Excalibur

S’espande in me
l’ombra dell’anima mia.
Col buio mi confonde,
non riesco a vederla
eppur la sento
nel petto mio, arso.

Cuore mio cosparso
di pietra, catrame.
S’insinua in lui
Amore come Excalibur,
ne la roccia vuol rimanere
e non oso estrarlo.

Lama che taglia e cuce
la ferita sanguinante,
Torace in fiamme.
Sarà acqua o resina
A sgorgare da la roccia?
Forse solo lacrime.

Lascerò che la spada mi trafigga.


Silvia Bruno

L’umanità e il ciclo della guerra

L’Insegnamento del Dolore

 

Fonte: https://www.elconfidencial.com/cultura/2018-10-23/robert-capa-fotografia-segunda-guerra-mundial-frank-scherschel_1634364/

 

L’essere umano, sin dai suoi albori, ha vissuto l’atrocità della guerra come un marchio indelebile sulla propria storia. 

Le cronache antiche raccontano di battaglie sanguinose e conflitti che hanno segnato il destino di intere civiltà.
Da Omero, che nella “Iliade” descrive il dolore e la perdita di vite umane, a Tolstoj, il cui “Guerra e Pace” offre una riflessione profonda sulla condizione umana in tempo di conflitto. La letteratura ha sempre cercato di catturare l’essenza della sofferenza causata dalla guerra.

Eppure, la storia sembra ripetersi.
Le attuali guerre in Ucraina e Palestina riaccendono la discussione su quanto, realmente, abbiamo imparato dal nostro passato.

Il sangue versato nel corso dei secoli potrebbe suggerire che, in effetti, l’umanità tende a ripercorrere gli stessi sentieri di violenza. L’atroce ciclo della guerra sembra non avere fine, e ci si chiede: perché l’uomo continua a imporsi con violenza?

La risposta è complessa e affonda le radici nella nostra natura.

Come scrisse Erich Fromm, “l’uomo è un animale sociale, ma è anche un animale aggressivo”.

Questa dualità ci porta a esplorare le ragioni che spingono le nazioni e i popoli a risolvere le proprie divergenze attraverso l’uso della forza. L’umanità, anziché apprendere dalla sofferenza, sembra a volte rimanere intrappolata in un ciclo di vendetta e ritorsione.

Il conflitto in Ucraina e la situazione in Palestina evidenziano il dramma di popoli oppressi e combattenti, ognuno con le proprie ragioni, le proprie sofferenze, ma anche le proprie speranze. La questione è se, davanti a tanta desolazione, si possa davvero intraprendere un percorso di dialogo e comprensione reciproca.

Gandhi, con la sua filosofia di non violenza, ci ricorda che “la vera forza non consiste nel colpire, ma nel resistere alla tentazione di farlo”.

Eppure, la tentazione è spesso irresistibile.

Il dolore e la perdita che derivano dalla guerra hanno la capacità di risvegliare in noi una compassione profonda, ma il rischio è quello di trasformare questa empatia in una reazione di difesa e aggressività.

L’insegnamento del passato, quindi, non dovrebbe essere solo un monito, ma un’opportunità di riflessione.

Come scrisse Primo Levi, “se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”, perché solo attraverso la conoscenza possiamo sperare di spezzare il ciclo della violenza.

Fonte: https://glamourdaze.com/2018/05/heroic-hardass-women-of-ww11.html
Fonte: https://glamourdaze.com/2018/05/heroic-hardass-women-of-ww11.html

Abbiamo la responsabilità di guardare alla storia non solo come un catalogo di atrocità, ma come un insieme di lezioni da apprendere. Ogni conflitto, ogni guerra, dovrebbe insegnarci a cercare alternative alla violenza, a promuovere il dialogo e la pace.

La vera sfida è quella di trasformare il dolore in comprensione, di utilizzare la sofferenza come carburante per costruire ponti anziché muri.

In questo momento critico, in cui la guerra continua a mietere vittime, è fondamentale che l’umanità si fermi a riflettere.

Dobbiamo chiederci: cosa abbiamo imparato? Possiamo costruire un futuro in cui la guerra non sia più una risposta?

La risposta è nelle nostre mani. Solo attraverso il dialogo e la comprensione reciproca possiamo sperare di superare il passato e costruire un mondo in cui il sangue versato non sia stato vano, ma diventi il seme di una nuova era di pace e coesistenza.

 

Soldato in guerra Fonte: https://cherrieswriter.com/bdf1c94a093ab348eec161f2057bfd14/
Fonte: https://glamourdaze.com/2018/05/heroic-hardass-women-of-ww11.html

Nel cuore dell’Europa, dove la storia è costellata di cicatrici profonde, la nostra società si trova oggi di fronte a una sfida cruciale: la difesa dei diritti umani.

Gli eventi che hanno segnato il Novecento ci ricordano che il sangue versato per la libertà non deve essere dimenticato. Ogni passo indietro in termini di diritti civili è un passo verso l’oscurità, un’involuzione che nessuno di noi può permettersi.

In un momento in cui il mondo sembra essere lacerato da conflitti e divisioni, l’Italia deve essere un faro di speranza.

Dobbiamo rispondere all’odio con l’amore, alla paura con la compassione. Ogni persona merita di essere ascoltata, ogni storia merita di essere raccontata. Non possiamo lasciare che la narrazione sia dominata dalla disumanizzazione e dall’indifferenza.

Riflettiamo, dunque, sulle nostre scelte e sul futuro che vogliamo costruire.

L’umanità ha pagato un prezzo altissimo per i diritti che oggi diamo per scontati. Non dimentichiamo, non voltiamo le spalle. Lottiamo insieme per un’Italia che rappresenti davvero tutti, dove il rispetto e la dignità siano i pilastri su cui costruire la nostra società. La nostra voce è potente; usiamola per promuovere la pace e i diritti di ogni individuo.

Radici di cemento

Aveva solo un braccio davanti, una mano da studiare attraverso il percorso sbiadito di vene ancora coperte.

La sua stanza si trovava al centro esatto di Torino, dal suo edificio si diramavano vie sempre piene, case ornate di urla, camere dove i sogni si accatastavano.
Il sole stava per scomparire, ma teneva la luce spenta. Le sue mani divenivano meno nitide e stavano già iniziando a mischiarsi all’oscurità. Quanto era grande in quel momento il letto su cui sopravviveva, simile a un gomitolo inanimato.
Si assopì, ma dentro aveva un ammasso che proiettava nella mente dormiente mostri neri. Si svegliava a occhi chiusi e senza respiro. Così per un paio di volte fin quando non arrivava l’ora di avviarsi verso il luogo di lavoro.
Accarezzò un cane solitario che ormai era diventato suo amico. Ogni giorno si salutavano e pareva che ciò, in qualche modo, li legasse.
Finita la giornata lavorativa si rese conto di non aver fatto abbastanza. La sua trasformazione in macchina non riusciva ad avvenire, la pelle era ancora troppo morbida e fragile. Dentro aveva qualcosa che da sempre cercavano di strappare. Parlavano di una certa sensibilità, ma chi era questa presenza, questa intrusa, che non permetteva di spegnersi e lavorare? L’avrebbe soppressa con piacere, ma non riusciva mai a staccarsela di dosso. Ucciderla significava suicidarsi.

Adesso camminava con gli occhi rivolti verso il basso, mentre ripensava a ciò che non aveva saputo fare. D’improvviso sentì un colpo alla gola e si ritrovò ad essere un tutt’uno con le strisce pedonali che stava attraversando. Si fermò non riuscendo più a comandare le gambe.
Poi vide il nero dell’asfalto lasciare la strada e risalire dai piedi, scalare le gambe fino allo stomaco. Sentì un forte dolore che partiva dalle caviglie e guardando in giù si accorse con orrore che la sua pelle si stava spaccando. La pece nera squartava persino i muscoli e si infilava con prepotenza. Il sangue scivolava su ciò che rimaneva della sua epidermide e scendeva a bagnare la terra.
Era difficile quantificare il dolore che stava provando. Avrebbe voluto allungare le mani e chiudere quegli squarci, ma non riusciva a muoversi, a stento spostava gli occhi per fargli avere una panoramica di quello spettacolo raccapricciante.
Dalle mani, poi, iniziò ad assorbire il fumo dell’aria e, quando le persone iniziarono a intimare di spostarsi con vari insulti, aspirò anche le loro parole e se le chiuse nel petto. Chissà se si erano accorti di come anche la loro oscurità si era riversata come un fiume di fango al suo interno. In ogni caso non lo diedero a vedere. Urlarono e, poi, si sentirono meglio. Presi di premure e ansie attesero che se ne andasse per tornare di corsa alle loro abitazioni o a lavoro alla ricerca di qualcun altro cui buttarsi addosso.

Tornò a casa e quel nerume, che prima circolava lungo il corpo, si rintanò nel cervello. Lì girava viscido e vomitevole.
Eventi di questo tipo erano del tutto nuovi, ma non rimasero tali per molto. Iniziarono a susseguirsi in modo periodico, senza preavviso.
La sua vita aveva subito un grosso cambiamento, ma col tempo iniziava ad abituarsi a quella nuova routine fin quando non avvenne, nuovamente, qualcosa di inaspettato.

In uno dei suoi giorni liberi decise di fare una passeggiata. Si ritrovò in una campagna verde ed estesa. Il manto di piante copriva una terra viva, piena di insetti e microsistemi.
Il sole rendeva il colore di quella rigogliosa natura brillante e riscaldava tutto, senza bruciarlo. Più in fondo un ruscello violento correva e a ogni sconto con i sassi che lo percorrevano le sue acque saltavano e si dividevano.
Mentre si guardava intorno finì ad osservare le sue mani da dove un fumo nero usciva propagandosi come nebbia.
Un desiderio si fece strada nella sua mente, la voglia di spaccare la sua stessa pelle ed abbracciare, infine, la libertà. La brama di smettere di essere non era più accompagnata dalla paura della fine. Adesso opporsi era impensabile.
Si accasciò con fiumi di una sostanza verde che dipartivano dai suoi occhi. La sentiva uscire come lacrime e mentre un sorriso disperato si allargava sul suo volto stravolto l’euforia gli scorreva dentro.
Strappò tutto, qualsiasi bacio fosse stato depositato sulla sua pelle, ogni carezza e schiaffo. Dai suoi polsi uscì uno spruzzo della stessa sostanza, le gambe erano ormai completamente dilaniate. Non vi era più nulla di umano in quella creatura che si contorceva, il cui volto e corpo erano completamente coperti di quella sostanza indefinita che si muoveva scorrendo. Avvolse la carne da cui in origine era uscita, si insinuò nelle narici e nella gola; coprì i capelli e si diramò in foglie che pendevano verso il basso. Quello che prima era un corpo divenne un tronco, i suoi piedi scesero a scavare la terra alla ricerca di acqua, una chioma copriva tutto.

Da allora quella collina venne abitata da una nuova presenza. Era nata dal dolore, ma adesso donava ombra nelle calde giornate estive ed era il rifugio di chi stanco fuggiva dalla vita.
Ogni giorno un cane veniva a far visita a quella pianta e, l’uno accanto all’altro, riposavano per sempre.

Alessia Sturniolo

*immagine in evidenza: illustrazione di marco castiglia

Ciò che noi siamo

Maggio, che a tutti porti consiglio
A me hai portato consapevolezza
Di star vivendo qualcosa di inaspettato
Con in pancia un respiro spezzato
Pensando di non essere all’altezza
Convincendomi con un tuo piccolo bisbiglio
Che noi siamo ciò che si scrive
Ciò che si cela dietro ogni canzone
L’intenzione di ogni artista che crea
Che vuole dipingere una marea
Ma alla fine dipinge un’emozione
Che prova solo chi l’amore vive.

Francesco Pullella

Sindrome dell’arto fantasma: la percezione della “non” perdita

Il corpo ha una memoria infallibile, riesce a ricordare la sensazione di gambe e braccia anche quando non ci sono più. Si chiama “sindrome dell’arto fantasma“.

1. Cos’è

2. Dolore fantasma

3. Plasticità cerebrale

4. L’aiuto delle protesi

5. Studi

6. Terapia dello specchio

7. Trattamento

Cos’è?

La sindrome dell’arto fantasma è la sensazione di persistenza di un arto che è stato amputato o che ha perso la sensibilità. Si manifesta con percezioni tattili e dolorose e spesso coloro che ne soffrono affermano di sentire l’arto muoversi, anche se non è più presente. In passato era identificata come un disturbo psichiatrico; oggi invece, le spiegazioni sono di natura neurologica.
Le persone che descrivono più spesso la sensazione fantasma sono quelle sottoposte ad amputazione di un arto, ma il fenomeno può anche manifestarsi in pazienti con perdita sensoriale, dovuta a lesione del midollo spinale, dove la sensibilità normale è assente. La descrizione prevalente della sensazione fantasma è quella di un lieve formicolio o tensione e corrisponde alla descrizione del paziente in termini di presenza di ‘spilli e aghi’.
Sebbene tutti gli amputati percepiscano sensazioni fantasma che raramente rappresentano un problema clinico, alcuni fra di loro riferiscono un dolore severo nella parte di corpo non più presente che può essere estremamente difficile da trattare.

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Dolore fantasma

Il dolore fantasma è la sensazione di dolore a un arto, organo o altro tessuto dopo l’amputazione e/o la lesione del nervo. I pazienti lamentano varie sensazioni tra cui bruciore, cambiamento di calore e sensazione di freddo nell’area amputata e dolore lancinante.
Esso può essere intensificato da determinati tipi di clima, dall’esposizione al freddo o dallo stress emotivo e può variare per intensità, frequenza, durata degli episodi e tipo di dolore sperimentato.
La sua insorgenza non è rara e la gestione nel tempo diviene sempre più problematica, con ovvie ripercussioni sullo svolgimento delle attività di vita quotidiana e sulla qualità di vita.

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Plasticità cerebrale

La causa della sensazione fantasma che caratterizza i soggetti affetti da questa sindrome sarebbe da ricercare nel processo adattivo attraverso il quale il cervello si riorganizza, cioè nella plasticità cerebrale.
L’amputazione è un modello particolarmente rilevante per lo studio della plasticità, poiché combina due fattori principali della riorganizzazione: deprivazione sensoriale e comportamento motorio adattivo. Dopo la perdita della mano, semplici attività quotidiane, come allacciarsi le scarpe, diventano una sfida che le persone devono imparare a superare.

L’aiuto delle protesi

Il fenomeno fantasma è un noto esempio della differenza tra consapevolezza corporea e schema corporeo.
Si è scoperto che sia dal punto di vista della configurazione che da quello funzionale, indossare una protesi aiuta a mantenere uno schema corporeo in cui l’arto fantasma rimane simile a quello intatto. Questo è necessario per eseguire correttamente i movimenti. Sebbene l’amputato possa vedere la protesi e percepisca l’arto mancante, non lo considera proprio poiché è consapevole della perdita.

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Studi

Da quando questa sensazione è stata descritta per la prima volta dal chirurgo militare francese Ambroise Pare nel XVI secolo, il numero di studi sul dolore dell’arto fantasma è aumentato ogni anno. Soprattutto negli ultimi decenni, gli scienziati hanno raggiunto una migliore comprensione del meccanismo e del trattamento.
Fisher ( 1986 ) definisce l’ immagine corporea come “l’immagine del nostro corpo“. Si riferisce al corpo come un’esperienza psicologica che include le nostre emozioni e atteggiamenti, sviluppati attraverso la nostra esperienza, verso il nostro stesso corpo.
Un buon esempio della differenza tra consapevolezza corporea e schema corporeo è il fenomeno fantasma, in cui l’individuo sente il proprio arto perduto come reale nonostante sia consapevole di essere stato amputato.

Terapia dello specchio

Ramachandran e Hirstein ( 1998 ) affermano che il feedback visivo ha un ruolo importante nella percezione degli arti fantasma. È stata creata una “scatola della realtà virtuale” per i pazienti privi di fenomeni fantasma.
La terapia dello specchio si riferisce all’uso del principio di imaging a specchio piatto per copiare l’immagine del lato sano sul lato interessato e lasciare che il paziente immagini il movimento del lato interessato. Attraverso l’uso di illusioni ottiche, feedback visivo e realtà virtuale, la terapia dello specchio si è rivelata un trattamento efficace. Il paziente posiziona l’arto sano su un lato con l’immagine speculare che funge da arto mancante. Questo miraggio induce il cervello a credere che l’arto amputato sia tornato. Lo specchio all’interno della scatola rifletteva i movimenti dell’arto intatto come un’illusione dell’arto perso. Questa percezione non si è verificata senza lo specchio.
Alcuni degli studi hanno scoperto che la terapia dello specchio si basa sui neuroni specchio.

https://i2.wp.com/www.pianoinclinato.it

Trattamento

Una prevenzione di comprovata efficacia del dolore dell’arto fantasma ancora non è possibile. Seppure in assenza
di evidenze certe, esso può essere trattato combinando interventi farmacologici e non farmacologici.
I trattamenti comprendono la farmacoterapia, la terapia adiuvante e l’intervento chirurgico. Ci sono una varietà di farmaci tra cui scegliere, tra cui antidepressivi triciclici, oppioidi e FANS, ecc.
La terapia adiuvante comprende la stimolazione nervosa transcutanea (TENS), la terapia dello specchio, il biofeedback, la terapia elettroconvulsivante, l’agopuntura e il massaggio, ecc.
La stimolazione nervosa transcutanea si è dimostrata utile per ridurre il dolore dell’arto fantasma. I trattamenti chirurgici non vengono spesso utilizzati a meno che tutti gli altri trattamenti non abbiano fallito.

https://www.biopills.net

                                                      Ludovica Dibennardo

Per approfondire:

https://journals.sagepub.com/doi/10.1080/03093640802024971?url_ver=Z39.88-2003&rfr_id=ori:rid:crossref.org&rfr_dat=cr_pub%20%200pubmed

https://italianjournalofnursing.it/caratteristiche-valutazione-e-trattamento-del-dolore-dellarto-fantasma/

https://www.neurosystem.it/arto-fantasma-e-plasticita-cerebrale/

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC6354174/

Pieces of a woman: tra arte e dolore

Vanessa Kirby suprema nel trasmettere al pubblico il dolore di una madre – Voto UVM: 4/5

Continuiamo la nostra rassegna sugli Oscar con la pellicola Pieces Of a Woman disponibile su Netflix e diretta da Kornél Mundruczó. Stavolta non tratteremo la categoria “miglior film”, bensì quella “miglior attrice protagonista”: infatti la splendida Vanessa Kirby è in gara per l’ambita statuetta con altre grandi attrici. Il suo talento e la sua interpretazione l’hanno portata fino al più famoso red carpet al mondo: il film è stato infatti presentato per la prima volta alla settantasettesima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia dove la Kirby si è aggiudicata il premio per la miglior interpretazione femminile

Trama

Chi se ne importa cosa pensano? Si tratta di me. Si tratta della mia vita.

Il film si apre con la stagione autunnale e  racconta la storia di una donna di nome Martha (Vanessa Kierby) che assieme al suo compagno di nome Sean (Shia LaBeouf) sta aspettando il suo primo figlio o – in questo caso –  figlia. Martha, ha deciso che il lieto evento sarà a casa, lontano dal “bianco” dell’ospedale.

Vanessa Kirby e Shia LaBeouf in una scena del film. Fonte: screenmovie.it                           

I due futuri genitori si sono affidati a una levatrice di nome Barbara, ma quest’ultima non si presenterà e manderà una sostituita di nome Eva (Molly Parker). Da quel momento in poi il film assume una piega inaspettata; si percepisce tensione: lo spettatore è proiettato all’interno della stanza accanto ai protagonisti, ma allo stesso tempo si sente come se fosse costretto a guardare senza far nulla.

 Martha comincerà a sentire dolore ed una forte nausea ed Eva noterà che il battito cardiaco della bambina è sceso. Sean e Eva insistono per andare in ospedale, ma Martha è ferma sulla sua scelta e il parto continua a casa. Darà alla luce una bambina: lo spettatore dall’altro lato dello schermo sorride! Attimi dopo però la neonata diventa blu ed Eva cercherà di rianimarla, ma sarà tutto inutile e poco dopo la bambina morirà per arresto cardiaco.  

E non posso farla tornare.

Da quel momento in poi  Martha e Sean percorreranno un tunnel di cui non si intravede la fine, ma solo dolore e angoscia: pian piano cominceranno ad allontanarsi l’uno dall’altra, il loro amore si trasformerà in un odio profondo e finiranno per detestarsi. La perdita profonda si intreccerà con l’egoismo dei familiari che, invece di aiutare, abbatteranno ancor di più Martha, trattando il suo dolore con mera sufficienza. 

In campo clinico certe cose sono un mistero.

Ormai lontana da tutto e da tutti, Martha  dovrà uscire da sola da quella sofferenza disumana.

Martha isolata da tutti. Fonte:s.yimg.com                 

Tra arte e  simbolismo

Il film è accompagnato da tre simboli: la mela, le stagioni e il ponte.

Il ponte rappresenta l’inizio e la fine del film ma, in special modo, l’accettazione della perdita della bambina: difatti in una scena del film vedremo Martha che spargerà le ceneri della sua piccola bimba proprio da un ponte. Proprio qui si comprende che non si può rimanere aggrappati al passato e al dolore, sebbene a quest’ultimo non si può porre fine, ma soltanto cercare di accettarlo.

A volte la forza della risonanza può far cadere anche un ponte.

La mela rappresenta la maternità, che la nostra Martha non ha potuto vivere a  360 gradi. In una scena del film vediamo la protagonista che percorre il reparto di un supermercato e la sua attenzione è rivolta verso le mele: le esamina e le osserva con attenzione. Tantissime sono poi le scene in cui la vediamo mangiare il frutto fino al torsolo fino a conservanee i semi e decidere di farli germogliare: l’operazione finale avverrà con l’accettazione del lutto.

Martha con una mela in mano. Fonte: metropolitanmagazine.it

Le stagioni saranno un nodo fondamentale per tutto l’arco temporale dell’opera: difatti il film inizia con l’autunno che rappresenta la morte, poi arriverà l’inverno che rappresenta la depressione (infatti  vedremo Martha e Sean ormai lontani e freddi fra di loro), infine ci sarà la primavera che rappresenta l’accettazione e, come i germogli della mela, Martha sarà pronta ad andare avanti.

L’arte si intreccia con questo film: Martha sfrutta dei simboli per superare il proprio dolore, giacché è sola e si rifugia all’interno di questi oggetti inanimati, redendoli vivi.

Questo film non ha niente che vedere con la resilienza, ma tutto il contrario. Ci mostra come il dolore delle volte ci trascini fino allo sfinimento, rendendoci degli esseri alienati. Vanessa Kirby è riuscita a far immedesimare il pubblico e renderlo partecipe del dolore di Martha.

                                                                                                                                       Alessia Orsa