Milada: due dittature non bastano per annientare la forza di volontà

Alcune volte il cinema è uno strumento necessario per poter comprendere il passato.
I film rappresentano realtà storiche di primaria importanza, soprattutto quando raccontate dal punto di vista di chi le ha vissute in prima persona.

I libri svolgono una funzione fondamentale per la nostra istruzione ma con le pellicole cinematografiche – di norma – riusciamo ad immergerci maggiormente all’interno di un determinato contesto. Se questi film da un lato ci permettono di conoscere profondamente una verità, dall’altro ci servono per aprire gli occhi.

Questo è il caso di Milada (2017) diretto da David Mrnka e scelto dall’associazione AEGEE per il cineforum #socialequity; il film narra la storia di Milada Horáková, una giurista e politica cecoslovacca divenuta celebre per le sue battaglie, prima contro il nazismo e poi contro il comunismo.

La locandina del film – Fonte: praguesoundtracks.com

Trama

Negli anni 30 Milada Horàkovà (Ayelet Zurer) è membro del partito socialista nazionale cecoslovacco; moglie di Bohuslav Horák (Robert Gant), anch’egli membro del partito e madre di Jana (interpretata nelle sue fasi di crescita da Daniel, Karina Rchichev e Tatjana Medvecká) si mostra da subito riluttante nei confronti della Germania di Hitler.

La donna entra immediatamente a far parte della resistenza contro l’occupazione nazista diventandone uno dei membri di spicco; sarà scoperta ed arrestata dalla Gestapo che in un primo momento la condannerà a morte. Successivamente la pena sarà convertita in ergastolo e Milada verrà deportata – così come il marito – in un campo di concentramento.

Una volta finita la guerra e dopo essere sopravvissuta agli orrori dei tedeschi, decide di candidarsi in politica. Insignita della Legion d’onore francese continuerà a svolgere le sue funzioni ribellandosi alle continue minacce del regime comunista fino a quando verrà nuovamente incarcerata e torturata brutalmente perché considerata una spia.

Milada durante un interrogatorio sovietico – Fonte: hanavagnerova.com

Trascorrono i mesi e i sovietici non permettono a Milada neppure di ricevere visite dalla famiglia; sarà costretta a vivere in una cella minuscola e a subire vessazioni fisiche e psicologiche con il fine di costringerla a dichiararsi nemica dello Stato.

Milada difenderà il suo credo ed il suo operato e lo farà fino alla fine.

Regia e cast

Il lavoro svolto dal giovane regista David Mrnka è splendido; egli è stato capace di raccontare egregiamente i fatti tragici ma (purtroppo) reali che hanno afflitto la vita di Milada.

Dato il suo ritmo lento il film sembra essere quasi drammatico; tuttavia il regista ha deciso di concedere spazio a sotto-trame secondarie per far comprendere integralmente le vicende dell’epoca così da poter dare un tono fortemente biografico al film.

Concretamente, i due generi cinematografici sono come “mescolati” tra loro in modo tale da non far prevalere uno rispetto all’altro, ottenendo così la possibilità di poter narrare una realtà nuda e cruda facendo commuovere e riflettere allo stesso tempo lo spettatore.

Una scena del film – Fonte: imdb.com

La performance dell’attrice israeliana Ayelet Zurer (così come quella degli altri membri del cast) è lodevole; profondamente calata all’interno della parte riesce ad ottenere il massimo a cui un interprete possa aspirare: non far trasparire che si stia recitando quando lo si sta effettivamente facendo.

Milada come simbolo

Affermare che Milada Horáková sia un esempio per la lotta dei diritti umani è riduttivo (soprattutto in questi tempi). Oggi, termini quali dittatura vengono utilizzati in maniera del tutto impropria per alimentare in maniera becera le propagande e per immolarsi paladini di una lotta che – almeno nel nostro e in molti alti paesi democratici – fortunatamente non esiste.

Il processo a Milada, da lei stessa definito «buffonata» – Fonte: expres.cz

Utilizzare tali terminologie solamente per creare paure e per gettare fumo negli occhi è ampiamente vile e irrispettoso nei confronti di chi ha dovuto realmente sacrificare la propria esistenza per abbattere queste tirannie.

Ad oggi diversi Stati del mondo sono sottoposti a regimi dittatoriali veri e propri e Milada è come un ausilio per distinguere la vera dittatura da quella creata per incantare le masse.

Vincenzo Barbera

La leggenda di Paul McCartney: come il cantante e chitarrista cambiò la storia della musica

 

“Continuo a pensare che l’amore è tutto ciò di cui ho bisogno. Non conosco un messaggio migliore di questo”

Buon Compleanno Paul McCartney!

La leggenda, con la sua fidata chitarra e la sua incredibile voce ha stravolto il mondo della musica e non solo. Con le sue canzoni e le sue azioni, in realtà, ha migliorato l’intera società. 

Chi è Paul McCartney?

Nasce a Liverpool il 18 Giugno del 1942 e sin da piccolo si appassiona al mondo della musica, sia per la sua spiccata intelligenza che per l’influenza del padre Jim. Questo, ex trombettista e pianista, incoraggiò il figlio ad intraprendere la strada della musica e lo fece con grande delicatezza: gli regalò una tromba in occasione della morte della madre, come per voler dimostrare che la musica riesce a colmare i vuoti, anche i più grandi.  

Fonte: reviler.org

Ma il giovane Paul, quattordicenne all’epoca, barattò il regalo del padre con una chitarra, ed essendo mancino dovette imparare a suonare sottosopra, ma non fu un problema! Anzi, con quella compose la sua prima canzone : “Lost My Little Girl”.

La svolta

A quindici anni la sua vita cambiò in modo radicale: nel 1956 incontrò ad una festa John Lennon e i Quarrymen (che in futuro cambieranno nome in the Beatles).

All’inizio Paul e John non andarono tanto d’accordo (forse il talento del ragazzino minacciava John?) ma poco importa, le divergenze si superarono immediatamente e il loro rapporto da semplici colleghi evolverà,  fino a diventare fraterno.

E così lo ricorda: 

«Uno dei miei più bei ricordi di John è quando ci mettevamo a litigare: io non ero d’accordo con lui su qualcosa e finivamo per insultarci a vicenda. Passavano un paio di secondi e poi lui sollevava un po’ gli occhiali e diceva “è solo che sono fatto così...”. Per me quello era il vero John. In quei rari momenti lo vedevo senza la sua facciata, quell’armatura che io amavo così tanto, esattamente come tutti gli altri. Era un’armatura splendida; ma era davvero straordinario quando sollevava la visiera e lasciava intravedere quel John Lennon che aveva paura di rivelare al mondo»

Fu proprio Paul ad inserire George Harrison nel gruppo (che conobbe due anni prima durante un viaggio in autobus) così, nel 1960 fecero la prima tournèe  in Scozia e solo durante la tappa in Germania – dopo varie divergenze – cambiarono il nome dei Quarrymen in the Beatles (inconsapevoli che sarebbero diventati una leggenda). 

I Beatles nel 1963 ( immagine di pubblico dominio)

Blackbird (1968)

Blackbird è una canzone dei the Beatles scritta da McCartney, composta in Scozia e pubblicata nel 1968.  Fece discutere immediatamente, perché, se interpretata in chiave politica, richiama il Movimento del Black Power, uno dei più caldi di quel periodo (e di sempre). 

Solo nel 2001 Paul dichiarò che la canzone si ispirava alla cronaca di fine anni ’50, inizio ’60 e in particolare, si rifece alle prime rivoluzioni circa i diritti civili dei neri, battendosi per coloro che venivano ritenuti inferiori.

” Merlo che canti nel cuore della notte, prendi queste ali spezzate e impara a volare. Per tutta la vita, aspettavi solo questo momento per spiccare il volo” 

Hey Jude (1968)

Una canzone che non ha bisogno di presentazioni – tanto che il foglio in cui fu scritta l’opera venne venduto all’asta per 910mila dollari – e che ancora oggi occupa l’ottava posizione nella classifica delle 500 migliori canzoni di tutti i tempi della rivista Rolling Stone.

Paul scrisse la canzone per Julian Lennon, il figlio di John (in seguito al divorzio con Cynthia Poweell) al quale era molto legato; il ragazzo stesso dichiarò: «Paul e io stavamo molto insieme – più di quanto stessi con papà. Eravamo molto amici e sembrano esserci più fotografie di me e Paul che giochiamo piuttosto che di me insieme a mio padre».

Insomma, McCartney  scrisse questa canzone al suo quasi figlio, includendo un messaggio di speranza per tutti coloro che hanno vissuto un momento buio:  sottolineando come per poter andare avanti, bisogna credere in ciò che si fa e bisogna assolutamente evitare di rimanere aggrappati al passato, perché poi non c’è possibilità di uscita. 

“Hey Jude, non peggiorare le cose:
prendi una canzone triste e rendila migliore.
Ricordati di riporla nel tuo cuore
e poi comincia a migliorarla.”

L’eredità

Paul McCarteney non è “solo” cantautore, chitarrista, pianista o compositore ma è stato – o meglio è – un attivista: da sempre sta dalla parte di coloro che non possono parlare, di chi è stato dimenticato o messo da parte, nel contesto di una società che purtroppo si muove unicamente per vanità.

(Immagine di pubblico dominio)

Nessuno più di lui è esempio che si può diventare chiunque si voglia, credendo in se stessi e con le proprie azioni. Ha cambiato la storia della musica, riuscendo a trasformare il suo straordinario talento in arte e lasciandoci un messaggio di  speranza.

“Credo nell’amore. Ne cantavano i Beatles. Ne ho cantato io, tutti ne cantano”

Alessia Orsa

L’illegalità di decidere per sé stesse 

 

I diritti. I nostri diritti. 

Sono lì, scritti ed assodati, scolpiti sulla pietra, intoccabili. 

Eppure – relationes docent – mai dare niente per scontato, nemmeno ciò che sembra così radicato nella nostra vita o nella nostra società. 

Francia – maggio 1968. La fondatrice del femminismo contemporaneo Simone De Beauvoir alza la voce a favore delle donne e pone l’accento su questioni scomode. Il 5 Aprile del 1971 LA donna del femminismo francese scrive il testo de “le manifeste des 343″, n cui 343 donne ammettono di aver avuto un aborto, esponendo sé stesse alle relative conseguenze penali. 

Italia – 22 maggio 1978. Trionfa Emma Bonino e la legge 194, un insieme di norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza. 

Alabama – 15 maggio 2019. La governatrice Kay Ivey, retrocede nel medioevo dei diritti in quella che dovrebbe essere una società avanzata. Iquesto stato americano, infatti, vige adesso un incostituzionale divieto per cui l’aborto diventa illegale anche in condizioni di stupro ed incesto. La suddetta decisione, inoltre, viene proposta (e approvata) come una sorta di movimento pro life che si sostiene sui saldi pilastri della vita come dono dall’alto, un inaccettabile ossimoro di un paese in cui vale la pena di morte.  

Se la vita va difesa sempre, dal concepimento alla morte naturale, è ovvio il contrasto dell’essere contro l’aborto ma a favore della condanna a morte contemporaneamente. le contraddizioni sembrano non scomparire mai, essendo qui garantita la libertà di possedere armi con quello che ne consegue, di totale disprezzo della vita altrui. 

Le donne, il femminismo, la lotta per la PARITA’ DEI DIRITTI senza disuguaglianze, accompagnata dal potere decisionale ugualmente esercitato da donne e uomini, sembra voler essere calpestato da queste leggi rimarcanti l’impossibilità di una donna di decidere per sé stessa – o per il proprio corpo. 

 

A sostenere l’illegalità dell’interruzione della gravidanza, sono tantissimi paesi. Volendoci avvicinare alle nostre acque, ritroviamo l’arcipelago maltese, dove la maternità è qualcosa di sacro e quindi sostenuto ed inviolabile con questa pratica. 

Nel ciclone anti-aborto c’è anche la Polonia, dove ogni anno ci sono migliaia di interruzioni clandestine e dove sussiste un trasporto dagli stati confinanti di pillole abortive, in assoluta riservatezza. 

In Albania è legale, ma  purtroppo viene praticato anche quello selettivo, ovvero, in una società fortemente patriarcale, si pratica più spesso quando il feto è femmina. 

 

Diritti. I nostri diritti; quelli delle donne, che spesso sembrano schiacciati dal volere altrui, da menti retrograde e ingiuste. 

Per citare ancora Simone de Beauvoir, questa sosteneva che le donne devono scegliere la trascendenza, che niente è dato, niente è eterno e che anche la condizione più penalizzante e ingiusta è frutto delle nostre scelte.  

Nella nostra società, nella vita di tutti i giorni hanno tentato, tentano e tenteranno di limitare la libertà di noi donne, che è il presupposto della nostra esistenza. ‘’Trascendere i fatti dell’esistenza significa scegliere di non arrendersi alla propria condizione e partecipare al cambiamento del mondo. E questo non vale solo per le donne, ma per tutti gli esseri umani, che sono egualmente dotati di libertà’’. 

 

Jessica Cardullo

Ohana significa famiglia

Ohana significa famiglia e famiglia vuol dire che nessuno viene abbandonato o dimenticato.” 

La citazione, tratta dal cartone Disney “Lilo & Stitch”, rimanda all’idea di famiglia secondo la cultura hawaiana. Con il termine ohana si intende la famiglia non solo in senso lato (legame di sangue), ma anche come rapporto adottivo o intenzionale che unisce le persone amiche in funzione dell’affetto e dei valori di cooperazione, condivisione e rispetto. Significa prendersi cura gli uni degli altri scegliendosi e accettandosi reciprocamente così per come si è.

Questa concezione sta alla base della tradizione dei nativi hawaiani, ma in fondo la si potrebbe estendere anche ad altre culture, che ne condividono il valore. Ad esempio, spostandosi di continente, la famiglia è molto sentita e vissuta anche in Italia, e rappresenta un elemento fondante della cultura e della società. È emblematico e interessante pensare, ad esempio, che in una delle attività di formazione che l’associazione Intercultura (onlus che si occupa di scambi interculturali) organizza per i ragazzi in partenza all’estero, la maggior parte di questi ultimi, nel dover stilare la loro scala dei valori, tenda a posizionare tra i primi proprio quello della famiglia, attribuendovi importanza primaria.

Tornando al concetto di ohana: le parole del personaggio di Lilo potrebbero essere tornate in mente facilmente mentre la scorsa settimana ci si imbatteva negli aggiornamenti quotidiani dei tg in merito al XIII congresso mondiale delle famiglie (World Congress of Families) che si è svolto dal 29 al 31 marzo a Verona. Tra i relatori spiccano personalità più o meno note del panorama politico nazionale e internazionale. Cos’è la famiglia per una parte di Italia hanno tentato di spiegarcelo loro, argomentando delle tesi a supporto di teorie pro vita che contemplano l’esistenza di un solo modello di famiglia riconosciuto come unicamente valido poiché costituito dalle figure genitoriali di madre e padre. Ecco perché, leggendo e ascoltando queste parole, se ne possono pensare di altre diametralmente opposte, come quelle di Lilo, che se interpretate con un principio di inclusione, alludono a una realtà dove nessuna tipologia di famiglia, seppur non tradizionale, viene dimenticata o non celebrata. Una famiglia per essere definita tale deve rispondere a poche ma essenziali condizioni: il sentirsi a casa e l’amore disinteressato e incondizionato. Quali altri canoni dovrebbe rispettare una famiglia ideale? Quali criteri determinano un modello di famiglia migliore rispetto a un altro? Quali dovrebbero essere i tratti distintivi che costituiscono una famiglia cosiddetta “normale” e naturale? Le altre sono anormali? Altre forme d’amore e altri modi d’amare sono impensabili?

Laddove c’è amore, c’è famiglia: ed è proprio questo lo slogan proiettato nelle facciate di alcuni monumenti a Verona, in occasione di una manifestazione di protesta avanzata da All out, movimento globale che lotta a favore dei diritti LGBT+, a cui hanno aderito anche altri enti ed associazioni che sposano la stessa mission. L’intento era quello di trasmettere, attraverso l’azione non violenta, il seguente messaggio: “è l’amore che fa una famiglia e tutte le famiglie contano!”. Questa insurrezione non deve essere confusa e fraintesa con una pretesa di voler imporre a tutti i costi idee opposte a quelle portate avanti dal congresso, ma è dettata dal principio della libertà di espressione di posizioni diverse su alcuni temi. Così come al congresso delle famiglie si dibatteranno alcune opinioni, allo stesso modo si deve poter esercitare il diritto di controbattere, ribellandosi a una determinata corrente di pensiero.

Željka Markić, fondatrice e presidente di “Per conto della famiglia” (U ime obitelji) in Croazia, uno degli ospiti del congresso, ha dichiarato: “Preferirei dare mio figlio all’orfanotrofio, piuttosto che in adozione a una coppia dello stesso sesso.”Un pensiero del genere vorrebbe negare dunque a un bambino la felicità e l’armonia di cui avrebbe bisogno in assenza dei genitori biologici, in funzione di quella distorta idea secondo cui i bambini che crescono con genitori dello stesso sesso non abbiano come riferimento un modello educativo solido e stabile, ma deviato. Sempre secondo questa visione, altre conseguenze sarebbero lo stato di isolamento e di discriminazione che il bambino potrebbe subire, sottoposto ai giudizi di chi lo considererà diverso e lo additerà come “fuori dal comune”. È davvero con questi presupposti che ci si vuole rivolgere e approcciare alle nostre comunità? Le esigenze della società si sono evolute e le società stesse hanno imparato ad accettare tipi nuovi di relazioni, le cosiddette unioni civili. Anche la politica e le leggi dovrebbero adattarsi ai cambiamenti sociali, aggiornando il codice civile, introducendo e promulgando nuove leggi a favore dei diritti di tutti, che una volta approvate ed entrate in vigore, garantiscano più equità sociale. Sono stati già fatti molti passi avanti (la legge Cirinnà che dal 2016 riconosce le unioni civili), ma ancora tante altre proposte devono essere oggetto di confronto per nuovi disegni di legge.

©FernandoCorinto, Parco Don Blasco – Marzo 2019

Altro argomento controverso oggetto di pregiudizi e disinformazione è la questione dell’utero in affitto e della maternità surrogata. Agli occhi dei famigerati e fantomatici garanti della vita ospiti del congresso, questi metodi ridurrebbero la volontà di coppie dello stesso sesso di avere figli a un mercato e a una forma di business che mercificherebbe la donna in quanto oggetto utile alla procreazione, in cambio di denaro. Questa pratica effettivamente viene eseguita in alcune parti del mondo ed è una realtà da molti denunciata. Ma occorre ricordare che in Italia non è consentita, e che dopo aver constatato questo dato, è necessario avviare e supportare una corretta campagna informativa, specificando che non si tratta delle uniche opzioni per una coppia gay di avere figli. Esiste la possibilità di ricorrere a tecniche lecite e legali di procreazione assistita.

Sul fronte della tematica della donna, il congresso si è espresso in modo altrettanto retrogrado e maschilista: la donna viene ancora una volta relegata al ruolo di moglie e madre, come fosse una macchina deputata esclusivamente alla riproduzione, senza diritto di occupazione e ambizioni di carriera. È frustrante quanto vero dover riportare il seguente dato, che emerge da statistiche e da testimonianze che corrispondo al vero: è ormai risaputo che l’Italia rientra tra i paesi le cui prospettive professionali per una donna sono ridotte, con salari più bassi rispetto agli uomini, unitamente all’amarezza di una mentalità diffusa che vede le figure manageriali e di potere come prerogativa dell’uomo. Per non vanificare anni di lotte per l’emancipazione, bisogna intraprendere politiche a favore delle pari opportunità e investire su un tipo di formazione che dia una svolta a quell’approccio machista che ad esempio ha indotto Sergio Vessicchio, cronista calcistico attualmente sospeso dall’ordine dei giornalisti, a rivolgere in diretta da una web tv di Agropoli, commenti sessisti e offese nei confronti di una donna che arbitrava ad una partita. Ha cercato poi di difendersi goffamente, definendo i suoi commenti solo come “dei modi per evitare la promiscuità.” Ai suoi occhi, le donne devono arbitrare le donne, e gli uomini devono arbitrare gli uomini, ignorando il fatto che se si procederà sempre seguendo tali parametri di esclusione, si accentueranno i divari di genere e non si combatterà mai l’idea che le donne siano considerate inferiori, o peggio, non esperte tanto quanto gli uomini riguardo a uno sport in prevalenza maschile.

È evidente come ci sia un’emergenza seria che merita la priorità rispetto agli investimenti sulla maternità. Innanzitutto, se proprio si vuole agire efficacemente, si dovrebbero adottare e applicare politiche di investimento sugli asili nido, promesse puntualmente da ogni legislatura e mai realmente messe in atto. Ad oggi è un problema rilevante per tutte quelle famiglie e tutte quelle mamme che, trovandosi in difficoltà a causa della mancanza di sussidi e luoghi sufficienti in cui poter portare i figli durante la loro assenza, trovano inconciliabile maternità e lavoro. Perché inoltre non ci si concentra su politiche concrete mirate a creare posti di lavoro? Il lavoro nobilita l’uomo, e l’uomo, per creare un nucleo familiare sereno, deve prima poter essere messo nelle condizioni di avere una dignità economica per poterne assicurare il sostentamento. Una donna non ha voglia di essere madre se prima non le viene riconosciuto a pieno il suo status sociale di persona, con uguali diritti di un uomo, senza distinzioni di genere. Una donna per sentirsi appagata e realizzata non è costretta necessariamente a diventare madre, e deve poter avere la libertà di scegliere attraverso la contraccezione, che nonostante abbia diminuito il tasso di natalità da un lato, dall’altro ha limitato e prevenuto molte gravidanze indesiderate, e quindi aborti.

A tal proposito, veniamo al discorso sull’aborto, altro aspetto che il congresso delle famiglie lamenta e condanna. Sorge spontaneo chiedersi se, nei loro ragionamenti, i relatori tengano in considerazione tutte le ragioni che possono portare a un aborto. Per citarne qualcuno: i concepimenti frutto di stupri e violenze o di rapporti non consenzienti; i casi di gravidanza rischiosa per il feto e/o per la madre; l’impossibilità economica di mantenere il feto quando nascerà e diventerà bambino. Abortire non è mai una scelta semplice, per nessuno, ma c’è una legge che lo permette, e regredire non è proficuo. Inoltre, esiste già l’assistenza adeguata che non lascia soli chi desidera portare avanti la gravidanza fino al parto e poi far adottare il bambino. Questa soluzione alternativa all’aborto è il parto in anonimato. Credere di aver costituito un governo politico da appena un anno e poter illudersi di apportare riforme che esistono già è molto inutile, oltre che una pericolosa manipolazione all’insegna del pressappochismo e del buonismo che vorrebbe solo accaparrarsi il consenso della massa.

LGBT+, madri e padri single, e le donne sono le categorie coinvolte nei dibattiti del congresso tenutosi una settimana fa a Verona. Sono nel mirino perché considerate minoranze e gruppi deboli, e che per questo motivo secondo il punto di vista dei partecipanti all’evento, non dovrebbero essere tutelati e godere degli stessi diritti di tutti. Come in ogni fase della storia, in questo momento è toccato a loro diventare i capri espiatori, accusati di essere tra i colpevoli del depauperamento della popolazione. Questa convinzione infondata cela un motivo ben più profondo: rappresenta un comodo deterrente che servirebbe a non ammettere un susseguirsi di sbagli di strategie e logiche politiche, su cui ricadono le principali responsabilità di cali demografici e crisi economica.

Il motto del congresso nonché titolo del manuale di presentazione del programma è “Wind of Change”, cioè “Vento del cambiamento”. È inevitabile il paragone con la celebre canzone degli Scorpions, che cantavano sulle note di “Wind of Change” come simbolo di resistenza e speranza contro la guerra. Non sembra esserci comunanza di intenti nel messaggio che l’organizzazione internazionale delle famiglie (IOC), organizzatrice del congresso mondiale delle famiglie, intende trasmettere e di cui si fa portavoce. Sicuramente non incita esplicitamente alla guerra, ma diffonde idee che sottostanno a un pensiero intollerante e chiuso. E si sa che fenomeni come i totalitarismi, prima di diventare tali, sono partiti in origine da politiche apparentemente accettabili che poi sono sfociate in crimini contro l’umanità e nel secondo conflitto mondiale. Da un’ideologia all’istigazione all’odio il passo è breve. 

Perché Verona e non qualche altro luogo in cui ambientare il congresso? Nel sito ufficiale dell’evento si spiega che Verona è stata scelta “per onorare i suoi cittadini e i loro continui sforzi e azioni in difesa dei valori della vita e della famiglia a livello sociale e politico”. Verona è conosciuta nel mondo per la sua storia e per il suo patrimonio artistico e culturale. Romeo e Giulietta e l’Arena ad esempio sono solo due tra quei simboli che rimarranno sempre predominanti. Non sarà di certo il congresso a rendere la città più speciale. Torniamo a dare il giusto peso e senso alle cose. Per fortuna che c’è la bellezza della cultura e dell’arte a salvare il mondo.

Giusy Boccalatte

Giornata internazionale contro la violenza sulle donne e la proposta del movimento “Non una di meno”

Oggi è la giornata internazionale contro la violenza sulle donne.
Le ricorrenze di questo tipo sono utili per grandi manifestazioni, dibattiti, servono per rendere ancora più noto alla comunità che un movimento, un insieme di persone, sempre più forte e cospicuo, c’è.

A livello internazionale oggi si discute molto dopo le denunce contro Harvey Weinstein ma le violenze e gli abusi non esistono solo sui “divani dei produttori” e nel mondo del cinema.
Ci sono in qualunque luogo di lavoro e nella privacy delle case: è ora che “i riflettori” si accendano definitivamente anche su questi luoghi.
Un movimento femminista italiano esiste: donne giovani, preparate e disposte al dialogo intergenerazionale e fra generi. Sì GENERI.
Il movimento “Non una di meno” ha prodotto, a seguito di una serie di assemblee svoltesi in tutta Italia: “Abbiamo un piano. Piano femminista contro la violenza maschile sulle donne e la violenza di genere.” un documento che si apre con una considerazione sulla lingua italiana e l’utilizzo dei generi maschile e femminile.


I lettori che non sono a conoscenza di queste evoluzioni sociali si dovranno sforzare un po’ per adottare questo nuovo punto di vista che inizialmente sembrerà distante ma in realtà è molto più razionale e ragionevole degli schemi sociali e linguistici a cui siamo abituati.

“Il linguaggio non è solo un’istituzione sociale o uno strumento di comunicazione, ma anche un elemento centrale nella costruzione delle identità, individuali e collettive.
La lingua italiana è una lingua sessuata, che già dalla sua grammatica riproduce e istituisce un rigido binarismo di genere (tra nomi, pronomi e aggettivi che cambiano a seconda se maschili o femminili) e una specifica gerarchia, in cui predomina il maschile, presentato come universale e neutro.
In questo Piano abbiamo scelto di svelare la non neutralità del maschile utilizzando non solo il femminile, ma anche la@ per segnalare l’irriducibilità e la molteplicità delle nostre differenze. Consapevoli che le lingue mutano e si evolvono, proviamo a rendere il nostro linguaggio inclusivo per avere nuove parole per raccontarci e per modificare i nostri immaginari.”

Pluralismo di visioni, generazioni, luoghi fisici e quindi cultura ed esperienze.
Sono 12 capitoli articolati in proposte per superare violenze, discriminazioni in tutti gli ambiti della quotidianità, partendo dal linguaggio passando per la scuola, il lavoro e il diritto alla salute (reddito di autodeterminazione per le donne che decidono di uscire dalla violenza; investimenti sulla formazione e su percorsi di educazione nelle scuole e nelle università che mettano in discussione e superino il “binarismo di genere” e gli stereotipi di genere; eliminazione dell’obiezione di coscienza per l’interruzione volontaria di gravidanza negli ospedali pubblici; finanziamenti ai consultori per garantire l’accesso alla contraccezione, all’informazione e alla prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili; banca dati per monitorare le differenze di retribuzione salariale; banca dati sulle molestie nei posti di lavoro).

“Quando affermiamo che la violenza è sistemica, intendiamo dire che le sue forme di espressione sono molteplici e trasversali: toccano infatti tutti gli ambiti delle nostre vite intrecciandosi continuamente tra di loro.”.


In allegato trovate il Piano, sono 57 pagine che si leggono d’un fiato.
https://nonunadimeno.files.wordpress.com/2017/11/abbiamo_un_piano.pdf

Per gli interessati oggi alle ore 17 alla Galleria Vittorio Emanuele ci sarà un sit-in con vari interventi organizzato dalla sezione Messina di Non una di meno.
Lunedì 27 novembre alle ore 9.30 presso l’aula “L. Campagna” del Dipartimento di Scienze Politiche e Giuridiche, verrà presentato il volume “La violenza contro le donne nella storia. Contesti, linguaggi, politiche del diritto (secoli XV-XXI)” confronto organizzato dal gruppo delle Storiche delle istituzioni politiche dell’Università di Messina in occasione della giornata internazionale contro la violenza sulle donne, ricordando Antonella Cocchiara.

“Girls just wanna have fun-damental rights”.

 

Arianna De Arcangelis