The Falcon and The Winter Soldier: la potenza dei simboli nell’attualità

La nuova serie Disney, seppur più “tradizionale”, non manca di azione e funge da veicolo per messaggi di grande rilevanza sociale – Voto UVM: 4/5

Dopo la scommessa più che vinta fatta con Wanda Vision nella piattaforma Disney Plus, la Disney ritorna con una nuova serie dai canoni molto più simili a ciò che siamo stati abituati a vedere all’interno del Marvel Cinematic Universe: The Falcon and the Winter Soldier.

La serie continua la narrazione degli eventi accaduti alla fine di Avengers Endgame, e, più nello specifico, il ritiro dalle scene di Steve Rogers con il suo conseguente addio al ruolo di Capitan America e il passaggio dello scudo a favore di Sam Wilson.

 

Sam riflette sul valore dello scudo – Fonte: My Red Carpet

Il fulcro della serie verte attorno alle 3 figure che, fumettisticamente, dopo l’originale Capitan America, hanno ereditato lo scudo in periodi ed in eventi diversi, e, nello specifico: Falcon (Anthony Mackie), il Soldato d’inverno (Sebastian Stan) e il neo introdotto nel MCU John Walker (Wyatt Russell).

Ma cosa significa essere Capitan America? È sufficiente ricevere lo scudo ed un costume e che il governo ti dichiari tale per esserlo?

La risposta è assolutamente no, perché l’essere Cap ha sempre trasceso dall’uomo che porta lo scudo, poiché lo scudo stesso è un simbolo: rappresenta il sogno ma, al contempo, porta con sé responsabilità ed un peso che può schiacciarne chi lo possiede evidenziandone le sue debolezze.

La serie mostrerà allo spettatore tutto ciò attraverso il personaggio di John Walker, soldato che ha ricevuto molteplici medaglie d’onore per il valore ed i meriti mostrati sul campo, il quale viene eletto dal governo nuovo Capitan America in quanto ritenuto, sia fisicamente che moralmente, degno di essere l’erede di Steve Rogers.

John porterà il fardello di rivestire il ruolo del simbolo maggiore del proprio paese, non riuscendo, però, a gestire tale peso: questo lo porterà a macchiare lo scudo di una colpa indicibile dovuta al sentirsi inferiore rispetto al Cap originale, il tutto reso in modo magistrale attraverso una scena ed una fotografia talmente impattante agli occhi dello spettatore da risultare quasi evocativa.

John Walker – Fonte: Comics Universe

 

Ma qual è il messaggio principale che Malcolm Spellman – autore della serie – vuole darci?

I simboli trascendono l’autorità, Capitan America non è un uomo bianco, dai capelli biondi e dagli occhi azzurri, non è lo stereotipo che il governo vuole far passare come immacolato e puro tanto da rinnegare i meriti di soldati di colore solo perché tali, cercando di cancellarli dalla storia, bensì un uomo che sa cosa davvero rappresenta lo scudo, che combatte per esso e per gli ideali che esso rappresenta.

Il razzismo è una piaga che ancora oggi, purtroppo, attanaglia il nostro mondo, ma personaggi come Sam Wilson e la crescita dello stesso all’interno della serie, servono a veicolare il più importante dei messaggi: il colore della pelle non è mai stato e mai dovrà essere un fattore per giudicare una persona, eroe o meno che sia.

I simboli trascendono dal colore della pelle e dalla religione, e non apparterranno mai a nessuno, tranne a chi li merita davvero.

Possiamo dunque affermare che The Falcon and the Winter Soldier è una serie compatta, a tratti altalenante nei ritmi, che soffre la poca consistenza degli episodi iniziali, ma che vanta coreografie di combattimento ben congegnate e che – soprattutto – cerca di trasmettere dei messaggi sociali degni di nota.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                               Giuseppe Catanzaro

L’altra faccia del politically correct

Che infanzia sarebbe senza Aristogatti, Dumbo e Peter Pan? Recentemente il colosso Disney, in nome del politically correct ha deciso di inserire all’inizio della proiezione di questi famosi film d’animazione una sorta di “parental advisory”: questo programma include rappresentazioni negative e/o offese di persone e culture. La presenza di personaggi stereotipati nelle pellicole, in seguito a recenti episodi di razzismo, ha portato Disney Plus ad aggiungere questo avvertimento per i più piccoli. Negli Aristogatti è presente un gatto siamese con dei marcati tratti orientali, Peter Pan definisce “pellerossa” i nativi americani e infine i corvi neri di Dumbo ricordano gli schiavi afroamericani nelle piantagioni. Una sorte più drastica è toccata l’anno scorso al celebre Via col Vento addirittura oscurato per mesi dalla piattaforma HBO Max, sull’onda delle proteste del movimento Black Lives Matter, in quanto giustificherebbe lo schiavismo e inciterebbe all’odio razziale.  Sotto accusa finisce di recente anche Grease per una frase della canzone “Summer Nights” che a detta di molti strizzerebbe l’occhio allo stupro e per l’”omofobo” personaggio Vince Fontaine che raccomanda al ballo del liceo di non formare coppie dello stesso sesso.

La domanda che sorge spontanea è se ha un senso scagliarsi oggi contro produzioni cinematografiche di oltre mezzo secolo fa, nate quando vi era una diversa sensibilità verso alcune tematiche e se non sia più utile attaccare invece quei prodotti culturali odierni che rivelano ancora una visione del mondo arretrata e irrispettosa delle differenze.  Certo è che un bambino potrebbe non possedere spirito critico e di conseguenza abituarsi al cliché e allo stereotipo, ma è anche vero che un bambino dovrebbe guardare un film d’animazione libero da pregiudizi e condizionamenti e quindi non cogliere alcun tipo di messaggio dannoso tra le righe. Si spera invece che l’adulto si approcci davanti a qualsiasi rappresentazione artistica senza condizionamenti e contestualizzando l’opera nel tempo e nello spazio senza bisogno di ricorrere a strumenti quali una pseudo-censura in chiave moderna.

Gli Aristogatti sotto accusa per Shun Gon, stereotipo “offensivo” dell’orientale. Fonte. corriere.it

Non si può negare: quello di Via col Vento, sia nel romanzo di Mitchell che nella trasposizione cinematografica del ’39, è un affresco a tinte nostalgiche del Sud schiavista all’alba della Guerra di Secessione. È questa una verità risaputa ancor prima della riscossa della “cancel culture”. Ma lo spettatore che guarda oggi Via col Vento simpatizza più con la capricciosa e ingrata Rossella O’ Hara o con la più umile MamiWalt Disney, matita geniale dell’american dream, non era certo un campione di progressismo e impegno sociale. Ma nell’ultimo film prodotto sotto la sua supervisione- e parliamo proprio degli Aristogatti (1970)- non trapela odio reazionario nei confronti del diverso. Abbiamo una banda di gatti randagi che accorre in aiuto a una famigliola di “aristocats”: due mondi diversi specchio delle disuguaglianze create dall’uomo si trovano a fraternizzare. Dov’è il messaggio diseducativo per le giovani generazioni? Come la nostra mente rischia di rimanere imprigionata nella rappresentazione stereotipata e riduttiva che questi capolavori ci consegnano del diverso?

Rossella O’Hara e Mami-Fonte: Giornale di Sicilia.it

Allora non basta la nobile Duchessa che fa amicizia con Romeo, Scat- Cat e tutta la gang di “pulciosi” gatti randagi. Non basta la Mami dal cuore d’oro e l’Oscar a Hattie Mc Daniel come miglior attrice non protagonista. Rimangono comunque gli occhi a mandorla, gli incisivi sporgenti di Shun- Gon e quelle bacchette dello xilofono che sembrano più posate da sushi. Rimangono i “fianconi” e l’accento poco yankee di Mami.

Come i francesi mangiatori di formaggio, gli scozzesi col kilt e il “braccino corto”, i siciliani lupara e baffi che si trovano in tante barzellette, ma anche classici comici di immenso successo. Il problema è proprio questo: quando si vuole disegnare ciò che è “straniero”, tra ritratto pittoresco e caricatura offensiva il tratto è molto sottile. Altre volte ancora le matite non sono abbastanza appuntite, il nostro sguardo non troppo acuto e si finisce per ricalcare contorni già tracciati dal proprio background culturale senza troppo sforzo o originalità alcuna. Ed ecco lo stereotipo. Allora che fare? Cancellare anni e anni di arte e cultura con un colpo di gomma?

Tiberio Murgia (il siciliano Ferribotte de “I soliti Ignoti”). L’attore, benché sardo, fu scelto da Monicelli perché incarnava il “tipico siciliano”. Fonte: memories.books.it

La cancel culture, oltre a peccare di mancanza di prospettiva storica, non tiene poi conto che l’arte è innanzitutto gioco di fantasia ed evasione. «Se la mia musica è letterale, allora io sono un criminale» dice il “rap godEminem in uno uno dei suoi tanti testi “controversi”. Con la lente di ingrandimento, alla ricerca ossessivo-compulsiva di un capo d’accusa dietro ogni immagine, dietro ogni parola, come il prete di Nuovo Cinema Paradiso che costringeva il buon Alfredo a tagliare parti di pellicola: è questo che si propone esattamente di fare la cultura del moderno revisionismo. E se questa tendenza verrà portata all’estremo, poco resterebbe della produzione culturale pop del Novecento. I giovani in primis si troverebbero privati di un patrimonio immenso da apprezzare ma anche- si spera- conoscere con occhio critico. Tutto questo dovrebbe giocare a favore di una società più libera da visioni retrograde e pregiudizi. Ma possiamo definire veramente libero un mondo in cui la creatività artistica sarà imbrigliata nelle spire del perbenismo e del politically correct? Matite frenate, penne censurate, comici zittiti: questo è lo scenario grigio e poco stimolante al quale potrebbe alla lunga condurci un’ossessione che qualcuno ha giustamente definito “dittatoriale”.

 

          Angelica e Ilenia Rocca

Disney Plus va verso il politically correct e vieta alcuni classici ai minori di sette anni. Ecco dove e perché

Disney Plus vieta la visione di alcuni cartoni ai bambini di età inferiore ai 7 anni. La casa di produzione americana applica la via del “politically correct”.

Disney Plus vieta tre Classici ai minori di sette anni –Fonte:metropolitanmagazine.it

La restrizione –per ora prevista solo nel Regno Unito- consiste nell’inserire un disclaimer che precede l’inizio del film per spiegare che alcuni contenuti sono dotati di stereotipi su popolazioni e culture minori. I “classici d’infanzia” fino ad ora segnalati sono Dumbo (1940), Le avventure di Peter Pan (1953) e Gli Aristogatti (1970).

Questi non sono stati eliminati dal catalogo, ma per poterli vedere è necessaria la presenza di un genitore, che ha la possibilità di scegliere se far guardare i suddetti cartoni ai suoi figli più piccoli.

Politically correct: cos’è e cosa comporta

La definizione della politically correct, viene fuori da un’espressione angloamericana che designa un orientamento ideologico e culturale di estremo rispetto verso tutti, nel quale si evita ogni potenziale offesa verso determinate categorie di persone. Le espressioni pertanto dovranno apparire prive, nella forma linguistica e nella sostanza, da pregiudizi razziali, etnici, religiosi, di genere, di età, di orientamento sessuale o relativi a disabilità fisiche o psichiche della persona.

Politically correct –Fonte:limonata.blogspot.com

Una maggiore attenzione su queste tematiche ebbe inizio negli Stati Uniti d’America per poi diffondersi a macchia d’olio in tutto il mondo occidentale. Nasce negli anni trenta del secolo scorso, per poi ampliarsi ottenendo posizioni più rilevanti alla fine degli anni ottanta, a seguito della sua trasformazione in una corrente d’opinione. Questa era basata sul riconoscimento dei diritti delle culture e mirante a sradicare dalle consuetudini linguistiche, usi ritenuti offensivi nei confronti di qualsiasi minoranza. Fu proprio in quella circostanza che l’espressione “Afro-americani” sostituì i precedenti appellativi black, nigger e negro per designare i neri d’America.

Per porre una disciplina del comportamento linguistico sono stati stilati dalle università americane i speech codes, volti a scoraggiare l’uso di epiteti ingiuriosi e offensivi.

Politica attuata da Disney Plus

Disney Plus e il politically correct –Fonte:staynerd.com

L’uccisione di George Floyd, le manifestazioni Black Lives Matter attive in tutto il mondo e la rimozione di Via col vento dal canale HBO MAX, hanno sicuramente sensibilizzato e fatto riflettere The Walt Disney Company sull’impatto dannoso che alcuni contenuti possono causare nella giovane mente di un fanciullo. L’azienda americana perciò ha voluto mirare la sua azione nella creazione di storie e temi ispiratori che includano la ricca diversità dell’esperienza umana.

Le produzioni incriminate

Le maggiori critiche sono suscitate dai cartoni come:

  • In Dumbo, sono presenti un gruppo di corvi rappresentati con voci nere stereotipate. Il nome Jim Crow attribuito al principale volatile, si riferisce ad una serie di leggi segregazioniste dell’epoca presenti nel Sud degli Stati Uniti. Questi pennuti infatti raffigurano un omaggio ai Mistrel Shown, ossia gli spettacoli con attori bianchi dal volto colorato di nero che impersonavano, attraverso caricature, la vita degli schiavi neri.
Disney e disclaimer –Fonte:latestamagazine.it
  • In Peter Pan, invece gli indiani sono identificati con l’appellativo di “pellerossa”, prettamente offensivo e razzista. Questo atteggiamento denigratorio non si limita solo alla loro denominazione, ma abbraccia anche i contesti e i modi in cui vivono. Questi infatti vengono ritratti come dei selvaggi vestiti con abiti barbari, inclini a usanze primordiali e privi di alcun linguaggio, che all’orecchio dell’ascoltatore risulta incomprensibile.
Disney mette il bollino “razzista” –Fonte:corriere.it
  • Sia nell’opera Gli Aristogatti che in Lilli e il Vagabondo, le vittime degli stereotipi sono i cinesi. In ambedue i film vi sono dei gatti di razza siamese, Shun Gon nel primo e Si e Am nel secondo, i quali si svagano cantando la celebre canzoneSiam Siamesi” con chiaro accento orientale mentre distruggono la casa.
Disney censura Lilli e il Vagabondo –Fonte:cinema.fanpage.it

È bene precisare che le opere sopradescritte sono figlie di un’epoca storica totalmente differente rispetto a quella che siamo soliti conoscere, i cui ideali e obiettivi di una rappresentazione per bambini risultano molto distanti da ciò che viviamo oggi. Bisogna inoltre ammettere che difficilmente un fanciullo si sofferma sul significato celato dietro le scene incriminate, poiché ancora privo di quella conoscenza e logica necessaria per comprendere a pieno determinati processi, che ancora non conosce.

 Sensibilizzazione della Disney

Il messaggio di apertura delle “opere accusate” cita

“Questo programma include rappresentazioni negative e/o maltrattamenti di persone o culture”

risulta essere innegabilmente giusto, al fine di mostrare come la Disney sia sempre stata cosciente della presenza di messaggi sbagliati. Ciò mostra la necessità delle continue lotte contro il razzismo e gli atti offensivi, che sottolineano un raccordo non con un passato lontano, bensì con un presente logorato da discriminazioni ed intolleranze che ancora oggi si affermano con grande asprezza ed amarezza.

La Disney renderà i suoi film politically correct – Fonte:drcommodore.it

L’azione di sensibilizzazione promossa eviterà all’azienda di ricevere critiche negative e perdite di pubblico, ma funge principalmente all’inserimento di scopi specifici che vanno oltre l’intrattenimento. La Walt Disney però, con gli stessi film su cui si sono mosse le principali accuse, ha insegnato ai più piccoli a rispettare e ad amare chi è diverso da noi, ad avere fiducia e rispetto nell’umanità e a credere in se stessi. Con le sue produzioni ha preparato i bambini ad essere forti e caparbi per combattere gli ideali in cui si crede, a superare le insicurezze e ad apprezzare e comprendere a pieno il senso di famiglia; risorse necessarie per compiere al meglio il complesso progetto di crescita personale.

Inclusività

Nel corso degli anni la casa di produzione americana non si è solo impegnata a filtrare i contenuti attraverso l’uso dalla politically correct, bensì sulla base del progresso della società si è sempre più focalizzata nella realizzazione di opere inclusive che rispecchino la società attuale. Vi sono innumerevoli esempi:

  • Il film Zootropolis, in cui si affronta il tema odierno dell’uso della paura come strumento di governo
  • La creazione nel 2009 di una principessa di colore nel cartone La Principessa e il Ranocchio
  • La scelta dell’attrice Halle Bailey per il live action de La Sirenetta che dà avvio ad una nuova politica multirazziale.
Disney Plus –Fonte:mondotv24.it

“Non possiamo cambiare il passato, ma possiamo riconoscerlo, imparare da esso e andare avanti insieme per creare un domani che oggi possiamo solo sognare”

Si evidenzia così la necessità di un’evoluzione sociale, che si cela dietro il cambiamento, al fine di evitare di ripetere gli stessi errori che nel corso della storia hanno lasciato macchie indelebili nel tessuto collettivo.

Giovanna Sgarlata