Alla scoperta della Festa dei morti: tradizioni messinesi

Oggi analizziamo insieme le tradizioni legate alla “Festa dei morti” e il motivo per cui è ancora una delle feste più sentite in molte parti del mondo, tra cui la Sicilia e in particolare Messina.

Sebbene in molti pensino che le origini di questa celebrazione siano religiose, legate al cristianesimo, in realtà la sua origine è da ricercarsi nell’antica cultura celtica. Il 31 ottobre nella tradizione celtica era infatti il Samhain, che segnava la fine dell’anno e in cui la notte era più lunga del giorno. Si pensava che gli spiriti passassero da un mondo all’altro e quindi ci potesse essere un reale incontro con i defunti. Questa tradizione viene poi mantenuta dal cattolicesimo e trasformata in una festa religiosa, celebrata nella data attuale (2 novembre).

Croce celtica – Fonte: wikipedia

Ma come viviamo nella nostra isola questa festività?

La Sicilia è uno dei luoghi in cui questa tradizione ancora oggi viene particolarmente sentita e celebrata.

Le famiglie si preparano per festeggiare i propri defunti. I bambini attendono con gioia l’arrivo dei “morticini”, i regali nascosti in casa per loro dai loro cari che ormai non ci sono più.

Un ricordo di infanzia del celebre scrittore siciliano Andrea Camilleri descrive alla perfezione il significato di questa festività:

«Noi nicareddri, prima di andarci a coricare, mettevamo sotto il letto un cesto di vimini che nottetempo i cari morti avrebbero riempito di dolci e di regali che avremmo trovato il 2 mattina, al risveglio. Eccitati, sudatizzi, faticavamo a pigliare sonno: volevamo vederli, i nostri morti, mentre con passo leggero venivano al letto, ci facevano una carezza, si calavano a pigliare il cesto […] Mai più riproverò il batticuore della trovatura quando sopra un armadio o darrè una porta scoprivo il cesto stracolmo».

Da queste parole capiamo come concetti indissolubilmente legati a questa ricorrenza quali il lutto e la tristezza che da esso deriva, si trasformino in gioia del bambino nell’approcciarsi a questa tradizione.

Andrea Camilleri

Anche Messina è ricca di tradizioni legate a questa festa: i bambini preparano per il defunto un bicchiere d’acqua su un tavolo. L’indomani, dopo aver ritrovato il bicchiere vuoto, con ansia e gioia cercano il regalo lasciato per loro sotto il letto o nell’armadio, entrambi segno del “passaggio” dei defunti. Io stessa ricordo come la ricerca del dono fosse la parte più bella dell’intera giornata. Anticamente era inoltre usanza andare a mangiare e bere accanto alla tomba del defunto.

Più comunemente, oggi ogni famiglia va a fare visita ai propri cari defunti al cimitero monumentale della città, tra i più rinomati e artisticamente complessi d’Italia e d’Europa.

Cimitero monumentale della città di Messina

Nell’ambito delle tradizioni, i dolci sono sempre stati importanti e ricchi di significato, sia per gli adulti che per i bambini. A testimonianza di ciò, passiamo in rassegna i principali dolciumi tipici siciliani e messinesi.

Innanzitutto troviamo la famosa frutta marturana, o frutta di Martorana, dolce simile al marzapane all’interno, preparato con farina di mandorle e miele, dal gusto molto zuccherato. Secondo un’antica tradizione questi dolci furono per la prima volta realizzati dalle monache del monastero della Martorana, a Palermo, per abbellire la sala per la venuta del Papa sostituendo la frutta del giardino con questa frutta fatta di farina e miele.

Frutta marturana – Fonte: sicilianfan.it

Un altro dolce tipico sono le Ossa di morto, dalla base scura e il guscio chiaro, fatti di farina, zucchero e spezie tra cui la cannella e i chiodi di garofano. Il loro nome deriva appunto dalla festa stessa o probabilmente dalla loro consistenza dura, dunque simile a quella delle ossa. Un’ultima ipotesi più macabra fa risalire il nome a una pratica medievale che prevedeva l’utilizzo di polvere di cranio per insaporire cibi e filtri amorosi. Sono conosciuti a Palermo come “Mustazzoli”, a Messina prendono il nome di “Morticini” o “Scardellini”.

Non fatevi intimorire dal nome: la bontà è testimoniata dal fatto che è praticamente impossibile trovare una casa messinese in questo periodo che non ne abbia almeno un sacchetto.

Morticini – Fonte: panificiocacciola.it

Come abbiamo avuto modo di vedere, a volte le tradizioni non rappresentano soltanto semplici usanze ripetitive, ma momenti ricchi di significato e di gioia e la “Festa dei morti” ne è proprio un esempio, rivelandosi momento di condivisione, di attesa e di incontro in cui, anche se per un solo istante, la morte fa meno paura e dolcemente si avvicina alla vita.

Cristina Lucà

Messina e le sue dolci tradizioni

Siamo a Messina, terra di antiche dominazioni e influenze straniere. Terra di passaggio, grazie alla sua posizione di favore sul Mediterraneo che ne ha fatto punto di approdo per numerosi popoli, alcuni dei quali si soffermarono più a lungo di altri lasciando un po’ delle loro tradizioni anche sulle nostre tavole che ritroviamo ancora oggi, soprattutto in alcuni dolci della tradizione messinese.

A differenza del resto della Sicilia presenta influenze arabe molto minori, il che rende i suoi dolci molto meno zuccherati e melensi. Si sa, la città dello Stretto è famosa in fatto di dolci, con i quali contribuisce notevolmente al buon nome di tutta la Sicilia con cui condivide molte delle sue specialità, forte della sua antichissima storia, interessata soprattutto dall’influenza greca e spagnola.

La tradizione vuole che, a seguito della dominazione spagnola del 1600, allorquando la città stava passando un periodo di grande depressione, le monache di un convento di clausura – esistente ancora oggi – in occasione di feste popolari cominciarono a fare dolci da offrire alla popolazione, spesso da loro inventati come: Nzuddi, un biscotto mandorlato all’uovo, immancabile nella pasticceria panaria messinese. I Sospiri di Monaca, anch’essi immancabili nella piccola pasticceria delle domeniche messinesi. Si tratta di soffici savoiardi ripieni di ricotta dolce, il quale nome sembra proprio provenire dalle loro creatrici che si dice sospirassero di gioia ogni volta ne mangiassero uno.  Si racconta, inoltre, che in occasione del Carnevale offrissero quelli che risultano essere i diretti antenati della famosissima Pignolata. Si trattava, inizialmente, di mucchietti di pinoli fritti e amalgamati col miele che avevano la forma di una pigna, da cui il nome di pinolo del biscotto e pignolata dell’intero dolce. Successivamente si cominciò a mischiare insieme al frutto della pasta all’uovo; l’esperimento ebbe degli ottimi risultati e col passare del tempo la pasta all’uovo sostituì in toto i pinoli, fino a renderlo il dolce gustoso e ricoperto di glassa –  nella versione cioccolato e limone –  che ben conosciamo oggi.

Nel periodo pasquale l’aria dello stretto si profuma di cannella e semi di sesamo, e dai forni di tutto il messinese l’aroma dolce e pungente attira i cittadini in cerca dei morbidissimi Panini di cena, le cui origini si perdono nella tradizione della città. Questi dolci rappresentano il pane che Gesù condivise con gli Apostoli durante l’ultima cena e per questo tradizione vuole che si facciano il Giovedì Santo, anche se spesso ormai si trovano anche fuori periodo. Curiosa è la tradizione messinese circa la produzione di particolari dolcetti correlati alla festa dei defunti: le ossa di morto ( c.d morticini), proprio a ricordare, sia nel nome che nella forma, l’oggetto della celebrazione. Si tratta, infatti, di dolcetti composti dalla bicroma pasta garofalo bianca e nocciola. E i più allegri e colorati dolci in pasta reale che per via della loro forma, che riproduce fedelmente svariati frutti, sono comunemente conosciuti come frutta martorana.

Proseguendo nel calendario delle feste, Immacolata fa rima con Niputiddata, dolcetti dalla pronuncia tutta messinese e dalla classica forma a stella. Fatti di pasta frolla molto sottile, profumano l’aria in città nel periodo natalizio con il loro ripieno di frutta secca, fichi secchi, mandorle, canditi e cacao. Ma al di là dei periodi festivi, ci sono dei veri e propri must, che non possono mai mancare sulle tavole dei messinesi, che oltre ad essere delle delizie per il palato sono dei veri e propri momenti di sacra convivialità. E’ il caso del dolce messinese per eccellenza, quello che dopo una lunga e stressante settimana ti dice che finalmente è arrivata la domenica, quello per cui “uno spazietto libero lo trovo!” sempre, quello che non si conta in fette, pezzi o porzioni, ma “palle” è la sua unità di misura. Stiamo parlando del – rigorosamente chiamato – Bianco e Nero, il piramidale mucchietto di profitteroles ripieni di panna montata (il bianco), e ricoperti accuratamente da una crema al cioccolato (il nero), e con le immancabili scaglie di cioccolato, sottili da sciogliersi in bocca. Insomma, un vero e proprio classico immancabile. E’ la volta delle dolci salate sfinci messinesi, dolci fritti, ricoperti di zucchero semolato e tipicamente ripieni di uva passa. Il nome deriva dal latino spongia, spugna, a sua volta mutuato dal greco a indicare la loro consistenza morbida e irregolare come una spugna. Gli arabi le soprannominavano sfang.

Forse meno conosciuto a chi non è del posto, il Lulù alla messinese, un sorprendente dolce fatto di pasta choux (o pasta bignè) di solito abbastanza grande e dalla forma bizzarra e irregolare – quasi a ricordare un cavolo – ripieno di panna e talvolta anche di crema al cioccolato. A Messina, durante tutto l’anno, è possibile mangiare delle dolcissime pesche. Parliamo di un dolce dalla tipica forma ispirata fedelmente all’omonimo frutto. Si tratta di due mezze sfere di pasta brioches, tenute insieme al centro da uno spesso strato di crema chantilly e guarnite con ciliegie candite. Non sono tipiche di un momento o periodo precisi, ma vanno mangiate a sentimento, il momento giusto è esattamente quello in cui se ne ha voglia, che sia la colazione, la merenda o un qualsiasi momento della giornata.

Stilare una lista completa di tutti i dolci della tradizione messinese risulta impresa davvero ardua, ma un focus sulle specialità dedicate alla colazione è d’obbligo.
Decretata patrimonio dell’umanità direttamente dai messinesi, la Granita. Lei, l’unica e inimitabile, invidiata in tutto il mondo e oggetto di continue imitazioni che per i messinesi fa rima con profanazioni. Quella che per il resto del mondo non è altro che ghiaccio tritato guarnito con sciroppo, nella sua versione originale si tratta di una semplice miscela di acqua e purea o succo di frutta fresca di stagione o con caffè e cacao, addolcita a piacere e lasciata gelare in freezer per poi essere servita appena frullata e con aggiunta di panna appena montata nella sua versione “mezza con panna“, accompagnata dall’insostituibile brioche col tuppo, da intingere accuratamente. Anche la granita risale al periodo arabo della Sicilia e deriverebbe dal loro sherbet. In origine si usava la neve raccolta sui monti Nebrodi e la granita era chiamata rattata (grattata). Poi la neve passò da ingrediente a refrigerante. Insomma, una terra di tradizioni e storia non solo da raccontare ma anche da mangiare fatta di riti gelosamente custoditi, ma anche generosamente condivisi col resto del mondo, che hanno fatto della pasticceria siciliana una delle più famose al mondo.

 

Giusi Villa