Giornata internazionale contro la violenza sulle donne e la proposta del movimento “Non una di meno”

Oggi è la giornata internazionale contro la violenza sulle donne.
Le ricorrenze di questo tipo sono utili per grandi manifestazioni, dibattiti, servono per rendere ancora più noto alla comunità che un movimento, un insieme di persone, sempre più forte e cospicuo, c’è.

A livello internazionale oggi si discute molto dopo le denunce contro Harvey Weinstein ma le violenze e gli abusi non esistono solo sui “divani dei produttori” e nel mondo del cinema.
Ci sono in qualunque luogo di lavoro e nella privacy delle case: è ora che “i riflettori” si accendano definitivamente anche su questi luoghi.
Un movimento femminista italiano esiste: donne giovani, preparate e disposte al dialogo intergenerazionale e fra generi. Sì GENERI.
Il movimento “Non una di meno” ha prodotto, a seguito di una serie di assemblee svoltesi in tutta Italia: “Abbiamo un piano. Piano femminista contro la violenza maschile sulle donne e la violenza di genere.” un documento che si apre con una considerazione sulla lingua italiana e l’utilizzo dei generi maschile e femminile.


I lettori che non sono a conoscenza di queste evoluzioni sociali si dovranno sforzare un po’ per adottare questo nuovo punto di vista che inizialmente sembrerà distante ma in realtà è molto più razionale e ragionevole degli schemi sociali e linguistici a cui siamo abituati.

“Il linguaggio non è solo un’istituzione sociale o uno strumento di comunicazione, ma anche un elemento centrale nella costruzione delle identità, individuali e collettive.
La lingua italiana è una lingua sessuata, che già dalla sua grammatica riproduce e istituisce un rigido binarismo di genere (tra nomi, pronomi e aggettivi che cambiano a seconda se maschili o femminili) e una specifica gerarchia, in cui predomina il maschile, presentato come universale e neutro.
In questo Piano abbiamo scelto di svelare la non neutralità del maschile utilizzando non solo il femminile, ma anche la@ per segnalare l’irriducibilità e la molteplicità delle nostre differenze. Consapevoli che le lingue mutano e si evolvono, proviamo a rendere il nostro linguaggio inclusivo per avere nuove parole per raccontarci e per modificare i nostri immaginari.”

Pluralismo di visioni, generazioni, luoghi fisici e quindi cultura ed esperienze.
Sono 12 capitoli articolati in proposte per superare violenze, discriminazioni in tutti gli ambiti della quotidianità, partendo dal linguaggio passando per la scuola, il lavoro e il diritto alla salute (reddito di autodeterminazione per le donne che decidono di uscire dalla violenza; investimenti sulla formazione e su percorsi di educazione nelle scuole e nelle università che mettano in discussione e superino il “binarismo di genere” e gli stereotipi di genere; eliminazione dell’obiezione di coscienza per l’interruzione volontaria di gravidanza negli ospedali pubblici; finanziamenti ai consultori per garantire l’accesso alla contraccezione, all’informazione e alla prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili; banca dati per monitorare le differenze di retribuzione salariale; banca dati sulle molestie nei posti di lavoro).

“Quando affermiamo che la violenza è sistemica, intendiamo dire che le sue forme di espressione sono molteplici e trasversali: toccano infatti tutti gli ambiti delle nostre vite intrecciandosi continuamente tra di loro.”.


In allegato trovate il Piano, sono 57 pagine che si leggono d’un fiato.
https://nonunadimeno.files.wordpress.com/2017/11/abbiamo_un_piano.pdf

Per gli interessati oggi alle ore 17 alla Galleria Vittorio Emanuele ci sarà un sit-in con vari interventi organizzato dalla sezione Messina di Non una di meno.
Lunedì 27 novembre alle ore 9.30 presso l’aula “L. Campagna” del Dipartimento di Scienze Politiche e Giuridiche, verrà presentato il volume “La violenza contro le donne nella storia. Contesti, linguaggi, politiche del diritto (secoli XV-XXI)” confronto organizzato dal gruppo delle Storiche delle istituzioni politiche dell’Università di Messina in occasione della giornata internazionale contro la violenza sulle donne, ricordando Antonella Cocchiara.

“Girls just wanna have fun-damental rights”.

 

Arianna De Arcangelis

#loveislove, ma non basta

Omosessualità: se non fossi in Italia, sarebbe difficile scrivere di questo argomento.

Perché? ”- direte. Per il semplice fatto che in ben 22 paesi è vietato anche solo pronunciare la ”temibile” parola omosessuale.
Ad esempio, in Medio Oriente l’omosessualità risulta un’espressione dell’occidentalizzazione e, quindi, saldamente condannata.

Essere gay, però, non è un’invenzione occidentale, ma è una condizione assolutamente naturale della realtà umana – affermava Hillary Clinton nel lontano 7 dicembre 2011, in occasione della Conferenza organizzata dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR).  Sei anni dopo questo famoso discorso, nonostante la tutela degli omosessuali ed il riconoscimento del matrimonio gay, negli Stati Uniti esistono ancora delle criticità e, con la recente elezione di Trump alla presidenza, si prevedono tempi duri per le LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transgender).

Se nel continente americano, gli omosessuali – seppur non totalmente in egual misura – vengono riconosciuti, tutelati e hanno diritti al pari di ogni cittadino ritenuto ”normale”, facendo un salto nelle terre storicamente nemiche degli USA, esiste una realtà più assurda di una classificazione di cittadini A e B.

Yuri Guaiana, da sempre attivista gay, ci dimostra che proprio in questi paesi dell’Est Europa, il #loveislove per molti è una realtà utopistica.

Come è stato raccontato in vari reportage, la situazione degli uomini nella piccola repubblica caucasica è tragica: almeno un centinaio di gay sono detenuti illegalmente in un centro di prigionia ad Argun, ad est della capitale Groznyj. Secondo i testimoni, i prigionieri vengono catturati attraverso uomini-esca che si fingono a loro volta gay, portati in luoghi segreti e torturati a lungo con tubi di gomma o cavi elettrici; vengono anche ricattati fino a dover pagare un vero e proprio pizzo in denaro per evitare l’outing.

In molti sono già scappati dalla loro terra natia, quella che li sevizia nei nuovi lager del 2017.

Di fronte allo sdegno mondiale per quanto sta accadendo, quindi, l’ALL OUT ha raccolto due milioni di firme, in cui si chiede la fine immediata delle persecuzioni in Cecenia.

Motivi, questi, per cui Yuri Guaiana si è recato a Mosca dove ha consegnato la petizione con tutte le firme raccolte. Come poteva rispondere la pacifica Federazione? Guaiana è stato prima arrestato e poi, su pressione della Farnesina, rilasciato.

La situazione in Cecenia è talmente grave che diversi politici stranieri hanno sentito il dovere di condannare le violenze e le intimidazioni contro la gay community cecena.

Ma l’Italia? Sembra essere avara di parole da spendere in merito. Il ministro Andrea Orlando, solo in occasione dell’incontro per il primo anniversario dell’approvazione delle unioni civili, ha condannato la situazione, ricordando che Putin è al centro di simpatie di alcuni politici italiani. Poi, in prima linea, il silenzio di Angelino Alfano, responsabile degli Esteri e – per voler finire – il totale disinteresse dei media.

Ma d’altronde, si sta parlando di omosessuali, mica di diritti umani.
Si sta chiacchierando solo di un nuovo stile di vita condivisibile o meno, mica di violenza ingiustificata, di razzismo o di ghettizzazione.

O forse, si sta parlando di coraggio, di amore, un sentimento che non dovrebbe subire discriminazione, che dovrebbe essere libero per tutti; quell’amore che non dovrebbe avere sessualità, ne pregiudizi o intolleranze. Eppure, adesso, l’amore non basta per vincere l’ignoranza e la violenza di chi non lo conosce.

Jessica Cardullo