Nutrizione: Perché?

La Nutrizione è uno degli aspetti più fondamentali per la nostra salute e il nostro benessere ma è anche un campo minato da disinformazione e miti fuorvianti, spesso amplificati dai cosiddetti “guru del web” che possono però condurre a scelte alimentari pericolose, carenze nutrizionali e persino gravi problemi di salute (per sapere come riconoscerli ed evitarli vi lasciamo qui il Link di un precedente articolo sulle Fake News).Questo fenomeno non è casuale ma è radicato in una combinazione di bisogni psicologici e pressioni sociali che spingono le persone a cercare risposte semplici a problemi complessi. Dalle diete che eliminano interi gruppi alimentari alle teorie che demonizzano nutrienti essenziali, i racconti che vengono confezionati e venduti come ‘fatti’ possono essere tanto attraenti quanto ingannevoli.

Solo attraverso un approccio equilibrato e informato alla nutrizione possiamo evitare di cadere nelle trappole dei falsi miti e garantire al nostro corpo tutto ciò di cui ha realmente bisogno. Speriamo che il seguente articolo possa aiutarvi in questo senso.

  1. Perchè Mangiamo?
  2. Il Cibo dà, il Cibo toglie
  3. Esistono vari Modelli di Dieta ma Qual’é la Migliore?
  4. Conclusioni

Perchè Mangiamo?

Il nostro corpo è formato, come saprete, da una grande varietà di tessuti i quali sono composti da cellule con ogni cellula che a sua volta è costituita da una Membrana Plasmatica, un Citoplasma, un Nucleo e svariati Organelli. Tutte queste strutture sono composte da Lipidi, Carboidrati, Proteine, acqua, sali e ioni. Queste ultime, durante la vita cellulare, vengono metabolizzate a scopo energetico ma anche eliminate ed usate per rinnovare le strutture dette prima e per assicurare che l’organismo mantenga un corretto equilibrio tra le sostanze che dobbiamo assumere in quanto, essenzialmente, siamo costituiti dalle stesse sostanze presenti negli alimenti che assumiamo con la dieta. 

Lo stimolo di nutrirsi, per integrare le sostanze dette prima, è regolato da una complessa interazione tra Segnali Biochimici (come quelli scatenati da Grelina, Insulina e Leptina) e Segnali Nervosi (dall’Ipotalamo tramite i Centri della Fame e dalla Corteccia Prefrontale tramite il controllo consapevole dell’Alimentazione) in collaborazione con Stimoli Psicologici, Emotivi e Sociali (regolati dal Sistema Limbico e dal Nucleo Accumbens coinvolti nelle risposte emotive e nei ricordi legati al cibo, dal Circuito della Ricompensa volto alla gratificazione ottenuta dal cibo influenzando così la motivazione nel mangiare nonchè nel nutrirsi di determinati cibi piuttosto che altri in determinate occasioni).

In sintesi, la fame e il bisogno di nutrirsi sono il risultato di un complesso equilibrio tra vari sistemi e vari bisogni corporei volti a mantenere l’organismo in un corretto bilanciamento energetico ed evitare perciò così eccessi o carenze (che al contrario potrebbero scatenare Condizioni Patologiche).

Centri della Fame e Loro Funzionamento
Centri della Fame e loro funzionamento. Fonte.

Il Cibo dà, il Cibo toglie

A maggior ragione per quanto detto sopra appare fondamentale non pasticciare la propria nutrizione con diete fantasiose e privative senza una opportuna ragione medica. Tutti i macronutrienti devono essere introdotti perchè, come detto, hanno funzioni strutturali e metaboliche (e non solo) fondamentali. Non devono, tuttavia, essere assunti in particolare eccesso se non si vuole incappare ad esempio in patologie Cardiovascolari, Sindrome Metabolica o Diabete di Tipo 2 per citarne alcune. Si consiglia inoltre di attenzionare e segnalare ad un Medico abitudini alimentari proprie o altrui che potrebbero fare pensare a patologie quali Anoressia Nervosa (Caratterizzata da un’estrema restrizione calorica e paura immotivata di aumentare di peso) o Bulimia Nervosa (Comporta episodi di abbuffate seguiti da comportamenti di compensazione come il vomito autoindotto) al fine di trattare tali condizioni e regolare adeguatamente le diete. 

Piramide Alimentare
Piramide Alimentare. Fonte

Esistono vari Modelli di Dieta ma Qual’è la Migliore?

Secondo vari studi la dieta mediterranea è considerata una delle migliori al mondo per la salute cardiovascolare grazie alla combinazione di grassi sani, antiossidanti e una ricca varietà di nutrienti. Tuttavia, altre diete come la dieta nordica e la dieta giapponese offrono benefici simili, adatti a differenti tradizioni e disponibilità alimentari. La dieta DASH, pur essendo più specifica per la gestione della pressione sanguigna, è anche altamente raccomandata per una dieta sana. 

Detto ciò la migliore nutrizione è sicuramente quella più varia e moderata nelle dosi con presenza di: alimenti vegetali, legumi e frutta (ricchi di fibre, vitamine e antiossidanti), grassi “buoni” (Come quelli presenti nell’olio d’oliva, nel pesce, nelle noci e in generale di origine non animale), basso consumo di carni rosse, salumi e formaggi, assunzione di zuccheri non raffinati (come il miele, lo zucchero di cocco, lo sciroppo d’acero, e lo zucchero di canna) e bevendo almeno 1,5-2 Litri di acqua al giorno (soprattutto in estate), limitando il consumo di bevande alcoliche nonché cibi piccanti, caldi o salati, caffeina e sigarette affiancando ciò ad attività sportiva

Una buona dieta contiene tutto. Fonte.

Conclusioni

Un’alimentazione varia e bilanciata, che include porzioni appropriate di tutti i gruppi alimentari, è un buon punto di inizio per godere di buona salute

Prima di intraprendere qualsiasi tipo di dieta al fine di modificare il proprio peso si consiglia quindi di consultare un Dietologo e/o un nutrizionista in quanto, come detto prima, eventuali carenze o eccessi nutrizionali possono danneggiare seriamente la salute ed anche eventuali patologie possono essere aggravate da diete sconsiderate e scarsa attività fisica.


                                                                                                                Simone Garretto

Bibliografia:

https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/alimentazione/consigli-alimentari-di-chi-diffidare                  https://www.treccani.it/enciclopedia/nutrizione/                                                                                                                https://www.my-personaltrainer.it/calcolo-calorie2.html                                                                https://universome.unime.it/2024/05/23/falso-ma-bello-o-vero-ma-brutto/                    https://www.pianetapsr.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/2302
https://nicolayoda.com/controllo-fame/                                                                                                                                                Manuale di Psichiatria Giberti – Rossi, Capitolo 12 “Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione” da p. 569 a 604                   

La Piramide alimentare                                                                                                                                                                                    

Cibo per la mente e non solo 

Dieta “Sirt”: il regime alimentare di Adele che le ha fatto perdere 68kg

Mentre noi italiani durante il periodo di quarantena abbiamo fatto a pugni per l’ultima bustina di lievito al supermercato, la cantante Adele ha deciso di tornare sui social con uno scatto che la ritrae molto dimagrita.

La cantautrice britannica, in occasione del suo compleanno, ha pubblicato su Instagram una nuova foto, ringraziando tutti i fan che le hanno mandato gli auguri e dimostrato il loro affetto. “Grazie per l’amore che mi avete fatto arrivare per il compleanno. Spero che siate tutti sani e salvi in questo folle periodo”, ha scritto Adele come didascalia del suo scatto, rivolgendo poi un messaggio a tutti i medici e coloro che sono in prima linea nella lotta al Coronavirus: “Vorrei ringraziare tutti i nostri soccorritori e lavoratori che ci tengono al sicuro mentre rischiano la loro vita! Siete veramente i nostri angeli”.

Lo scatto non è passato inosservato, ma ciò che ha più colpito i followers non è stato il messaggio di ringraziamento della cantante, bensì il suo fisico, completamente trasformato. In molti, sui social, le hanno chiesto consigli e segreti circa questo cambiamento. La cantante ha poi precisato: “Sono dimagrita a causa dello stress? No, sacrificio e tanta buona volontà!”.

La domanda, dunque, nasce spontanea: “Quale dieta ha permesso tutto ciò?

Si tratta della dieta Sirt, un regime alimentare in grado di stimolare “i geni della magrezza”, che riattivano il metabolismo velocemente e fanno perdere peso: in media fino a 3,2 chili in una settimana.

Come funziona la dieta Sirt che ha seguito Adele

La dieta del gene magro si basa su un gruppo di nutrienti scoperti solo recentemente, capaci di attivare una famiglia di geni che esiste in ciascuno di noi: le sirtuine.

Queste stimolano la nostra capacità di:

  • bruciare grassi;
  • migliorare l’ umore;
  • attivare specifici meccanismi che regolano la longevità.

Il regime alimentare Sirt è stato messo a punto da Aidan Goggins e Glen Matten, nutrizionisti di grande esperienza nell’ambito dell’alimentazione e del benessere, i quali hanno anche illustrato le loro teorie alimentari in un libro uscito lo scorso marzo: “Sirt, la dieta del gene magro“.

fonte: thesirtfooddiet.com

Quali sono gli alimenti Sirt?

Gli alimenti Sirt sono più di venti.

Che cosa vantano rispetto agli altri? Una quantità di polifenoli (un gruppo di antiossidanti), che stimolano i nostri famosi “geni magri”. Come esperti in medicina nutrizionale, Aidan e Glen sono stati affascinati dai polifenoli, in particolare, da come possono essere sfruttati per migliorare la salute, proponendoli sul piano alimentare. Hanno identificato gli alimenti con i più alti livelli di polifenoli, facendo riferimento ad essi come “Sirtfoods“.

Tra questi alimenti troviamo: olio extravergine d’oliva, prezzemolo, cipolle rosse, peperoncino, soia, fragole, ma anche vino rosso e cioccolato fondente. Questi citati, ovviamente, sono solo alcuni alimenti presenti nella dieta sirt.

fonte: nosotras.com

Come viene strutturata la Dieta Sirt?

La dieta Sirt prevede due fasi.

La prima fase dura sette giorni. Durante i primi tre si devono assumere per lo più cibi liquidi (come succhi di verdura e frutta) con un solo pasto solido al giorno, per un totale di 1000 calorie. Nei restanti quattro giorni le calorie diventano 1.500, e sono previsti due succhi e due pasti solidi.

La seconda fase dura quattordici giorni. È considerata “fase di mantenimento”, e prevede cibi solidi accompagnati da un solo succo verde. Non ci sono più restrizioni caloriche, ma solo indicazioni su quali cibi Sirt assumere.

fonte: Instagram alpha_woman_official

Questo è il segreto della cantante Adele, bellissima anche prima della dieta Sirt, che le ha fatto perdere ben 68kg.

Non dimentichiamoci però che prima di intraprendere una dieta bisogna sempre rivolgersi ad un medico specialista, evitando le diete fai da te.

Cristina Geraci

La corretta alimentazione per combattere il coronavirus

Anche se non esiste ancora un vaccino, esistono dei cibi che potrebbero rafforzare il nostro sistema immunitario.
Il Ministero della Salute informa che i coronavirus sono una numerosa famiglia di virus noti per causare malattie che vanno dal comune raffreddore a malattie più gravi, come la Sindrome respiratoria mediorientale (Mers) e la Sindrome respiratoria acuta grave (Sars).

Il nuovo ceppo Sars-CoV-2, che provoca la sindrome denominata “Covid-19” segnalata lo scorso dicembre nella città cinese di Wuhan, è una malattia respiratoria che può manifestarsi con sintomi lievi ed essere scambiata per una semplice influenza come raffreddore, mal di gola, tosse e febbre, o sintomi più severi come polmonite e difficoltà respiratorie che in determinati casi possono provocare la morte del paziente. Come specificato dal Ministero della Salute, il contagio avviene tramite la saliva, tossendo e starnutendo, avendo contatti diretti personali, toccando bocca, naso o occhi con le mani contaminate. Per prevenire la trasmissione è fondamentale adottare alcune misure di protezione personale come il lavarsi bene le mani o cercare di stare lontano da una persona almeno due metri.

Ma è possibile aiutare anche il nostro organismo. Grazie a una sana e corretta alimentazione in grado di rafforzare il sistema immunitario per prevenire infezioni virali e batteriche. Per aiutare le nostre difese è fondamentale mantenere in salute l’intestino, pertanto è necessario evitare l’utilizzo frequente di antibiotici, antinfiammatori, antiacidi e alimenti pro-infiammatori, che indeboliscono il nostro sistema intestinale, creando terreno fertile per patogeni o virus.

Per mantenere l’equilibrio intestinale cerchiamo di assumere regolarmente la giusta quantità di cibi prebiotici e probiotici, evitiamo o limitiamo i cibi che generano calore come il latte, il glutine e zuccheri raffinati in generale. Ecco di seguito qualche alimento che può aiutare le difese immunitarie dell’organismo.

Limone: l’agrume è ricco di vitamina C, importantissimo nei processi di difesa cellulare. L’ideale sarebbe assumere tutti i giorni una premuta di limone con un pizzico di bicarbonato di potassio, che ha proprietà alcalinizzanti, fungicida e digestive, in acqua calda (il calore uccide i virus)

Yogurt: fonte naturale di probiotici, é ricco di microrganismi che aiutano a riequilibrare la flora batterica intestinale. Perfetto se prodotto in casa: in questo modo si riduce l’assorbimento di zuccheri e conservanti

Semi di lino: sono una preziosa fonte di acido alfa-linoleico, acido grasso della famiglia degli omega-3, che ha importanti proprietà antinfiammatorie. Ripuliscono il colon da muco stagnante garantendo una preservazione della microflora intestinale

Grano saraceno: privo di glutine e ricco al 95% di trans resveratrolo. È uno stilbene, un composto polifenolico, una delle molecole che le piante producono per proteggersi in situazioni di stress. Allo stesso modo, la sostanza viene usata dalle nostre cellule per lo stesso scopo

Olio extravergine di oliva, di semi di lino, di semi di canapa e di avocado: tutti sono composti prevalentemente da acidi grassi e fosfolipidi. Hanno un ruolo fondamentale nel riequilibrare la membrana delle cellule bianche del sangue, i linfociti. L’ideale sarebbe assumere un olio fresco.

Verdure a foglia verde: hanno proprietà antivirali e antibatteriche. Si consiglia di cuocerle a vapore per facilitarne la digestione e preservarne le caratteristiche alimentari

Avena: il cereale, ricco di fibre, aiuta a regolarizzare l’intestino, dare sazietà e a regolarizzare i livelli di colesterolo nel sangue

Frutta secca e semi oleosi (zucca, girasole, lino): questi alimenti posseggono numerose sostanze prebiotiche come minerali, aminoacidi e omega-3.

Integratori probiotici: sono microrganismi viventi e attivi che rafforzare l’ecosistema intestinale. I probiotici, per vivere e proliferare all’interno del nostro intestino, hanno bisogno del corretto nutrimento rappresentato dai prebiotici.

Piero Cento

Tumori: è possibile farli “morire di fame”?

La ricerca percorre ogni giorno strategie diverse nel tentativo di sconfiggere il cancro. Un passo in avanti molto promettente è emerso da un ragionamento tanto intuitivo quanto efficace: perché non sfruttare il modo in cui il tumore si nutre per combatterlo? 

Sebbene esistano innumerevoli tipologie di tumori, esistono caratteristiche ben definite che le accomunano. 

Tali caratteristiche permettono la cosiddetta progressione tumorale. Il tumore riesce nel tempo a diventare più invasivo, resistente sia al sistema immunitario che alle terapie, acquisendo sempre maggiore malignità. Ciò è permesso dalla eterogeneità delle cellule tumorali che mutano continuamente, per cui anche se molte cellule effettivamente non sopravvivono, altre sfuggono a ogni controllo e continuano a moltiplicarsi. Ma svolgono un ruolo centrale anche particolari alterazioni metaboliche. 

Già nel 1924 Otto Heinrich Warburgpremio Nobel nel 1931, postulò la cosiddetta ipotesi di WarburgDi norma, in base alla disponibilità di ossigeno, le cellule sfruttano due vie metaboliche per tratte energia: in condizioni di aerobiosi prediligono la fosforilazione ossidativa; in condizioni di anaerobiosi sono costrette a ricorrere alla glicolisi e alla fermentazione lattica. Secondo l’effetto Warburg, caratteristica chiave della cellula tumorale è quella di prediligere la glicolisi aerobia 

Sono state avanzate due spiegazioni per tale comportamento: 

  • Man mano che il tumore cresce, in stadi precoci in cui si ha scarsa vascolarizzazione, le cellule tumorali si trovano in condizioni più o meno gravi di ipossia, per cui sopravvivono le cellule che prediligono la glicolisi; tali modifiche diventerebbero permanenti anche ristabilendo la normossia. 
  • Un’ipotesi più recente si basa sull’idea che la cellula tumorale ha come unico scopo quello di moltiplicarsi, e per farlo deve sintetizzare DNA, RNA, organelli cellulari, per cui necessita non solo di energia, ma di intermedi del metabolismo da cui ottenere lipidi, proteine e acidi nucleici. La glicolisi, pur fornendo meno energia (sotto forma di molecole di ATP) rispetto alla fosforilazione ossidativa, fornisce gli intermedi necessari alla sintesi di tutti i componenti cellulari. 

Quindi la cellula tumorale, sebbene possa attuare anche la fosforilazione ossidativa, è strettamente dipendente dal glucosio. 

Proprio su queste caratteristiche peculiari delle cellule tumorali si è concentrata la ricerca pubblicata sulla prestigiosa rivista Cancer Cell, coordinata da Saverio Minuccidirettore del Programma Nuovi Farmaci dell’Istituto Europeo di Oncologia, e sostenuta dalla Fondazione AIRC. 

Era già noto che la restrizione calorica e il cosiddetto intermittent fasting, ovvero il digiuno intermittente, fossero degli approcci utili per contrastare la crescita tumorale e per incrementare l’efficacia dei trattamenti chemioterapici.
Tuttavia, la restrizione calorica causa spesso eccessiva perdita di peso, nausea, disordini della riparazione delle ferite e del sistema immunitario; mentre l’intermittent fasting non ha particolari effetti collaterali e anzi, protegge da alcuni effetti tossici dei chemioterapici. 
Inoltre, il metabolismo energetico delle cellule tumorali può essere bersagliato tramite la metformina, farmaco diffusamente utilizzato nel trattamento del diabete di tipo 2: essa contrasta e rallenta la fosforilazione ossidativa, deviando l’utilizzo del glucosio verso la glicolisi.  

Basandosi su ciò, i ricercatori hanno architettato un esperimento su topi, nei quali sono state impiantate cellule di melanoma prelevate da pazienti, suddividendo diversi gruppi: 

  • Due gruppi di topi non sono stati sottoposti a restrizioni alimentari; di questi, uno è stato sottoposto a trattamento con metformina. 
  • Tre gruppi sono stati sottoposti a intermittent fasting, con periodi di digiuno di 24 ore; di questi, due gruppi sono stati trattati con metformina, di cui uno nei periodi di digiuno, l’altro nei periodi di alimentazione. 

Tale organizzazione ha permesso di valutare l’efficacia dei trattamenti combinati, anche con tempistiche diverse. Il tutto paragonato a topi “controllo” sottoposti a trattamento singolo o non trattati. 

Il digiuno intermittente è risultato efficace nel ridurre i livelli di glucosio a livello del tumore, a conferma di precedenti studi; la metformina, da sola, non ha mostrato effetti rilevanti. 
Il risultato più importante è stata la grave compromissione della crescita tumorale nei topi soggetti a entrambi i trattamenti, indicativa dell’effetto anti-proliferativo della metformina, specialmente se somministrata durante i periodi di ipoglicemia. 

Ulteriori studi su colture cellulari hanno spiegato che sono proprio i bassi livelli di glucosio a sensibilizzare le cellule all’azione citotossica della metformina, da cui l’efficacia del loro sinergismo. Intuitivamente si comprende che, riducendo i livelli di glucosio, la cellula tumorale si trovi costretta a deviare dalla glicolisi verso la fosforilazione ossidativa, e poiché la metformina antagonizza proprio tale via metabolica l’ipoglicemia è una premessa fondamentale per renderla efficace. In sostanza, in condizioni di ipoglicemia la metformina attiva un complesso meccanismo intracellulare che sfocia nell’apoptosi o morte programmata della cellula tumorale. 
Di seguito i dettagli molecolari per gli interessati. 

 

Per comprendere quali fossero gli attori molecolari in gioco, i ricercatori hanno inibito diversi enzimi studiando le conseguenti risposte cellulari. L’enzima chiave si è rivelato essere la glicogeno sintasi chinasi 3β (GSK3β) che, se inibita, rendeva le cellule resistenti al trattamento. È stato ipotizzato che la combinazione di basso glucosio e metformina fosse responsabile della mancata fosforilazione di questo enzima, con la sua conseguente iperattivazione.  

La GSK3β è coinvolta nella regolazione della sintesi proteica, della proliferazione e differenziazione cellulare e dell’apoptosi. La sua iperattivazione porta all’incremento della degradazione di MCL-1, una proteina anti-apoptotica; quindi nel complesso viene favorita l’apoptosi. 

Inoltre, gli studiosi hanno identificato la proteina responsabile della defosforilazione e quindi attivazione della GSK3β: si tratta di PP2A, una fosfatasi, la cui assenza, così come l’inibizione della GSK3β, rende le cellule resistenti al trattamento. I bassi livelli di glucosio incrementano l’attività di PP2A influenzandone una subunità regolatoria. Inoltre, PP2A è inibita dalla proteina CIP2A: quest’ultima è il bersaglio della metformina, che ne riduce i livelli aumentandone la degradazione. 

Quindi la combinazione di bassi livelli di glucosio e metformina permette sinergicamente l’attivazione di PP2A, che attiva GSK3β, la quale riduce i livelli di MCL-1 portando alla morte della cellula. Tutto questo è stato infine confermato non più su colture in vitro ma sui topi in vivo. 

Tali risultati sono estremamente promettenti, ma rimangono incognite l’efficacia sull’uomo e l’entità reale della riduzione della crescita del tumore. 
Inoltre, esistono tumori in cui i componenti dell’asse molecolare PP2A-GSK3β-MCL-1 o altre proteine che con essi interagiscono sono alterati, determinando una probabile insensibilità al trattamento: in pratica, non tutti i pazienti rispondono alla metformina. 

In ogni caso, afferma Minucci: “Siamo nelle condizioni di avviare immediatamente studi clinici, e questo passaggio così rapido è molto raro nel passaggio dalla ricerca di base alla clinica, ed è per noi motivo di grande soddisfazione e di aspettativa per gli sviluppi futuri”. 

Non resta che attendere, con orgoglio del forte contributo italiano, gli sviluppi di una ricerca che fa davvero ben sperare.  

Davide Arrigo

 

Bibliografia:

https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1535610819301527?via%3Dihub 
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5095922/
 

Il “peso” del DNA nell’obesità

L’obesità è uno dei problemi più rilevanti del mondo occidentale, attribuibile allo stile di vita e non solo.

Basti pensare che in Italia, nel 2015, il 35% della popolazione è in sovrappeso, mentre il 9,8% è obesa. Si tratta di un fenomeno in continua crescita, che non risparmia nessuna fascia di età. I motivi sono vari, ma una scorretta dieta e una vita sedentaria sono i più importanti.

Sono soltanto fattori modificabili a favorire lo sviluppo di sovrappeso e obesità? In realtà altri protagonisti concorrono allo sviluppo di queste condizioni, anche se in passato veniva dato loro un ruolo marginale.

Si è visto, infatti, che molti geni regolano il metabolismo del tessuto adiposo e un corretto controllo del peso corporeo, tra cui FTO e IRX3.

Milioni di mutazioni possono influenzare in diversa misura l’obesità: può bastare soltanto un gene mutato ed è il caso di MC4R, ovvero il recettore della melanocortina. Un suo deficit potrebbe correlare con un’obesità monogenica, cioè dovuta alla mutazione di un solo gene.

Si tratta però di una patologia rara, e più comunemente l’obesità è causata dall’interazione di più geni e l’ambiente (fondamentalmente lo stile di vita).

Ma se i geni hanno un ruolo così importante, è possibile prevedere se un bambino diventerà obeso?

Uno studio pubblicato sulla rivista Cell, condotto dai ricercatori del Broad Institute del Massachusetts Institute of Technology e dell’ Università di Harvard, ha cercato di dimostrare proprio questo, studiando circa 2.1 milioni di variazioni poligeniche in più di 300.000 individui.

I dati sono stati ricavati dal più grande studio sull’obesità, pubblicato nel 2015 sulla rivista Nature. I soggetti sono stati stratificati in base al loro BMI (Body Mass Index) assegnando un punteggio definito GPS (Genome-wide Polygenic Score) che raggruppa tutti i possibili fattori di rischio ereditabili.

Lo score si basa sulla frequenza di determinate mutazioni genetiche: più sono presenti più il GPS aumenta, correlandosi ad un maggiore BMI.

Relazione tra GPS e BMI medio (A), peso espresso in kg (B), percentuale di obesità grave (C)

Si tratterebbe, quindi, di un vero e proprio test in grado di predire, già alla nascita, il rischio di diventare obesi.

Il Polygenic Score è direttamente collegato alla probabilità di sviluppare un’obesità grave (BMI>40).

Nonostante diversi valori nel GPS non correlino con significative differenze di peso nei primi mesi di vita, queste vengono a palesarsi durante l’infanzia. Infatti, ragazzi con un punteggio molto alto pesano mediamente 12 kg in più rispetto ad un soggetto con GPS basso.

Differenze nel peso in base all’età e rischio correlato.

È stato dimostrato anche che, soggetti con Polygenic Score elevato hanno una probabilità di diventare obesi molto simile a soggetti con mutazione del recettore della Melanocortina.

Se si parla di obesità, però, dobbiamo parlare anche di tutto ciò che circonda questa patologia. Infatti, sovrappeso e soprattutto obesità sono un fattore di rischio per numerose affezioni, tra cui eventi cardiovascolari e ipertensione arteriosa, insulinoresistenza e diabete, alterazioni nel metabolismo dei lipidi… che se presenti contemporaneamente caratterizzano quella che viene definita come sindrome metabolica.

Dato che questo test può predire la possibilità di diventare obesi, indirettamente potrebbe predire anche il rischio cardiometabolico e la mortalità. Infatti, un alto GPS è associato ad un rischio elevsdi sviluppare diabete mellito, patologie coronariche e scompenso cardiaco. La mortalità aumenta del 19%.

La grande novità dello studio sta nella possibilità di individuare precocemente soggetti con numerosi fattori di rischio ed optare per scelte terapeutiche mirate.

Nonostante si tratti di un test molto affidabile, è possibile che alcuni soggetti con uno score elevato abbiano un BMI ottimale. Come si spiega?

Ciò è causato da una proprietà dei geni in questione, ovvero la penetranza incompleta. Nonostante la presenza di più mutazioni, queste rimangono silenti e il soggetto, quindi, non manifesterà alcuna patologia.

Abbiamo ammesso, dunque, l’importanza che hanno dei fattori intrinseci come i geni nello sviluppo di obesità e sovrappeso; ma questo non deve di certo escludere una vita sana e una prevenzione adeguata nei soggetti a rischio. Infatti, adottando una dieta corretta e svolgendo una regolare attività fisica, è possibile tenere il rischio cardiometabolico pari a quello di un soggetto con un GPS basso.

Carlo Giuffrida

 

 

Bibliografia:

Polygenic Prediction of Weight and Obesity Trajectories from Birth to Adulthood. Khera et al., 2019, Cell.

https://doi.org/10.1016/j.cell.2019.03.028

Genetic studies of body mass index yield new insights for obesity biology. Locke et al., 2015 , Nature.

https://www.nature.com/articles/nature14177

Dieta mima digiuno per 3 mesi: perdi chili e ringiovanisci le cellule

Studi inediti confermano l’efficacia della dieta mima digiuno, da seguire per 5 giorni e per soli 3 mesi.

La dieta mima digiuno aiuta ad abbassare la pressione, tenere sotto controllo la glicemia e dimagrire, in totale armonia col prorpio corpo.

A svelarlo la nuova ricerca bio-medica che mette in luce, ancora una volta, i benefici di questo regime alimentare basato sul digiuno assennato.

Sviluppata dallo scienziato Valter Longo questa dieta è considerata rivoluzionaria, agisce non solo sulla perdita di peso, ma anche sulla salute di chi la segue.

Un recente studio realizzato dalla University of Southern California, ha dimostrato che bastano tre mesi di dieta mima digiuno per conseguire ottimi risultati.

5 giorni al mese in cui si segue questo regime alimentare, bastano per avere una riduzione della massa grassa addominale e una perdita di peso consistente.

Le analisi hanno dimostrato che la dieta mima digiuno porta anche un abbassamento della pressione arteriosa e della glicemia, aiutando a tenere sotto controllo i trigliceridi, la proteina C reattiva, che causa infiammazioni, e il fattore insulino-simile, che è responsabile dell’invecchiamento cellulare.

“I dati ottenuti su biomarker e fattori di rischio associati a invecchiamento, cancro, diabete e malattie cardiovascolari, unitamente all’elevata compliance alla dieta e alla sua sicurezza di utilizzo – hanno spiegato i ricercatori – indicano che la Dieta Mima Digiuno possa rappresentare una strategia alimentare ad alto potenziale di efficacia nella promozione della salute umana”.

Basta dunque meno di una settimana della dieta mima “Longo” per ritornare in forma e migliorare la propria salute.

Nello specifico si tratta di un regime alimentare con pochissime calorie, basso contenuto di proteine e zuccheri semplici.

Si consumano soprattutto alimenti a base vegetale, senza lattosio o glutine, come zuppe, tisane, snack, barrette, minestre, integratori o tè.

Lo scopo di questi cibi è “ingannare” l’organismo, che si comporta come se si trovasse in una situazione di digiuno, attivando particolari meccanismi reattivi.

Questo comporta una perdita di peso, ma anche una rigenerazione e protezione dell’organismo.

Mediamente, in 3 mesi si possono perdere sino a 2 kg e mezzo, con una diminuzione considerevole della circonferenza addominale.

Un passo avanti rivoluzionario nella tematica che lega, ancora una volta, l’alimentazione al benessere ed al bio-equilibrio.

                                                                                                                                             Antonio Mulone

La dieta dei gruppi sanguigni: qual è la verità?

La Treccani definisce “bufala” una notizia falsa che viene ripresa e amplificata dai media. La prima volta che ho sentito parlare di diete specifiche per i gruppi sanguigni ho pensato fosse la solita bufala del momento, per poi scoprire che, in realtà, dietro questa teoria, ci sono bestsellers internazionali, convegni, trasmissioni e tanta, tanta convinzione.

Il primo autore ad associare una dieta specifica a ogni gruppo sanguigno della classificazione ABO (ma non le altre) è stato Peter D’Adamo, un naturopata. Nel 1996 ha pubblicato Eat Right for Your Type, cioè “mangia nel modo corretto a seconda del tuo gruppo sanguigno”. Il libro è stato tradotto in più di 60 lingue e ha venduto più di 7 milioni di copie. In Italia questo regime alimentare, un po’ adattato al nostro essere clienti esigenti (sul cibo), è diventato famoso grazie a un libro pubblicato nel 2012 dal dottor Piero Mozzi e alle sue innumerevoli apparizioni televisive. Sul suo blog ama definirsi “Medico chirurgo secondo natura”.

Secondo D’Adamo il gruppo sanguigno contiene una sorta di “ricordo codificato” del comportamento e della dieta che seguivano gli uomini nel momento in cui quel gruppo sanguigno è apparso.

In questa logica il gruppo O è quello più antico, quindi quello dell’antenato cacciatore-raccoglitore. Chi possiede il gruppo O – “il cacciatore” – dovrebbe mangiare il più possibile quello che mangiavano quegli esseri umani: carne. L’agricoltura non era ancora stata inventata.

Il gruppo A, sempre secondo la storia di D’Adamo, si sarebbe evoluto più o meno in concomitanza dell’invenzione dell’agricoltura e quindi la persona di gruppo A – ”l’agricoltore” – dovrebbe prevalentemente mangiare vegetali e poca carne.

Il gruppo B, evolutosi nelle tribù nomadi che consumavano latte e latticini – “il nomade allevatore” – dovrebbe consumare latte e latticini e trarne beneficio.

Il gruppo AB è un mix tra A e B.

Andiamo con calma analizzando punto per punto. I geni che regolano il gruppo sanguigno ABO esistono anche in molte altre specie di animali vertebrati. Gli studi più recenti mostrano che nei pesci i geni per gli antigeni A e B non sono presenti, lo sono invece nelle rane. Questo significa che l’apparizione dei gruppi sanguigni è avvenuta probabilmente dopo la separazione tra pesci e anfibi.

Troviamo i gruppi A e B in molte specie: cani, cavalli, ratti, panda, rane, conigli, pipistrelli e altri. Il gruppo O è apparso successivamente, come mutazione degli alleli di tipo A e B. Il primo gruppo pare essere il gruppo A, poi il B e infine lo O.In ogni caso quando è apparso il genere Homo c’erano già tutti i gruppi: O, A, B e AB.

Abbiamo appena confutato la teoria in questione, ma magari la dieta è azzeccata per qualche motivo sconosciuto. E’ completamente da escludere che il gruppo sanguigno possa avere a che fare in qualche modo con la salute e quindi di riflesso con l’alimentazione? Nonostante possa sembrare una barzelletta, è giusto adottare un metodo scientifico, senza chiudere gli occhi a priori. Vediamolo assieme.

Navigando in cerca di relazioni organismo-gruppo sanguigno si può trovare questa review che mostra come avere un gruppo sanguigno invece che un altro può influenzare la probabilità di sviluppare alcuni tipi di cancro.

Il gruppo A è associato a un rischio aumentato di cancro del 12% (rispetto a chi non è gruppo A), mentre il gruppo O è associato a un rischio ridotto di cancro del 16% (rispetto a chi non è gruppo O).

Qui non si parla di alimentazione ma possiamo comunque dire che non è una domanda completamente insensata chiedersi se il gruppo sanguigno possa influenzare in qualche modo la nostra salute e forse interagire con l’alimentazione.

Questa review invece riporta alcuni articoli che indagavano alcuni possibili legami tra gruppi sanguigni e, per esempio, i livelli di colesterolo, ma niente altro. Le conclusioni sono che “Non c’è al momento alcuna prova che aderire a una specifica dieta basata sul gruppo sanguigno possa dare benefici alla salute. Fino a quando gli effetti sulla salute di questa dieta non saranno stati indagati, i consumatori dovrebbero essere avvertiti che questi presunti benefici non sono supportati dall’evidenza scientifica”.

Nel 2014, spronati dall’assenza di studi, alcuni ricercatori canadesi iniziano a indagare questo bizzarro modo di alimentarsi.

In questo studio sono stati esaminati 1455 soggetti sani. Per un mese hanno dovuto compilare un questionario per descrivere cosa avevano mangiato durante il giorno. A nessuno è stata prescritta una dieta specifica: hanno continuato a mangiare il cibo di sempre. Usando i questionari i ricercatori hanno assegnato un punteggio per stabilire quanto fossero vicine, le diete dei vari soggetti, a quelle prescritte per i vari gruppi sanguigni. Ogni gruppo infatti ha un elenco di alimenti favoriti, uno di alimenti neutri e uno di quelli da evitare. C’era quindi qualcuno che, già per i fatti suoi, seguiva senza saperlo una dieta di tipo O, chi seguiva una dieta di tipo A, chi una intermedia tra O e B, chi niente e così via.

Ai soggetti è stato misurato il peso, il girovita, la pressione, e con esami del sangue oltre a stabilire il gruppo sanguigno hanno misurato il colesterolo, i trigliceridi, l’insulina e così via.

Secondo la teoria, una persona di gruppo O che già spontaneamente segue una dieta da gruppo O, dovrebbe avere dei parametri migliori di un gruppo O che però mangia come un gruppo B, per esempio. E lo stesso per tutti gli altri gruppi.

I risultati dello studio mostrano come chi seguiva una dieta di tipo A, quindi meno carne e più vegetali, aveva una pressione più bassa, un girovita inferiore, colesterolo più basso e altri parametri migliori rispetto a chi seguiva una dieta di altro tipo. Ma la verità è che questo era assolutamente indipendente dal gruppo sanguigno. Cioè, chi seguiva una dieta di tipo A aveva parametri migliori di chi seguiva una dieta di tipo O, indipendentemente dal fatto che fosse davvero di gruppo A. E chi seguiva una dieta AB stava meglio in media di chi seguiva una dieta solo B.

Concludono i ricercatori: “I risultati non supportano le ipotesi della dieta del gruppo sanguigno. Lo studio mostra come l’aderenza a certe diete è associata a una riduzione dei rischi delle malattie cardiometaboliche. Questo può spiegare l’evidenza aneddotica che supporta queste diete, che sono di solito diete prudenti che riflettono stili di vita salutari. Tuttavia non c’è alcun legame con il proprio gruppo sanguigno”

Questo studio ha mostrato solo delle correlazioni e non si è intervenuti per variare la diete delle persone. In più lo studio era su soggetti sani e non su persone che magari avrebbero potuto trarre beneficio da queste diete. Quindi nel 2018, finalmente, si è data la risposta definitiva.

Questo è uno studio di “intervento”, cioè è stata reclutata una coorte di un migliaio di persone in sovrappeso, quindi a rischio cardiovascolare. Non è stata data alcuna dieta specifica, bensì sono state loro consigliate le diete AB0 specifiche.

Per sei mesi è stato registrato cosa mangiavano. Alla fine dei sei i ricercatori hanno effettuato nuovamente le analisi del sangue. Hanno poi calcolato in che misura le varie persone hanno seguito le prescrizioni suggerite per i vari gruppi sanguigni e incrociato i dati.

I risultati hanno mostrato che chi ha seguito più strettamente una dieta di tipo A aveva una pressione più bassa e una più elevata riduzione dell’indice di massa corporea. In pratica sono dimagriti più di altri. Chi seguiva più una dieta di tipo B aveva anche un giro vita più ridotto, ma anche chi si è avvicinato a una dieta di tipo O aveva comunque migliorato i propri parametri.

Tuttavia i miglioramenti erano del tutto indipendenti dal proprio gruppo sanguigno, ma dovuti al fatto che i partecipanti hanno ridotto il consumo di cibi processati e bevande zuccherate e hanno aumentato la varietà di cibi freschi, specialmente frutta e verdura, cosa prevista da queste diete magiche, quindi non stupisce affatto che alcune persone seguendo queste diete si sentano effettivamente meglio.

Alla luce di ciò che è stato detto, provo a rispondere alla domanda iniziale: cosa c’è di reale dietro questi guru della medicina? Cosa c’è di vero nelle loro teorie? I soldi ed i creduloni. Tanti soldi e tanti creduloni. E’ giusto che il Dottor Mozzi “medico della natura” ed il naturopata Peter D’Adamo, definito da Tommy Hilfiger “il guaritore più incredibile che conosca” dotato di una “conoscenza di come funziona il corpo incredibile”, siano milionari grazie a loro? Si.

Antonio Nuccio