Lezioni di degrado al Polo dell’Annunziata

La recente ristrutturazione del DICAM ha restituito decoro al polo universitario dell’Annunziata, ma lo stato di abbandono dell’omonimo Viale penalizza l’immagine del Dipartimento. Basta fare qualche passo fuori dal cancello per rendersene conto.

Un’accoglienza poco universitaria

Il quartiere dell’Annunziata non brilla certo per ordine e pulizia. Un torrente scoperto e maleodorante taglia in due la strada, e il caos del parcheggio selvaggio regna sovrano. Aiuole e rotonde sono sommerse da erbacce e sterpaglie, mentre qua e là spuntano mini discariche di rifiuti ingombranti. Non è esattamente ciò che ci si aspetta da una zona universitaria.

Ma se l’intero rione richiederebbe una strutturale quanto complessa riqualificazione da parte del Comune, la prima parte del Viale, quella che conduce al DICAM, potrebbe essere facilmente curata con un minimo di attenzione in più.

Proprio quel tratto di strada che va dalla terza rotonda fino ai cancelli del Dipartimento rappresenta il vero ingresso del Polo universitario. In virtù di ciò, sarebbe lecito attendersi un’area rifinita, che accolga al meglio gli accademici. Al contrario, si presenta trascurata, sporca, quasi respingente.

Da mesi il viale è invaso da alte erbacce che rendono il marciapiede in molti tratti impraticabile. Gli studenti sono spesso costretti a scendere sulla strada, camminando a pochi centimetri dalle auto che sfrecciano. E come se non bastasse, non di rado bisogna schivare anche qualche sacco di spazzatura, abbandonato dai residenti della zona non particolarmente affezionati alla raccolta differenziata.

Fra rifiuti, escrementi di animali e scritte spray, raggiungere la facoltà diventa una piccola odissea. E la situazione non migliora quando si arriva davanti al Dipartimento: lì, alla sinistra dei cancelli, la panchina nera resta incrinata da infinite settimane, a testimonianza dell’incuria generale.

Il lato positivo? Le condizioni pietose del viale sono una motivazione in più per laurearsi in fretta. Non tanto per il traguardo accademico in sé, quanto per fuggire il prima possibile da un quartiere tristemente desolato.

 

UniME, pensaci tu!

Il Comune dovrebbe essere il primo soggetto a intervenire, anche solo per dimostrare un minimo di riguardo verso l’Università, istituzione centrale nella realtà cittadina. Ma, a quanto pare, anche una semplice scerbatura sembra cosa dell’altro mondo.

In questo scenario, l’intervento dell’Università di Messina potrebbe fare davvero la differenza. UniMe ha infatti mezzi, voce e autorevolezza per chiedere al Comune e a Messinaservizi una migliore gestione della zona.

Interventi basilari potrebbero migliorare di molto la situazione attuale: l’installazione di cestini lungo il marciapiede aiuterebbe a combattere l’abbandono di lattine e bottiglie di plastica, mentre collocare dei contenitori per le deiezioni canine sarebbero un forte segnale di civiltà. Ma l’intervento più urgente resta la scerbatura, perché qui le erbacce rischiano davvero di diventare alberi.

Sono accorgimenti minimi, ma con una grande importanza. L’ingresso del DICAM merita un aspetto più dignitoso e accogliente. Per questo anche le associazioni studentesche dovrebbero unirsi e fare fronte comune, chiedendo ai vertici universitari un’azione concreta.

Lo richiede l’immagine di UniMe, così come tutti gli studenti che ogni mattina percorrono quei marciapiedi horror per raggiungere le facoltà. Questo degrado va avanti da troppo tempo, e l’Università non può fare finta di nulla.

 

Giovanni Gentile Patti

DICO compie 10 anni: la consulenza linguistica firmata UNIME

Nato nel marzo 2015 DICO – Dubbi sull’Italiano Consulenza Online  festeggia oggi dieci anni di attività. Per celebrare questo traguardo, l’Ateneo ha organizzato l’evento “Vivere in italiano. Varietà, usi emergenti e nuovi parlanti“, che si terrà il 20 marzo presso l’Aula Magna del Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne (DICAM).

Unico servizio di consulenza linguistica gratuito offerto da UniMe, DICO è un laboratorio permanente sulla lingua italiana: un punto di riferimento per consulenze, informazione e discussione, aperto a tutti.

DICO: UN PUNTO DI RIFERIMENTO PER LA LINGUA ITALIANA

Un dialogo vivace, dinamico e interattivo. La piattaforma, curata dai docenti di Linguistica italiana e Storia della lingua italiana Fabio Rossi  (responsabile scientifico), Fabio Ruggiano, Raphael Merida e da Francesca Rodolico, dottoranda del Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne (DICAM) dell’Università degli Studi di Messina. Dico è un servizio UniMe.

La piattaforma, si propone come punto di riferimento per chiunque abbia dubbi sulla lingua italiana,  diffondendo consigli, indicazioni, informazioni sul sistema linguistico italiano.

DICO
I curatori del servizio DICO, Fabio Ruggiano, Fabio Rossi e Raphael Merida. Fonte: “sito DICO”

CHE COS’È E A COSA SERVE DICO?

Il sito web, supportato tecnicamente dal Centro Informatico d’Ateneo di Messina (CIAM), si articola in diverse sezioni:

  • Chiedilo a DICO! Grazie alla sua interattività, gli utenti possono inviare le proprie domande sulla lingua italiana e ricevere risposte dai curatori del sito.
  • Offre un ricco archivio di risposte, una raccolta in costante aggiornamento di quesiti già affrontati, consultabile per categoria e parola chiave.
  • Il servizio non si limita a fornire risposte su grammatica, sintassi e lessico, ma promuove anche la riflessione sull’evoluzione della lingua italiana e il suo rapporto con altre lingue, attraverso link, approfondimenti e notizie specifiche.

In questi dieci anni, DICO ha raccolto 1.815 domande e risposte e ha totalizzato quasi 330.000 visualizzazioni.  Grazie all’impegno costante dei suoi curatori, continua a crescere come risorsa essenziale per studenti, professionisti e tutti coloro che vogliono approfondire e perfezionare la nostra identità culturale per eccellenza: la lingua italiana.

L’EVENTO

L’incontro del 20 marzo sarà articolato in diverse sessioni tematiche, con interventi di esperti di linguistica provenienti da tutta Italia. Tra gli ospiti di spicco, il presidente dell’Accademia della Crusca, Paolo Achille, che parlerà dell’instabilità dell’italiano contemporaneo e del ruolo della consulenza linguistica.

L’evento si concluderà con una tavola rotonda moderata dal professore Fabio Rossi, con la partecipazione di rappresentanti del mondo accademico e sociale, tra cui il coordinatore degli UniMe Student Ambassador, Abdul Raouf Mastan Sheik Abdullah. L’incontro offrirà una visione ampia e multidisciplinare sulle sfide e le prospettive dell’italiano come lingua viva e in continua trasformazione.

Mattina

ORE 9:30 – SALUTI ISTITUZIONALI

  • Giovanna Spatari, Magnifica Rettrice dell’Università di Messina
  • Giuseppe Ucciardello, Direttore del Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne (DICAM)

 10:00 – PRIMA SESSIONE

  • Didattica dell’italiano a scuola e linguistica testuale: a che punto siamo? a cura di Maria Silvia Rati (Università per Stranieri “Dante Alighieri” di Reggio Calabria)
  • Dieci anni di consulenza linguistica: chi scrive, perché, che cosa chiede – Fabio Ruggiano e Francesca Rodolico (Università di Messina)

  • Da abilismo a white privilege. Le parole del woke – Alessandro Aresti (Università di Cagliari)

 12:00 – SECONDA SESSIONE

  • La Crusca (e il suo servizio di consulenza) di fronte all’instabilità dell’italiano di oggi- Paolo D’Achille (Presidente dell’Accademia della Crusca, Università Roma Tre)
  • Quello che le grammatiche non DICOno – Fabio Rossi & Raphael Merida (Università di Messina)

Pomeriggio

ORE 15:00 – SESSIONE POMERIDIANA

  • L’italiano fra apprendimento e uso. Pratiche plurilingui di giovani migranti subsahariani – Mari D’Agostino (Università di Palermo)
  • L’articolo indeterminativo con i nomi astratti non modificati: un tratto in movimento? – Daniele D’Aguanno (Università “L’Orientale” di Napoli)

  • Rimettere a fuoco la lingua. I nuovi poli del prestigio linguistico nei primi vent’anni del Duemila – Daria Motta (Università di Catania)

TAVOLA ROTONDA – MESSINA E IL SUO SPAZIO LINGUISTICO

  • Moderatore: Fabio Rossi (Università di Messina)
    Partecipanti: Giovanni Galvagno (Dirigente CPIA Messina)
  • Abdul Raouf Mastan Sheik Abdullah (Coordinatore UniMe Student Ambassador)
  • Domenico Pellegrino (Referente formazione Ufficio diocesano Migrantes)

Elisa Guarnera

Il 7 e l’8 maggio la prima Student Conference del DICAM, “Il Conflitto”

Il 7 e 8 maggio si terrà al Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne dell’Università di Messina un convegno dal titolo Il conflitto: prospettive storico-antropologiche, filosofico-sociali, filologico-letterarie e archeologiche”. L’evento è organizzato dal dottorato in Scienze Umanistiche.

L’inaugurazione sarà nell’Aula Magna del Dipartimento alle ore 9.30 alla presenza della Magnifica Rettrice Giovanna Sparari, del Direttore del Dipartimento Giuseppe Ucciardello e della Coordinatrice del Dottorato in Scienze Umanistiche Caterina Malta. Subito dopo, la sessione plenaria sarà inaugurata dalla prof.ssa Caterina Resta, già ordinario di Filosofia Teoretica, e dal prof. Antonino De Francesco, ordinario di Storia Moderna e già presidente della Società Italiana per la Storia dell’Età Moderna; a moderare il prorettore vicario Giuseppe Giordano.

Per gli studenti che parteciperanno alla Student Conference è previsto il rilascio dell’attestato di partecipazione per il riconoscimento dei CFU nei corsi di laurea triennali e magistrali del Dipartimento.
Gli studenti che vorranno fare richiesta ai coordinatori devono registrarsi presso la segreteria generale del convegno allestita in Sala Mostre.

Locandina del convegno

Le tematiche del convegno

Abbiamo chiesto a tre dei dottorandi che si sono occupati dell’organizzazione, la dott.ssa Rosita Castelluzzo, il dott. Giovanni Di Bella e la dott.ssa Francesca Rodolico, cosa ci si dovesse aspettare da questi due giorni. “Il termine conflitto verrà declinato da ogni relatore afferente a diversi campi della ricerca. Ognuno darà la sua visione dal punto di vista concettuale, ma anche metodologico, su come affrontare il conflitto e come trovare le linee guida per risolverlo”.

È stato allestito un programma ricco di panel, che procederà per sessioni parallele mettendo in dialogo anche settori scientifici relativamente diversi uno dall’altro. “Abbiamo avuto un grosso riscontro” ci dicono i dottorandi “e ci sono state anche risposte da dipartimenti prettamente scientifici. Ovviamente poi il Comitato Scientifico ha dovuto restringere il campo per questioni tempistiche. Sulle 142 risposte ricevute, abbiamo potuto accogliere “solo” la metà dei relatori, purtroppo.”

Un convegno non soltanto locale, con relatori dalle università di Bari, Bologna, Firenze, Genova, Milano, Milano “Bicocca”, Napoli, Palermo, Perugia, Roma “La Sapienza”, Salerno, Torino, Venezia, dalla Scuola Normale Superiore di Pisa e dalle università di Belgrado (Serbia), Gent (Belgio) e Malaga (Spagna).

La genesi

Questo è il primo convegno organizzato dal dottorato di Scienze Umanistiche. I dottorandi dicono: “Il progetto è nato diversi anni fa, i colleghi dei cicli precedenti lo hanno pensato, ma poi per varie difficoltà non è stato possibile realizzarlo. Quest’anno, però, abbiamo tentato nuovamente e con l’aiuto di varie figure ci stiamo riuscendo, anche perché, essendo il primo, abbiamo dovuto fare tutto da zero.”

Lo stesso convegno pone in dialogo le quattro macro-aree del dottorato, risolvendo già in qualche modo un conflitto e creando comunità su più fronti. I dottorandi ci dicono: “Sono subito state coinvolte diverse forze dell’Ateneo e della Città, creando una sinergia forte, che non è sempre una cosa facilissima. Per questo un forte grazie va intanto alla Coordinatrice, la prof.ssa Caterina Malta, ai proff. Giuseppe Ucciardello e Giuseppe Giordano, al Comune di Messina, per averci dato la possibilità di visitare i luoghi più importanti della città.” Alla fine della prima giornata di lavoro, infatti, non mancherà la visita al centro storico di Messina con la guida dei proff. Roberto Cobianchi, ordinario di Storia dell’Arte Medievale, e Giovanni Giura, ricercatore in Storia dell’Arte Moderna.

I ringraziamenti continuano: “Si deve dire grazie al Palazzo Arcivescovile, all’Arciprete della Cattedrale, ma anche all’E.R.S.U, che offrirà i due pranzi a tutti i relatori, e all’A.T.M. per le linee potenziate. Il convegno è stato organizzato dai Dottorandi e dalle Dottorande di Scienze Umanistiche, ma l’aiuto di persone esterne è stato prezioso dal punto di vista pratico e spirituale, una su tutte il dott. Francesco Galatà.”

Ci sono già delle prospettive per il futuro di questo convegno? L’idea sarebbe quella di riproporlo ogni due anni, l’auspicio è quello che i posteri abbiano interesse nel perseguire questo progetto. A questo punto, non resta che augurare buon lavoro ai Dottorandi e alle Dottorande!

Programma del convegno 1/2

Programma del convegno 2/2

Giulia Cavallaro

L’inviato speciale Valerio Pellizzari si racconta al DICAM

Il Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne ha organizzato due incontri seminariali con il noto inviato speciale Valerio Pellizzari, svoltisi mercoledì 8 novembre (ore 10:30) e giovedì 9 novembre (ore 8,30) rispettivamente in Sala Conferenze e in Aula 16. Nei seminari, rivolti soprattutto a dottorandi e studenti dei Corsi di Studio in Giornalismo e Scienze Storiche, sono intervenuti numerosi docenti del DICAM, con domande che hanno arricchito il dibattito sul ruolo dell’inviato oggi.

Chi è Valerio Pellizzari?

Originario di Verona, Valerio Pellizzari è un giornalista e scrittore. Ha lavorato dapprima come inviato speciale de “Il Messaggero” e poi come editorialista de “La Stampa”. Vanta numerose collaborazioni con le seguenti testate internazionali: International Herald Tribune, Libération, El País, BBC e Al Jazeera. Pellizzari ha seguito per oltre quarant’anni gli avvenimenti che hanno sconvolto l’Europa dell’Est e non solo. È infatti definito “nemico del popolo iracheno” dal regime di Saddam Hussein per aver rivelato i documenti sui prigionieri curdi vittime di esperimenti chimici. La carriera di Pellizzari, inoltre, ha fondato le sue radici anche nel mondo della scrittura. Tra i suoi libri più importanti conosciamo: “In battaglia, quando l’uva è matura” e “Kabul Kabul”, quest’ultimo scritto assieme all’amico Ettore Mo. Pellizzari, infine, è stato insignito del premio “Max David per l’inviato speciale ed è tra i fondatori del Premio Terzani.

Valerio Pellizzari al Festival della letteratura
Valerio Pellizzari, Fonte: Wikipedia

“Chi ha ucciso il nostro inviato? Sulla mutazione genetica del Giornalismo”: il primo incontro seminariale

Nel primo incontro seminariale l’attenzione si è concentrata sulla figura dell’inviato, di come egli è percepito in un contesto giornalistico sempre più velocizzato e se oggi la sua valenza sia la stessa del passato. Pellizzari, dopo aver raccontato diversi aneddoti sulla sua carriera da inviato speciale (dalla nomea di giornalista “anarchico” acquisita in Vietnam all’intervista fatta al presidente dell’Azerbaijan nda), spiega come, ad oggi, la parola “inviato” non esista più, ponendo come esempio la recente Guerra in Ucraina. Tuttavia, non condanna del tutto la circolazione velocizzata delle informazioni, purché queste siano complete e, soprattutto, necessarie. Il baricentro del discorso si è poi spostato sui metodi utilizzati dal giornalista per raccontare un evento. A tal proposito, Pellizzari ha parlato di regole da prefissarsi, come ad esempio la durata dell’intervista (di almeno un’ora). Conclude poi parlando dell’importanza che hanno i primi cinque minuti dell’intervista per dare idea positiva di sé stessi all’intervistato.

Intervista
Fonte: flickr.com @Tais Yastremskaya

“I sette monaci di Tibhirine. Dodici anni di ostacoli per raccontare la verità”: il secondo incontro seminariale

Nell’incontro successivo, Pellizzari ha raccontato il caso dei sette monaci di Tibhirine e dei 12 anni di lavoro spesi per la ricerca della verità. Tutto ebbe inizio da un confronto con Padre Armand Veilleux, che fin dal giorno dei funerali dei monaci ha nutrito forti dubbi sulla faccenda. Dopo svariate ricerche infruttuose, Padre Armand ricevette una lettera da una persona anonima, con la quale Pellizzari riuscì a mettersi in contatto. Dopo nove ore di colloquio, Pellizzari venne a sapere da questa fonte una versione diversa da quella ufficiale. Fu infatti un elicottero dell’esercito algerino che uccise erroneamente i monaci, assieme ai loro sequestratori islamici. Per proteggere l’esercito, dunque, le autorità riesumarono e misero nelle bare solo le teste dei monaci, poiché nei loro corpi c’erano i proiettili che certificavano la colpevolezza dell’esercito. Pellizzari raccontò il fatto in un articolo, non trovando mai reali smentite, neanche dagli algerini stessi.

Facciata Monastero di Tibhirine
Monastero di Tibhirine, Fonte: Flickr.com @Daoud FLITES

Antonino Nicolò

 

Fabrizio De Andrè: Musica, Poesia e Società

Lunedì 1 aprile 2019. Ore 15:40. Auditorium del Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne dell’Università di Messina. L’associazione Must, ha dato vita ad un incontro intitolato “Fabrizio De Andrè: Musica, Poesia e Società”, in occasione dei 20 anni dalla scomparsa del famoso cantautore.

Durante l’incontro sono intervenuti il professore Giorgio Forni, ricercatore universitario, il professore di comunicazione e giornalismo Francesco Pira e il professore Marcello Mento, giornalista della Gazzetta del Sud. Ai partecipanti sono stati riconosciuti 0,25 CFU.

Nel corso del convegno sono state analizzate le canzoni di De André come vere e proprie poesie del Novecento italiano, un’indagine concentrata sull’umanità dell’autore e dei testi, sui temi e i sentimenti più forti: la necessità dell’amore, l’incombenza della morte, la ricerca di Dio.

La musica leggera italiana, dal principio sino ad ora, ha conosciuto trasformazioni perenni, metamorfosi, innovazioni del linguaggio, dei contenuti e dei destinatari. Come ogni arte è specchio di informazioni sull’uomo.

L’esordio di Fabrizio De André come cantante coincide con un periodo di palpabile fermento nel mondo della musica e nella società italiana. A questa fase di rinnovamento egli partecipa attivamente, muovendo la sua personale ricerca in direzione di nuovi contenuti e nuove forme. La finalità di De André e di altri cantautori è accompagnare alla musica una maggiore profondità testuale, una varietà di argomenti “alti” e “altri” rispetto alla tradizione canzonettistica del paese. Ne consegue la necessità di conformare alle nuove e più impegnate tematiche un linguaggio e una forma adatta a sostenerne lo slancio.
Nell’ascoltare le canzoni del cantante genovese ci si accorge immediatamente della cura che la scelta di ogni parola ha richiesto. Come nella poesia ogni termine occupa un suo posto specifico, per contenuti, musicalità, esigenze metriche o stilistiche, allo stesso modo, nelle canzoni di De André, la parola impiegata colma tutto lo spazio a sua disposizione e ha un’assolutezza che la fa apparire come insostituibile.

Fabrizio De André era maniacale, perfezionista e puntiglioso, capace di stare per giorni interi a cercare la parola giusta da incastrare in un verso, ma era anche un grande compositore musicale, oltre che attento ricercatore di musica antica e popolare. Spicca la perfetta fusione fra una melodia leggera anche se drammatica, e un testo che dietro alla poesia, volutamente ingenua. Uno degli stratagemmi musicali utilizzati dal compositore durante la prima parte della sua carriera era l’alternanza tra la tonalità di La minore e quella di Do minore. L’ascoltatore, nei testi di Faber – così soprannominato per la sua passione per le matite colorate –  si immerge completamente. Il cantautore spesso si appropria di stili, sonorità o addirittura di melodie, prese in prestito dalla sua memoria.

L’ultima grande fonte di influenza, una tra quelle che maggiormente hanno caratterizzato il suo stile musicale, è stata la musica etnica. Molteplici sono state le influenze folcloristiche nella musica del Maestro, partendo dalle influenze del bacino mediterraneo, ad esempio con l’utilizzo del classico giro armonico della tarantella napoletana o come il dialetto genovese  che riesce a fare da base ad una straordinaria serie di influenze musicali mediterranee, che vengono dalla Catalogna, attraverso la Sardegna e si spingono fino al medio oriente, per poi risalire in Grecia ed arrivare a lambire i Balcani.

Vent’anni fa, l’11 gennaio 1999, se ne andava Fabrizio De Andrè. Ci resta la sua buona novella, chissà se qualcosa l’abbiamo imparata interrogandoci su come avrebbe cantato questo nostro tempo.

Gabriella Parasiliti Collazzo

Una vita meravigliosa pur partendo da un forte dolore: Lucio Presta, un uomo “Nato con la camicia”

Giovedì 28 marzo 2019. Ore 16.30.  Piazza Pugliatti. Rettorato. Accademia Peloritana dei Pericolanti. Lucio Presta, agente e produttore dello spettacolo, ha presentato il suo nuovo libro dal titolo “Nato con la camicia”. Libro dai forti tratti autobiografici, scritto in collaborazione con la cugina, nonché coautrice: Annamaria Matera. La storia di Lucio Presta è quella di un’Italia che ci piace raccontare e conoscere – cita il Magnifico Rettore prof. Salvatore Cuzzocreaun uomo del Sud che inizia la sua storia parlando di un momento difficile, che, nel corso della sua vita, ha comunque contribuito a rendere forte il legame con la sua terra. L’iniziativa è stata organizzata nell’ambito delle attività del Corso di Laurea triennale in Scienze dell’Informazione: Comunicazione pubblica e Tecniche giornalistiche, ed ha coinvolto anche alcuni studenti del DAMS.

©SofiaCampagna (incontro con Lucio Presta), Accademia Dei Pericolanti – Messina, Marzo 2019

 

 

 

 

 

 

 

 

 

©SofiaCampagna (incontro con Lucio Presta), Accademia Dei Pericolanti – Messina, Marzo 2019

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’autore, orfano di madre sin dalla nascita, ha scritto questo libro spinto dal desiderio fortissimo di raccontare una persona così diversa da quella percepita dall’opinione pubblica e da quello che è il suo mondo lavorativo e non. Come lui stesso ha dichiarato durante l’incontro:

Lo dovevo ai mie figli. Volevo che i miei figli conoscessero da dove sono partito e com’ero arrivato a loro. Sono partito dalla curiosità di conoscere cosa fosse successo la notte della mia nascita, cioè cose terribili e straordinarie nello stesso tempo, che mi hanno regalato una vita meravigliosa pur partendo da un forte dolore. Poter condividere con gli altri la possibilità di dimostrare che da un dolore può nascere una storia bellissima era davvero necessario; potevo raccontarlo solo in prima persona.

©SofiaCampagna (incontro con Lucio Presta), Accademia Dei Pericolanti – Messina, Marzo 2019

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nero su bianco viene descritta la perdita della figura materna, nel giorno della sua nascita, tra la notte del 13 e 14 febbraio 1960, la scoperta di un fratello sconosciuto, il difficile rapporto con il padre, la zia che lo ha cresciuto come un figlio, la morte della prima moglie, madre della sua prole. Le donne della sua vita, capaci di comprendere che dietro al professionista inflessibile si celava un uomo fragile che non ha mai realizzato il sogno di ricevere il bacio tanto desiderato della madre. Un viaggio nel tempo, uno sfogo per narrare a penna ciò che non è in alcun modo facile spiegare a parole, una storia privata, intima, fatta di momenti felici ed episodi drammatici, sicuramente saturi di significato che lo hanno portato ad essere un uomo “nato con la camicia”. Da qui il titolo del “diario-romanzo” edito da Mondadori Electra. Nelle sue parole è presente il sud, ha un forte senso di appartenenza: cosentino di nascita e di madre di origini messinesi. C’è un amore viscerale per quella terra che è l’unico luogo in cui si sente davvero sicuro. Emozioni, esperienze, sensibilità che non riescono ad essere contenute.

Quasi due ore di dialogo in cui il brillante manager si è messo a nudo e ha portato alla luce una storia tanto triste quanto bella. All’incontro erano presenti oltre al Magnifico Rettore, prof. Salvatore Cuzzocrea, il Direttore del Dipartimento DICAM, prof. Giuseppe Giordano, ed il prof. Marco Centorrino, docente di Sociologia della Comunicazione.

 Gabriella Parasiliti Collazzo

Cinema e Grande Guerra: si può rappresentare l’irrappresentabile?

“Quando il tuo sguardo passa sulla terra di nessuno, non c’è letteralmente niente che balza all’occhio se non una sofferente desolazione di nulla. Al primo momento sei orribilmente contrariato. Non c’è altro che sporcizia e marciume e nauseabondi odori pestiferi che ti fanno vomitare l’anima. (…) È troppo colossale per essere drammatico. Nessuno lo può descrivere; potresti allo stesso modo provare a descrivere l’oceano e la Via Lattea. Un grandissimo scrittore potrebbe descrivere Waterloo, ma chi potrebbe descrivere l’avanzata di Haig? Chiunque ne ha visto solo la millesima parte.”
David Wark Griffith (Regista)
Le parole di Griffith sono chiare: ci sono cose che non si possono descrivere, che non si possono raccontare. Eppure il cinema è un racconto per immagini. Sentire queste parole da colui che può essere considerato il padre del cinema classico fa capire a che cosa ci troviamo davanti. La Grande Guerra è stato un evento “troppo colossale per essere drammatico”. Qualcosa di così grande non può essere raccontato se non si esalta a dovere la sua grandezza.
Si è svolto ieri, martedì 10 maggio 2016, il secondo incontro facente parte del ciclo di seminari “Research & Mobility” che hanno lo scopo di analizzare come può essere rappresentato l’irrappresentabile, appunto la Grande Guerra. Nell’incontro odierno è intervenuta la professoressa Alessia Cervini, insegnante di storia del cinema presso il Dipartimento COSPECS, che ha portato avanti un interessante tesi sul cinema del primo decennio in relazione al primo conflitto mondiale contemporaneamente scoppiato. L’incontro è stato moderato dalla professoressa Caterina Resta.
Il cinema in quel periodo (parliamo della seconda metà degli anni 10 del ‘900) era giovane, aveva appena 20 anni di vita. La prima guerra mondiale è vista come l’occasione per rispondere ad una domanda primordiale: che cos’è il cinema? A questa domanda hanno cercato di rispondere alcuni registi dell’epoca che hanno provato, in modi diversi, a rappresentare quello che il mondo stava affrontando: la guerra. La professoressa Cervini ha analizzato 5 diversi film dell’epoca per sottolineare l’evoluzione e la risposta che il cinema ha dato alla guerra. Ognuno di questi film è presente su YouTube.
Il primo film è The Battle of the Somme del 1916. In realtà questo più che un film è un documentario. All’epoca riscosse un gran successo in termini di pubblico nonostante presentasse dei limiti tecnici che non consentivano a un documentario di poter seguire al meglio la vicenda. Questi limiti sono ben evidenti, infatti possiamo vedere solo i margini della battaglia. Vediamo cosa succede prima e cosa succede dopo, non la battaglia in sé. I quattro film che sono stati presi in esame dopo sono una risposta a questi limiti tecnici e diegetici.
La professoressa Cervini porta avanti una tesi, quella dello sdoppiamento. Per essere efficaci nel loro racconto i registi hanno cercato di sdoppiare le vicende di guerra con degli espedienti (tutti diversi tra loro) che consentissero la resa cinematografica della storia. Il secondo film analizzato è proprio di Griffith ed è Cuori del mondo, film del 1918. Qui alla storia di guerra viene affiancata una storia d’amore. Questo è possibile grazie ad un innovazione tecnica introdotta da Griffith che è il montaggio parallelo. Questo consente al regista di sdoppiare la propria storia tra le vicende dell’uomo in guerra e le vicende dell’amata che lo aspetta a casa. È attraverso la storia d’amore che la guerra ha senso.
Il terzo film citato è un film di Charlie Chaplin del 1918, Charlot soldato. In questo medio metraggio lo sdoppiamento lo troviamo all’interno dello stesso personaggio. Charlot, infatti, è un soldato con la testa altrove. Il suo corpo è in guerra ma con la testa sembra fluttuare in ben altri luoghi. Tutto questo diviene possibile anche grazie alla cifra grottesca, comica e ironica tipica dei personaggi di Chaplin che garantisce la raccontabilità di un evento che altrimenti sarebbe stato irraccontabile.
Il quarto e il quinto film usano un espediente simile per quanto riguarda lo sdoppiamento, ma in maniera diversa. Il primo dei due è La guerra e il sogno di Momi del 1917. In questo film durante la lettura di una lettera dal fronte vediamo come la lettere diventi il racconto cinematografico. Questo avviene tramite il sogno. Infatti il piccolo Momi si addormenta e il suo sogno prende vita grazie ad una tecnica rudimentale di animazione con protagonisti due marionette. Anche il secondo dei due film usa il sogno come espediente per lo sdoppiamento. Ma lo fa in modo diverso. Parliamo del lungometraggio di Abel Gance, J’accuse (la prima versione del 1919). Qui le immagini sono molto simboliche. Vediamo i soldati morti riprendere vita dopo la fine della guerra e lo schermo, ad un certo punto, si divide a metà: sopra ci sono i morti che riprendono vita, sotto i sopravvissuti che marciano sotto l’Arco di trionfo come se fossero automi. Questo espediente risulta essere straordinariamente efficace. Possiamo descriverlo in tre momenti: tesi, antitesi e sintesi (prendendo in prestito le teorie di Hegel). In questo caso la tesi potrebbe essere il cinema, l’antitesi la guerra e la sintesi il sogno, che alla fine coincide proprio con la tesi ovvero il cinema.
Abbiamo comunque una presa di coscienza da parte del cinema che si vede inadeguato per raccontare la guerra. I tentativi sono però degni di nota e riescono a sopperire anche ai limiti tecnici dell’epoca. Il cinema non rinuncia al racconto. Cerca da sempre strade alternative per superare le difficoltà tecniche e diegetiche e forse è proprio questa la risposta alla domanda “Che cos’è il cinema?”: raccontare un avvenimento, che sia reale o fittizio, attraverso il potere delle immagini che diventano amore, ironia e sogno.
A conclusione dell’incontro c’è stata una discussione sull’argomento e l’invito a seguire i prossimi appuntamenti del ciclo di seminari. A tal proposito il professor Fabio Rossi ha spiegato l’iniziativa: “Gli incontri di Research & Mobility rappresentare l’irrappresentabile: la Grande Guerra consistono in una serie di incontri di studio aperti a tutti, specialmente agli studenti, su la Grande Guerra da un punto di vista non necessariamente storico, anzi anche filosofico, semiotico e linguistico. Riguarda tutto ciò che si può dire sul fenomeno della Grande Guerra che non sia già stato detto e che non dipende solamente dagli eventi storici. Questa decina di incontri si svolgono solitamente il martedì e dureranno fino al mese di ottobre.”
Di seguito la locandina con tutti gli appuntamenti.

Nicola Ripepi

 

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I giovani e i social: dall’Italia all’Europa

Si è tenuto martedì, presso il Dipartimento di Cività Antiche e Moderne, l’incontro organizzato dall’Associazione Universitaria Atreju che ha visto come protagonisti i giovani e i social.

Numerosi studenti hanno avuto modo di confrontarsi tra loro e con chi studia il fenomeno social da anni; sono stati presenti, infatti, la Prof.ssa Maria Grazia Sindoni e il Prof.Francesco Pira, entrambi docenti ell’Università di Messina ed esperti nell’ambito della comuniazione web 2.0.
Vari sono stati gli argomenti trattati dai due studiosi.

La Prof.ssa Sindoni ha fatto emergere la necessità dei nuovi utenti all’auto “sponsorizzazione”, cioè, dare una più realistica e buona impressione di sè. Basti pensare alle immagini profilo: chi mai metterebbe una foto in cui non si riconosce o in cui è venuto particolarmente male? Ma i canoni secondo cui avviene questo processo non sono dettati dal semplice gusto personale, è la società stessa, in modo indiretto, ad imporceli. Il nostro profilo diventa, così, la vetrina attraverso cui promuoviamo la nostra immagine. Questa vetrina, più oggi, che ai tempi di msn, pretende da noi la più completa trasparenza: impostiamo foto profilo che ci ritraggono, non ricorriamo ad avatar; usiamo il nostro nome, non più un nickname.

Trasparenza e fiducia ci permettono da un lato una maggiore sicurezza, ma dall’altro possono minare la nostra privacy; infatti, chiunque può accedere facilmente ai nostri dati personali.
“Il nostro problema non sono i social, ma la società che stiamo creando”, così il Prof. Pira risponde alla polemica secondo cui le nuove tecnologia stanno portanto alla caduta di valori e principi. Il docente parte dal presupposto secondo cui i social network non sono altro che il riflesso di noi stessi, siamo noi ad agire sul social. Il web 2.0 è una grande opportunità: dà largo spazio alla gente comune e permette strategie di marketing, politiche, comunicative che prima erano impensabili. Ma esiste il problema “ignoranza”: non sono molti coloro che lo sanno usare e, ancora meno, quelli che comprendono le responsabiltà che comporta il suo utilizzo.
Pira conclude dicendo: “Non facciamo dei social network un’arma di distruzione di massa, ma un’arma di costruzione di massa”.

Marta Picciotto