Disney Studios: 100 anni di magia

 

«Spero che non ci si dimentichi mai di una cosa: tutto è cominciato con un topo» (Walt Disney)

Ebbene, quale miglior modo di iniziare a parlare di quest’evento, se non ricordando una semplice frase che rappresenta l’inizio di un secolo di magia per grandi e piccini? Dopo il centenario della Warner Bros celebrato lo scorso aprile, il 16 ottobre 2023 anche la Walt Disney Company festeggia i suoi 100 anni e ricorda quanta strada ha fatto ed in quanti cuori è riuscita ad entrare.

È incredibile che un uomo sia riuscito a dar vita a tutto questo, cominciando dal disegno di un semplice topolino: Mickey Mouse.

Ma prima di parlare del centesimo anniversario, è doveroso fare un salto temporale all’indietro e narrare l’incredibile storia che ha portato a questo.

Come è nata la Walt Disney Company?

Nel 1923, Walt Disney, dopo i primi esperimenti di animazione, si trasferì a Hollywood ed assieme al fratello Roy e fondò i Disney Brothers Studios, rinominati in Walt Disney Studios.  Iniziò così il periodo di successo, grazie a titoli come: Alice Comedies e Oswald The Lucky Rabbit. Ma la vera svolta fu la creazione di un nuovo personaggio: Mortimer Mouse, poi rinominato in Mickey Mouse, Topolino. Nel 1928 a Topolino si aggiunse Minnie, fidanzata di topolino, e poi a seguire Paperino, Pippo e tanti altri.

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Walt Disney con i suoi Mickey Mouse. Fonte: D23.com

Biancaneve: il primo lungometraggio

Ma la vera sfida di Walt fu la realizzazione del primo lungometraggio Disney: Biancaneve E I Sette Anni. Qui, oltre al prolungamento del minutaggio, Walt cambiò totalmente il modus operandi adottato in precedenza. Qui lo scopo era far commuovere il pubblico e trasmettere un messaggio; si scelse la favola dei fratelli Grimm cambiando alcune cose, per rendere la storia più magica ed a lieto fine.

Questo funzionò e il film riscosse un incredibile successo: Walt Disney vinse grazie al suo primo capolavoro d’animazione un oscar speciale nella premiazione del 1939, per l’importante innovazione portata sullo schermo. Biancaneve ebbe un impatto non indifferente sulla storia stessa del cinema: ha dato inizio allo sviluppo dei lungometraggi animati.

I personaggi vennero disegnati con la tecnica del rodovetro: le figure sono disegnate su un foglio di cellulosa e qui dipinti. La stessa Biancaneve divenne poi un modello per tutte le principesse Disney disegnate e rappresentate nei decenni successivi.

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Frame di “Biancaneve e i sette nani” (1937). Casa di produzione: Walt Disney Productions. Distribuzione: Generalcine. Fonte: cinevagabondo.it

Il Rinascimento Disney: Chi ha incastrato Roger Rabbit?

Tratto dal romanzo di Gary Wolf, Chi ha incastrato Roger Rabbit è il cult a tecnica mista, vincitore di quattro premi oscar, alla guida del Rinascimento Disney. Considerato “rivoluzionario” dalla critica del tempo, il film di Robert Zemeckis (regista della trilogia di Ritorno al futuro), ci parla di quei temi che ogni uomo è costretto ad affrontare nel corso della propria vita: amore, morte, amicizia e avidità.

Senza mai rinunciare a quel dissacrante humor che lo caratterizza, Chi ha incastrato Roger Rabbit, vuole dimostrarci come la risata leggera, a volte, sia l’unico mezzo capace di combattere le bruttezze e le ingiustizie del mondo in cui viviamo. Basterebbe una sola risata, sincera, per ritrovare dentro noi quella spensieratezza di un tempo, di quando tutto sembrava ancora così bello, come a Cartoonia. E noi eravamo semplicemente bambini!

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Frame del film: “Chi ha incastrato Roger Rabbit” (1988). Distribuzione: Warner Bros. Italia

Quanto ha influenzato le nostre vite? La Disney è rimasta la stessa?

La Disney è riuscita ad entrare nelle nostre vite, tramite il merchandising, i parchi a tema e con l’avvento della piattaforma Disney Plus, che è riuscita a concorrere con i colossi dello streaming: Netflix e Prime Video.

Ma ha influenzato anche interiormente le nostre vite, tramite le sue storie ed i personaggi, in cui ognuno di noi si rispecchia. Anche se, in questi cento anni, Disney non è rimasta di certo la stessa. Provando sempre più ad adattarsi alla società in continuo divenire, è finita per strizzare l’occhio alle più odierne e controverse tematiche, quali l’inclusività e il politically correct.

Dopotutto, Disney fa comunque parte delle nostre vite e per il 16 ottobre, il mondo è lieto di festeggiare questo secolo pieno di magia!

Giorgio Maria Aloi
Ilaria Denaro
Domenico Leonello

Quando l’all-you-can-eat di serie tv diventa indigesto

Netflix, dopo gli inizi promettenti della sua produzione con la serie House of Cards con protagonista Kevin Spacey nel 2013, si è fatta decisamente largo nella nostra quotidianità. La maggior parte di noi ha oggi un abbonamento attivo, le sue serie di punta sono entrate nel panorama mainstream e il catalogo si è nel tempo ampliato aggiungendo sia serie e film vintage che nuove produzioni della stessa Major. Questo menu però si è col tempo trasformato in un “all-you-can-eat” dalla qualità decisamente altalenante: l’azienda, cercando di procurare sempre più prodotti agli spettatori, ha col tempo disatteso molte aspettative non riuscendo a coniugare la possente macchina produttrice con una buona fattura.

Serie come La casa di carta sono l’emblema di tutto ciò: si tratta di un prodotto che potremmo giudicare come una vacca munta oltre il necessario. Una rapina raccontata dal punto di vista di personaggi che riescono a stare al di sopra del mero stereotipo ci ha inizialmente catturato come idea, ma col tempo questa stessa idea è risultata ridondante e la serie si è lasciata trascinare verso una banalità che ha colpevolmente punito il lavoro iniziale.

Dal trailer de ”La casa di carta”. Fonte: Netflix

 

Stesso discorso anche per un altro prodotto Netflix acclamato da massa e critica: Stranger Things. La serie ha fin dall’inizio avuto un nucleo semplice ma attraente: gli anni ’80 e tutta la cultura pop relativa al periodo, i mostri che si annidano nei sobborghi americani, le azioni di giovani protagonisti che crescono assieme agli spettatori e Stephen King come maggiore ispirazione narrativa.

Il successo di Stranger Things ha riportato in auge anche il ricordo degli eighties sia nel pubblico giovane, che li sta scoprendo, sia in quello adulto che li ha nel cuore e li sta rivivendo. La serie, però, col tempo si è rivelata una miniera di diamanti per il colosso americano e, se da un lato questo sembrerebbe positivo, è diventato in realtà una lama a doppio taglio. La volontà di ingozzare lo spettatore già a partire dalla seconda stagione, introducendo situazioni che espandevano l’universo narrativo, non è stata recepita bene dal pubblico e, con il prosieguo della trama, quel labirinto ha fatto posto ad una strada più lineare.

Ci saremmo augurati però che la storia seguisse un filo più logico e meno isterico!

Dal trailer di ”Stranger Things”. Fonte: Netflix

 

Per ricollegarci ora ad un universo più ampio, si può accennare ad un’altra importante tendenza dello show business hollywoodiano dell’ultimo decennio: il tema supereroistico. La serie Netflix sul personaggio di DareDevil ha per la prima volta spostato questo tema dalla sala alla TV.

Oggi questo percorso sta venendo continuato da Disney sulla sua piattaforma streaming Disney +.  Nel giro di poco meno di due anni sono state aggiunte al catalogootto produzioni: un numero esorbitante se consideriamo che va ben oltre la media della quantità di serie tv di cui lo spettatore medio fruisce in quel lasso di tempo. Inoltre  solo poche storie all’intero di questo miscuglio meritano una valutazione positiva.

L’atteggiamento bulimico che si aspetta la produzione da parte del pubblico potrebbe, a nostro avviso, non essere la strada migliore da seguire.

Sarebbe invece auspicabile un ritorno ad una produzione meno intensiva ma che al contempo porti con sé maggiore qualità nei prodotti destinati al grande pubblico, anche nell’ottica di salvare queste aziende e queste storie dall’orlo di un baratro che col passare del tempo si fa sempre più vicino e più largo.

 

Matteo Mangano, Giuseppe Catanzaro

 

*Articolo pubblicato su Gazzetta del Sud, all’interno dell’inserto “Noi Magazine” il 10/11/2022

Siamo tutti “fate ignoranti”. Il significato della nuova serie di Ferzan Özpetek

La nuova serie tv conferma la genialità di Özpetek nel narrare il mistero dell’amore e della vita e ci fa sperare in una seconda stagione. Voto UVM: 4/5

 

«Perché si fanno così tante domande? Io credo che non bisogna conoscersi per volersi bene» affermava una saggia Monica Vitti ne L’eclisse (1962). Se ci pensate bene, quando baciamo o abbracciamo lo facciamo ad occhi chiusi. Possiamo conoscere perfettamente l’altro, vedere nitidamente il suo volto quando ne siamo innamorati? O il sentimento forse si nutre soprattutto sul nascere di quella necessaria ignoranza che serve a tenere in piedi l’illusione? Amore e conoscenza sembrano due binari che non corrono paralleli, ma tutt’al più qualche volta si scontrano in quelli che sono imprevisti incidenti di percorso, momenti rivelatori in cui apriamo gli occhi e scopriamo che chi ci sta accanto nasconde più segreti di quanti pensiamo.

Proprio in questo scontro, si incrociano Antonia (Cristiana Capotondi) e Michele (Eduardo Scarpetta), persone apparentemente molto diverse, due treni che deragliano in seguito alla morte di Massimo (Luca Argentero). Sono loro i protagonisti della serie tv Le fate ignoranti di Ferzan Özpetek, lanciata il 13 aprile su Disney Plus e remake dell’omonimo film che lanciò la carriera del regista italo-turco.

“Tutti abbiamo un segreto …”

Per chi non avesse visto il film del 2001 con Margherita Buy e Stefano Accorsi, tracciamo brevemente delle coordinate. Antonia e Massimo sono una coppia felicemente sposata da 15 anni che vive una comoda esistenza borghese in una villa con tanto di giardino sul lago. L’equilibrio idilliaco quanto monotono si rompe nel momento in cui Massimo muore e la moglie lo perderà due volte scoprendo che da qualche tempo il marito aveva una doppia vita e intratteneva una relazione addirittura con un uomo, Michele.

Mossa inizialmente dalla tipica curiosità masochista della donna tradita di scoprire sempre di più, Antonia si ritroverà a frequentare Michele. Si affezionerà così a lui e al suo gruppo di amici stravaganti, una vera e propria famiglia che di rito si riunisce nei pranzi domenicali, una “piccola comunità arcobaleno” che si difende dal mondo esterno andando orgogliosa della propria diversità.

Ma chi sono le “fate ignoranti”?

C’è ancora la stessa storia fuori dalle righe nella serie del 2022, riproposta fedelmente anche in alcuni dialoghi, nelle situazioni, negli interni e nelle atmosfere che compongono gli universi distanti di Antonia e Michele (la villa dove lei conduce un’esistenza ovattata è praticamente identica: stessi toni grigi, stesso arredamento geometrico). Ma c’è anche molto di più (o di meno, secondo qualche detrattore).

A partire dagli attori perfetti anche nei volti per i ruoli che incarnano: abbiamo i tratti da dama rinascimentale della Capotondi a racchiudere la purezza della moglie ingenua. E poi gli occhi sporgenti, quasi disturbanti di Scarpetta che mettono in discussione le certezze della protagonista, la verve di Carla Signoris, nei panni della madre quasi ingombrante nella sua frivola joie de vivre. Uno su tutti: Argentero, col tipico sorriso da ragazzo della porta accanto, solare e affascinante benché poco acculturato. Ma non finisce qui.

Özpetek, insieme a Gianluca Mazzella (regista di alcuni degli otto episodi), si prende stavolta tutto il tempo per dipingere nei minimi dettagli l’intero affresco di personaggi che circonda il triangolo Antonia- Michele – Massimo, le cosiddette “fate ignoranti”.

 Luce vs ombra. Serie tv e film a confronto

Perché Massimo non aveva solo un amante, “aveva una famiglia, un intero mondo”. E qui questo mondo, più che nel film, emerge in tutta la sua gioia ed esuberanza, che si manifesta nella solarità, nei colori caldi di quella tavola imbandita ogni domenica a festa, che contrasta invece con le tinte fredde (anche nel vestiario) di Antonia. Sparite sembrano le ombre della discriminazione, dell’Aids che aleggiavano sulla casa di Michele nel film del 2001 (un personaggio “tragico” come quello di Ernesto viene eliminato dalla sceneggiatura). C’è più  luce, il dramma lascia il posto a toni comici per narrare la magia di un gruppo di amici che si alimenta di condivisione, feste (e anche di pettegolezzi).

Lo spettatore ha il tempo di conoscere Serra (Serra Yilmaz), Vera (Lilith Primavera), Luisella (Paola Minaccioni) , Annamaria (una sottovalutata Ambra Angiolini) e tutti gli altri, di cogliere il senso di famiglia che li lega, anche in rapporto a Massimo che questa famiglia la vive. Qui un’altra differenza fondamentale col film: conosciamo Michele e gli altri ancor prima dell’incidente che sarà il preludio della scoperta di Antonia. La relazione di Michele e Massimo, la seconda vita di quest’ultimo qui non è clandestina, ma corre in parallelo a quella coniugale, ha la stessa dignità, lo stesso diritto d’esistenza.

La doppia vita di Massimo. Nella serie le due scene sono praticamente sincroniche.

Forse i tempi sono cambiati e adesso Özpetek può raccontare con più leggerezza un mondo quale quello LGBT che prima si nascondeva ai margini della società. O forse, andando più a fondo, ci accorgiamo che le storie di Antonia e Michele si sviluppano in parallelo perché entrambi sono “fate ignoranti” ( nel senso proprio del termine “ignorare”). Ad entrambi i punti di vista manca “qualcosa”.

Loro che pensavano di poter confinare Massimo nella galassia sicura del proprio sguardo, si trovano a scoprire invece che la persona che amiamo è sempre e comunque un universo sconosciuto, una stella che continua a brillare di luce propria, anche quando non stiamo a guardarla.

“Per quella parte di te che mi manca e che non potrò mai avere” (dalla dedica di Michele a Massimo, che Antonia trova dietro il quadro)

 

 Angelica Rocca