Malattie cardiovascolari: un problema di tutti

Fumo, ipertensione, diabete, ipercolesterolemia, obesità: sono tra i fattori di rischio che possono gravare sulla salute della popolazione, esponendola all’insorgenza di malattie cardiovascolari.

1. Incidenza
2. Dati epidemiologici
3. Fattori di rischio
4. Ipercolesterolemia
5. Aterosclerosi e Stile di vita
6. Formazione della placca aterosclerotica
7. Prospettive future

Incidenza

Le malattie cardiovascolari sono tra le prime cause di morte al mondo. Spesso le complicanze di queste patologie compromettono severamente la salute generale della persona, con costi sociali ed economici molto elevati. In molti paesi quali l’Italia, il Piano Sanitario Nazionale punta a sensibilizzare su quelli che sono i fattori di rischio per malattia cardiovascolare e cerebrovascolare, facendo campagne mirate per sensibilizzare la popolazione.

Dati epidemiologici

L’aterosclerosi è un fenomeno progressivo e degenerativo, colpisce anche la popolazione più giovane sebbene i maggiori effetti li riscontriamo in età avanzata, ovvero sopra i 55 anni per le donne e sopra i 50 anni per gli uomini.
Ogni anno le malattie cardiovascolari causano il decesso di più di 4,3 milioni di persone in Europa e sono causa del 48% di tutti i decessi (54% per le donne, 43% per gli uomini).

Dolore al petto: classico segno aspecifico di infarto cardiaco. Fonte

Le principali forme di malattie cardiovascolari sono le malattie cardiache coronariche e l’ictus. Nei Paesi membri dell’Unione Europea i morti per malattie cardiovascolari sono ogni anno 2 milioni e rappresentano il 42% del totale dei decessi.

Negli ultimi decenni questo trend risulta essere in aumento e ciò è dovuto principalmente allo scorretto stile di vita, accompagnato da ulteriori problematiche come il diabete, l’ipertensione, l’ipercolesterolemia, ai quali si aggiungono la cattiva alimentazione, il consumo eccessivo di alcol e il fumo di sigaretta, che hanno un peso sempre più preponderante nella nostra società.

Il rapporto calcola che 48 milioni di adulti nell’Unione Europea soffrono di diabete e il dato è in continuo aumento. Ogni anno il fumo di sigaretta uccide più di 1,2 milioni di persone, e per 450 mila fumatori la causa del decesso è di natura cardiovascolare. Questa cifra ha visto un incremento del 13% tra il 1999 e il 2000. Solo nell’Unione Europea le vittime delle sigarette sono circa 650 mila ogni anno, di cui 185 mila a causa delle malattie cardiovascolari.

Fattori di rischio

Con fattori di rischio cardiovascolari si considerano tutte le caratteristiche individuali legate principalmente allo stile di vita, alla genetica e alla storia familiare, che implementano la possibilità di sviluppare una patologia cardiovascolare. L’individuazione di questi fattori di rischio consente di attuare delle strategie di prevenzione. L’obiettivo della Medicina odierna è PREVENIRE attraverso lo screening di valutazione di determinati indicatori del rischio cardiovascolare di una popolazione. I fattori di rischio si dividono in fattori modificabili e non modificabili.

I fattori di rischio modificabili riguardano lo stile di vita su cui si agisce con la prevenzione, tra questi annoveriamo:

  1. il colesterolo sopra i 200mg/dl (HDL minori di 60 mg/dl e LDL maggiori di 140mg/dl);
  2. la dieta ricca di grassi;
  3. stile di vita sedentario;
  4. eccessivo consumo settimanale di alcool;
  5. fumo eccessivo;
  6. il sovrappeso (superiore a 30 BMI).
Trombosi alle gambe. Fonte

I fattori di rischio non modificabili dipendono da caratteristiche individuali:

  1. il sesso: gli uomini sono più predisposti delle donne;
  2. l’età: dopo i 50 anni, con l’invecchiamento i processi vanno deteriorandosi. La capacità di difendersi dall’eccesso di colesterolo diminuisce e quindi ciò aumenta il rischio di aterosclerosi. In particolare, si è osservata una perdita della funzione mitocondriale, da cui parte la produzione di energia;
  3. la storia familiare;
  4. la storia personale: precedenti eventi trombotici o ischemici possono indurre all’insorgenza;
  5. l’insulinoresistenza.
Processo di formazione della placca aterosclerotica. Fonte

Ipercolesterolemia

L’ipercolesterolemia rappresenta il primo fattore di rischio nell’insorgenza di malattie cardiovascolari. Il colesterolo è una molecola organica appartenente alla classe dei lipidi, in minima parte prodotto dal nostro organismo e perlopiù introdotto con la dieta. Esso è presente nel sangue, dove viene trasportato all’interno di strutture molecolari chiamate lipoproteine. Le principali sono: le lipoproteine a bassa densità o LDL (Low Density Lipoprotein), conosciute anche come colesterolo “cattivo”, perché trasportano l’eccesso di colesterolo dal fegato alle arterie e lo rilasciano nei vasi con conseguente aterosclerosi; le lipoproteine ad alta densità o HDL (High Density Lipoprotein), conosciute a loro volta come colesterolo “buono”, perché favoriscono la rimozione del colesterolo dal sangue e la sua eliminazione, proteggendo così cuore e vasi. Il colesterolo totale che si misura nel sangue è a grandi linee la somma di LDL + HDL.

Si valutano i livelli di colesterolo, andando così a predire la possibile insorgenza di una malattia cardiovascolare, come l’infarto del miocardio e l’ictus. Si cerca di sensibilizzare i soggetti esposti verso misure preventive, come la riduzione dei grassi nell’alimentazione e/o l’aggiunta di sport leggeri quali corse e camminate durante la giornata.

Flusso parzialmente bloccato per via dell’ateroma. Fonte

Aterosclerosi e Stile di vita

L’aterosclerosi per lo più origina dallo stress ossidativo a carico delle proteine plasmatiche e non, in particolare delle LDL. Il principale fattore che può incidere è l’alimentazione, in particolare il consumo eccessivo di grassi. Si è visto però come il consumo di spezie – quali curcuma, cannella, basilico, alloro ecc. – abbiano un ruolo antiossidante, abbassando così il rischio di insorgenza, o almeno ritardandolo. L’aumento di colesterolo e uno stile di vita scorretto sono quindi i principali fattori di rischio del processo aterosclerotico.

Rimedi naturali contro la placca. Fonte

Formazione della placca aterosclerotica

Alla base della patologia vascolare c’è l’aterosclerosi, stato patologico dovuto al deposito di colesterolo in eccesso nelle pareti delle arterie, che porta a indurimento dei vasi sanguigni stessi. Il processo comincia proprio con la strutturazione all’interno delle arterie di placche che restringono il lume vasale creando turbolenze e aumentando così la pressione locale.

Iniziano quindi ad esserci i primi fenomeni di alterazione cardiovascolare. Si può avere dolore (angina pectoris) che può essere stabile o instabile. Quella instabile è altamente rischiosa, in quanto si associa ad una maggiore riduzione del lume vasale. Con questa riduzione, dovuta ad un aumento di dimensioni sempre maggiore della placca aterosclerotica – detta anche ateroma – si creano aumenti di pressione locali tali per cui si verificano fenomeni di turbolenza, che portano alla formazione del trombo e da qui il fenomeno ischemico. Alla formazione del trombo potranno contribuire i macrofagi, cellule del nostro sistema immunitario in grado di instaurare un processo infiammatorio e contribuire maggiormente nella formazione del placca. Questi, una volta “esausti” dal lungo e complesso processo in cui sono coinvolti, andranno incontro a morte cellulare, determinando così un ulteriore accumulo di lipidi precedentemente rimossi.

Oltre all’ossidazione, un altro fenomeno che può modificare le LDL è l’Iperglicemia che può dare modificazione delle proteine in circolo.

Se tale evento colpisce il cuore si avrà infarto del miocardio, se colpisce qualsiasi altro vaso si avranno le trombosi periferiche (tipicamente degli arti inferiori) oppure embolismo polmonare.

Acidi grassi liberi, ipertensione, iperglicemia, ipercolesterolemia uniti allo stress ossidativo determinano quella che è la cascata aterosclerotica.

Placca aterosclerotica ostruttiva. Fonte

Prospettive future

Secondo il prof. Filippo Crea, Ordinario di Cardiologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore della UOC di Cardiologia di Fondazione Policlinico Agostino Gemelli IRCCS, nei prossimi anni la medicina si orienterà verso una medicina personalizzata e con nuovi farmaci basati sull’RNA. L’intelligenza artificiale sarà sempre più d’aiuto a predire non solo chi è a rischio di infarto o di trombosi, ma anche quando questo accadrà, grazie ai nuovi calcolatori di rischio. L’obiettivo ad oggi è di mantenere uno sguardo attento sui fattori di rischio individuali, di cui si è discusso prima, e ambientali, quali fumo e smog.

Eleonora Vittoria Caterina Bonfiglio

Bibliografia
https://www.epicentro.iss.it/cardiovascolare/StatisticheEuropa

https://www.insalutenews.it/in-salute/malattie-cardiovascolari-ecco-le-future-traiettorie-della- ricerca-il-punto-del-prof-filippo-crea/

Autotrapianto cellulare: una nuova tecnica di chirurgia pancreatica

Recentemente, un gruppo di ricercatori del San Raffaele Diabetes Research Institute e di chirurghi del Pancreas Center dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano ha elaborato un metodo innovativo che permette di ridurre le complicanze che possono svilupparsi a seguito di interventi chirurgici al pancreas, consentendo di migliorare le condizioni di vita dei pazienti in fase post-operatoria e favorire la gestione del diabete.
Secondo questo studio, si riescono ad attenuare le complicanze che seguitano interventi complessi, con una tecnica che prevede l’asportazione completa del pancreas insieme all’autotrapianto di isole pancreatiche del paziente stesso. Ciò permette di preservare, in parte, la produzione di ormoni pancreatici, specialmente insulina e glucagone.

  1. Pancreas: Anatomia e Fisiologia
  2. Pancreas esocrino
  3. Pancreas endocrino
  4. Che cos’è il diabete?
  5. Tumore del pancreas
  6. Tipi di interventi chirurgici
  7. Complicanze post-operatorie
  8. In cosa consiste l’autotrapianto cellulare?

Pancreas: Anatomia e Fisiologia

Il pancreas è la più grande ghiandola extramurale annessa al canale alimentare dopo il fegato. È lungo circa 17-20 cm, pesa 70-80 g ed è di consistenza friabile. Si trova nello spazio retroperitoneale della cavità addominale, all’altezza delle prime due vertebre lombari, ed è formato da tre parti: testa, corpo e coda. Nella zona di passaggio tra testa e corpo, il pancreas si restringe, andando a formare una regione che prende il nome di istmo. E’ una ghiandola anficrina: presenta, infatti, una componente esocrina, gli adenomeri o acini pancreatici, e una più ridotta componente endocrina, le isole pancreatiche o di Langerhans.
Le funzioni del pancreas sono, dunque, prevalentemente due: la secrezione esocrina e la secrezione endocrina.
La secrezione endocrina è quel processo tramite il quale il secreto viene immesso direttamente nel circolo sanguigno; in quella esocrina, invece, il secreto viene immesso in una cavità naturale dell’organismo o rilasciato all’esterno.

Fonte: it.wikipedia.org

Pancreas esocrino

La componente esocrina del pancreas è indispensabile per l’ultimazione dei processi digestivi intestinali. Essa elabora e secerne un particolare succo digestivo ricco di acqua, elettroliti ed enzimi proteolitici, glicolitici e lipolitici: il succo pancreatico. Esso presenta un notevole grado di alcalinità che favorisce la neutralizzazione del pH del chimo gastrico quando questo giunge nel duodeno. Il pancreas riversa il prodotto della sua secrezione esterna nel duodeno, per mezzo di due condotti escretori, il dotto pancreatico principale o maggiore (di Wirsung) e il dotto pancreatico accessorio (di Santorini).

Pancreas endocrino

All’interno del pancreas sono presenti, inoltre, gli isolotti pancreatici, strutture che producono e secernono diversi ormoni, tra cui insulina e glucagone, essenziali per il controllo dei livelli di glucosio nel sangue.

Le isole classiche sono formate prevalentemente da tre tipi di cellule.

  • Le cellule A, o cellule α, che rappresentano il 15 – 20% della popolazione cellulare di un’isola, producono il glucagone, un ormone ad azione iperglicemizzante, che apporta glucosio in circolo facilitando la scissione del glicogeno epatico.
  • Le cellule B, o cellule β, che rappresentano il 75 – 80% della popolazione di un’isola, secernono l’insulina, un ormone ipoglicemizzante. L’insulina non ha un organo bersaglio specifico: essa trova i suoi recettori su quasi tutte le cellule dell’organismo su cui agisce promuovendo la penetrazione del glucosio all’interno delle cellule. E’ possibile “trasformare” le cellule α in β: questo argomento è stato trattato in un articolo precedente.
  • Le cellule D, o cellule δ, che rappresentano il 5% della popolazione insulare, secernono la somatostatina, un ormone che svolge azione paracrina, ovvero locale, di tipo inibitorio, modulando l’immissione in circolo di insulina e glucagone.

Nel pancreas si trova un altro tipo di isolotto pancreatico che si discosta da quello classico, in quanto, al posto delle cellule A, contiene un altro tipo cellulare che produce il polipeptide pancreatico (PP) contestualmente all’assunzione di certi tipi di cibo in cui prevale la componente proteica. Queste cellule costituiscono il 15 – 20% della popolazione di questo tipo di isola e sono note come cellule F o cellule PP.
Tutte le situazioni patologiche in cui si ha una ridotta disponibilità di insulina provocano il cosiddetto diabete mellito.

Che cos’è il diabete?

Il diabete mellito è una malattia cronica caratterizzata da un aumento anomalo della concentrazione di glucosio nel sangue, la cosiddetta iperglicemia.
Esistono due forme principali di diabete: il diabete di tipo 1 ed il diabete di tipo 2.

  • Il diabete di tipo 1 è caratterizzato dall’assoluta assenza di secrezione insulinica, a seguito alla distruzione delle cellule β che producono questo ormone. Riguarda circa il 10% delle persone affette da diabete e solitamente si manifesta nell’infanzia o nell’adolescenza. Il diabete di tipo 1 è incluso nella categoria delle malattie autoimmuni, patologie in cui è presente una disfunzione del sistema immunitario che induce l’organismo ad attaccare i propri tessuti.
  • Il diabete di tipo 2 è caratterizzato da una minore sensibilità dell’organismo all’insulina e/o da una ridotta secrezione di insulina da parte delle cellule β del pancreas. È la forma più comune di diabete e ne soffre circa il 90% dei soggetti interessati da questa patologia. La malattia insorge generalmente dopo i 30-40 anni e si instaura sulla base di una condizione preesistente di insulino-resistenza. La diagnosi avviene per lo più casualmente o a seguito di circostanze che arrecano stress fisico, come infezioni o interventi chirurgici.
  • Esistono, inoltre, altre forme di diabete. Queste possono essere legate a difetti genetici delle cellule β o dell’azione insulinica, a malattie del pancreas esocrino, indotte da farmaci o sostanze chimiche, o presentarsi per la prima volta proprio durante la gravidanza, dando origine al cosiddetto diabete gestazionale.
Fonte: it.dreamstime.com

Tumore del Pancreas

Le patologie del distretto duodeno-pancreatico, composto da pancreas, duodeno e  vie biliari extraepatiche, rappresentano la quarta causa di mortalità per cancro in Europa; si stima che diverrà la seconda entro il 2030.
Il tumore del pancreas insorge quando alcune cellule, principalmente le cellule di tipo duttale, si replicano in maniera incontrollata. La neoplasia del pancreas a maggiore incidenza è l’adenocarcinoma duttale. Circa il 70% dei tumori del pancreas, infatti, interessa la testa dell’organo e origina nei dotti che trasportano gli enzimi digestivi. Il 10% dei tumori pancreatici è, invece, rappresentato dai tumori neuroendocrini, neoplasie che hanno origine dalle cellule delle isole di Langerhans, ma possono insorgere anche a livello del duodeno.
Sfortunatamente, il tumore del pancreas in stadio precoce è asintomatico o provoca sintomi aspecifici: la diagnosi viene spesso effettuata quando il tumore ha raggiunto dimensioni notevoli, ha iniziato ad estendersi agli organi vicini, causando sintomi organo-specifici, o ha ostruito i dotti biliari e vasi importanti. Le cellule tumorali pancreatiche, infatti, si diffondono molto rapidamente ai linfonodi vicini e ad altri organi come fegato e polmoni; possono, inoltre, proliferare nell’addome dando origine ad una carcinosi peritoneale.
Soltanto il 20% dei pazienti attualmente ottiene la diagnosi quando il tumore non ha ancora dato metastasi e può essere quindi sottoposto ad asportazione chirurgica. Purtroppo, per questo tipo di interventi la mortalità può raggiungere il 10%; peraltro, non sono sempre praticabili, considerata la rapidità di diffusione.

Fonte: www.ihy-ihealthyou.com

Tipi di interventi chirurgici

Esistono diversi tipi di interventi chirurgici in base alla localizzazione del tumore.
Nei tumori di corpo e coda, vengono asportate unicamente queste porzioni, talvolta insieme alla milza, così da non compromettere altri organi dell’apparato digerente.
Nel caso dei tumori della testa, viene effettuato l’intervento di duodenocefalopancreasectomia, che comprende l’asportazione del duodeno, dell’ultima porzione dello stomaco e delle vie biliari, oltre che della testa del pancreas. Esso è, infatti, uno degli interventi più difficili e a più elevato rischio di complicanze di tutta la chirurgia addominale. Tra queste, la più ricorrente, è la fistola pancreatica, cioè la fuoriuscita di succhi pancreatici che può compromettere i tessuti circostanti e provocare infezioni ed emorragie.

Fonte: medicinaonline.co

Complicanze post-operatorie

L’asportazione totale o parziale del pancreas può provocare, nel post-operatorio, un’insufficienza endocrina, caratterizzata da disfunzioni nel metabolismo del glucosio, fino alla comparsa di diabete mellito conclamato; ciò è dovuto all’assenza di una porzione più o meno rilevante delle isole di Langerhans. Il diabete può dare origine a varie complicanze di tipo acuto o cronico.
Le complicanze acute, più frequenti nel diabete tipo 1, dipendono dalla carenza pressoché totale di insulina. La complicanza più comune in questo caso è il coma chetoacidosico, in cui si ha l’accumulo di alcuni prodotti del metabolismo, i chetoni, che provocano perdita di coscienza, disidratazione e importanti alterazioni ematiche.
Nel diabete tipo 2 sono molto più ricorrenti le complicanze croniche a carico di diversi organi e tessuti, come occhi, reni, cuore, vasi sanguigni e nervi periferici.
A seguito di resezioni pancreatiche parziali, è verosimile che nel primo post-operatorio si abbia una fase di scompenso glicemico. Si tratta, in genere, situazioni transitorie che prevedono un semplice monitoraggio della glicemia o una blanda terapia antidiabetica. Il diabete può insorgere anche diversi anni dopo l’intervento, per eventi infiammatori cronici di natura ostruttiva che inducono una sostituzione fibrosa del normale tessuto.
Al contrario, dopo pancreasectomia totale, l’insufficienza endocrina con insorgenza di diabete mellito è immediata e inevitabile; per di più, si verifica anche una mancata secrezione di glucagone e di polipeptide pancreatico.

In cosa consiste l’autotrapianto cellulare?

Tramite il trapianto delle isole pancreatiche del paziente è possibile ridurre la gravità del diabete che deriva dall’asportazione parziale o totale del pancreas. La ricerca, infatti, dimostra come la pancreasectomia totale con l’autotrapianto di isole, in alternativa al tipico intervento di duodenocefalopancreasectomia, è in grado di salvaguardare parzialmente la produzione di ormoni pancreatici.

«Nel caso in cui il pancreas sia molto fragile, il chirurgo è cosciente del fatto che in seguito all’intervento è possibile che insorga una fistola pancreatica; ciononostante non asporta del tutto il pancreas, poiché si preoccupa delle conseguenze metaboliche che ne scaturirebbero. Tramite questo studio, si è stati in grado di dimostrare, per la primissima volta, che le nuove tecniche di trapianto cellulare costituiscono una valida alternativa e che l’autotrapianto di isole pancreatiche consente di avvalersi della pancreasectomia totale senza così peggiorare la qualità di vita del paziente», afferma il dottor Gianpaolo Balzano, chirurgo del Pancreas Center dell’IRCCS Ospedale San Raffaele.

L’autotrapianto delle isole pancreatiche prevede la rimozione del tessuto endocrino dal pancreas asportato e la sua incorporazione nella vena porta, in modo tale da ingegnerizzare il fegato affinché produca insulina senza che sia necessaria la somministrazione di una terapia immunosoppressiva.

«Nel tempo, l’autotrapianto è stato applicato prettamente in pazienti affetti da pancreatite cronica sottoposti ad asportazione pancreatica, quando questa non può essere gestita con procedure mediche e chirurgiche ordinarie. Questo studio mostra come il trapianto di isole possa essere impiegato, in modo sicuro, anche per altre patologie come, ad esempio, il tumore del pancreas», precisa il professor Alessandro Zerbi, responsabile Chirurgia Pancreatica dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas.

«Attraverso questo studio, è stato possibile sviluppare sicure ed efficienti alternative per pazienti che possiedono caratteristiche e rischi chirurgici differenti. Si tratta di un tipico esempio di medicina di precisione, in cui ci si avvale di una terapia cellulare personalizzata, volta a realizzare il miglior risultato per ciascun paziente», aggiunge, infine, il professor Lorenzo Piemonti, direttore del San Raffaele Diabetes Research Institute dell’IRCCS Ospedale San Raffaele.

Fonte: it.dreamstime.com


Erica D’Arrigo

 

 

Bibliografia

https://www.hsr.it/news/2022/ottobre/autotrapianto-isole-pancreatiche-nuove-scoperte

https://www.epicentro.iss.it/diabete/

https://www.airc.it/cancro/informazioni-tumori/guida-ai-tumori/tumore-del-pancreas

https://www.humanitas.it/enciclopedia/anatomia/apparato-digerente/pancreas/

Immagine in evidenza: Tumore al pancreas: cause, sintomi, diagnosi e terapia | MEDICITALIA.it

Pseudis Paradoxa: il principe ranocchio per il trattamento del diabete

Se sei in cerca del principe ranocchio e sei diabetico, nessun timore!

Studi condotti dai ricercatori dell’Università dell’Ulster, degli Emirati Arabi Uniti e dello Sanford-Burnham Medical Research Institute of California, hanno dimostrato che la pelle di una particolare rana ha la proprietà di produrre peculiari sostanze chimiche.

Queste sono la caeruleina e la pseudina 2, in grado di stimolare la produzione di insulina nei pazienti affetti da glicosuria, nota come diabete.

CHI É LA RANA PARADOSSALE?

La protagonista è la Pseudis Paradoxa, meglio conosciuta come “rana paradossale”. Questo esemplare é un inconsueto anfibio anuro presente nel Sudamerica e nell’isola di Trinidad, che vive nello stadio di girino per un tempo di gran lunga maggiore a quello dei suoi simili raggiungendo anche i 25 cm per poi, nell’età adulta, arrivare a circa un quarto della sua precedente lunghezza, stabilizzando le sue dimensioni tra i 5-7 cm.

Gli studi condotti dal Professore Yasser Abdel-Wahab e dai suoi colleghi, hanno evidenziato che, nelle cellule beta del pancreas, l’estratto delle secrezioni cutanee dell’anfibio, ricco di molecole bioattive, potenzia la produzione dell’insulina.

Inoltre, la versione sintetica di questa sostanza, potrebbe in un futuro prossimo essere utilizzata dalle case farmaceutiche per produrre un trattamento utile all’umanità tutta.

COS’É IL DIABETE?

L’iperglicemia o diabete, dal verbo greco διαβαίνω (diabaínō) ‘‘passare attraverso’’, può essere causata da un’insufficienza o da un’anomalia dell’ormone che regola i livelli di glucosio nel sangue, per l’appunto l’insulina. E’ possibile distinguere il diabete in tipologia 1 e 2. Inoltre sono riconoscibili altre forme, come il diabete giovanile e quello gestazionale.

Le terapie hanno pertanto lo scopo di stimolare l’organo pancreatico a produrre nuovamente cellule β. Le ricerche condotte dalle Università suddette, hanno privilegiato lo studio della caeruleina ed in particolare della pseudina 2, sostanze presenti nella pelle della Pseudis Paradoxa e atte alla protezione dalle infezioni che potrebbero minacciare l’animale.

PSEUDINA, LA POTENZIALE ARMA CONTRO IL DIABETE.

La pseudina (Ps) è un peptide alfa-elicoidale cationico, già conosciuto per le sue proprietà antimicrobiche. Ne esistono ben quattro tipi, ma la pseudina-2 si erge tra le altre per potenza e abbondanza superiori. È stato riportato che analoghi di Ps con maggiore cationicità possono provocare il rilascio di insulina (un ormone proteico prodotto nelle isole di Langerhans nel pancreas) da una linea cellulare clonale (BRIN-BDII).

E se fosse proprio il ranocchio, oltre a mutarsi in principe catturando il nostro cuore, a salvare la vita di numerose persone?

L’ESPERIMENTO E I RISULTATI DIMOSTRATI.

Il professore e la sua equipe ha studiato i peptidi della pelle di anfibi per le proprietà di rilascio di insulina e antidiabetiche.              Dopo la purificazione delle secrezioni di veleno grezzo di Pseudis paradoxa e di altre otto particolari specie di anuri attraverso l’utilizzo di HPLC (Cromatografia liquida ad alta pressione), più peptidi che mostravano una attività insulinica significativa rispetto al glucosio, sono stati dapprima isolati, sottoposti a nuovi screening e successivamente a spettrometria di massa insieme al sequenziamento degli amminoacidi attraverso la degradazione di Edman, una tecnica che consente di tagliare il residuo aaN-terminale, il quale unito al PITC va a formare una feniltioidantoina identificabile con tecniche analitiche.

Un certo numero di peptidi sintetici ha così dimostrato potenti attività biologiche che stimolavano il rilascio di insulina senza alcuna tossicità cellulare negli individui su cui veniva eseguito l’esperimento.

Tale importante ed interessante scoperta è stata presentata al Diabetes UK Annual Professional Conference a Glasgow.

FOCUS ON: APPARECCHIATURE UTILIZZATE DURANTE LE ANALISI

L’HPLC (cromatografia liquida ad altra prestazione), sfruttando l’elevata pressione ed il potere solvente di entrambe le fasi di un composto, consente di ottenere la separazione delle miscele anche più complesse. Attraverso questo versatile strumento é possibile determinare la composizione quantitativa ed ottenere informazioni sulla struttura chimica delle sostanze prese in esame.
Lo spettrometro di massa è un’apparecchiatura che consente di riconoscere specie chimiche differenti, di separare ioni o isotopi  dallo stesso campione preso in esame. Durante l’analisi  il campione é sottoposto a un campo elettrico e successivamente a un campo magnetico.
Il sequenzaiatore di proteine rileva la struttura primaria dei polipeptide attraverso degradazione di Edman. Essa permette di rimuovere ed identificare un residuo amminoacidico alla volta, partendo dall’estremità N-terminale di un polipeptide precedentemente trattato.

Se nel ‘’Der Froschkönig’’ dei fratelli Grimm il ranocchio è un principe che ha subito una metamorfosi a causa di un sortilegio, avendo la necessità di un essere umano per spezzarlo, ora siamo noi ad essere incantati da questo splendido esemplare, con la speranza che un giorno più di 2,5 milioni di persone, possano ricevere un trattamento a base della secrezione della pelle di anuro.

Francesca Umina

BIBLIOGRAFIA:

https://joe.bioscientifica.com/view/journals/joe/151/3/joe_151_3_003.xml

Diabete


https://www.nature.com/articles/s41598-017-01474-0
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/20826126/  https://www.researchgate.net/profile/Opeolu_Ojo/publication/262376687_InsulinReleasing_Peptides
https://ethos.bl.uk/OrderDetails.do?uin=uk.bl.ethos.554281
https://www.focus.it/ambiente/animali/la-rana-entra-in-farmacia
https://images.app.goo.gl/nuW9pqTxgf1SxxgNA
https://images.app.goo.gl/h4fkcRLF7uBE12PDA
https://images.app.goo.gl/BdtsBnn6hMZJwYbw7
https://images.app.goo.gl/d5iQ4tFdzFCH7baq7

Diabete Mellito e Covid-19: l’incontro di due pandemie

Il diabete mellito di tipo 2 e l’obesità rappresentano due entità cliniche spesso correlate, oggi dilaganti fra la popolazione mondiale, tanto da costituire una vera e propria pandemia.

Nel 2019 nel mondo erano 463 milioni le persone con diabete mellito tipo 1 e 2, di cui 59 milioni in Europa. Si prevede che nel 2045 si arriverà a 700 milioni di soggetti affetti.

Si tratta di dati allarmanti e dalla crescita esponenziale. Nonostante ciò, il diabete continua ad essere descritto come una “pandemia silenziosa” poiché, alla stregua di molte altre patologie croniche, non suscita la stessa preoccupazione delle malattie infettive acute. Queste ultime, per la loro celere modalità di trasmissione, accompagnata da un rapido impennarsi di contagi, vedono maggiore impatto nella visione collettiva. Questo è uno fra i tanti effetti che stiamo sperimentando a nostre spese in questo delicato periodo, con il crescere del numero di soggetti positivi al Covid-19.

Da un lato abbiamo una pandemia silenziosa, che per le sue caratteristiche ha tutto il tempo necessario per evolversi e condurre verso quadri clinici severi, dall’altro quella da Coronavirus, che per le sue implicazioni cliniche e socioeconomiche è tutt’altro che silente.

Pur essendo delle entità diverse, le due pandemie celano aspetti che le vedono co-protagoniste, scontrandosi clinicamente su più fronti.

Il diabete rappresenta non solo una tra le più frequenti comorbilità segnalate nei pazienti con COVID-19, ma anche un fattore di rischio per gli esiti più severi che la contrazione dell’infezione può avere nei pazienti diabetici.

 

                                                   Dati: International Diabetes Federation, IDF DIABETES ATLAS IX Edizione 2019

Globesità

L’obesità ha un ruolo chiave nell’insorgenza del diabete mellito di tipo 2.

A livello mondiale, negli ultimi 40 anni, il numero di soggetti obesi è quasi triplicato. Anche l’obesità si accompagna più frequentemente a forme critiche di COVID-19.

Un importante studio denominato CORONADO ha valutato specificatamente la relazione esistente tra le classi di Body Mass Index (BMI) e la prognosi di COVID-19 nei pazienti diabetici.

Sono state analizzate le caratteristiche cliniche dei pazienti diabetici e i risultati correlati al COVID-19, in termini di maggiore ricorso a intubazione attraverso ventilazione meccanica invasiva e aumentata mortalità, in base al BMI individuale.

Come atteso, è emerso che l’obesità conclamata si associa a una prognosi infausta nei pazienti con diabete ricoverati per COVID-19.

Aspetti nutrizionali

L’eccessivo consumo di alimenti ricchi in grassi saturi, zuccheri e carboidrati raffinati contribuisce ad incrementare la prevalenza di tali condizioni morbose.

Questo tipo di alimentazione, ipercalorica e disregolata, costituisce uno tra i principali fattori responsabili della compromissione del nostro sistema immunitario, in grado di alterare i meccanismi di difesa dell’ospite contro i virus.

Pertanto, in questo periodo più che mai risulta necessario migliorare il proprio stile di vita, ricercando cibi sani, ai fini di ridurre la suscettibilità e le complicazioni a lungo termine da COVID-19.

Glucovigilanza

Oltre alle misure preventive generali, è necessario monitorare regolarmente la glicemia. Si tratta di un parametro costituente un importante punto di snodo per l’iter terapeutico di tutti i pazienti diabetici.

Nei pazienti affetti da Covid non è di infrequente riscontro anche uno scarso controllo glicemico.

D’altra parte questi pazienti, anche se non sono affetti da Covid-19, sono a rischio di inadeguato controllo glicemico.  Ciò è dovuto alle misure restrittive che hanno compromesso, soprattutto nei mesi scorsi, una assidua assistenza sanitaria.

La pandemia da COVID-19 ha influenzato la gestione dei pazienti diabetici in modi senza precedenti, rendendola più difficoltosa di quanto non fosse già. Tuttavia, con il subentrare della nuova era digitale anche in campo medico, gli sviluppi della telemedicina offrono innovative possibilità nel monitoraggio dei pazienti.

Gli inibitori di DPP-4 come innovativa strategia terapeutica del Covid-19

Fonte: V. Stalin Raj et al Nature, “Il Recettore DPP4 essenziale per la replicazione dei Coronavirus Umani”

Tra le via d’ingresso del Coronavirus a livello cellulare, una tra le più peculiari è rappresentata da quella che sfrutta il recettore Dpp-4. Esso, presente su tutte le cellule dell’individuo ospite, costituisce una “serratura molecolare” che il virus usa per invaderle.

Si tratta della stessa via  su cui agiscono mirabilmente molti farmaci anti-diabete, noti come Inibitori di DPP-4. Ciò indica che gli stessi farmaci potrebbero essere usati contro il Covid-19, almeno nei casi più lievi.

L’osservazione ha aperto il campo a nuove strategie e ipotesi per il futuro, ma al momento si attendono ulteriori studi, affinchè si possa avvalorare il ruolo protettivo di tale possibilità terapeutica.

Prospettive future

Un messaggio positivo è quello emerso da uno studio condotto dai ricercatori dell’Ospedale San Raffaele. Alla luce dei risultati ottenuti, i pazienti diabetici sono in grado di produrre anticorpi con la stessa efficacia della popolazione sana.

Lo studio, pubblicato sulla rivista Diabetologia, lascia uno spiraglio di fiducia: quando sarà disponibile un vaccino per il nuovo coronavirus, tra quelli attualmente in corso di sperimentazione, è plausibile che anche i pazienti diabetici potranno beneficiarne.

Pertanto, se da un lato i soggetti con DM2 hanno rappresentato e continuano a rappresentare una fascia di popolazione tra le più colpite da severe complicanze da Covid-19, dall’altro lasciano intendere possibilità terapeutiche che danno speranza.

                                                                                                                                                                                                                              Federica Tinè

 

Bibliografia:

  • https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/32345579/

“Clinical characteristics and outcomes of patients with severe covid-19 with diabetes”

  • https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/32369736/

“Association of Blood Glucose Control and Outcomes in Patients with COVID-19 and Pre-existing Type 2 Diabetes”

  • https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/33062712/

Clinical Features of COVID-19 Patients with Diabetes and Secondary Hyperglycemia”

  • https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/32413342/

COVID-19 in diabetic patients: Related risks and specifics of management”

  • https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/33051976/

“Relationship between obesity and severe COVID-19 outcomes in patients with type 2 diabetes: results from the CORONADO study”

 

 

 

 

Il “peso” del DNA nell’obesità

L’obesità è uno dei problemi più rilevanti del mondo occidentale, attribuibile allo stile di vita e non solo.

Basti pensare che in Italia, nel 2015, il 35% della popolazione è in sovrappeso, mentre il 9,8% è obesa. Si tratta di un fenomeno in continua crescita, che non risparmia nessuna fascia di età. I motivi sono vari, ma una scorretta dieta e una vita sedentaria sono i più importanti.

Sono soltanto fattori modificabili a favorire lo sviluppo di sovrappeso e obesità? In realtà altri protagonisti concorrono allo sviluppo di queste condizioni, anche se in passato veniva dato loro un ruolo marginale.

Si è visto, infatti, che molti geni regolano il metabolismo del tessuto adiposo e un corretto controllo del peso corporeo, tra cui FTO e IRX3.

Milioni di mutazioni possono influenzare in diversa misura l’obesità: può bastare soltanto un gene mutato ed è il caso di MC4R, ovvero il recettore della melanocortina. Un suo deficit potrebbe correlare con un’obesità monogenica, cioè dovuta alla mutazione di un solo gene.

Si tratta però di una patologia rara, e più comunemente l’obesità è causata dall’interazione di più geni e l’ambiente (fondamentalmente lo stile di vita).

Ma se i geni hanno un ruolo così importante, è possibile prevedere se un bambino diventerà obeso?

Uno studio pubblicato sulla rivista Cell, condotto dai ricercatori del Broad Institute del Massachusetts Institute of Technology e dell’ Università di Harvard, ha cercato di dimostrare proprio questo, studiando circa 2.1 milioni di variazioni poligeniche in più di 300.000 individui.

I dati sono stati ricavati dal più grande studio sull’obesità, pubblicato nel 2015 sulla rivista Nature. I soggetti sono stati stratificati in base al loro BMI (Body Mass Index) assegnando un punteggio definito GPS (Genome-wide Polygenic Score) che raggruppa tutti i possibili fattori di rischio ereditabili.

Lo score si basa sulla frequenza di determinate mutazioni genetiche: più sono presenti più il GPS aumenta, correlandosi ad un maggiore BMI.

Relazione tra GPS e BMI medio (A), peso espresso in kg (B), percentuale di obesità grave (C)

Si tratterebbe, quindi, di un vero e proprio test in grado di predire, già alla nascita, il rischio di diventare obesi.

Il Polygenic Score è direttamente collegato alla probabilità di sviluppare un’obesità grave (BMI>40).

Nonostante diversi valori nel GPS non correlino con significative differenze di peso nei primi mesi di vita, queste vengono a palesarsi durante l’infanzia. Infatti, ragazzi con un punteggio molto alto pesano mediamente 12 kg in più rispetto ad un soggetto con GPS basso.

Differenze nel peso in base all’età e rischio correlato.

È stato dimostrato anche che, soggetti con Polygenic Score elevato hanno una probabilità di diventare obesi molto simile a soggetti con mutazione del recettore della Melanocortina.

Se si parla di obesità, però, dobbiamo parlare anche di tutto ciò che circonda questa patologia. Infatti, sovrappeso e soprattutto obesità sono un fattore di rischio per numerose affezioni, tra cui eventi cardiovascolari e ipertensione arteriosa, insulinoresistenza e diabete, alterazioni nel metabolismo dei lipidi… che se presenti contemporaneamente caratterizzano quella che viene definita come sindrome metabolica.

Dato che questo test può predire la possibilità di diventare obesi, indirettamente potrebbe predire anche il rischio cardiometabolico e la mortalità. Infatti, un alto GPS è associato ad un rischio elevsdi sviluppare diabete mellito, patologie coronariche e scompenso cardiaco. La mortalità aumenta del 19%.

La grande novità dello studio sta nella possibilità di individuare precocemente soggetti con numerosi fattori di rischio ed optare per scelte terapeutiche mirate.

Nonostante si tratti di un test molto affidabile, è possibile che alcuni soggetti con uno score elevato abbiano un BMI ottimale. Come si spiega?

Ciò è causato da una proprietà dei geni in questione, ovvero la penetranza incompleta. Nonostante la presenza di più mutazioni, queste rimangono silenti e il soggetto, quindi, non manifesterà alcuna patologia.

Abbiamo ammesso, dunque, l’importanza che hanno dei fattori intrinseci come i geni nello sviluppo di obesità e sovrappeso; ma questo non deve di certo escludere una vita sana e una prevenzione adeguata nei soggetti a rischio. Infatti, adottando una dieta corretta e svolgendo una regolare attività fisica, è possibile tenere il rischio cardiometabolico pari a quello di un soggetto con un GPS basso.

Carlo Giuffrida

 

 

Bibliografia:

Polygenic Prediction of Weight and Obesity Trajectories from Birth to Adulthood. Khera et al., 2019, Cell.

https://doi.org/10.1016/j.cell.2019.03.028

Genetic studies of body mass index yield new insights for obesity biology. Locke et al., 2015 , Nature.

https://www.nature.com/articles/nature14177

Un semplice oggetto per passare gli esami

Schermata 2016-05-04 alle 13.12.38E’ giunto, dopo le varie scampagnate di pasquetta, festa della liberazione e dei lavoratori, è arrivato il momento di ritornare sui libri per cercare di superare al meglio gli esami. Ed è quindi arrivato il momento dei mal di schiena, dello stress dovuto alla lettura e dell’eccessivo nervosismo causato dal caffè, red-bull… e caffè mischiato con red-bull.

Ma se vi dicessi che esiste un oggetto che vi aiuterà non solo ad accelerare i ritmi dello studio, ma anche a ridurre tutti i problemi citati sopra? L’oggetto in questione è una semplice scrivania, già proprio così, ovviamente diversa da quelle tradizionali, poiché è una standing-desk, o se vogliamo tradurla in italiano, una scrivania rialzata.

Questa invenzione non poteva che essere principalmente usata dal popolo dei più famosi produttori di scrivanie, ossia gli svedesi (in primis), seguiti dai norvegesi e finlandesi.Come si è accennato precedentemente, questa scrivania permette di studiare in piedi, prevenendo dolori fisici ed eventuali rischi dovuti alla sedentarietà (come l’obesità o il diabete) e diminuendo lo stress e la fatica durante lo studio.

Inoltre, a differenza d
i quelle usuali, questa scrivania è portatile e non molto ingombrante, perciò può essere posizionata secondo le proprie preferenze.

Schermata 2016-05-04 alle 13.18.35Ma quanto costa una standing-desk ? (lo scrivo in inglese perché fa più figo). Beh come tutte le cose bisog
na  dare uno sguardo al rapporto qualità prezzo; infatti quelle migliori possono costare fino a 400 €, mentre quelle più economiche anche 25/30 € (ma ci sarà senza dubbio un motivo no?).C’è da notare però che il cambiamento che si effettua dalla posizione seduta e quella alzata, deve essere graduale, infatti proprio come afferma Josephine Chau, responsabile dello studio riguardo l’utilizzo della standig-desk, effettuato insieme ai ricercatori dell’Università di Sydney : “E’ come iniziare un nuovo programma di esercizi, il corpo si deve abituare, non si va dal correre zero chilometri a 42 chilometri da un giorno all’altro”.

Comunque vorrei farvi notare che già precedentemente personaggi illustri come Winston Churchill, Leonardo Da Vinci e Thomas Jefferson, utilizzavano scrivanie simili alla standing-desk “scandinava”, quindi perché non alzarsi in piedi e provare, male che vada diventi come loro.

Riccardo Figliozzi