Donne: Forza, Resilienza e Ispirazione

Le suffragette manifestano davanti al Congresso dei Deputati chiedendo il voto femminile
Fonte: https://althistory.fandom.com/es/wiki/Época_Alfonsina_(Utopía_Española)
Le suffragette manifestano davanti al Congresso dei Deputati chiedendo il voto femminile Fonte: https://althistory.fandom.com/es/wiki/Época_Alfonsina_(Utopía_Española)

 

Oggi, nel celebrare la Giornata Internazionale della Donna, è fondamentale riflettere su ciò che significa veramente festeggiare. Spesso, si riduce a un momento di mera celebrazione superficiale, mentre il vero obiettivo è riconoscere le lotte quotidiane e le conquiste delle donne nel mondo intero.

Non c’è limite a ciò che noi, come donne, possiamo realizzare”

affermava Michelle Obama, sottolineando l’importanza di continuare a lottare per l’uguaglianza e i diritti.

Queste donne, pur provenendo da epoche e contesti diversi, hanno tutte contribuito a plasmare l’immagine della donna nella società. Ciascuna di loro ha affrontato sfide uniche e ha tracciato un sentiero per le generazioni future, dimostrando che la forza, la creatività e la resilienza femminili sono elementi fondamentali per il progresso della società.

La storia delle donne è una storia di lotta, passione e trasformazione, un racconto che continua a ispirare e motivare, invitandoci a riconoscere il potere femminile in tutte le sue forme. 

La figura della donna è un affascinante arazzo di storie e coraggio che si dipana attraverso i secoli, forgiando la storia e la cultura del mondo in modi spesso silenziosi ma sempre profondi. Le donne, protagoniste di una narrazione che merita di essere celebrata, hanno lasciato un’impronta indelebile in ogni campo: dalla politica alla moda, dalla guerra all’umanitarismo.

Prendiamo Cleopatra, regina d’Egitto, un simbolo di potere e astuzia che ha saputo navigare le acque tempestose di un’epoca dominata dagli uomini. La sua intelligenza politica e il suo fascino magnetico le hanno permesso di tessere alleanze strategiche, facendola diventare non solo una figura storica, ma l’incarnazione di una femminilità potente e indipendente.

Come scrisse Virginia Woolf:

“Perché non possiamo avere una donna che governi? Il mondo ha bisogno di più donne al potere.”


Coco Chanel, la stilista che ha rivoluzionato la moda nel XX secolo, ha liberato le donne dagli abiti oppressivi del passato, portando un nuovo concetto di eleganza che celebra la comodità e la libertà. La sua vita è la prova tangibile che la moda può essere un potente strumento di espressione e di emancipazione.

“La moda non è qualcosa che esiste solo nei vestiti. La moda è nel cielo, nella strada, la moda ha a che fare con idee, il modo in cui viviamo, ciò che accade”

Sosteneva, sottolineando come la bellezza esteriore possa riflettere una forza interiore.

Diana Spencer, la Principessa del Galles, ha incarnato la complessità della donna moderna, unendo il suo ruolo tradizionale a un impegno sociale senza pari. La sua dedizione a cause umanitarie ha dimostrato che la nobiltà trascende il titolo e il potere, ricordandoci che:

“La vera nobiltà non è di nascita, ma di carattere.”

Elisabetta I d’Inghilterra, regnante in uno dei periodi più luminosi della storia britannica, ha mostrato che una donna può governare con saggezza e determinazione. La sua astuzia e la sua capacità di affrontare le sfide del potere maschile l’hanno elevata a simbolo di sovranità e indipendenza.

Non ho un cuore di donna, e non ho mai avuto

Affermava, rivendicando il suo posto in un mondo ostile.

Giovanna d’Arco, giovane guerriera e santa, incarna il coraggio delle donne nel fronteggiare le avversità. La sua audacia nel combattere per la libertà della sua patria ha ispirato generazioni, dimostrando che la forza e la determinazione possono abbattere ogni barriera.

Non ho paura, ho solo paura di non avere paura

Diceva, esprimendo la potenza dei suoi ideali.

Nel mondo del cinema, Marilyn Monroe è diventata un’icona di bellezza e sensualità, ma la sua vita racconta anche una storia di vulnerabilità e resilienza. Dietro l’immagine scintillante si nascondeva una donna che ha lottato contro le pressioni dell’industria, cercando di affermarsi come artista e persona.

Rivendicando la bellezza dell’autenticità, asserì:

L’imperfezione è bellezza, la follia è genio e meglio essere ridicoli che noiosi.”

Madre Teresa, con la sua dedizione agli ultimi e ai sofferenti, ha incarnato la forza altruista delle donne. La sua vita è stata un esempio di come l’amore e la compassione possano cambiare il mondo, dimostrando che la vera forza risiede nel servizio e nella cura per gli altri.

Non possiamo sempre fare grandi cose nella vita, ma possiamo fare piccole cose con grande amore

Ci ricorda.

E non possiamo dimenticare Anna Bolena, figura tragica della storia inglese, che ci avverte dei rischi legati al potere e all’ambizione. La sua vita e morte ci ricordano le vulnerabilità che le donne affrontano in un mondo dominato dagli uomini, lasciando un’eredità complessa e affascinante.

Fonte: https://www.fashionbubbles.com/wp-content/uploads/2022/03/6_dia_internacional_da_mulher.jpg
Fonte: https://www.fashionbubbles.com/wp-content/uploads/2022/03/6_dia_internacional_da_mulher.jpg

Oggi, più che mai, è fondamentale sostenere e amplificare le voci delle donne, non solo per celebrare ciò che è stato raggiunto, ma per immaginare e lottare per un futuro in cui ogni donna possa vivere liberamente, senza paura e senza limiti. Che questo giorno ci ispiri a essere alleati, a combattere per la giustizia e a riconoscere che la lotta per i diritti delle donne è una lotta per l’umanità intera.
In un mondo che ha bisogno di compassione e di empatia, ricordiamoci che ogni passo verso l’uguaglianza è un passo verso un domani migliore. Celebriamo le donne, non solo oggi, ma ogni giorno, perché il loro coraggio e la loro determinazione ci guidano verso un futuro più luminoso.

Narges Mohammadi, chi è la vincitrice del Premio Nobel per la Pace 2023

Il premio Nobel per la Pace, con 305 candidature, è stato vinto dall’attivista iraniana Narges Mohammadi per la sua lotta contro l’oppressione delle donne in Iran e per la promozione dei diritti umani e della libertà per tutti.  Ad annunciarlo, Berit Reiss-Andersen – presidente del Comitato per il Nobel norvegese.

L’Iran ha detto la sua in merito all’assegnazione di questo premio all’attivista iraniana Narges Mohammadi, definendola una scelta «faziosa e politica».

Chi è la vincitrice del premio Nobel 2023

Narges Mohammadi ha studiato fisica diventando poi ingegnere e lotta da sempre per i diritti umani, contro la pena di morte e contro l’obbligo del velo. 

Insieme a Shirin Ebadi – prima donna musulmana a vincere un premio Nobel per la Pace – fonda il Centro per la difesa dei Diritti Umani, diventandone vicepresidente: quest’organizzazione si occupa principalmente di rappresentare prigionieri politici e prigionieri di coscienza nei procedimenti legali. 

Queste le parole di Shirin Ebadi:

Narges Mohammadi è in carcere da anni per le sue attività in sostegno dei diritti umani. Spero che il regime si renda conto che tutto il mondo ha gli occhi puntati sulle donne iraniane. Spero che cambi l’approccio nei confronti del popolo, in particolare nei confronti delle donne, mi auguro che il regime torni a ragionare in tempi brevi. Chi comanda in Iran deve capire che esistono i diritti umani, e che tutto il mondo tiene sotto osservazione chi governa calpestandone i diritti.

Per l’ONU «la vittoria del Nobel evidenzia il coraggio delle donne iraniane».

L’attivista è stata arrestata tredici volte e sottoposta a centocinquantaquattro frustate. L’ultima condanna risale a maggio 2016. Tuttora detenuta, deve scontare oltre trent’anni nella prigione di Teheran per “diffusione di propaganda contro lo stato”.

Nell’ottobre 2020, dopo cinque anni di reclusione, è stata rilasciata a seguito di un’operazione al cuore. In questo breve frangente ha lottato contro la tortura bianca, spiegando il tutto in un libro dal titolo White Torture.

Nell’opera spiega uno dei metodi di tortura usati nelle prigioni iraniane, in cui i prigionieri sono tenuti in celle bianche per periodi di tempo molto lunghi. Oltre l’esperienza dell’attivista, all’interno del libro troviamo il racconto diretto di dodici detenute politiche.

Lo scopo della tortura bianca è quello di interrompere permanentemente la connessione tra il corpo e la mente di una persona per costringere l’individuo ad abiurare dalla propria etica e dalle proprie azioni.  

Mi metteranno di nuovo in prigione, ma non smetterò di fare campagna finché i diritti umani e la giustizia non prevarranno nel mio Paese.

Premi vinti

Il Nobel per la Pace non è l’unico riconoscimento vinto da Narges Mohammadi. Citiamo anche il premio Alexander Langer dedicato all’impegno civile, culturale e politico. Anche allora non poté presenziare in quanto privata del suo passaporto.

Un ultimo premio vinto è il PEN/Barbey Freedom to Write Award 2023, che viene conferito ogni anno a uno scrittore incarcerato per onorare la sua libertà d’espressione.

Dopo aver appreso della sua ultima vittoria, l’attivista è riuscita a far trapelare un messaggio:

Non smetterò mai di lottare per la democrazia, la libertà e l’uguaglianza. Il premio mi renderà ancora più determinata, fiduciosa ed entusiasta in questo percorso. Al fianco delle madri dell’Iran, continuerò a battermi contro la discriminazione di genere sistematica fino alla liberazione delle donne. Spero anche che questo riconoscimento renda gli iraniani che protestano ancora più forti e ancora più organizzati.

Pene detentive di questo genere sono disumane, soprattutto per una persona il cui unico crimine è aver lottato per una causa giusta, per il riconoscimento dei diritti umani. Narges Mohammadi non vede i suoi figli da otto anni, ha davanti a sé ancora molti anni di carcere e non resta che speranza che la giustizia prevalga.

  Gabriella Pino

Al via i mondiali di calcio in Qatar. Tutte le controversie intorno alla competizione

Da pochi giorni hanno avuto inizio i mondiali di calcio 2022, in Qatar. Ancor prima del primo fischio di inizio e della cerimonia di apertura, non poche sono state le polemiche intorno alla competizione di più alto livello dello sport più praticato al mondo. Ogni grande evento è sempre circondato da chiacchiere, che presto cadono nell’oblio, ma in questo caso non si tratta solo di chiacchiericcio.

Cerimonia di apertura dei mondiali di calcio 2022 (fonte: tuttomercatoweb.com)

La spettacolare cerimonia di apertura

Per quasi un mese, dal 20 novembre al 18 dicembre 2022, il Qatar ospiterà la FIFA World Cup, la prima mai disputata in Medio Oriente e la prima a svolgersi in periodo autunnale, non estivo come sempre. Cinque città e otto stadi in cui 32 nazionali di calcio, tra cui manca quella degli azzurri, si sfideranno per il titolo.

La cerimonia di apertura è avvenuta nella giornata di sabato scorso. Mezz’ora di spettacolo, con la direzione dall’italiano Marco Balich.

Prima star dell’evento è stato Morgan Freeman, il famosissimo attore di Hollywood, che ha recitato, sulla scena allestita al centro dello stadio Al Khor, a 50 km da Doha – a forma di tenda beduina, per omaggiare la tradizione del Paese – un dialogo sull’importanza di alcuni valori, insieme a un’altra celebrità, il giovane qatarino Ghanim al-Muftha, ammirato per come affronta la rara sindrome di cui è affetto.

(fonte: ansa.it)

Una scenografia bellissima, colorata dal passaggio di tutte le mascotte dei precedenti mondiali e dai ballerini, oltre che dagli spettacoli pirotecnici. Balich ha voluto rappresentare, con canti e coreografie la linea invisibile e ininterrotta che unisce tutti gli essere umani di tutto il globo e, per quanto riguarda il racconto del Qatar, quella che collega il suo passato e le sue tradizioni con il presente. Protagonisti di uno dei momenti anche gli sbandieratori di Faenza che hanno fatto librare nell’aria le 32 bandiere delle nazionali partecipanti.

La mascotte qatarina per la competizione appena iniziata (fonte: tuttomercatoweb.com)

Uno spettacolo, a detta di alcuni, che voleva dire al mondo che il Qatar è pronto a ospitare anche le Olimpiadi. Il Paese ha tentato più volte di candidarsi, ma il più grande ostacolo è il clima troppo caldo in estate, stagione in cui tradizionalmente si svolgono i giochi. L’eccezione, per ora, è stata fatta solo dalla Fifa.

Di certo, non mancano le possibilità, al Paese, di creare le strutture idonee e anche in poco tempo: abbiamo visto come gli stadi per la competizione calcistica, capolavori di ingegneria e design, siano stati costruiti in pochissimo tempo.

Proprio questa è stata la prima controversia a far sollevare l’opinione pubblica internazionale.

 

Il discorso dell’emiro all’insegna di nobili valori

Migliaia di lavoratori sono stati artefici dei magnifici impianti che in questi giorni incantano gli occhi degli spettatori e i telespettatori. Questi però hanno dovuto lavorare nelle peggiori condizioni: orari di lavoro massacranti sotto il sole qatarino. Non pochi hanno subito gravi danni alla salute, ad esempio alla vista, alcuni hanno anche perso la vita.

Per questo motivo, il discorso dell’emiro del Qatar, Tamim bin Hamad Al Thani, dalla tribuna d’onore, durante la cerimonia di apertura, è stato accompagnato dai dissensi e i commenti negativi.

«Diamo a tutti, qui dal Qatar, il benvenuto alla Coppa del Mondo. Abbiamo lavorato duramente con tanta gente per allestire un torneo di successo. Abbiamo profuso tutti i nostri sforzi per il bene dell’umanità. Finalmente è arrivato il giorno dell’inaugurazione, il giorno che tutti qui aspettavamo. A partire da oggi e per i prossimi 28 giorni seguiremo, e con noi tutto il mondo, la grande festa del calcio, in un ambiente caratterizzato da umana e civile comunicazione.».

Queste le prime parole dell’emiro, alle quali ne sono seguite altre, che hanno fatto riferimento, come quelle dei due attori protagonisti della scena, a tematiche positive, come quella dell’inclusione e della condivisione.

«È bello che i popoli mettano da parte ciò che divide e celebrino le loro diversità e al tempo stesso ciò che li unisce. Auguro a tutte le squadre di giocare un calcio magnifico, di grande sportività, di vivere un tempo pieno di gioia e di emozioni. Che siano giorni che possano ispirare bontà e speranza. Benvenuti e buona fortuna a tutti».

 

Parole distanti dalla realtà. Il dissenso dell’opinione pubblica

Purtroppo, la realtà del contesto si distacca dal clima di serenità e gioia raffigurate. Anche il momento dell’inno del Qatar cantato dal cantante sudcoreano Jungkook, della famosissima band BTS, e il qatarino Fahad Al Kubaisi, insieme è stato celebrazione di positività.

Tutto ha fatto pensare all’inizio di una grande festa, ma sotto la patina scintillante e colorata ci sono molte controversie, oltre lo scandalo della realizzazione degli stadi.

Quel “eliminiamo le barriere” a cui l’emiro ha fatto riferimento nel suo discorso ufficiale, trova subito un ostacolo nel divieto di bandiere arcobaleno imposto. In Qatar, infatti, l’omosessualità è ancora oggi punita dalla legge con l’arresto.

Però, la comunità Lgbtq e il supporto ad essa sono più forti. Trovato l’ostacolo, trovata la soluzione: l’associazione francese Stop Homophobie e l’azienda statunitense Pantone hanno realizzato una bandiera che rappresenta la comunità, aggirando la legge del Paese arabo. Si tratta dell’iniziativa “Colors of Love” per la quale è stata ideata una rainbow alternativa, bianca, ma con tutti i codici identificativi universali del sistema Pantone per ogni colore della bandiera abituale.

Le reazioni negative sono esplose in tutto il mondo. Dalla cantante Dua Lipa la quale ha sottolineato di non aver voluto accettare l’invito a a intraprendere le trattative per una sua esibizione durante lo spettacolo di apertura, all’emittente britannica Bbc, che ha scelto di non trasmettere la cerimonia di apertura: è la prima volta nella storia. Il gesto ha avuto come finalità quello di mettere sotto accusa un Paese che non rispetta e protegge i dei valori universalmente fondamentali di uguaglianza tra uomini e donne, di rispetto per la comunità Lgbt e dei diritti dei lavoratori, come suddetto, e, soprattutto, della libertà di espressione.

 

La prima partita della nazionale iraniana: la protesta silenziosa

L’ultima grande polemica che ha investito questa coppa del mondo, ma che parte, in questo caso, dall’esterno, è quella che riguarda la nazionale iraniana.

Il fischio di inizio di Inghilterra-Iran, peraltro durata ben 117 minuti – con forse il recupero più lungo mai avuto durante un mondiale di calcio – è stato preceduto da tre minuti probabilmente ancor più intensi.

Gli inglesi si sono inginocchiati per dire, ancora una volta, no al razzismo, e gli iraniani sono rimasti in silenzio durante l’esecuzione del proprio inno tramite gli altoparlanti.

La nazionale iraniana non canta il proprio inno in segno di protesta (fonte: corriere.it)

I giocatori si sono disposti in riga abbracciati, ma con le bocche serrate per gridare, con la voce forse più potente, quella del silenzio, il proprio segno di vicinanza a tutti i connazionali e di dissenso contro il regime politico iraniano.

Come sappiamo, il Paese sta vivendo un momento storico di forte tensione sociale. Le ribellioni alla repressione da parte del regime non si placano. Il popolo iraniano continua a combattere, in parte per strada, nelle piazze, nelle università, in parte da un’altra parte nel mondo, da un campo di calcio spianato sopra altre ingiustizie.

 

 

Rita Bonaccurso

 

 

 

È morto Federico Carboni: il primo caso di suicidio assistito in Italia

Il decesso del 44enne tetraplegico di Senigallia, Federico Carboni è stato reso noto dall’Associazione Luca Coscioni. Si tratta del primo caso di suicidio assistito in Italia.

Federico Carboni è morto: tetraplegico da 12 anni, è il primo caso di suicidio assistito -Fonte:today.it

Federico Carboni, alias “Mario” è stato il primo italiano a richiedere ed ottenere l’accesso al suicidio medicalmente assistito. Il decesso, infatti, è avvenuto attraverso la somministrazione di un farmaco letale iniettato con un macchinario specifico. Accanto a Federico c’è sempre stata l’Associazione Luca Coscioni che lo ha affiancato sia nella battaglia legale, sia nella raccolta di fondi necessaria per sostenere il costo ingente. Per la prima volta è stato riconosciuto il pieno esercizio del diritto ad esprimere pienamente la propria volontà sulla propria vita.

Le procedure per procedere al suicidio assistito

Il tema del suicidio assistito è estremamente divisivo in Italia, ma necessita di essere conosciuto come testimonianza di una maturata convinzione della scelta adottata.

Nella lettera scritta da Federico Carboni lo scorso 2 maggio, il 44enne esprime il desiderio di porre fine ad una condizione che, a seguito di un incidente avvenuto 12 anni fa, lo ha reso tetraplegico.

“Non nego che mi dispiace congedarmi dalla vita, sarei falso e bugiardo se dicessi il contrario perché la vita è fantastica e ne abbiamo una sola. Ma purtroppo è andata così. Io sono allo stremo sia mentale che fisico. Ho fatto tutto il possibile per riuscire a vivere al meglio e cercare di recuperare il massimo della mia disabilità. Posso dire che, da quando a febbraio ho ricevuto l’ultimo parere positivo sul farmaco, sto pensando più e più volte al giorno se sono sicuro di quanto andrò a fare perché so che premendo quel bottone ci sarà solo un addormentarsi, chiudendo gli occhi senza più ritorno. Ma pensando ogni giorno, appena sveglio e fino alla sera quando mi addormento, come vivo, passo le mie giornate a domandare cosa mi cambierebbe. Rimandare non avrebbe senso. Non ho il minimo di autonomia nella mia vita quotidiana, sono in balia degli eventi, dipendo dagli altri su tutto, sono come una barca alla deriva nell’oceano. Sono consapevole delle mie condizioni fisiche e delle prospettive future quindi sono totalmente sereno e tranquillo per quanto farò. Non so se tutti capiranno e accetteranno mai la mia scelta, ma in queste condizioni ci sono io e parlarne da esterni è troppo facile.”

La richiesta di essere sottoposto a verifica delle proprie condizioni per poter procedere alla sua scelta è stata molto lunga. La sentenza della Corte Costituzionale condotta nell’agosto 2020, ha visto nel frattempo, l’avvio di due procedimenti giudiziari conclusi con la condanna dell’Azienda Sanitaria Unica Regionale Marche (ASUR). Essa ruota attorno alla convalida della capacità di Federico di autodeterminarsi, sulla necessità di trattamenti di sostegno vitale e sulla presenza di una patologia irreversibile e recante gravi sofferenze.

Nonostante l’arrivo del parere positivo da parte del tribunale di Ancona, mancava ancora l’approvazione del farmaco e le modalità per procedere, sopraggiunto solo il 9 febbraio 2022.

La raccolta fondi dell’Associazioni Luca Coscioni

Sebbene la sentenza della Corte Costituzionale preveda un obbligo per il Sistema Sanitario Nazionale di verificare le condizioni e le modalità più idonee per avviare la procedura, mancava di fatto una legge che desse a Federico Carboni l’esigibilità del diritto.

Si evince dunque la totale non curanza dello Stato italiano di coprire i costi di assistenza al suicidio assistito, nonché dell’erogazione del farmaco. Ad aiutarlo ad ottenere i fondi è stata l’Associazione Luca Coscioni, fondata nel 2002 dallo stesso Luca Coscioni, economista affetto da sclerosi laterale amiotrofica scomparso nel 2006. Ad oggi è tra le più note associazioni no profit di promozione sociale, portavoce di libertà civili e diritti umani, e sempre attiva per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni.

Associazione Luca Coscioni -Fonte:associazionelucacoscioni.it

L’associazione è riuscita in pochissimo tempo a raccogliere 5000 euro per comprare la strumentazione necessaria.

Il decesso di Federico Carboni

La procedura di suicidio medicalmente assistito è avvenuta alle 11:05 del 16 giugno, sotto la supervisione dell’anestesista e dirigente dell’Associazione, Mario Riccio, il quale spiega

“La somministrazione del potente barbiturico Federico l’ha attivata meccanicamente, io mi sono limitato a preparare la linea infusionale… la morte è sopravvenuta in pochi secondi.”

Un resoconto sulla procedura è stato integrato anche dalla legale e segretaria dell’Associazione Coscioni, Filomena Gallo, sostenendo che sia stato preparato un sistema che permettesse a Federico di premere il bottone e far partire l’infusione del farmaco. Aggiunge poi “il tutto è stato filmato, il video sarà esclusivamente a disposizione della magistratura se vorrà verificare la correttezza dell’operato.”

Primo suicidio assistito. Federico Carboni, per tutti Mario -Fonte:mister-x.it

Il decesso di Federico mostra come le regole debbano essere costruite con saggezza e convergenza di intenti sul dovere, al fine di garantire maggior tutela a tutte le persone rese fragili dalla malattia e dalla disabilità da qualunque ombra di abuso o di induzione a chiedere di farla finita. Si aggiunge un appello non solo alle istituzioni sanitarie di fornire a tutti cure di qualità ed assistenza all’altezza delle esigenze, ma anche alla società, che possa percepire la stessa sofferenza che per anni ha accompagnato Federico.

Giovanna Sgarlata

No alla teoria della sindrome dell’alienazione parentale nei tribunali. La svolta arrivata nel caso Massaro

Nell’ambito di una causa molto complicata, arriva una svolta epocale. Laura Massaro, protagonista della vicenda, è una donna che da nove anni lotta contro l’ex compagno, da lei denunciato per stalking.

La difesa di quest’ultimo ha accusato la donna di aver provocato nel figlio in comune un forte risentimento nei confronti del padre e, dunque, la sindrome da alienazione genitoriale.

Da molto tempo, la suddetta sindrome, è al centro della polemica per essere considerata non una vera malattia, perché priva di reale riscontro scientifico. Con il caso Massaro, la Corte di Cassazione, ha definito “pseudoscientifica” la controversa teoria che descrive l’allontanamento di un figlio da un genitore ad opera dell’altro.

Laura Massaro riabbraccia suo figlio dopo un allontanamento forzato (fonte: zazoom.it)

Il caso Massaro

Laura Massaro ha iniziato il suo calvario con la denuncia per stalking al suo ex compagno, nonché padre del minore. Negli anni, ha cercato di sostenere la sua battaglia con denunce pubbliche, scioperi della fame e proteste davanti tribunali. Molte associazioni e movimenti femministi hanno iniziato a supportarla e del suo caso si sono poi occupate anche diverse parlamentari.

Il 16 marzo 2022 durante l’audizione in tribunale di G.A., l’ex compagno, e dei suoi difensori dinanzi alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività connesse alle comunità di tipo familiare che accolgono i minori, è stato riscontrato che la realtà dei fatti non corrispondeva alle dichiarazioni rese.

Tre consulenze tecniche d’ufficio, ora imputate per falso ideologico in atto pubblico, fatte alla signora Massaro negli anni, hanno fatto decidere al Tribunale per i minori di Roma l’affidamento del minore al Tutore il 05/07/2019 e il primo di allontanamento l’11/10/2019.

Il padre, comunque, aveva sempre esercitato il suo diritto di visita al figlio attraverso incontri protetti presso i servizi incaricati.

Ma, per ristabilire un rapporto che la controparte ha definito minato da ingiusti comportamenti di Laura Massaro, il Tribunale per i minorenni di Roma e la Corte di Appello di Roma, nel 2021, hanno deciso l’allontanamento del bambino, ormai di dodici anni, dalla madre, con collocamento del minore in casa-famiglia. La decisione è stata presa, nonostante la madre sia stata ritenuta da diversi operatori psico-sociali intervenuti negli anni sempre idonea, sotto il profilo della cura e dell’accudimento del figlio.

Lo spostamento in casa-famiglia è stato considerato ripetutamente contrario all’interesse del minore dalla Corte di appello di Roma nel 2015, dal Tribunale per i Minorenni di Roma nel 2018 e ancora dalla Corte di Appello di Roma nel 2020, quando questa ha revocato il provvedimento di allontanamento, evidenziando il pericolo di un trauma grave nei confronti del minore, l’inadeguatezza della situazione socio-ambientale del padre e il grave rischio per la salute del minore, giudicato iperteso.

Anche i medici che hanno visitato il minore, tra cui quelli interpellati direttamente dai Servizi Sociali, hanno espresso grandissima preoccupazione per le conseguenze sulla salute del bambino.

Nonostante ciò, la misura è stata nuovamente disposta e addirittura aggravata con l’interruzione di ogni contatto tra il bambino e la madre, anche telefonico, senza alcun limite temporale per il termine di tali misure afflittive.

 

Il ricorso alla Cassazione contro il provvedimento di allontanamento dalla madre

Così Laura Massaro ha fatto ricorso in Cassazione, richiedendo la sospensione dell’esecuzione del provvedimento. Il minore ha persino scritto personalmente una lettera al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e al Ministro della Giustizia, Marta Cartabia, raccontando la sua disperazione per essere stato allontanato, anche con la forza, dalla madre e per non essere stato ascoltato dalla Corte di Appello prima della decisione.

Nonostante siano state riscontrate violazioni di legge da parte delle autorità giudiziarie di merito, l’assenza di comportamenti inadeguati da parte di Laura Massaro nel suo ruolo di genitore e la “compressione della libertà” del minore, la Procura Generale presso la Corte di Appello di Roma, prima favorevole alla sospensione del provvedimento, in data 12 novembre 2021 è stato comunicato provvedimento di rigetto della richiesta di sospensione dell’esecuzione dell’allontanamento del minore dalla madre contro la sua volontà.

L’allontanamento del minore avvenuto senza che questo fosse prima ascoltato (fonte: huffingtonpost.it)

La Cassazione ha ora accolto il ricorso della donna e dai suoi legali, messi a disposizione dall’associazione Differenza Donna, annullando la sua decadenza dalla responsabilità genitoriale e il trasferimento del bambino in casa-famiglia stabiliti in precedenza dalla Corte di Appello.

Il ricorso è stato accolto sulla base di tre motivazioni: l’illegittimità dell’alienazione parentale, la superiorità dell’interesse dei bambini rispetto al diritto alla bigenitorialità e la condanna dell’uso della forza nei confronti dei minori.

 

Il caso posto in sede internazionale

La vicenda della signora Massaro è stata sottoposta alla Commission on the status of women e alla Special Rapporteur ONU contro ogni forma di violenza nei confronti delle donne, dall’associazione “Differenza Donna”, al suo fianco dal 2017.

In seguito all’aggravarsi dei provvedimenti presi ai danni della donna, il fascicolo processuale è stato segnalato alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio e ogni forma di violenza nei confronti delle donne”, all’attenzione di tutte le istituzioni e gli organismi di monitoraggio della tutela dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, al Ministero della Giustizia, in ultimo, alla “Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività connesse alle comunità di tipo familiare che accolgono i minori”, ma anche al Ministero della Salute.

Proprio a quest’ultimo è stato chiesto la raccomandazione ad assicurare che le autorità giudiziarie minorili espungano dalla loro attività ogni riferimento all’alienazione genitoriale.

 

La teoria della sindrome da alienazione genitoriale e le difficoltà generate in ambito giudiziario

La sindrome da alienazione genitoriale o sindrome da alienazione parentale (“PAS” in inglese) è un concetto formulato per la prima volta negli anni Ottanta dallo psichiatra forense statunitense Richard Gardner. Lo psichiatra lo descrisse come una dinamica psicologica disfunzionale che si attiva nei figli minorenni coinvolti nelle separazioni conflittuali dei genitori.

Uno dei due genitori, secondo la teoria, viene definito “genitore alienante” qualora cerchi di portare il figlio a provare e dimostrare astio e rifiuto verso l’altro genitore, detto “genitore alienato”, fino all’allontanamento, attraverso l’uso di espressioni denigratorie, false accuse e costruzioni di realtà virtuali familiari”.

Per Gardner, affinché si tratti effettivamente di PAS è necessario che rancore e rifiuto da parte del minore non nascano da dati effettivamente reali e oggettivi che riguardano il genitore alienato.

Fin da subito la teoria di Gardner fu molto contestata nel mondo scientifico e accademico poiché priva di solide dimostrazioni. Perciò, non è riportata nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali.

Comunque, la sindrome è stata finora molto considerata, anche in Italia, nell’ambito di separazioni conflittuali.

La teoria di questo disturbo è divenuta spesso un problema, soprattutto nelle situazioni in cui fossero presenti casi di violenza, come quello di Laura Massaro. I sentimenti negativi di figli nei confronti di genitori violenti sono stati spesso addossati a presunti comportamenti scorretti da parte del genitore in realtà vittima.

La presidente e avvocato di Differenza Donna, Elisa Ercoli ha commentato l’avvenimento:

“Così come è stato per il no di Franca Viola sul matrimonio riparatore, oggi Laura rappresenta tutte le donne per un no definitivo a violenza istituzionale agita contro donne, bambine e bambini, in materia di Pas, prelievi forzati e altre forme di violazione dei diritti umani. Quando la storia è segnata da progressi come oggi, vinciamo tutte”.

 

Rita Bonaccurso

Il dramma delle donne transgender: bloccate al confine ucraino in quanto “uomini”

Centinaia di donne transgender ucraine stanno tentando da giorni a mettersi in fuga dal conflitto.  A bloccarle è la presenza nei loro passaporti del genere maschile di nascita.

Ucraina: centinaia di transgender in fuga -Fonte:tgcom24.mediaset.it

La questione del riconoscimento del genere e dell’omosessualità risulta essere ancora un tabù e si configura come “una guerra nella guerra”. La mancanza di legittima identificazione comporta l’impossibilità per queste donne di attraversare il confine. Ciò accade in quanto, le regoli attuali in Ucraina, vietano ai residenti uomini dai 18 ai 60 anni di abbandonare il Paese poiché obbligati a imbracciare le armi e difendere la patria.

La legge marziale Ucraina: cosa prevede

Già introdotta nel 2018 durante le tensioni con la Russia nello stretto di Kerch, la legge marziale è stata nuovamente promanata dal Presidente Zelensky.

Dopo l’invasione su vasta scala è stata introdotta in tutto il Paese un sistema di governo straordinario. Si tratta di un ordinamento giuridico separato che cambia da Nazione a Nazione e che sostituisce quello normalmente vigente. Può entrare in vigore quando uno Stato si trova in guerra, oppure per eccezionali esigenze di ordine pubblico e anche dopo un golpe militare.

Ucraina: legge marziale -Fonte:adnkronos.com

Le norme riducono generalmente alcuni dei diritti normalmente garantiti ai cittadini e in linea generale viene limitata la durata dei processi, prescrivendo sanzioni più severe rispetto alla legge ordinaria.

Ad incidere notevolmente c’è la sospensione di alcune leggi ordinarie e il controllo della normale amministrazione della giustizia che passa ai tribunali militari. Tra la compressione ulteriore delle libertà dei cittadini è altresì introdotto il divieto di riunioni politiche e uno stringente coprifuoco.

Secondo quanto riportato dall’attivista dei diritti umani e Presidente dell’organizzazione Lgbt+ Ucraina “Insight”, Olena Shevchenko

“La legge marziale dice che tutti i maschi sono obbligati a prestare servizio militare, quindi non possono lasciare il Paese. Tecnicamente, la legge si applica anche alle persone trans, inclusi uomini trans certificati e donne trans che non hanno cambiato i loro genere sui documenti. Ma sembra che le guardie di frontiera ucraine stiano impedendo anche alle persone trans con un certificato valido che riflette il loro nuovo genere di lasciare l’Ucraina, e nessuno sa perché.”

In Ucraina cambiare il genere e il nome sul passaporto richiede un lungo processo che induce molte persone a non portarlo a termine data la capziosa burocrazia e le molteplici valutazioni psichiatriche. Ciò che viene in rilievo da una delle principali associazioni di beneficenza transgender è che chiunque abbia scritto “maschio” sul passaporto rischia di essere respinto dal confine. Si stima che ci siano centinaia di donne trans che tentano di fuggire, ma che il 90% di quelle con cui è in contatto ha finora fallito, finendo per contrassegnare un ulteriore esempio di transfobia legale.

Le difficoltà di legittimazione

La forte emarginazione e discriminazione della comunità Lgbt+ ha origini ben anteriori alla situazione bellica attuale. Prima del 2017 infatti i membri della comunità trans dovevano sottoporsi per diverso tempo alla supervisione di un istituto psichiatrico, che potesse far attivare il processo di transizione. Sebbene oggi questa procedura sia stata snellita, non sono state istituite leggi antidiscriminatorie a tutela della comunità.

Donne transgender respinte al confine -Fonte:luce.lanazione.it

Lo si vede anche dalla posizione che occupa l’Ucraina nella classifica per il “trattamento complessivo delle persone Lgbtq+”. Secondo la International lesbian, gay, bisexual, trans and intersex Association sarebbe al 39° posto su 49 Paesi europei. Ciò viene ad essere riconfermato dall’impossibilità dei matrimoni gay, seguendo la scia della Chiesa cristiano-ortodossa che considera l’omosessualità un peccato.

I racconti di Judis e Alice

Donne transgender “Ci spediscono a combattere” -Fonte:liberatv.ch

La vicenda raccontata al “The Guardian” mette in mostra il pericolo rappresentato dalle politiche transfobiche della Russia e la negazione del passaggio in Paesi più sicuri.

La storia di Judis tratta di una donna transgender il cui certificato di nascita la definisce femmina, ma che alle 4 del mattino del 12 marzo, dopo una lunga ricerca, le è stato negato dalle guardie della frontiera di arrivare in Polonia, stabilendo altresì che fosse un uomo. La donna ha così raccontato

“Le guardie di frontiera ucraine ti spogliano e ti toccano ovunque… Puoi vedere sui loro volti che si stanno chiedendo ‘cosa sei?’ come se fossi una specie di animale o qualcosa del genere.”

Esperienza simile è stata vissuta anche da Alice, donna trans di Brovary e da sua moglie Helen, non binaria.

“Ci hanno portato in un edificio vicino al valico di frontiera. C’erano tre agenti nella stanza. Ci hanno detto di toglierci le giacche. Ci hanno controllato le mani, le braccia, il collo per vedere se avevo un pomo d’Adamo. Mi hanno toccato il seno. Dopo averci esaminato, le guardie di frontiera ci hanno detto che eravamo uomini. Abbiamo cercato di spiegare la nostra situazione, ma a loro non importava.”

Un problema non solo ucraino

Il dramma provato dalla comunità riguarda anche i Paesi di arrivo, infatti, secondo le ultime stime dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) gli ucraini giunti in Polonia dall’inizio dell’invasione russa, lo scorso 24 febbraio, sono già due milioni.

Ecco che al fine di proteggere le persone transgender da potenziali discriminazioni, numerose organizzazioni si sono attivate per aiutare i rifugiati. L’attivista della “Warsaw Pride” in Polonia, Julia Maciocha ha dichiarato ai microfoni dell’organizzazione indipendente e no-profit “National Public Radio (NPR)”

“Non vogliamo che vengano tenuti in campi profughi o in grandi edifici o luoghi enormi dove non sono al sicuro perché ovviamente l’omofobia esiste ancora in Polonia. Vogliamo assicurarci che vengano collocati con persone che capiscano i loro bisogni.”

Si comprende come probabilmente molti di questi lasceranno presto la Polonia, spostandosi nell’Europa occidentale, dove le “leggi sono più amichevoli”.

Julia Maciocha -Fonte:transnational-queer-underground.net

La possibile soluzione

Trans in fuga dall’Ucraina -Fonte:ilsussidiario.net

Le centinaia di segnalazioni ricevute inducono le associazioni Lgbtq di Kiev a proporre un’unica soluzione. Al fine di “tutelare”, seppur marginalmente la delicata questione, invitano le donne trans ad andare dal proprio medico e poi, con il certificato, recarsi all’ufficio militare per essere eliminate dalla lista per l’arruolamento.  

Ciò di certo non minimizza la difficoltà di doverlo spiegare a chi è riuscita a raggiungere il confine portando con sé documenti ufficiali, schivando colpi di mortaio ed esplosioni.

Giovanna Sgarlata

Roberta Metsola è il nuovo presidente del Parlamento europeo, il primo di nazionalità maltese. Dopo l’elezione, la polemica

La terza donna presidente, nella storia, scelta per la guida del Parlamento Europeo e la prima persona di nazionalità maltese: parliamo di Roberta Metsola, esponente dei Popolari (Ppe), è lei il successore dell’ex presidente europeo David Sassoli, scomparso pochi giorni fa dopo una lunga malattia. Eletta con 113 voti in più rispetto al suo predecessore, per di più nel giorno del suo quarantatreesimo compleanno, il 18 gennaio scorso, risulta essere anche il più giovane presidente donna dell’Assemblea di Strasburgo.

Roberta Metsola è la più giovane tra i presidenti della storia del Parlamento Ue (fonte: leggo.it)

L’elezione a Strasburgo è il coronamento di una carriera brillante

Le altre candidate erano la svedese Alice Kuhnke, per i Verdi, e la spagnola Sira Rego, per La Sinistra, che hanno ottenuto rispettivamente 101 e 57 sì. Ben 458 voti, invece, quelli a favore, su un totale di 617, per l’eurodeputata maltese Metsola. La sua elezione è stata improvvisa e necessaria per la scomparsa di Sassoli. In onore di quest’ultimo ha riservato il suo primo intervento appena dopo l’ottenimento della carica, durante la plenaria del 18 gennaio, pronunciando un discorso di commiato proprio in italiano:

“La prima cosa che vorrei fare, come Presidente, è raccogliere l’eredità che ci ha lasciato David Sassoli. Lui era un combattente per l’Europa. Credeva nel potere dell’Europa. Grazie David! Voglio che le persone recuperino un senso di fede ed entusiasmo nei confronti del nostro progetto. Credo in uno spazio condiviso più giusto, equo e solidale.”.

La politica è parte fondamentale dell’intera quotidianità della neopresidente: ironia della sorte, il marito, Ukko Metsola, è anche lui politico, europarlamentare (finlandese), con il quale ha avuto quattro figli. Una carriera, quella di Roberta Metsola, costellata da importanti traguardi, di cui quest’ultimo mandato europeo costituisce un coronamento. Ha mosso i suoi primi passi divenendo membro della formazione giovanile del Partito Nazionalista (Moviment Zgħazagħ Partit Nazzjonalista) e dell’European Democrat Students, per cui è stata anche segretario generale. Un’importante conferma del suo grande talento arrivò già il 12 novembre del 2020, quando, a soli 41 anni, divenne la prima vicepresidente vicaria del Parlamento Europeo.

 

Il discorso da neo presidente

Appena eletta, la Metsola, di fronte all’Assemblea ha tenuto un discorso con il quale ha toccato tematiche attualissime in Europa, come quella dell’antieuropeismo e della disinformazione, combattute tenacemente, come lei stessa ha ricordato, da Sassoli:

“Dobbiamo controbattere la narrativa antieuropeista che si diffonde così rapidamente. – ha dichiarato sempre in italiano – La disinformazione che si è diffusa durante la pandemia ha alimentato il nazionalismo, l’autoritarismo, il protezionismo. Sono illusioni false che non offrono soluzioni, perché l’Europa è esattamente l’opposto di questo.”.

 

(fonte: quifinanza.it)

Poi l’accento su clima e transizione energetica. Ha sottolineato l’importanza del “green deal”, del lottare uniti contro i cambiamenti climatici, anche sostenendo l’economia.

Ha parlato di immigrazione, dicendosi fiduciosa verso l’ipotesi di trovare, all’interno del Parlamento, entro i prossimi due anni e mezzo, un accordo, una maggioranza, trovata in realtà cinque anni fa, ma poi bloccata. Riguardo la proposta di alcuni Paesi membro dell’Ue, che chiedono di finanziare la costruzione di muri ai confini, la Metsola si è dichiarata contraria, pur riconoscendo che alcuni Stati vivono situazioni difficili e che per questo vanno comunque aiutati:

«Per me la protezione della vita viene prima di tutto. Non possiamo avere una politica di migrazione che non dà valore alla vita, ma nemmeno lasciare soli ad affrontare una sfida enorme i Paesi di frontiera. Gli altri Stati non possono abbandonarli, pensando che non sia anche un problema loro. – ha detto – Ci sono molti strumenti, ma non dobbiamo mai dimenticare che si tratta di esseri umani.».

Così, ha parlato anche delle Ong che intervengono nel Mediterraneo per salvare i migranti in pericolo e della necessità di trovare una soluzione al più presto, magari aprendo un dialogo approfondito con i Paesi di partenza, di transito e di arrivo dei flussi di immigrazione, per impedire che le partenze per l’Europa siano viaggi in cui le persone rischino la vita. Non più.

 

La polemica

Subito dopo l’elezione, sono arrivati i primi commenti dal mondo della politica, si è accesa inoltre la polemica, in particolare su certe dichiarazioni della Metsola in merito al diritto all’aborto. Dopo le vicende che hanno scosso l’Europa, in particolare, la Polonia, la presidente sembra voler cambiare linea, più precisamente, farsi portavoce del pensiero della maggioranza del Parlamento europeo, dichiarando che fino ad oggi si era schierata come sostenitrice delle posizioni antiabortiste perché largamente diffuse nel suo Paese, Malta, dove l’aborto è illegale:

«Da eurodeputata maltese, ho difeso una posizione nazionale. Ora che sono presidente del Parlamento europeo non voterò più su questo tema e difenderò all’esterno la posizione dell’istituzione da me guidata.».

Dunque, a Malta, la questione è più intricata di quanto sembri:

«C’è un protocollo – ha rivelato la Metsola – che noi tutti eurodeputati maltesi siamo costretti a seguire. Non bisogna votare provvedimenti che possano portare a un dibattito sull’aborto a Malta. Perché un dibattito su questo tema deve rimanere a livello nazionale. Ma adesso ho una responsabilità e per mantenere l’oggettività non voterò più su questi rapporti e su queste risoluzioni. Voglio difendere l’uguaglianza tra i sessi. E lo farò sempre e ovunque». Queste, dunque, le intenzioni del nuovo presidente.

Il presidente francese Emmanuel Macron, in merito a queste dichiarazioni, durante la plenaria ha suggerito, probabilmente riferendosi direttamente all’appena eletta presidente, di inserire nella Carta dei Diritti fondamentali europea il diritto all’aborto e la protezione ambientale: «A 20 anni dalla proclamazione della Carta, vorrei che fosse aggiornata con un riferimento esplicito all’ambiente e al riconoscimento del diritto all’aborto.».

I due sono stati insieme protagonisti di un’altra polemica, scoppiata in occasione della presentazione del semestre francese di presidenza Ue. Dopo aver letto un discorso durato due minuti e mezzo, il capo dell’Eliseo ha alzato i tacchi e ha abbandonato la sede francese del Parlamento europeo. Presente appunto anche la neo eletta Metsola, che ha seguito Macron. Diversi giornalisti hanno abbandonato in segno di protesta la sala stampa del Parlamento europeo di Strasburgo. La reazione a caldo della Federazione internazionale dei giornalisti è stata:

(fonte: europa.today.it)

“Non puoi dire che ti interessa la libertà dei media e poi non rispondere alle domande dei giornalisti alle conferenze stampa”

Ora tre donne guidano l’Europa

Con la nomina della maltese, sono diventate tre le donne che guidano le principali istituzioni comunitarie: oltre Metsola, Lagarde e Von der Leyen.

(fonte: parismatch.com)

Che sia stata eletta una donna per una carica tanto importante per la vita di milioni di persone, è sicuramente un dato positivo, una voce femminile in più. Però, ogni donna è diversa dalle altre e come ogni persona, indipendentemente dal genere, ha pregi e difetti e opinioni personali anche non rappresentative di tutto una categoria, se di categorie si può parlare.

Il presidente Metsola è una figura complessa come la complessa politica maltese, per la quale è una “nazionalista”, mentre lei si definisce democristiana. La sua ideologia sembra, in effetti, quelle di una persona di sinistra, anche alla luce delle ultime dichiarazioni. Le sue opinioni personali contrarie all’aborto rispecchiano, dunque, una mentalità ancora molto diffusa a Malta, ma l’impegno a rispettare la posizione del Parlamento europeo su ciò, come anche su altri temi, sembra molto concreto.

Almeno per ora, sembra che vi sia la volontà di continuare una missione che anche Sassoli aveva promesso di portare a termine, in nome di un’Europa più proiettata verso libertà, sicurezza e uguaglianza.

 

Rita Bonaccurso

 

Ddl Zan sull’omotransfobia: ecco cosa prevede e perché non è stata approvata. Dura mobilizzazione mediatica promossa da Elodie e Fedez

Il centrodestra blocca la legge contro l’omotransfobia in Senato. Il rinvio alla discussione del Disegno di Legge Zan ha visto coinvolti diversi personaggi della musica italiana, come Fedez ed Elodie che hanno alimentato la protesta sul mondo dei social, diffondendo il loro pensiero a macchia d’olio.

La Lega contro il ddl Zan sull’omofobia –Fonte:zazoom.it

La Commissione Giustizia del Senato non ha ancora calendarizzato la discussione dell’esame del ddl contro l’omotransfobia e misoginia, approvato già alla Camera il novembre scorso. Più comunemente viene conosciuta con il nome di ddl Zan, dal deputato Alessandro Zan appartenente al Partito Democratico che l’ha presentata.

I maggiori ostacoli per la sua approvazione vengono imposti, secondo il PD, dalla Lega ma anche da altre forze del centrodestra come Forza Italia e Fratelli d’Italia, che lo hanno definito come un provvedimento non prioritario, compromettendone l’avvio della discussione in Seconda Camera.

Cos’è la discriminazione

Discriminazioni in UE –Fonte:egalite.org

La discriminazione è il trattamento ineguale consistente per lo più nella violazione dei diritti a danno di individui o gruppi inferiorizzati o considerati a vario titolo marginali o addirittura estranei alla comunità. L’articolo 1 della Convenzione Internazionale, si sofferma proprio sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale definendola come

“una qualsiasi distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata su razza, colore, discendenza od origine nazionale o etnica che abbia lo scopo o l’effetto di annullare o pregiudicare il riconoscimento, godimento o esercizio, su un piano di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale o di qualsiasi altro tipo della vita pubblica”

Essa può essere:

  • Positiva: quando la disparità di trattamento è volta a favorire un gruppo o categoria di persone da lungo tempo discriminate. Ad esempio l’attuazione delle quote rosa o le facilitazioni all’inserimento lavorativo di persone con disabilità;
  • Negativa: quando la disparità del trattamento sia volta a sfavorire e/o ad escludere una persona o un gruppo di persone, in quanto socialmente e legalmente rilevante.

Il ddl Zan: ecco cosa prevede

Il provvedimento, se fosse approvato, instituirebbe misure di detenzione per coloro i quali compiano atti di discriminazione fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità.

I primi due articoli sono volti ad introdurre l’orientamento, il genere sessuale e l’abilismo, cioè quella forma di discriminazione che generalmente si crea sul presupporre che tutti abbiano un corpo abile. Questi, secondo quanto sancito dal Codice Penale agli articoli 604 bis e ter, puniscono la propaganda e l’istigazione a delinquere per ragioni discriminatorie.

Alessandro Zan , il papà della legge contro l’omotransfobia –Fonte:open.online

Il più importante, però, risulta essere il terzo articolo che modifica il decreto legge 122 del 1993, conosciuto come la Legge Mancino. Essa è un atto legislativo della Repubblica italiana che sanziona e condanna gesti, azioni e slogan legati all’ideologia nazifascista e aventi per scopo l’incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali. Venne proposta dall’allora Ministro dell’Interno Nicola Mancino e mira reprimere i crimini d’odio e punisce l’uso di simbologie connesse ai movimenti politici suddetti.

Modifica della legge Mancino

Nell’articolo 1 del testo modificato dal disegno di legge Zan viene ad essere specificato che

“Per sesso si intende il sesso biolo­gico o anagrafico; per genere si intende qualunque ma­nifestazione esteriore di una persona che sia conforme o contrastante con le aspettative sociali connesse al sesso; per orientamento sessuale si intende l’attrazione sessuale o affettiva nei confronti di persone di sesso opposto, dello stesso sesso, o di entrambi i sessi; per identità di genere si intende l’i­dentificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corri­spondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione.”

Il Disegno di legge “Zan” –Fonte:poterealpopolo.org

La disposizione come misura innovativa prevede, per chi commette atti di discriminazione sopraindicati, la reclusione fino a 18 mesi o una multa che può toccare quota di 6000 euro. Si prevede, altresì, l’istituto di pena:

  • Da 6 mesi a 4 anni per chi istiga a commettere o commette violenza per gli stessi motivi
  • Da 6 mesi a 4 anni per chi partecipa o aiuta organizzazioni aventi tra i propri intenti l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per gli stessi motivi
  • Per qualsiasi reato commesse per le finalità di discriminazione o di odio la pena viene aumentata fino alla metà.

La sospensione condizionale della pena, trattata dall’articolo 163 e seguenti del Codice Penale, stabilisce che al reo la cui condanna non supera i due anni di reclusione, può essere sospesa l’esecuzione della stessa. Inoltre se il condannato, durante la suddetta interruzione, non commette nuovi reati e adempie agli eventuali obblighi imposti dal giudice, si determina l’effetto estintivo delle pene principali e accessorie. In questo caso il detenuto per ottenerla dovrà prestare lavoro in favore delle associazioni di tutela delle vittime dei reati.

Giornata nazionale contro l’omofobia e i centri anti-violenza

Il provvedimento Zan avrebbe anche predisposto l’istituzione della “Giornata Nazionale contro l’omofobia” che si sarebbe celebrata il 17 maggio. Essa mira anche ad abbracciare la promozione della cultura del rispetto, dell’inclusione nonché a contrastare i pregiudizi e le discriminazioni. Sarà perciò fondamentale, al momento della sua approvazione, che le scuole di ogni ordine e grado inseriscano nei propri programmi, dei piani che puntino a far acquisire fin dalla tenera età, una maggiore sensibilizzazione verso queste tematiche.

Giornata mondiale contro l’omofobia –Fonte:repubblica.it

Oltre a ciò il disegno di legge predispone uno stanziamento di 4 milioni di euro annui per sostenere le strutture e i centri che lottano contro le discriminazioni motivate da orientamento sessuale e di identità di genere, per offrire assistenza nell’ambito legale, sanitario, psicologico, vitto e alloggio alle vittime di odio.

L’appello degli influencer

Ddl Zan, il centrodestra blocca la legge contro l’omotransfobia –Fonte:ilfattoquotidiano.it

La cantante Elodie, sulla piattaforma Instagram, ha pubblicato una storia che riprendesse le fila della discussione sull’approvazione del ddl Zan, definendo “indegni” i parlamentari che vi si sono opposti.

“Questa gente non dovrebbe essere in Parlamento. Questa gente è omotransfobica”

La risposta non è tardata ad arrivare, è sopraggiunta attraverso un post pubblicato su Facebook dal senatore Simone Pillon, personaggio appartenente al nido leghista e membro attivo nelle lotte dell’integralismo cattolico. Tale battaglia plasma sotto un’unica direttrice ogni aspetto della società civile ai principi della dottrina cristiana. Il parlamentare ha così ribattuto

“le valutazioni sull’incardinamento di leggi ideologiche, inutili e divisive possono aspettare. Con buona pace di Elodie e di tutta la compagnia cantante…”

Pillon si mostra contrario al ddl Zan perché l’approvazione di una legge sull’omotransfobia permetterebbe alle coppie omosessuali di procreare attraverso “l’utero in affitto”, dando perciò il via libera alla maternità surrogata pratica vietata in Italia.  In realtà la legge non fa alcun riferimento alla procreazione assistita, bensì il suo nucleo si impernia nel prevenire e contrastare le discriminazioni e gli atti di violenza.

Fedez contro Pillon –Fonte:today.it

La mobilizzazione dei social non si è fermata,  ha ritrovato voce nella persona di Fedez, che con una serie di storie e dirette pubblicate attraverso il suo profilo Ig, ha lanciato un appello al Parlamento a “far presto” ed ha invitato i suoi followers a scrivere al Presidente della Commissione di Giustizia, Andrea Ostellari (Lega). L’obiettivo del cantante è quello di sbloccare il fermo a Palazzo Madama e di sfatare le fake news che condannerebbero tale legge come una norma volta all’introduzione del reato di opinione.

Fedez in diretta con Alessandro Zan –Fonte:ilfattoquotidiano.it

Durante la diretta sul social, infatti, il “mediatore” Fedez ha coinvolto il deputato Alessandro Zan, il quale afferma

“Noi abbiamo la maggioranza della commissione Giustizia che vuole la calendarizzazione, ma purtroppo è in ostaggio di una minoranza e del suo presidente, che decide sulla calendarizzazione, cioè di farne iniziare o meno l’iter. Quindi alla fine la legge è bloccata perché lui non è d’accordo. E’ assurdo.”

Da tale intervento risulta altresì chiaro come in uno Stato democratico, basti una minoranza all’opposizione, che risiede nella figura del Presidente della Commissione, per bloccare la calendarizzazione di un disegno di legge avente come obiettivi primari tutele, pari opportunità e diritti.

Giovanna Sgarlata

“Lavoratori costretti a urinare nelle bottiglie”, Amazon nega ma poi ritratta

Uno scandalo inizialmente smentito, ma poi ammesso. Il colosso dell’e-commerce è stato costretto ad arretrare di fronte a un tweet che lo accusa di offrire ai suoi impiegati politiche poco dignitose sul posto di lavoro. Innumerevoli le testimonianze da parte di utenti ed ex lavoratori di Amazon che confermano quanto sostenuto anche dal democratico Mark Pocan.

La denuncia

La disputa sul social ha avuto inizio proprio da un tweet di quest’ultimo: “Pagare 15 euro l’ora i tuoi dipendenti non fa di te un posto di lavoro all’avanguardia, dal momento che li costringi a urinare nelle bottiglie.

La replica di Amazon non si è fatta attendere: “Se fosse così nessuno lavorerebbe per noi”, ribadendo poi che coloro che lavorano per l’azienda godano di assicurazione sanitaria e condizioni di lavoro ottimali. Ma è davvero così?

Fabbrica Amazon negli Stati Uniti. Fonte: AGI.

La realtà dei fatti è molto più triste di quanto non si immagini. A metterla in luce, non solo dichiarazioni ma anche documenti interni che erano stati esposti ai dirigenti dell’azienda, messi al corrente di questa “pratica” da lungo tempo. Difficile immaginarsi un dietrofront più clamoroso da parte di Amazon, che è stato costretto alle scuse nei confronti di Pocan, aggiungendo, però, che la polemica si era concentrata “erroneamente sui centri di distribuzione, dove invece i dipendenti possono allontanarsi dalle loro postazioni di lavoro in qualsiasi momento”.

Dunque, se da un lato Amazon tiene a fare le dovute precisazioni, dall’altro ammette la poca preoccupazione riguardo i suoi driver, privati di servizi igienici soprattutto durante la pandemia, quando tutto era chiuso. Vorremmo risolvere il problema. Non sappiamo come, ma cercheremo delle soluzioni” ha infine promesso.

La situazione degli Stati Uniti: il caso Alabama

“Sigh” – è il commento di Pocan alla vicenda, che ribadisce – “Non si tratta di me ma dei vostri impiegati, che non trattate con sufficiente rispetto e dignità. Iniziate a riconoscere le condizioni di lavoro inappropriate che avete creato per tutti i vostri dipendenti”.

Parole in linea con le recenti contestazioni avvenute in una piccola cittadina dell’Alabama, Bessemer, dove 6mila dipendenti Amazon stanno lottando per la creazione di una sezione sindacale per la tutela di diritti sul lavoro. Un granello di sabbia che potrebbe tuttavia inceppare un intero meccanismo, forte di un impero che conta 800 fabbriche negli Stati Uniti. La minaccia è stata avvertita dallo stesso Jeff Bezos che, per scongiurarla, ha invitato i suoi manager a monitorare attentamente la situazione.

 

Strike the Giant! è l’organizzazione trasnazionale che ha unito i lavoratori Amazon in Europa e America. Fonte: Into the Black Box

La voce meccanica all’ingresso della toilette che ricorda ai lavoratori che la loro paga ammonta a 15 euro l’ora – circa il doppio della paga media in Alabama – sarà sufficiente? Il sito creato appositamente dal colosso, DoItWithoutDues.com, per diffondere le ragioni anti-protesta, è il segno più evidente di un conflitto che ha dimensioni più ampia di quelle locali. Il Wall Street Journal scrive: “Amazon ha trattato e combattuto con le organizzazioni sindacali in Europa per anni e continua a farlo. Ma si è sempre opposta per principio all’avvio di un rapporto organico con le Union negli Stati Uniti”.

Joe Biden con i lavoratori Amazon: “Fate sentire la vostra voce”

L’immagine di un business che conta 1,3 milioni di lavoratori in tutto il mondo -960mila solo negli Stati Uniti- preoccupato del benessere di ciascuno di loro sembra cadere innanzi alla voce che si leva da chi, in questo meccanismo, non è stato altro finora che soggetto di un algoritmo. Dalla loro parte anche il presidente Joe Biden, il quale ha espresso solidarietà ai lavoratori Amazon. 

Alessia Vaccarella