politico, i partiti ora come ora ritenuti irrilevanti nell’ambito dell’azione politica messa in moto dal Presidente del Consiglio, renderebbero comunque difficile la vita al Governo – se Draghi dovesse essere eletto al Quirinale.
Ma le domande più importanti che seguirebbero ad un’eventuale elezione di Draghi riguardano soprattutto l’attuazione del PNRR e della legge di bilancio, approvata alcune settimane fa, e già oggetto di pesanti contestazioni da parte di sindacati come CGIL e UIL.
Valeria Bonaccorso

 

 

Una Conferenza internazionale per il Mediterraneo. Draghi: “Proteggere i più deboli con corridoi umanitari”

«Proteggere i più deboli anche attraverso la promozione di corridoi umanitari dai Paesi più vulnerabili e rafforzare i flussi legali, che sono una risorsa e non una minaccia per le nostre società», ha affermato il Presidente del Consiglio Mario Draghi nel corso della settima edizione della Conferenza Rome MED – Mediterranean Dialogues, promossa a partire dal 2015 dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e dall’ISPI.

“Un’agenda positiva” per il Mediterraneo

Dal 2 al 4 dicembre 2021 si svolge a Roma in modalità ibrida – con partecipazioni sia fisiche che virtuali, anche attraverso lo streaming –la Conferenza nata per discutere del futuro del partenariato euro-mediterraneo, del ruolo della Nato e dell’Unione Europea nel Mediterraneo. Ed è proprio sul ruolo centrale di quest’ultimo che il Premier, nel proprio intervento, ha ribadito la necessità di un coinvolgimento dell’Unione Europea:

Il Mediterraneo non sia solo il confine meridionale dell’Europa, ma il suo centro culturale ed economico. Serve un maggiore coinvolgimento di tutti i Paesi europei, anche nel Mediterraneo.

Il Rome MED si basa su quattro pilastri: prosperità condivisa, sicurezza condivisa, migrazione e società civile e cultura. Tra gli oltre 50 ministri partecipanti: il Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Luigi Di Maio, nonché i maggiori esponenti dell’Unione Europea (come l’Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, Josep Borrell) e delle Nazioni Unite; si aggiungano il Vice Segretario Generale della NATO Mircea Geoana ed alcune tra le personalità più influenti del Golfo Persico.

Oltre che il ruolo del Mediterraneo, saranno oggetto della conferenza anche i flussi migratori, le elezioni democratiche in Libia, le risorse naturali, la situazione nelle regioni del Maghreb (Africa nord-occidentale che si affaccia sul Mediterraneo) e del Sahel (Africa centrale), il Golfo Persico come perno degli equilibri mediorientali, nonché le tensioni tra Israele e Palestina – la richiesta del Premier Draghi, in questo caso, è di dare nuovo impulso agli sforzi internazionali a favore del processo di pace.

Flussi migratori e il ruolo della Libia

«L’Italia sostiene con convinzione il processo di transizione politica e pacificazione della Libia», ha affermato Draghi nel suo intervento, «Siamo ormai vicini alle elezioni del 24 dicembre: un appuntamento cruciale per i cittadini libici e per il futuro della democrazia nel Paese. Il mio appello a tutti gli attori politici è che le elezioni siano libere, eque, credibili e inclusive».

(fonte: repubblica.it)

La Libia rappresenta uno dei principali attori del Mediterraneo nell’ambito delle missioni di ricerca e soccorso dei naufraghi in mare e della gestione dei flussi migratori. La sua situazione delicata la pone spesso in dibattito con i principali interlocutori dell’Unione, ma soprattutto con le ONG che si occupano del salvataggio dei migranti in mare. Ad oggi, la Libia non ha ancora ratificato la Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati (1951) e sui relativi diritti che dallo status ne derivano. La controversa posizione nell’ambito del rispetto dei diritti umani sembrerebbe poi porla in contrasto con l’art. 3 della CEDU sul divieto di tortura e trattamenti disumani, cui gli Stati dell’Unione sono obbligate a sottoporsi. Dall’impossibilità d’individuare la Libia come zona di sbarco sicuro ne derivano contrasti tra le ONG che rifiutano la giurisdizione di quest’ultima e gli Stati Europei che si affacciano sul Mediterraneo (come Italia, Malta).

Le parole di Draghi sul Golfo Persico

«Nel Golfo Persico, dopo anni di polarizzazione, assistiamo con interesse a nuove dinamiche cooperative. Come Italia abbiamo investito molto sulle opportunità in tal senso offerte dall’EXPO Dubai. Con l’Iran manteniamo un dialogo esigente, ma costruttivo, anche per quanto riguarda la non proliferazione del nucleare. Il nostro impegno in Iraq è rilevante. Contribuiamo al processo di graduale espansione della missione NATO, di cui assumeremo il comando per un anno a partire dal prossimo maggio». In questa zona del Medio Oriente, Russia e Turchia hanno giocato principalmente la carta militare, mentre Pechino ha rafforzato la sua presenza economica, diventando un partner chiave per molti paesi della regione.

Un dialogo difficile con l’Unione

Tra i punti principali dell’intervento del Presidente del Consiglio, anche l’esigenza di una collaborazione tra i Paesi del Mediterraneo che non si limiti ai rapporti bilaterali, né si esaurisca nella gestione delle crisi; ma anche una politica energetica condivisa per favorire lo sviluppo sostenibile. Tuttavia, il tragitto per un aperto dialogo con l’Unione per le questioni di principale interesse del bacino Mediterraneo (soprattutto sulla questione dei flussi migratori) sembra aspro e tortuoso: sono ancora innumerevoli le tensioni avvertiti ai confini con l’Europa dell’Est, ove ancora migliaia di persone sono bloccate al confine tra Polonia e Bielorussia nel tentativo di emigrare verso il territorio dell’Unione. Intanto, la Russia continua ad operare pressioni militari sull’Ucraina.

(fonte: ilvaloreitaliano.it)

Alcuni giorni fa, al forum dell’Unione per il Mediterraneo (UpM) di Barcellona, l’Alto Rappresentante dell’Unione Josep Borrell aveva affermato:

Il Mediterraneo non può essere solo sinonimo di migrazioni, bensì anche uno strumento di cooperazione in quanto rappresenta la porta d’ingresso dell’Africa. Oggi nel Mediterraneo ci sono troppi conflitti e instabilità politica, a volte sembra più una frontiera che separa due mondi con enormi differenze economiche e sociali che non un nesso di unione.

Nella giornata di ieri sono stati infine approfonditi temi strategici come il ruolo dei giovani e delle donne e il loro contributo alla crescita sociale ed economica, il peso economico delle infrastrutture, la complessità della questione migratoria, il ruolo strategico della cyber security, e il contributo della società civile nelle società mediterranee.

Valeria Bonaccorso