The Last Dance: quando epica e sport si uniscono

L’epica? La narrazione poetica di gesta eroiche, spesso leggendarie.

Così, dall’altra parte dell’Atlantico, non essendoci riferimenti nella tradizione millenaria dell’Asia, dell’Africa e dell’Europa, gli eroi dalle gesta fiabesche sono quelli dello sport.

C’è chi corre forte, chi tira pugni e chi è capace di volare.

“MJ”, “His Airness”, “Air Jordan”. O, più semplicemente, Sua Maestà Michael Jordan.

Nel vortice contemporaneo trafficatissimo dei contenuti seriali arriva l‘opera omnia sul “più grande atleta nord-americano del XX secolo”, cosi come l’ha definito ESPN.

Fonte: skysport.it

Lo show, che si sviluppa in 10 puntate, accende i riflettori soprattutto sull’emblematica stagione 1997-1998 dei Chicago Bulls (ribattezzata poeticamente da Phil Jackson l’ultimo ballo) della quale Jordan fu simbolo assoluto, timoniere e profeta.

Quella stagione, per l’NBA, per la franchigia e per lo stesso MJ fu il compimento della più grande impresa sportiva, degna delle vette shakespeariane.

Fondamentale il concetto (assolutamente non scontato) “non solo Jordan”: ci sono il coach (luminare, geniale, avanguardistico) Phil Jakcson, ed i compagni di viaggio Scottie Pippen (ed un rapporto di odi et amo), Dennis Rodman (un folle squinternato del quale grazie alla serie capiremo di più), Ron Harper; del resto la storia non si scrive da soli.

Fonte: nba.it

I Bulls dell’era pre-Jordan erano tutto fuorchè l’emblema della vittoria: il Chicago Stadium (decrepito) era spesso deserto e la stagione 83-84 fece segnare il record negativo di 55 sconfitte.

Presto “palla a Jordan” sarebbe divenuta una delle formule più vincenti e decisive della storia.

Il seme della gloria immortale era stato piantato.

Nel giro di poche partite l’universo intero si accorse che una divinità senza ali (ma in grado di volare e restare in aria) era scesa in terra, divenendo simbolo e ispirazione di valori che travalicano i confini del basket e dello sport, come solo Muhammad Ali aveva fatto prima di lui.

La magia di The Last Dance è la narrazione umile, vera, cruda e senza filtri del contesto umano ed emozionale di Jordan.

Fonte: passionebasket.eu

Il montaggio, le riprese e l’impostazione della docu-serie sono assolutamente degne di un kolossal holliwoodiano.

L’ultima danza (sportiva) dei Bulls, culmina con l’indimenticabile tiro di Gara 6 contro gli Utah Jazz, che diede al Novecento un nuovo senso. Immaginate il globo fermarsi e trattenere il respiro, attendere l’infinità dei secondi che separano il volo (l’ultimo) di HisAirness, dalla storia.

Elettricità emotiva allo stato puro, tra il parquet e il cielo dove le fisica diventa solo un’opinione.

“Be like Mike, be like Mike. Again I try, just need to fly”.

La prospettiva interna delle grandi squadre è da sempre trasgressione inarrivabile dei fan più accaniti.

Nel 1997 ESPN ricevette dalla franchigia di Windy City il permesso di fare qualcosa di inedito nello sport professionistico.

“The Last Dance” trascina virtualmente lo spettatore nello spogliatoio dei Chicago Bulls, ma anche nei loro allenamenti in palestra, nei contrasti accesi e nelle discussioni.

Fonte: mjbulls.com

Come ogni docu-serie che si rispetti, anche “The Last Dance” alterna sapientemente i piani temporali.

Non ci sono infatti solo immagini dell’epoca, ma anche interviste attuali ai protagonisti di allora, nell’ottica di una rilettura di quello che accadde negli anni 90′.

In tal modo si incrociano una serie di prospettive narrative diverse; ciò che è effettivamente successo sul campo è solo l’ultima dimensione. Senza lo sviluppo dello show si rischierebbe di tralasciare le dinamiche e gli equilibri complessi che hanno governato i successi sportivi dei Bulls.

Se non vi fossero bastate le suddette ragioni per guadare “The Last Dance”, eccovene un’altra: Michael Jordan ha annunciato che devolverà in beneficenza l’intero guadagno che gli proverrà da questa serie.

L’attesa è finalmente terminata.
Epica, sport, fascinazione, storia ed un pizzico di adrenalina. Tutto a portata di telecomando.

Antonio Mulone

Docuserie Netflix, l’ibrido che funziona

Quando la narrazione incontra lo stile, il ritmo avvincente ed il linguaggio tipici dei contenuti seriali, avviene la magia: le docuserie.

Genere, che per anni è stato (ingiustamente) snobbato dalle piattaforme di streaming e dai grandi network, negli ultimi tempi ha fatto registrare (non con poca sorpresa) un exploit – in termini di views, di investimenti, ed di attenzione – che ha portato in auge il fenomeno “docuserie originali Netflix”.

Titoli, proposte ed idee originali, che hanno conquistato anche gli spettatori più reticenti e indisposti, si sono ritagliati uno spazio rilevante nel catalogo internazionale di Netflix.

Proprio per queste ragioni il colosso dello streaming made in Usa, ha deciso di investire sempre di più in questi prodotti, aprendo l’orizzonte persino a collaborazioni inedite con la rivista scientifica Vox ed il celebre NewYork Times.

Si sa, gli ibridi, che hanno sempre avuto l’incompiutezza come colpa piuttosto che come caratteristica, nono convincono mai a pieno.

L’idea (ardita) di mescolare il documentario e la serialità è un azzardo: due dimensioni antitetiche – apparentemente – non avrebbero dovuto trovare un equilibrio sul piano della novità e del coinvolgimento.

Il progetto delle docuserie, costato a Netflix diversi milioni di dollari, si è dimostrato tutto fuorché utopico.

Netflix, come sempre ha dimostrato comprensione e lungimiranza prima di qualsiasi altro competitor.

Eccovi una lista di sette titoli che vi orienterà nell’infinito catalogo di Netflix.
Mettetevi comodi, ce n’è davvero per tutti i gusti.

1) Making a Murderer

Fonte: Netflixseries.com

Firmata e scritta da Laura Ricciardi e Moira Demos, ed insignita di quattro Emmy, Making a Murderer racconta le controverse vicende giudiziarie del 57enne americano Steven Avery.
La sua è una storia a limite della fantascienza, così assurda e paradossale da trascinare lo spettatore in vortice tra dubbi e mezze verità che lo terranno incollato allo schermo.

Dopo 18 anni di carcere per un’ingiusta accusa di stupro, Avery viene nuovamente sbattuto dietro le sbarre con l’accusa di aver freddato una giovane donna i cui resti erano stati recuperati proprio nel suo giardino.
La prima stagione della docuserie parte da qui e segue con occhio attento le disavventure che hanno portato l’americano all’ergastolo.

L’avvocatessa Kathleen Zellner, protagonista indiscussa della seconda stagione, tenterà di dimostrare l’innocenza di Avery, vittima di un gioco fatto di inganni e sotterfugi mirati a incastrarlo.
Una maestosa docuserie giornalistica fatta per chi ama la suspense.

2) In poche parole

Fonte: Skycinema.it

Abitiamo una contemporaneità che corre veloce e che, spesso, fagocita chi non regge il passo di questo ritmo così frenetico.

Questo prodotto originale Netflix realizzato in collaborazione con la testata scientifica Vox, propone risposte e chiarimenti su una selezione di argomenti che più disparati non si può.

Ogni episodio, infatti, è dedicato a un tema specifico: dall’economia alla fisica, dalla musica alla matematica.

Una voce narrante femminile chiara e lineare, supportata da un’impostazione grafica accattivante e da un archivio di immagini e filmati straordinariamente ricco: una sorta di enciclopedia 4.0 che arricchisce il nostro bagaglio personale.
Se siete curiosi e rompiscatole (un po’ come me) è perfetta per voi.

3) Diagnosis

Fonte: Ciakclub.it

Sette affascinanti episodi, basati sulla storica rubrica che la dottoressa Lisa Sanders tiene da anni sul più celebre quotidiano d’America, ci portano in un viaggio scientifico tra malattie misteriose e storie irrimediabilmente strappate alla vita.

Non si tratta di infotainment, le vicende sono reali, ma mai trattate con un occhio morboso, con le lacrime e la frustrazione (che sarebbero legittime) di chi non riesce a comprendere cos’abbia di male il proprio corpo.

I medici, protagonisti della scena come meriterebbe, mostrano quanto il lavoro di team e la determinazione possano, spesso, restituire speranza e luce a chi è stato costretto ad abituarsi al buio.

Tra i casi presi in esame, c’è anche quello di una giovane infermiera americana affetta da gravi crisi muscolari: un rompicapo medico brillantemente risolto da una laureanda dell’Università di Torino, la 26enne Marta Busso.

Se avete amato Dr. House e le sue stravaganti diagnosi, adorerete questa docuserie nata dalla partnership tra Netflix e il New York Times.

4) La nostra storia

Fonte: Perugiaonline.it

Nel caso in cui Morgan Freeman non fosse già un’ottima ragione per guardare La nostra storia, eccovene qualche altra.

In un’era in cui le differenze vengono demonizzate,le culture diverse dalla nostra ghettizzate, il viaggio dell’attore americano in giro per il mondo dimostra quanto la diversità (presunta) non sia altro che una leggenda metropolitana, sconfessata dalle abitudini incredibilmente comuni dei popoli che si pongono le stesse domande e che si lasciano guidare dalle stesse forze.
Dinamiche emotive essenziali come la fede, l’amore, la ribellione, la libertà e la sete di potere abbattono muri e barriere, accomunando tutti gli uomini.

La forza narrativa de “La nostra storia” sta nella sua semplicità, che convince lo spettatore ad analizzare la realtà da prospettive inedite, ad accantonare i pregiudizi e rimettersi in discussione.

5) Conversazioni con un killer: Il caso Ted Bundy

Fonte: Crimecinema.com

L’intuizione di un giornalista, una conversazione, un libro ed infine una docuserie Netflix.

È da questi presupposti concettuali che nasce Conversazioni con un killer: Il caso Ted Bundy.

Un prodotto che inizia già col piede giusto: il primo episodio, infatti, si apre con la voce di Stephen G. Michaud, il reporter che, nel 1977, inaugurò un lungo ciclo di interviste a Ted Bundy, il serial killer per eccellenza, accusato di aver commesso più di trenta omicidi tra il 1974 e il 1978.

Una parabola inquietante, rievocata anche dalla voce dello stesso protagonista che, spesso, sembra parlare delle proprie imprese con una tranquillità e un’ironia in grado di far accapponare la pelle.

I nastri originali delle conversazioni, fotogrammi di repertorio e gli interventi del braccio destro di Michaud, Hugh Aynesworth, regalano rigore ed attendibilità allo show.
Potrebbe urtare la vostra sensibilità.

6) Seven Days Out

Fonte: Movietime.com

Le lancette si muovono, le ore (impietose) passano e non c’è tempo da perdere.
Questo il mantra di 7 Days Out, la docuserie che ci porta a scoprire cosa accade nei sette giorni che precedono sette grandi eventi live del mondo della moda, del food, dello spazio e dello sport.

Ad aprire la docuserie Netflix, lo show primavera-estate 2018 della maison Chanel e dell’iconico Karl Lagerfeld, purtroppo defunto. La serie ci porta nel backstage, dalla preparazione dell’imponente collezione fino alla sfilata al Grand Palais, trasformato per l’occasione in un meraviglioso giardino botanico.
Quel che incuriosisce di più di questo format è, sicuramente, avere l’opportunità di vedere da vicino, dotando lo spettatore di una lente d’ingrandimento, la macchina organizzativa che porta allo sviluppo del prodotto finito.

Lo show enfatizza l’estro di chi è sempre un passo avanti, di chi non ha paura di alzare la posta in gioco e superare il limite.

7) Chef’s Table

Fonte: Newseries,com

Nata nel 2015 ed ancora in produzione, Chef’s Table porta una ventata d’aria fresca nell’infinito palinsesto di programmi dedicati alla cucina.
Rimodulando tutte le caratteristiche del racconto sul cibo, la docuserie interseca l’intervista principale allo chef protagonista dell’episodio con una serie di interventi di critici culinari di fama internazionale.

Una duplice prospettiva, che pone quasi una dimensione competitiva, alla quale si integrano le immagini dei piatti e degli ingredienti necessari per assemblarli.

Quello che ha reso il format di successo è stata la scelta di guardare allo chef come persona e non come personaggio.

Il risultato è un racconto emotivo delicatissimo, arricchito da paesaggi mozzafiato e piatti da mangiare, anche se soltanto con gli occhi.

Antonio Mulone

Netflix: non solo serie tv e film

Mai come in questo tempo “sospeso” fatto da giorni infiniti l’uno uguale all’altro, nei quali la casa diventa prigione ed il sole diventa miraggio, abbiamo bisogno fisico e spirituale di compagnia multimediale.

Netflix diviene, in questa logica surreale, risorsa imprescindibile che allevia le pene domestiche (si fa per dire) della nostra quarantena.

Il catalogo infinito della piattaforma, oltre film e contenuti seriali, offre la possibilità alternativa di guardare una lunga lista di documentari e docu-serie di altissimo livello narrativo.

In questo articolo abbiamo provato a stilare un elenco dei migliori titoli a disposizione degli abbonati.

 

1) Minimalism 

Il concept di questo docu-film è esaltare l’essenzialità, del resto semplice non vuol dire facile.
Il regista Matt D’Avella racconta le storie di chi è riuscito a rendersi libero non solo degli oggetti futili che accumuliamo in casa, ma anche dalle logiche del consumismo che ci vengono imposte nel quotidiano.
Il minimalismo dunque come filosofia di vita, in cui valorizzare l’essenziale e lasciare andare via tutto il resto.
Uscito nel 2016, il documentario ha riscosso grande successo attraverso il suo impatto comunicativo che ha inciso nella vita di molte persone che dopo averlo visto hanno drasticamente cambiato abitudini di consumo che sembravano radicate. Provare per credere.

 

2) American Factory   

Questo documentario originale Netflix, prodotto in collaborazione con Higher Ground (casa di produzione di Barack e Michelle Obama), affronta contemporaneamente due argomenti che negli ultimi anni hanno avuto rilevanza sia in ambito politico sia in ambito economico-sociale: la classe media americana e le relazioni tra Stati Uniti e Cina.

Il docu-film si sviluppa attorno la vicenda della chiusura di un impianto di General Motors che ha generato spiacevoli fenomeni di disoccupazione.
Un facoltoso uomo d’affari cinese riapre l’impianto e riassume molti ex dipendenti: i lavoratori cinesi e quelli americani si trovano a dover convivere e far i conti con stili, metodi e pratiche opposte di produzione.
American Factory racconta la globalizzazione dalla prospettiva di contesto aziendale locale.

 

3) Icarus 

Icarus di Bryan Fogel, premio Oscar al miglior documentario, pone uno sguardo lucido ed attento alle vicende del doping illegale alle Olimpiadi della federazione russa.
Il doping influisce profondamente sulla credibilità dello sport, minando l’identità culturale della più antica e nobile forma d’intrattenimento.
Il regista-ideatore intendeva porre il focus di Icarus sulle iniezioni di farmaci per migliorare le prestazioni sportive. A seguito invece scoperte fatte dall’intervista al Dr. Rodchenov, capo del programma russo dell’anti-doping, Fogel ha evidenziato come la Russia abbia costruito la sua eccellenza olimpica attraverso inganni sistematici richiesti proprio dal governo russo.

 

4) Gaga, Five foot two 

In questo documentario che parla di musica, sogni e vita, Lady Gaga mostra sfumature di sé che potrebbero essere sfuggite anche ai fan più affezionati.
La sua storia, apparentemente perfetta e senza pieghe, è invece segnata dalla battaglia contro una grave malattia fisica.
La caratteristica narrativa di questo contenuto fa leva su un elemento fondamentale: la sincerità di Lady Gaga che svela con potenza comunicativa le fragilità di questa star planetaria.

 

5) Diego Maradona   

Sebbene su “el Pibe de Oro” ci siano decine di documentari, il racconto di Asif Kapadia (già vincitore dell’Oscar nel 2016) riesce ad emozionare i nostalgici del bel calcio con video, interviste, voci ed immagini inedite.
Il sogno comincia a Lanús, un sobborgo molto povero di Buenos Aires, dove Diego dà prova sin da piccolissimo di possedere un talento soprannaturale, che lo porterà dapprima nel suo Boca, per poi approdare al Barcellona ed in seguito a Napoli, città che diventerà presto la sua seconda casa.
Se vi mancano la sua classe infinita, i suoi giochi di prestigio col pallone e le sue inspiegabili contraddizioni questa docu-pellicola fa per  voi.

 

6) Losing sight of shore 

Quattro giovani donne compiono la traversata a remi dell’Oceano Pacifico: un’avventura estenuante dalla California all’Australia.
Tre ore si rema e tre ore si dorme per nove lunghi mesi.
Le protagoniste vivono un’esperienza irripetibile, superando qualsiasi tipo di ostacolo che sembrava essere insormontabile.
Una storia di volontà,coraggio e determinazione che potrebbe ispirarvi ed azionare in voi un’ improvvisa voglia di spaccare il mondo.

 

7) Spedizione felicità 

 

Due giovani fidanzati trasformano con fantasia e creatività un vecchio ed inutilizzabile scuola-bus in un un camper formidabile con cui partire per un lungo viaggio.
I protagonisti Felix Starck e Selima Taibi, cantautrice in arte Mogli, e il loro cane Rudi insieme scopriranno i meravigliosi paesaggi della British Columbia per poi arrivare in Messico, dove un imprevisto cambierà i loro piani di viaggio.
Da vedere tutto d’un fiato per i sognatori e per chi volesse destare una fame di vita che magari s’era assopita. Gli emozionanti brani di Selima, che fanno da colonna sonora, colorano d’emozione la docu-avventura.
Tenete i fazzoletti a portata di mano.

Antonio Mulone