Diritti sulla sessualità e riproduttività. In Spagna arrivano la “Ley Trans” e la legge sull’aborto

Lo scorso 16 febbraio per la Spagna è stata una “giornata storica”. Finalmente, dopo interminabili  battaglie, il Parlamento spagnolo ha approvato due importanti normative a tutela degli diritti e delle libertà, per le persone Lgbtq+ e le donne. “La Ley Trans es ley”, questa la frase pronunciata con orgoglio da Irene Montero, ministra delle Pari opportunità e rappresentate del partito spagnolo Unidos Podemos, di fronte al Congresso dei deputati a Madrid.

Autodeterminazione di genere per chi ha più di 16 anni, riforma sull’aborto e congedo mestruale retribuito per le donne: queste le normative promosse dall’attuale governo spagnolo di centrosinistra. Un grande passo in avanti per il paese, ma le critiche e le forti opposizioni non sono mancate. Vediamo nel dettaglio cosa è stato approvato e quali sono invece le direzioni intraprese da molti altri paesi.

La “Ley Trans”, per l’autodeterminazione di genere, è stata un trionfo

Con poco più di 191 voti a favore, 60 contrari e 91 astensioni, la normativa per l’uguaglianza reale ed effettiva delle persone trans e per la garanzia dei diritti delle persone Lgbtq+ è stata approvata.

La legge riconosce qualcosa di semplice, che se sei trans hai diritto ad affittare un appartamento o a divertirti in un luogo pubblico senza essere discriminato. Permetterà alle persone di non avere paura di dire chi sono!

Queste le parole della ministra Montero, che ha festeggiato avvolta nella bandiera simbolo (bianca, rosa e azzurra) della comunità, insieme ad un cospicuo gruppo di storici attivisti. Tra i tanti, Uge Sangil, donna trans e presidente della Federazione Statale Lgtbi+ spagnola, che ha scritto in un tweet:

La legge permetterà di chiedere gratuitamente, a chiunque abbia compiuto 16 anni, la modifica del proprio sesso all’anagrafe senza autorizzazioni giudiziarie o certificati medici-psicologici che attestino la disforia di genere o i due anni di trattamento ormonale in precedenza invece richiesti. Questa diritto oltremodo è estendibile ai giovani tra i 14 e i 15 anni, solo se però presentano l’approvazione di almeno un genitore. Mentre tra i 12 e i 14 anni, c’è bisogno dell’autorizzazione del giudice. La normativa proibisce oltretutto terapie di conversione e mette in atto misure contro l’omofobia nei diversi ambiti della società.

La legge non comporta nessun pericolo per i minori e non va contro le lotte dei femminismi

Ma alcuni movimenti femministi, come il Contra el Borrado de las Mujeres e il Movimiento Feminista de Madrid, non la pensano allo stesso modo di Uge Sangil. Questi ritengono che il consentire ad ogni uomo di registrarsi all’anagrafe come donna, senza nessuna prova medica di transizione, porterà a rendere la legge sulla “violenza di genere” come “carta straccia”. Il partito di estrema destra Vox, invece, ha parlato di un “allarmante” aumento dei casi di omosessualità e transessualità. La Montero sostiene che qui si tratti proprio di “Lgbtifobia”.

Riforma sull’aborto e congedo mestruale

A Madrid però non si è parlato solo di transessualità, ma anche di salute sessuale-riproduttiva e d’interruzione volontaria di gravidanza. Infatti, è stata approvata una riforma della legge sull’aborto. Grazie a quest’ultima le ragazze dai 16 anni in su avranno la possibilità di abortire, senza il necessario consenso dei genitori o dei tutori legali. Modificando quindi la misura voluta dai conservatori nel 2015, i quali davano questa opportunità solo dai 18 anni in su. La legge introduce un registro degli obiettori di coscienza ed elimina l’obbligo dei tre giorni di riflessione dal momento della decisione.

 

La ministra delle Pari opportunità Irene Montero
La ministra delle Pari opportunità Irene Montero, Fonte: ELLE

All’interno della stessa legge è stato introdotto un ulteriore incentivo, che fa della Spagna il primo paese europeo ad averlo concesso. Il congedo retribuito alle donne per il ciclo mestruale invalidante, insieme alla distribuzione di forniture gratuite di prodotti per l’igiene femminile nelle scuole, nei carceri e nei centri per le donne. Il congedo prevede un permesso retribuito di tre giorni al mese, bisognerà semplicemente presentare un certificato medico. Sarà lo Stato a farsi carico dei giorni di malattia. Come dichiara la ministra Montero “il cammino non finisce qui”.

Ma a che punto sono gli stessi diritti nel mondo?

In Europa sono ancora pochi i paesi che consentono l’autodeterminazione di genere. La Danimarca è stato il primo paese europeo a concederlo nel 2014. La Scozia ha abbassato l’età minima dai 18 anni ai 16, per poter chiedere il cambiamento legale. Riforme simili le possiamo riscontrare in Finlandia, Belgio, Portogallo, Norvegia e Svizzera. Non molto possiamo invece dire per tali diritti in Italia, che per il cambio di genere prevede attualmente la rettificazione chirurgica.

Sul versante extra-europeo la situazione non è migliore. Secondo quanto riporta il The Washington Post ,in Arkansas (Stato al sud degli Stati Uniti) è stato imposto un divieto che blocca le cure di genere per i minori, il denominato Malpractice Bill. Quest’ultimo pone ai medici il divieto di fornire terapie ormonali di conferma di genere o bloccanti della pubertà a chiunque sotto i 18 anni. Nessun intervento chirurgico può essere effettuato nello stesso Stato. Dalle parole del senatore repubblicano Gary Stubblefield:

L’idea che gli adolescenti, per non parlare dei bambini piccoli, siano in grado di prendere decisioni così sconvolgenti è assurda. Una società che permette loro di fare questo, è una società profondamente rotta.

In materia di congedo mestruale, nel mondo ci sono aziende e istituzioni che lo permettono, ma sono pochi i paesi che lo riconoscono istituzionalmente. Tra questi è previsto in Scozia, in Corea del Sud, a Taiwan o in Zambia (dove le donne non mandano nemmeno un preavviso o un certificato medico). In Italia, nonostante il dibattito sia aperto dal 2016 siamo ancora indietro, solo l’Università di Padova distribuisce gratuitamente prodotti per l’igiene femminile. Mentre per l’aborto sono oggi circa 24 i paesi che ancora lo vietano del tutto, soprattutto nelle aree del continente Africano. Secondo i dati del Guttmacher Institute nel mondo si stimano all’incirca 25 milioni di aborti clandestini, che purtroppo provocano la morte di molte donne ogni anno.

Parlare in tema di salute sessuale, riproduttività, uguaglianza di genere non è semplice. Le disparità sono molte ancora oggi ed evidenti. Di certo il mondo sta cambiando e continuerà a farlo. Ci saranno attivisti che lotteranno, oppositori che protesteranno. Sarebbe però significativo che in tutto questo nessuno venga mai privato della propri diritti di libertà e dignità.

Marta Ferrato

Dalle stalle bahamensi alle stelle hollywoodiane: Sidney Poitier

Se n’é andato ieri l’attore, attivista, diplomatico, in una parola: il trailblazer Sidney Poitier. Nato il 20 febbraio 1924 in Florida da una famiglia di contadini, trascorre i suoi primi anni di vita nell’arcipelago delle Bahamas che lascia da adolescente diretto alla volta di Miami e poi di New York. Dopo l’esperienza dell’esercito e della vita “alla giornata”, negli anni Quaranta finalmente imbocca la strada della recitazione a teatro, prima, e sul grande schermo dopo.

Nella sua carriera da attore ha recitato in oltre cinquanta film, dal primo indimenticabile Uomo bianco tu vivrai! (1950), passando per I gigli del campo (1964), che gli fece guadagnare l’Oscar come miglior attore protagonista, e Indovina chi viene a cena? (1967), fino a The Jackal (1997).

“Una buona azione qui, una buona azione lì, un buon pensiero qui, un buon commento lì, tutto ha aggiunto alla mia carriera in un modo o nell’altro.”

Il messaggio dietro la semplice commedia

Indovina chi viene a cena? presenta in maniera molto leggera una problematica rilevante e – purtroppo – ancora attuale, ovvero il razzismo.

Nel guardare questo film bisogna tenere a mente il suo background storico: la pellicola uscì nelle sale cinematografiche nel 1968, solamente quattro anni dopo il Civil Rights Act, la legge federale con cui formalmente si poneva fine ad ogni forma di segregazione razziale negli Stati uniti d’America. Di conseguenza, i pregiudizi e le discriminazioni nei confronti delle persone di colore erano ancora tutt’altro che accantonati.

Katherine Houghton e Sidney Poitier nei panni di John e Johanna in una scena del film

Matt (Spencer Tracy) e Christina (Katharine HepburnDrayton, lui proprietario di un giornale e lei di una galleria d’arte, ricevono la notizia che la loro Joanna “Joey” (Katharine Houghton) sta per sposarsi. Novella più lieta i due genitori non potrebbero ricevere, soprattutto perché il futuro sposo è un importante medico.

Ma c’è un problema: John Prentice (Sidney Poitier) è anche un uomo di colore. I genitori di lei sono sconvolti ma di ampie vedute, mentre lo stesso non può dirsi dei genitori di lui.

“Tu sei mio padre e io sono tuo figlio. Ti voglio bene, te ne ho sempre voluto e te ne vorrò sempre. Ma tu ti consideri ancora un uomo di colore, mentre io mi considero un uomo.”

È evidente la contrapposizione dei due protagonisti, John e Johanna. Lei, nella sua purezza e ingenuità giovanile, vive al di fuori di qualsiasi tipo di pregiudizio. Lui, più razionale, si rende conto di come la sola differenza del colore della loro pelle possa rappresentare un problema nell’America in cui vivono.

Un grande attore e un grande film

Sidney Poitier. Fonte: atlantablackstar.com

Sidney Poitier, oltre ad essere stato un attore talentuoso, è riuscito a portare un grande cambiamento nel mondo del cinema, tale da essere considerato un pioniere. Dall’Oscar come miglior attore protagonista vinto nel 1964 (primo attore di colore a vincere questa statuetta!) alla sua interpretazione in Indovina chi viene a cena, ha spianato la strada al black power per tutti quegli afroamericani che ancora oggi possono seguire le sue orme sia nel mondo dell’industria cinematografica, sia nella lotta non violenta per la causa antirazzista.

Grazie alle sue semplici performance, è riuscito a smantellare tutta una serie di pregiudizi, rispondendo sempre «all’ingiustizia con quieta risolutezza, all’odio con la ragione e il perdono».

“La lotta contro il razzismo non è stata solo la mia carriera, è stata la mia vita.”

Arrivato a New York con soli tre dollari in tasca, ha realizzato il sogno americano, non solo quello cinematografico ma, anche e soprattutto, umano.  Perché, come Joanna “Joey” e John erano “due esseri speciali“, anche lui lo è stato e continua a esserlo anche oggi, nel 2022,  in cui non abbiamo ancora imparato a capire e amare il diverso.

C’è poco altro da aggiungere. Grazie Sidney, i tuoi film e la tua storia continueranno a essere un’ispirazione per tutti noi!

Ilaria Denaro 

Angelica Terranova

Russia, quando un paese civile manca nella tutela dei suoi cittadini

Domani inizierà un processo fondamentale per la storia dei diritti civili in Russia, quello “contro” le sorelle Khachaturyan. Il virgolettato è una precisazione doverosa da fare: le sorelle sono accusate di aver ucciso il padre ma se gli stessi fatti fossero successi in Italia il suddetto processo non avrebbe ragione di esistere né tanto meno esisterebbe.

Le tre sorelle Khachaturyan con il padre. Fonte: Daily Mail

Le premesse

Kristina, Angelina e Maria sono tre dei quattro figli del 57enne Mikhail Khachaturyan, un uomo benestante conosciuto per la sua forte religiosità. Non aveva un lavoro stabile e viveva con la famiglia a Mosca, precisamente in periferia. Secondo la CNN, era un eroinomane legato alla mafia russa. Mikhail e la moglie Aurelia Dunduk si sono conosciuti nel 1996 e le premesse matrimoniali non erano esattamente rosee. Aurelia racconta di essersi sposata piangendo, non di felicità ma a causa delle percosse.

Percosse che non si sono fermate nemmeno durante la prima gravidanza. Quando nacque Sergey, il primogenito, l’orco ha trovato un nuovo sfogo e, come scusa per le percosse al figlio, asseriva che lo facesse per “educarlo“. Tutti notano la situazione interna alla famiglia ma nessuno si espone. Nessuno denuncia. Nemmeno gli insegnanti. Quando poi nascono le tre figlie femmine, l’orco si trasforma in qualcosa di peggiore.

Qualcosa inizia a muoversi quando il figlio maggiore e la moglie denunciano l’uomo. Il mostro già abusava delle tre  figlie quando venne accusato di violenza domestica ma le testimonianze di Sergey e Aurelia in tribunale non portano a nulla. Anzi, portano i due fuori dalla porta di casa. Da quel momento in poi le ragazze diventano proprietà dell’uomo e vengono videosorvegliate in continuazione. Gli abusi a quel punto non hanno più limiti. Non si tratta esclusivamente di violenze sessuale, ma anche di violenze verbali e psicologiche.

Essendo sole con lui e non avendo nessuno dalla loro parte, non hanno strumenti per difendersi: non possono uscire, non possono vedersi con gli amici, non possono andare a scuola. Hanno il diritto di “vivere le quattro mura di casa loro” e di essere delle vere e proprie schiave. Gli abusi continuano e più passa il tempo, più sono disumani. Fino a quando Angelina, Kristina e Maria non ce la fanno più e scoppiano.

Kristina, Angelina e Maria. Fonte: Corriere della Sera

I fatti

Hanno rispettivamente 19, 18 e 17 anni quando nel luglio 2018 non ce la fanno più. Le torture sono diventate troppo da ” sopportare” e capiscono che quella non è vita. Le indagini si aprono il 27 luglio, quando il corpo del mostro viene trovato senza vita sul pianerottolo di casa. Ha decine di ferite da lama sul petto e una mortale sul collo. In casa vengono trovate varie armi come una balestra, un martello e dei proiettili.

Le indagini rivelano anche le dinamiche: Mikhail torna a casa alterato il 27 luglio da una visita in un centro di igiene mentale. Subito se la prende con le figlie e decide di punirle spruzzando loro dello spray urticante sugli occhi e poi le minaccia con un coltello. “Quella è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso” ha detto la figlia Maria agli inquirenti.

Il mostro si mette a sonnecchiare tranquillamente dopo l’ennesima angheria. Le figlie lo guardano e poi decidono: lo aggrediscono con un coltello (lo stesso coltello usato poco prima per minacciarle) e un martello mettendo fine alla sua vita. Lui prova a scappare agonizzante ma muore sulle scale di casa. Il peggio sembra passato ma subito si rendono conto di essere incappate in qualcosa di più grande: il bigottismo cristiano-ortodosso che caratterizza gli ambienti russi.

Il padre Mikhail. Fonte: Dagospia

Il processo

Le ragazze diventano subito le prime sospettate dell’omicidio e vengono arrestate. Confessano e testimoniano più e più volte davanti a inquirenti, dottori e avvocati le torture perpetrate dal padre. Anche le prove raccolte sono schiaccianti e confermano la loro testimonianza, che è uguale per tutte e tre.

Lo odiavamo e l’unica cosa che volevamo era che scomparisse per sempre o che non lo avessimo mai conosciuto.

Quando il processo inizia, si divide in due. Da un lato ci sono Kristina e Angelina, all’epoca dei fatti maggiorenni e nel pieno delle loro facoltà; dall’altro Maria, che non aveva ancora compiuto 18 anni. Prima vengono accusate di premeditazione, poi si aggiunge l’aggravante della cospirazione. La pena in questi casi va dagli 8 ai 20 anni secondo il Codice penale russo. Gli ambienti religiosi e conservatori fanno pressione per il massimo della pena ma a loro si oppongono i cittadini russi.

Questi ultimi infatti si mobilitano immediatamente: varie petizioni online raggiungono le 115.000 firme e le proteste raccolgono migliaia di partecipanti nelle piazze di Mosca e San Pietroburgo. A loro si uniscono l’ex candidato alla presidenza Ksenia Sobchak e il cantante dei System of a Down, Serj Tankian. Gli esperti di violenza domestica dicono che la causa di tutto ciò è da imputare alla quasi totale assenza di meccanismi protettivi all’interno sia delle forze dell’ordine sia del sistema giudiziario.

Un esempio di questa mancanza è data dalla cosiddetta “legge sugli schiaffi“, una legge che rende la violenza domestica un illecito amministrativo meno grave. Con questa legge, voluta fortemente dalla parlamentare conservatrice Yelena Mizulina, i reati “commessi nell’ambito familiare che non provocano ‘seri danni corporali’ sono puniti con una multa di circa €300 e 15 giorni di ‘arresto’“. Tutto ciò fa sì che, secondo varie associazioni indipendenti, in Russia circa 9.600 donne ogni 12 mesi siano vittime di abusi domestici. Per lo Stato russo però le statistiche sono meno gravi e contano 1000 omicidi e circa 300 vittime di violenza domestica nello stesso lasso di tempo.

Le sorelle in tribunale. Fonte: TGcom24

La tutela della famiglia ed il confronto con l’Italia

Secondo Amnesty International, “la violenza contro le donne è ancora diffusa e non adeguatamente contrastata“. Inevitabilmente sorge spontaneo voler paragonare lo Stato russo a quello italiano: se la stessa cosa fosse capitata in Italia (un padre-orco che tiene prigioniere le figlie e le violenta in continuazione privandole della libertà e che viene ucciso dalle stesse) cosa sarebbe successo? Si sarebbero fatte pressioni per avere una determinata pena? Ci sarebbe stata o meno una indignazione così vasta? Come sarebbero viste le ragazze, come vittime o come carnefici?

La risposta è quanto meno scontata: le accuse sarebbero cadute nella legittima difesa. Il nostro ordinamento giuridico afferma che sussiste la legittima difesa anticipata, cioè prevede il caso in cui una donna uccide l’uomo con cui vive se lei subisce sistematicamente delle violenze da parte di quest’ultimo. Come mai la stessa cosa o qualcosa di simile non è previsto nella legislazione russa? La risposta è controversa. Lo Stato russo non vuole interferire negli affari di famiglia. Questo è l’allarme su cui gli attivisti per i diritti umani fanno luce e sostengono che questa politica condanna una serie di persone che potrebbero invece essere salvate.

Diversi sono stati i tentativi di introdurre una legge per contrastare la violenza ma hanno tutti fallito. A dicembre verrà proposta una nuova legge che dovrebbe fornire validi strumenti alle vittime come ad esempio aiuti legali per impedire i contatti tra vittime e aggressori oppure l’allestimento di veri rifugi per potenziali vittime. Tuttavia non è certa la sua approvazione: molti deputati (perlopiù conservatori sostenuti dal clero locale) si oppongono in modo deciso al grido di: “la famiglia è il posto più sicuro sulla terra“.

Oksana Pushkina è una delle rare parlamentari che si battono per questa legge ma confessa di aver ricevuto varie ritorsioni nonostante le prove depositate alla Duma secondo cui “il 70 % delle famiglie sconta violenze domestiche; nell’80% dei casi le vittime sono donne. La categoria successiva sono gli anziani, poi i bambini”.

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Sarah Tandurella