USA: ricorrere al Venticinquesimo Emendamento. Sarebbe la prima volta nella storia

Il Governo americano – desideroso di chiudere al più presto questo difficile capitolo della storia americana – sta valutando di dichiarare l’Impeachment o di ricorrere al Venticinquesimo Emendamento della Costituzione, per rimuovere Trump, ma il vicepresidente Pence si mostra contrario.

Il venticinquesimo emendamento, la legge che può rimuovere Trump – Fonte:corriere.it

A due giorni dall’attacco a Capitol Hill, sede del Congresso statunitense, la scorsa serata la speaker della Camera, Nancy Pelosi, e il leader dei Democratici al Senato, Chuck Schumer, hanno sollecitato il vicepresidente a ricorrere al Venticinquesimo Emendamento, che consentirebbe, sia a lui stesso che alla maggioranza di governo di rimuovere il presidente dalla sua carica, per qualunque ragione quest’ultimo non fosse più in grado di svolgerla. L’incarico verrebbe assunto dal vicepresidente. Sarebbe la prima volta nella storia degli Stati Uniti.

Motivazioni

Le principali ragioni che spingono il governo a valutare questa linea di azione, riguarderebbero la responsabilità di Trump nell’aver incitato e sostenuto l’attacco al Congresso. Durante l’insurrezione, il presidente aveva annunciato ai rivoltosi, attraverso la pubblicazione di video nel suo account social, di tornare a casa ringraziandoli per il loro impegno:

“siete speciali, vi vogliamo bene”.

La risposta non è tardata da parte del CEO di Facebook Mark Zuckerberg che tramite un post ha annunciato di sospendere i profili social del Tycoon per almeno due settimane:

“il rischio nel continuare a permettergli di usare i nostri servizi in questo momento è semplicemente troppo grande”

Mark Zuckerberg sospende sine die gli account di Trump – Fonte:adginforma.it

Le decisioni che gli eventi impongono essere immediate, secondo Pelosi, evitano uno “spettacolo horror per l’America”.

Se Pence non approvasse il ricorso a tale Emendamento, i Democratici dichiarerebbero l’Impeachment, sebbene sia una procedura che richiede tempi più lunghi. Le accuse, in tal caso, potrebbero essere quelle di tradimento, corruzione o altri gravi crimini e misfatti.

Bisogna inoltre ricordare che per la condanna del presidente repubblicano è necessaria la maggioranza dei due terzi dei senatori. Quindi, alcuni membri del suo partito lo dovrebbero disconoscere per raggiungere queste quote elevate.

Risposta di Mike Pence           

Pence, dunque, per il momento, non sembra intenzionato ad accettare di ricorrere alla suddetta procedura, sostanzialmente perché per lui equivarrebbe a dover ripudiare quattro anni di governo, attuando, peraltro, una procedura mai usata nella storia degli Stati Uniti. Tutto ciò causerebbe non solo il respingimento per gran parte dell’amministrazione Trump e dei parlamentari Repubblicani, ma genererebbe anche conseguenze e ripercussioni per molti anni.

Ora c’è chi invoca i poteri a Pence – Fonte:avvenire.it

Secondo l’ex consigliere alla sicurezza della Casa Bianca, John Bolton, l’innesco dell’Emendamento sarebbe poco praticabile, perché se Trump scoprisse il progetto di Pence e del governo, potrebbe lasciare la carica prima che possano essere messi in atto le votazioni per la sua rimozione. Questo inoltre, si mostra difficile ad applicarsi per le dimissioni dall’Esecutivo di personaggi come la segretaria ai Trasporti, Elaine Chao, e quella all’Educazione, Betsy DeVos, ostili nei confronti del Tycoon, le cui assenze renderebbero ardua la ricerca della maggioranza.

Risulta perciò chiaro che l’attuazione di entrambi i procedimenti potrebbe, secondo due esperti del Lawfare Blog, “far scatenare la furia e l’azione vendicativa di Trump che genererebbe più danni”.

Nuova Amministrazione

Un secondo video è stato pubblicato dal Tycoon, nel quale presenta un tono molto diverso. Il presidente condanna irremovibilmente le violenze, spiegando che:

“Non rappresentano il nostro paese, e chi ha violato la legge dovrà risponderne. Abbiamo appena superato un’elezione intensa che ha provocato emozioni forti: ma ora i toni si devono abbassare.”

Trump ha, inoltre, dichiarato che si sta lavorando ad una transizione dei poteri ordinata e sicura, facendo trapelare dalla sue parole, per la prima volta, l’accettazione del passaggio ad una nuova amministrazione, ammettendo, dunque, tra le righe di aver perso le elezioni presidenziali.

Si dovrà attendere il 20 gennaio per assistere alla cerimonia di insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca, noto come Inauguration Day. Intanto si attende con molta tensione tale giorno.

I big social bloccano gli account di Trump –Fonte:primaonline.it

Giovanna Sgarlata

USA: Trump pronto a lasciare la Casa Bianca

Donald Trump ha annunciato per la prima volta di essere disposto a lasciare la Casa Bianca, se il Collegio elettorale convaliderà i risultati delle elezioni.

Elezioni Usa, Trump: “Lascio se il collegio voterà Biden”- Fonte:it.finance.yahoo.com

Dopo le elezioni del 3 novembre, il presidente repubblicano ora si avvicina cautamente all’ammissione della sconfitta. Però secondo molti media non dichiarerà mai esplicitamente di aver perso. Si dovrà, comunque, attendere il 20 gennaio per l’insediamento ufficiale alla presidenza di Joe Biden.

Conferenza stampa

Trump ha detto che lascerà la Casa Bianca – Fonte:it.sputniknews.com

Durante la conferenza stampa tenutasi ieri pomeriggio, la prima dopo le elezioni, il Tycoon ha ribadito di non voler accettare la sconfitta, per i “massicci brogli” che hanno influenzato il risultato elettorale:

“Sarà molto difficile ammettere la sconfitta, perché ci sono stati brogli enormi.”.

Insiste sulla “farsa” delle elezioni considerando l’enorme errore che avrebbe commesso il Collegio elettorale se avesse confermato la vittoria del suo sfidante.

“So una cosa, Joe Biden non ha ottenuto 80 milioni di voti.”.

Alla domanda di una giornalista, invece, riguardo l’uscita dalla Casa Bianca, il repubblicano ha risposto:

Certamente lo farò… certamente lo farò, e voi lo sapete.”.

Sono parole importanti e sconvolgenti, che arrivano dopo settimane in cui il Capo di stato si rifiutava di riconoscere la vittoria a Biden, scagliando accuse di frodi prive di fondatezza che non hanno avuto modo di pervenire in aule di tribunali.

In ultimo, si è rifiutato di rispondere al quesito riguardo la sua partecipazione alla cerimonia di giuramento del futuro presidente. Egli si è limitato a non rilevare al pubblico la sua decisione per l’Inauguration Day, bisognerà perciò attendere per saperne di più.

Processo ufficiale

Dal lunedì di questa settimana, si è dato avvio alla transizione di governo. Lo stesso repubblicano, durante le interviste, ha fatto riferimento all’amministrazione dell’avversario e al nuovo gruppo di maggioranza che sta ponendo le basi per un nuovo status presidenziale, che, di certo, non sta avvenendo in acque tranquille.  Il comitato elettorale di Trump, sebbene abbia perso gran parte delle battaglie legali, continua a sostenere che “il tempo non è dalla nostra parte ma i fatti lo sono”, facendo intendere che le prove accusatorie dei brogli elettorali possano giungere prima dell’insediamento alla presidenza del nuovo presidente, se solo vi fossero indagini appropriate. La realtà mostra uno scenario nettamente differente: negli stati in bilico come la Pennsylvania, il Michigan e la Georgia la vittoria dell’ala democratica è stata già ampiamente confermata. Risulta evidente che il conflitto posto in essere dai repubblicani sia non solo infondato, ma anche giuridicamente debole.

Usa: Biden organizza il tuo team – Fonte:vaticannews.va

Nella turbolenza degli animi, intanto, Joe Biden ha finalmente avuto accesso a file, finanziamenti e riceve briefing dai servizi di intelligence statunitensi, avendo perciò ingresso ai grigi dati della pandemia da Covid-19 e all’avanzamento dei diversi progetti di vaccinazione.

Risultati del Collegio elettorale

Il 14 dicembre si terrà la riunione del Collegio elettorale, aggregato nei singoli Stati, in cui i grandi elettori saranno tenuti ad esprimere il proprio voto per il candidato alla presidenza e alla vicepresidenza. I risultati della votazione verranno trasmesse dagli Stati al Senato con sede a Washington entro il 23 dicembre. Le schede, riposte dentro delle casse di mogano, saranno conteggiate formalmente il 6 gennaio dal Congresso riunito in sessione plenaria e presieduto dal vicepresidente Mike Pence, il quale certificherà definitivamente il vincitore. Si dovrà, dunque, attendere il 20 gennaio, per la nomina ufficiale alla presidenza.

Elezioni americane –Fonte:ilpost.it

Giovanna Sgarlata

Il Time sceglie i giornalisti come persone dell’anno

Il famoso settimanale americano ha annunciato la copertina dedicata alla “persona dell’anno” edizione 2018.

Il fatto curioso ed insolito è che ad essere protagonisti della prima pagina della rivista quest’anno sarebbero un gruppo di giornalisti, definiti “guardiani della verità”.

Professionisti dell’informazione presi di mira proprio perchè avrebbero svolto con zelo il proprio mestiere, offrendo un concreto e preziosissimo contributo per lo svelamento di verità scomode.

Tra loro c’è anche Jamal Khashoggi, il giornalista saudita ucciso nel consolato di Istanbul a Ottobre, e per il quale si è sfiorata una grave crisi diplomatica internazionale.

E’ la prima volta che il Time sceglie una persona morta per la sua copertina della persona dell’anno, “ma è anche la prima volta che l’influenza di una persona cresce in modo così considerevole dopo la sua morte”, ha spiegato la redazione del gruppo editoriale.

Gli altri “volti copertina” premiati sono la direttrice del sito di informazione online filippino Rappler, Maria Ressa, sottoposta a censure e minacce da parte del regime di Duterte.

La redazione della Capital Gazette, il giornale di Annapolis negli Stati Uniti che nel giugno scorso è stato oggetto di un attacco terroristico in cui hanno perso la vita cinque giornalisti.

E infine i giornalisti birmani della Reuters Wa Lone e Kyaw Soe Oo, contro i quali è stato architettato un processo farsa, con accuse farlocche fabbricate dal regime, conclusosi dopo un anno di carcerazione preventiva con una condanna ad altri sette anni di prigione per violazione delle leggi sulla segretezza.

“Studiando ed analizzando le scelte per il 2018 ci è parso chiaramente come la manipolazione e l’abuso della verità siano stati il comune denominatore di tante delle più grandi storie dell’anno”, ha detto il direttore della rivista Edward Felsenthal.

I “Guardiani del’informazione” hanno preceduto Donald Trump, in corsa per la seconda volta dopo la copertina del 2016 e secondo classificato.

Al terzo posto il procuratore speciale Robert Mueller: a giudizio di Felsenthal “quest’anno era troppo presto, ma per come stanno andando le cose potrebbe toccare a Mueller la copertina della Persona dell’Anno 2019”.

Un pò di consolazione e rispetto meritati  per una categoria lavorativa, troppo spesso bistrattata e violentata, che fa della propria professione una missione di vita ed uno strumento fondamentale nelle dinamiche della società moderna iper-connessa, ma umanamente lontana più che mai.

Antonio Mulone

Comincia il conflitto economico. La vendetta del made in USA e la Cina bullizzata

È guerra commerciale tra Cina e Usa. Un botta e risposta, attacco e contrattacco, iniziato proprio oggi, nelle prime ore del 6 luglio 2018. Una data che sembra solo l’inizio di un escalation al rialzo. Tra import ed export, i colossi industriali mondiali hanno alzato un muro di dazi ed il gioco delle parti avrebbe affidato a occidente la parte del cattivo, il “bullo”, e ad est la vittima bullizzata.

O meglio sarebbe stata la Cina stessa a volersi prendere questo ruolo, non scevra di colpe. In maniera del tutto insolita ma non priva di significato, Pechino ha infatti rinunciato a «sparare il primo colpo», non ha voluto far scattare i dazi alla sua mezzanotte, dove il fuso orario avrebbe dato alla Cina la possibilità di muoversi per prima; il governo ha ordinato di aspettare fino a mezzogiorno ora locale, la mezzanotte di Washington (le 6 del mattino in Europa). Una mossa che starebbe a dimostrare la riluttanza di Xi Jinping a impegnarsi in un conflitto commerciale.

Proprio al contrario di Donald Trump, che questa guerra sembra volerla con tutte le sue forze, convinto di poter piegare la Cina, senza però – siamo abituati ai paradossi del tycoon- compromettere «la grande relazione personale» che lega i due colossi dell’economia mondiale.

Washington, accusa la Cina di furto di know-how americano (ed europeo) in preparazione del suo piano Made in China 2025 per la supremazia tecnologica soprattutto per quanto riguarda l’hi-tech.

«La situazione dell’interscambio tra i nostri due Paesi non è più sostenibile. Gli Stati Uniti non possono più tollerare il furto di tecnologia e proprietà intellettuali da parte della Cina», ha detto Trump.

Dazi del 25% su 818 prodotti cinesi – meno dei 1300 annunciati – per un controvalore di 34 miliardi di dollari. Dai veicoli elettrici ai torni industriali impiegati dalle fabbriche negli Stati Uniti. Sono graziati gli smartphone, per non danneggiare la Apple, che conta sulle catene di montaggio cinesi per assemblare i suoi gadget.

Il contrattacco è arrivato, poi, dalla Cina che ha già preparato una lista di altri 700 prodotti per colpire proprio quella fetta di repubblicani che stanno con Donald: campo agricolo-alimentare, automobilistico e del petrolio grezzo,

Il presidente americano, non curante delle dichiarazioni della Repubblica Popolare, avverte che nel mirino ci sono già altri 300 miliardi di beni da colpire, l’intero export di beni e servizi da parte della Cina verso gli Stati Uniti.

Il Ministero del Commercio di Pechino ha definito l’atteggiamento americano un vero e proprio «Bullismo economico» che può mettere a rischio la catena industriale globalizzata e la ripresa mondiale.

Intanto, alla stampa cinese è stato ordinato di tenere bassi i toni: in una velina ministeriale si specifica che «Bisogna prepararsi a un conflitto prolungato»: non si dovranno rilanciare gli attacchi verbali di Trump, non far scadere il confronto nella volgarità su Twitter e bisognerà riprendere le dichiarazioni rassicuranti delle autorità di Pechino per sostenere la Borsa.

Un conflitto dell’interscambio che molti prospettano come lungo e “di trincea”. L’amministratore delegato della Dell, la nota multinazionale americana dei computer e sistemi informatici, ha già parlato di «MAD», Mutual assured destruction.

Sì, quella stessa distruzione assicurata di cui si parlava negli anni della Guerra Fredda.

Che a questo punto potremmo dire che non si sia mai conclusa.

Martina Galletta

L’ascesa di Trump e l’ombra del populismo mondiale

Chi mi conosce sa della mia passione per la politica e in particolare del mio grande interesse per quella anglosassone ed americana. Nazioni che fino ad oggi hanno sempre combattuto per gli ideali di partito, i quali erano nettamente differenziati.
L’evoluzione storico politico degli USA nell’ultimo decennio è palese anche agli “atei” di politica, dalla presidenza Bush a quella Obama le differenze sono enormi.
A questo punto mi si direbbe “Ma com’è possibile che siano passati a Trump dopo l’amministrazione Obama?”. Vi rispondo che l’America era e rimane un paese contraddittorio, dove da un lato, i diritti LGBT e delle adozioni sono estesi come in nessun altro paese, e dall’altro un ragazzo di 16 anni può comprare con più facilità una pistola che un pacchetto di sigarette.

Premetto dicendo che ero una sostenitrice di Bernie Sanders e in questo mio flusso di coscienza cercherò di essere il più razionale possibile.

E’ da 18 mesi che seguo attentamente queste elezioni, con i suoi discorsi bellissimi (Michelle Obama si è dimostrata una delle migliori oratrici dei nostri tempi, superiore anche al marito, a mio modesto parere) e grandi mancanze di rispetto per l’avversario e il popolo americano.
Entrambi i candidati non hanno fatto che attaccarsi, o meglio, uno attaccava nel 95% dei casi, l’altra parava e cercava di parlare del programma.
La sconfitta di Hillary Rodham Clinton ci arriva come un pugno dritto in faccia. In buona parte del mondo ci si auspicava una sua vittoria, anzi, si era certi. Siamo stati tutti offuscati dalla speranza che il popolo americano seguisse il buonsenso piuttosto che la vendetta.
Sì, credo che ci si è voluti tutti coprire in parte gli occhi sul movimento che sta segnando il mondo e ha avuto la meglio anche in USA. Si è così mossi da un desiderio di cambiamento radicale che si preferisce scegliere una persona totalmente fuori dal contesto politico piuttosto che una preparata e di lunga esperienza.
E’ un movimento globale, guardiamoci attorno in Europa: la LePen in Francia, i movimenti nazi in Germania, la Slovenia sono solo quelli più sentiti. Non dimentichiamoci la Brexit.
Lo si può chiamare populismo, come fanno in tanti, ma credo che vada ancora più in profondità come movimento, è una insoddisfazione del mondo che abbiamo costruito unita all’egoismo ed indifferenza. Alcuni l’hanno definita “crisi del modello democratico”.
La sconfitta della Clinton è figlia di un sentimento simile , un voto “contro” il sistema, contro il continuum della politica di Obama, contro una persona dell’establishment politico storico degli USA.
C’è una caratteristica genetica degli americani: non perdonano chi mente. Non hanno perdonato Hillary né per questo né per essere stata sempre una donna fuori dal comune.

L'abbraccio tra Barack Obama e Hillary Clinton, candidata ufficialmente dal partito Democratico alla presidenza sul palco della convention del partito a Philadelphia, 27 luglio 2016 (AP Photo/Carolyn Kaster)
L’abbraccio tra Barack Obama e Hillary Clinton, candidata ufficialmente dal partito Democratico alla presidenza sul palco della convention del partito a Philadelphia, 27 luglio 2016
(AP Photo/Carolyn Kaster)

Perché questo è la Clinton, una donna cresciuta nel pieno del movimento femminista, indipendente nelle scelte e concreta nell’agire. La sua esperienza politica risale alla commissione di inchiesta del Watergate in cui era l’unica donna, insomma possiamo dire che la “cosa comune” è il suo pane quotidiano da sempre.
E’ vero in politica estera è stata spietata, probabilmente lo sarebbe stata anche nel caso in cui avesse vinto.
Molto meglio una donna così che un uomo che di politica conosce ben poco (vorrei segnalarvi il secondo dibattito tv di ottobre dove la Clinton ha dovuto ricordare a Trump che il presidente degli Stati Uniti ha il potere di veto) ed è stato appoggiato pubblicamente dalla maggioranza dei dittatori che ci sono ora al mondo.
Il fenomeno Trump avrebbe dovuto mettere tutti sull’attenti già da molto prima, il limite doveva essere la sua vittoria schiacciante come candidato repubblicano. L’episodio di “grab by the pussy”. La quantità di donne che lo hanno appoggiato nonostante il suo sessismo. Nessun candidato della storia sarebbe sopravvissuto agli scandali che hanno travolto Trump durante questa corsa alla Casa Bianca: insulti ai genitori di un soldato morto per la patria, l’evasione fiscale.
L’appeal di Donald è che parla alla pancia, alla metà dell’elettorato statunitense: scarsa educazione, età media e bianchi. Mettici insieme coloro che provano risentimento nei confronti della Clinton e il gioco è fatto.
Tutti gli elementi con i quali, fino ad ora, si erano analizzate le candidature da anni a questa parte si sono dimostrati inutili ed inesatti.

L’America, nel bene e nel male, aveva l’opportunità di eleggere una persona iper qualificata, che chiunque avrebbe invidiato. Un personaggio storico (perché questo sarà Hillary negli anni a venire) di quelli una volta ogni cent’anni.

Le conseguenze di questa elezione si fa sentire dalla prima mattina con la borsa asiatica che perde il 5,37%. L’economista e premio Nobel Paul Kraugman scrive sul NYT che non ci sarà mai un recupero dell’economia dopo questa elezione.

Per concludere cosa si palesa davanti a noi come conseguenza di queste votazioni? Che la popolazione è stata mossa dal rancore, soprattutto i bianchi degli stati centrali, che hanno fatto la vera differenza. L’Ohio storico swing state è stato addirittura un “flip state” cioè c’è stata una schiacciante vittoria di Trump.

Oggi è il 9 novembre, esattamente 27 anni fa un muro veniva abbattuto e ciò segnava un momento storico per l’Europa, dimostrando che la voglia di unità popolare era più forte di tutto.
La Clinton ha usato come slogan della sua campagna “Stronger together” , Trump nel suo discorso dopo la vittoria ha affermato che sarà il presidente di tutti (scelta astuta, ma la gente non ha memoria breve soprattutto per le offese) e ha aperto alla collaborazione internazionale con qualunque nazione.
Il mio auspicio, perché sono una instancabile speranzosa, è che creerà un governo misto, improbabile visto il personaggio che è il suo Vice (uno che vuole curare gli omosessuali con l’elettroshock, insomma torniamo all’USA degli anni 50/60) ma ci spererò fino al 20 gennaio.
Speriamo anche che la profezia dei Simpsons non si avveri (http://video.repubblica.it/dossier/elezioni-usa-2016/elezioni-usa-quando-i-simpson-predissero-nel-2000-l-elezione-di-trump/258567/258860 )

Da tutta questa storia ho riflettuto anche sulla nostra situazione nazionale, e mi sono quasi rinfrancata della presenza di Matteo Renzi in Italia.
Il mio auspicio è di non fare errori simili il 4 dicembre perché la differenza fra leader che parlano alla “pancia del popolo” è veramente labile e le conseguenze sono disastrose.
Accettiamo l’andamento della storia e guardiamo avanti. Oggi siamo tutti uniti da un unico sentimento di timore per il futuro ma la bellissima caratteristica dell’umanità è la capacità di rialzarsi dai momenti bui e porre un rimedio agli errori.

Con l’auspicio di non essere sembrata saccente.

Buona giornata a tutti.

Arianna De Arcangelis