DISTURBI D’ANSIA E DEPRESSIONE GIOVANILE: LA 2A DELL’ISTITUTO “ENZO DRAGO” LANCIA L’APPELLO AL MINISTERO PER LE CURE GRATUITE

Sono oltre 19 mila le firme raccolte nell’appello lanciato su change.org dagli alunni della 2A dell’Istituto Comprensivo “Enzo Drago” di Messina. Con questa iniziativa, i ragazzi si rivolgono al Ministero della Salute, chiedendo l’esenzione delle spese mediche per gli adolescenti che soffrono di ansia e depressione.

Nel testo della petizione emerge la preoccupazione degli studenti in merito alla crescente diffusione dei disturbi dell’umore che colpiscono i più giovani. Viene fatto particolare riferimento al periodo pandemico, evento che ha condizionato fortemente la psiche dei ragazzi.

Un nostro compagno – scrivono gli studenti della Enzo Drago – ha deciso di condividere con la classe la storia di una persona a lui cara che soffre di attacchi di panico. Una sera, è stato portato di corsa al Pronto Soccorso dove ha aspettato per più di un’ora e mezza per ricevere, al termine della visita, una semplice terapia.  Alcuni giorni dopo, la sua famiglia ha ricevuto un pagamento di 36 € per la prestazione sanitaria ricevuta. Questa vicenda ci ha aiutato a riflettere come per lo Stato i soldi siano più importanti della nostra salute. Infatti, informandoci a riguardo, abbiamo scoperto che solo chi ha una patologia grave ha l’esonero totale dal pagamento del ticket e delle cure sanitarie.

Una petizione che dunque rivolge un chiaro segnale alle istituzioni: non abbandonare i propri giovani. Ciò che i ragazzi chiedono è un impegno concreto, affinché venga tutelato il diritto alla salute mentale, abbattendo ogni forma di ostacolo economico.

Un problema diffuso tra i giovani

I dati parlano chiaro: è in crescita il numero di adolescenti affetti da disturbi di ansia e depressione. Il rapporto UNICEF “La condizione dell’infanzia nel mondo: Nella mia mente” mostra che il 19 % dei ragazzi europei fra i 15 e i 19 anni soffre di problemi legati alla salute mentale. In totale sarebbero nove milioni i giovani che convivono con un disturbo psicologico. Proprio ansia e depressione rappresentano oltre la metà dei casi. Anche in Italia la situazione è preoccupante: il 49.4 % dei giovani tra i 18 e i 25 anni afferma di aver sofferto di problemi simili. Un’emergenza mondiale quindi, aggravata dal periodo pandemico. Il lockdown ha avuto una forte incidenza sugli adolescenti, aumentando il senso di solitudine e l’insicurezza verso il futuro. Diversi studi evidenziano una stretta correlazione tra comportamenti suicidari e i disturbi dell’umore. Il suicidio è la seconda causa di morte fra i giovani, preceduto soltanto dagli di incidenti stradali. Queste turbe psichiche, se non riconosciute e trattate tempestivamente, possono condurre a una profonda disperazione, l’anticamera del gesto estremo.

Il ruolo delle istituzioni e il tabù da sfatare

Di fronte a questo scenario delicato, è fondamentale garantire ai giovani vicinanza e ascolto. Sia le famiglie che i coetanei si possono rivelare un sostegno importantissimo per chi combatte un malessere interiore. A volte però, il supporto di amici e genitori può non bastare: è indispensabile che i ragazzi vengano aiutati da professionisti, che sappiano fornire loro i giusti strumenti per affrontare il dolore emotivo. Ma spesso gli adolescenti preferiscono isolarsi, poiché i problemi psichici sono accompagnati da un forte senso di vergogna. Parlare di argomenti come ansia, depressione o pensieri suicidari diviene cruciale per sfatare un tabù che permane ancora oggi. Le istituzioni giocano un ruolo fondamentale in questa vicenda. Occorre finanziare sportelli di supporto psicologico nelle scuole, agevolare i percorsi terapeutici e promuovere campagne di sensibilizzazione. Il messaggio da lanciare è che richiedere aiuto non è segno di debolezza, ma di forza e consapevolezza. Soltanto attraverso un impegno collettivo, che coinvolge famiglie, professionisti e istituzioni, sarà possibile offrire ai giovani un futuro sereno.

 

 

Link per consultare la petizione su Change.org:
https://www.change.org/p/chiediamo-cure-e-ticket-gratuiti-per-la-depressione-adolescenziale 

 

GIOVANNI GENTILE PATTI

Ketamina: non una semplice droga

Qual è la prima cosa che vi viene in mente quando si parla di “ketamina”? Probabilmente una serata in discoteca un pò ”particolare”. Tuttavia la ketamina è una sostanza di sempre più di largo uso anche negli ospedali. No, i medici non hanno alcuna intenzione di “sballare” i propri pazienti, ma la utilizzano nei casi in cui è necessario indurre e mantenere una anestesia, soprattutto in campo traumatologico e pediatrico. Negli ultimi tempi, si sta rivelando anche un ottimo alleato per la cura degli stati depressivi.

Indice dei contenuti

  1. Meccanismo di azione
  2. Storia della ketamina
  3. La ketamina in ambito ospedaliero
  4. Versatilità della ketamina
  5. La ketamina come antidepressivo
  6. La ketamina come droga d’abuso
  7. Principali pericoli
  8. Conclusione

Meccanismo di azione

La ketamina è un farmaco analgesico-dissociativo ed è l’unico composto della famiglia delle arilcicloesilammine (comprendente altre sostanze psicoattive) approvato per uso medico. Per “sostanza dissociativa” si intende un tipo di allucinogeno in grado di provocare uno stato di alterazione mentale simile al fenomeno psicologico della dissociazione, in cui alcuni processi psichici rimangono disconnessi dal restante sistema psicologico dell’individuo. Tra effetti psicoattivi di queste di sostanze si possono includere profonde modificazioni delle percezioni sensoriali e stati simili a trance, sogno, near-death-experience ed estasi.
A livello farmacologico la ketamina espleta la sua azione attraverso il bloccodel N-metil-D-aspartato (NMDA), un recettore dell’acido glutammico presente sulla membrana delle cellule nervose. L’antagonismo del recettore NMDA induce analgesia prevenendo la trasmissione del dolore attraverso i neuroni del midollo spinale ed è proprio questa sua azione che ne ha rivelato anche i potenti effetti contro la depressione.

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Storia della ketamina

La ketamina è stata sintetizzata per la prima volta nel 1962 da Calvin L. Stevens, professore di chimica presso la Wayne State University nonché consulente della Parke-Davis (una sussidiaria della nota compagnia farmaceutica Pfizer). A seguito di promettenti esperimenti preclinici sugli animali, la ketamina è stata testata sull’uomo (i test si svolsero su dei prigionieri) nel 1964. Le ricerche hanno dimostrato che la breve durata d’azione della ketamina e la sua ridotta tossicità la rendevano preferibile come anestetico rispetto alla fenciclidina (PCP).
I ricercatori hanno proposto di chiamare lo stato indotto dall’anestesia da ketamina come “sognante”, ma la definizione non piacque alla Parke-Davis. Mrs. Edward Domino, moglie di uno dei farmacologi che lavoravano alla ketamina, risolse in seguito questo problema terminologico in quanto si accorse della condizione “dissociata” tipica dei pazienti trattati, e propose quindi di chiamare lo stato indotto dalla sostanza come “anestesia dissociativa”. Nel 1970 la FDA la approvò come sicura, ed essa fu utilizzata per la prima volta come anestetico durante la guerra del Vietnam.

La ketamina in ambito ospedaliero

Nonostante oggi la ketamina abbia dimostrato una molteplicità di campi di utilizzo, quello più importante è rimasto, sin dalla sua scoperta, l’impiego come analgesico nella gestione del dolore moderato/grave. In ambito clinico, è utilizzata a dosaggio sub-dissociativo, in quanto permette al farmaco di espletare la sua azione analgesica senza però causare nel paziente quello stato dissociativo che è tipico di più alti dosaggi. Solitamente, il dosaggio sub-dissociativo si aggira intorno agli 0.3 mg pro kg in bolo per via endovenosa. L’emivita della ketamina è di circa 30-40 minuti con un onset (quando somministrata per via endovenosa) di circa 40-50 secondi. Quindi è una sostanza che agisce molto in fretta e permette di gestire il dolore per un tempo piuttosto considerevole.

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Versatilità della ketamina

Nel caso di infusione continua, la ketamina ha dimostrato anche di avere una bassa incidenza a livello emodinamico. Tra l’altro ha l’eccezionale caratteristica di mantenere i riflessi delle vie aeree, riducendo così la necessità dell’eventuale intubazione. Questo è infatti uno dei motivi per cui trova impiego soprattutto in ambito pediatrico. Inoltre, può essere utilizzata anche per via intramuscolare, senza la necessità di ottenere un accesso venoso, condizione non sempre facile soprattutto nei casi emergenziali. L’onset, anche quando iniettata intramuscolo, rimane accettabile e va dai 2 ai 5 minuti con una emivita di 60-70 minuti.

La ketamina come antidepressivo

Gli straordinari effetti della ketamina non finiscono qui. Nei primi anni 2000 si scoprì la sua azione antidepressiva, e la comunità scientifica la definì come uno dei progressi più importanti degli ultimi 50 anni nel trattamento della depressione. Questo farmaco ha infatti acceso l’interesse verso i recettori NMDA come recettori antagonisti per la depressione ed ha radicalmente cambiato la direzione della ricerca e dello sviluppo degli antidepressivi.
Diversi studi hanno evidenziato come la sua infusione intravenosa possa dare buoni risultati nel trattamento della Treatment-resistant depression (TRD), cioè quel tipo di depressione clinica che non risponde in maniera adeguata al trattamento con comuni antidepressivi. Anche se il suo effetto è temporaneo, si è dimostrata un antidepressivo a rapida azione, con un miglioramento delle condizioni del paziente già nelle prime 4 ore dalla somministrazione e raggiungendo un picco entro le 24 ore. Si è anche dimostrato come la ketamina riesca a ridurre la tendenza al suicidio fino a 3 giorni dopo la sua somministrazione.
Nonostante non sia ancora stata approvata ufficialmente come farmaco antidepressivo, uno degli enantiomeri di questa molecola, l’esketamina, è stata approvata in America nella formulazione di uno spray nasale per il trattamento della TRD. Numerosi studi in questo ambito sono ancora in corso, ma i risultati dei primi trials sono promettenti, tant’è che in Canada l’uso della ketamina è già raccomandato come antidepressivo di terza fascia.

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La ketamina come droga d’abuso

Tuttavia a partire dagli anni ’70, poco dopo la sua scoperta, la ketamina è diventata anche una droga d’abuso. Dal momento da sola produce effetti allucinatori brevi (dai 10 minuti fino a qualche ora), essa è di solito assunta insieme ad allucinogeni o amfetamine che ne prolungano la durata. Gli effetti della sua assunzione, sono estremamente variabili e dipendono in larga parte dalla dose, la via di somministrazione e lo stato d’animo di chi la assume. Lo stato indotto può variare da una semplice e leggera condizione di euforia fino ai ben noti stati dissociativi, durante i quali questa droga può esacerbare stati mentali presenti già prima della sua assunzione.

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Principali pericoli

I principali pericoli dell’assunzione “ricreativa” di questa sostanza sono dovuti proprio al suo effetto anestetico. Non percependo il dolore, il soggetto può facilmente procurarsi lesioni senza accorgersene. Ulteriori effetti nocivi includono: ipersalivazione, aumento della pressione sanguigna e della frequenza cardiaca, ipotermia e perdita della memoria a breve termine. Mentre gli effetti di un uso prolungato includono: deficit mnemonici, problemi digestivi e della minzione, nonché può indurre tolleranza, assuefazione e dipendenza.

Conclusione

In conclusione, la ketamina è una sostanza dalle grandi risorse e la ricerca è ancora fortemente concentrata nello studio delle sue molteplici applicazioni. Essa rappresenta un eccellente esempio di come una sostanza apparentemente pericolosa e generalmente considerata nociva, abbia in realtà molti aspetti positivi, se dosata nel modo corretto. Per la ketamina, così come per quasi tutte le sostanze impiegate dalla farmacologia di ieri e di oggi, vale la saggia massima di Paracelso, medico-alchimista del XVI secolo, il quale affermava:

Tutto è veleno: nulla esiste di non velenoso. Solo la dose fa in modo che il veleno non faccia effetto.

Luca Bonafede

 

Fonti:

Fighting Demons: un altro pezzo dell’anima di Juice WRLD

Album ricco di dettagli e collaborazioni valide, con brani  che fanno riflettere seppur slegati tra loro- Voto UVM: 3/5

 

Le volontà di Juice WRLD, nome d’arte di Jarad Anthony Higgins, scomparso nel 2019 a seguito di un’overdose, risultano adempiute dai suoi familiari e collaboratori. Il 10 dicembre è uscito Fighting Demons, il secondo album postumo del rapper.

A differenza del primo album postumo, Legends Never Die, a cui il rapper aveva iniziato a lavorare, Fighting Demons è una raccolta di rime incise nel corso della sua carriera, decollata nel 2018 con il singolo Lucid Dreams. E’ un’analisi lucida fatta da Juice WRLD su se stesso; il rapporto con le droghe e quello con la fama sono i principali temi dell’album.

Fighting Demons

L’album contiene 18 brani con collaborazioni che attirano l’orecchio del grande pubblico internazionale. Spiccano infatti il featuring con Justin Bieber e quello con Suga del gruppo k-pop BTS. Una terza collaborazione lo vede protagonista con Polo G e Trippie Road, altri due nomi di spicco nel panorama rap.

Nell’album sono poi presenti tre tracce “speciali”, le cosiddette speaks. Si tratta di spezzoni tratti da interviste. Nel primo a parlare non è Juice WRLD, ma il rapper di fama internazionale Eminem. Nel secondo è Higgins stesso. Il terzo non è uno spezzone di un’intervista, ma una sorta di free-style.

La cover dell’album “Fighting Demons”. Fonte: Interscope Records

Alcune tracce contenute nell’album

L’8 dicembre 2019, il rapper si trovava su un jet privato partito da L.A. e con destinazione Chicago. A bordo erano presenti armi e droghe, per cui il pilota ha denunciato tutto alle autorità competenti che aspettavano il mezzo all’aeroporto di destinazione. Una volta atterrati, il rapper ha cominciato ad avere delle convulsioni e coloro che erano a bordo hanno subito reso noto agli agenti che Higgins aveva ingerito varie pillole, tra cui presumibilmente Percocet, un antidolorifico a base di ossicodone e paracetamolo. Nonostante il tempestivo trasporto in ospedale, il rapper è deceduto una volta arrivato, all’età di 21 anni.

Juice WRLD ha scritto delle rime proprio riguardo la sostanza che se l’è portato via, il Percocet. In Burn, il brano che apre l’album, Juice canta:

 

Prego Dio per un po’ d’acqua per ingoiare questi Percs

I pray to God for some water to wash down these Percs

 

In realtà l’intero album è costellato dalla presenza continua di droghe, come in Henny e Vicodin. In Already Dead il rapper canta:

 

Sono di nuovo amico con le droghe (yeah)

But I′m friends with the drugs again (yeah)

 

Le droghe però non sono le uniche protagoniste. Sempre in Already Dead, Higgins sottolinea come i fan e la musica siano le uniche cose capaci di tenerlo attaccato alla vita e che lotta con loro e grazie a loro.

Tutti i brani contenuti in Fighting Demons sono tentativi di esorcizzare i demoni di Juice WRLD, per cui sono particolarmente schietti e pregni di dolore. Nonostante la loro bellezza,  risultano però slegati tra loro: hanno in comune il solo fatto di essere rime inedite e mai pubblicate.

Somme finali

Nella sua breve carriera artistica, Juice WRLD si è distinto per aver creato un nuovo stile che mette insieme rap, emo e pop-punk. Ciò che caratterizza la sua produzione è la sincerità giovanile con cui descrive determinate situazioni senza essere artificioso ma sempre genuino.

Higgins dimostrava una particolare sensibilità nel farsi scorrere la vita davanti come se fosse un film. Nel suo specifico caso, succedeva attraverso l’uso di sostanze stupefacenti che hanno portato la sua esistenza di fronte ad un bivio, tra i pensieri suicidi e il desiderio di vivere per sempre attraverso la sua arte.

Juice WRLD durante un’esibizione live. Fonte: adnkronos

Forse è  per questo che è facile apprezzare l’album. Chiunque si può identificare in queste situazioni. Chissà quante volte sarà successo di avere pensieri strani e di voler abbandonare tutto e tutti oppure voler combattere per un qualcosa di superfluo come un voto universitario.

A volte ci perdiamo nei nostri stessi pensieri e questi poi ci inghiottiscono. Alcuni riescono ad uscirne immediatamente, altri ci mettono più tempo e altri ancora non ce la fanno. Juice WRLD ha fatto parte di tutte queste categorie: ha lottato, a volte ne è uscito, altre volte no. Ha combattuto i suoi demoni e li ha esorcizzati con le sue rime. L’album che ci lascia è la prova di questa battaglia.

Sarah Tandurella

 

 

Lo Spirito del Natale: questione di cuore o di cervello anche in pandemia?

Il mese di dicembre, da tutti, viene inevitabilmente associato al Natale: si inizia a percepire un’atmosfera magica, di festa, di gioia, si incontrano i familiari e gli amici e si riscoprono valori importanti quali la solidarietà, la famiglia, la bontà. Se l’atmosfera natalizia di gioia mista a nostalgia è nota, ciò che potrebbe non esserlo è la localizzazione del famoso “Spirito del Natale” nel cervello umano.

Secondo Hougaar (ricercatore in neuroscienze), Lo Spirito del Natale si è diffuso, di generazione in generazione, sotto forma di un “fenomeno” noto da un punto di vista religioso e commerciale, ma non noto da un punto di vista neuro-biologico. A tale scopo, nel 2015, il ricercatore ed i suoi collaboratori condussero uno studio a Copenaghen in cui vennero coinvolti due gruppi:

  • Il primo conteneva 10 soggetti sani residenti a Copenaghen, che festeggiavano ogni anno il Natale,
  • Il secondo 10 soggetti sani, residenti nella stessa zona, che non celebravano le tradizioni natalizie.

L’obiettivo dello studio era l’esatta localizzazione dello Spirito Del Natale a livello corticale e dei meccanismi neuro-biologici coinvolti, motivo per il quale i due gruppi furono sottoposti alla metodica diagnostica della risonanza magnetica funzionale (Functional Magnetic Resonance Imaging, fMRI) mentre osservavano una serie continua di 84 immagini, mostrate per due secondi ciascuna. La serie era strutturata in modo tale da mostrare ad ogni singolo soggetto sei immagini consecutive aventi un tema natalizio, seguite da sei immagini consecutive non aventi un tema natalizio. Ciascun soggetto, inoltre, dopo essere stato sottoposto alla fMRI, veniva sottoposto ad un questionario contente una serie di domande per indagare sulle credenze, sulle tradizioni rispettate e sulle sensazioni avvertite durante il periodo natalizio.

LO SPIRITO DEL NATALE ESISTE DAVVERO NEL CERVELLO?

Lo studio dimostrò che nel gruppo dei soggetti amanti del Natale, secondariamente all’osservazione delle immagini natalizie, si attivavano delle aree cerebrali in modo molto più significativo rispetto al gruppo dei non amanti del Natale. Grazie a questi risultati, il gruppo di Hougaar identificò un network cerebrale del Natale, che corrispondeva a diverse aree cerebrali, quali:

  • Corteccia motoria primaria;
  • Corteccia premotoria sinistra;
  • Lobo destro inferiore;
  • Lobo parietale superiore;
  • Corteccia somatosensoriale primaria.

PERCHÉ QUESTE AREE CEREBRALI SONO COSI’ IMPORTANTI?

Studi precedenti hanno associato tali aree cerebrali alla spiritualità e al riconoscimento facciale delle emozioni.
Urgesi, noto psicologo e ricercatore in neuroscienze, nel 2000 aveva già dimostrato come i lobi parietali destri e sinistri giochino un ruolo fondamentale nell’autotrascendenza, ovvero il tratto di personalità che determina la propensione individuale alla spiritualità; mentre Balconi dimostrò nel 2013 come la corteccia premotoria esplichi un ruolo chiave per esperire emozioni condivise con altri individui, mettendo in atto gli atteggiamenti altrui e riflettendo lo stato emotivo altrui. Infine, Adolphs nel 2000 dimostrò che la corteccia somatosensoriale è indispensabile non solo per il riconoscimento facciale delle emozioni, ma anche per ricavare informazioni sociali in rapporto alle espressioni e ai volti altrui.

IL NATALE E ALTRE RISPOSTE NEURO-ENDOCRINE

Il Natale, se da un lato è la festa gioiosa per eccellenza, dall’altro riflette le abitudini stressanti della società moderna: le attività pre-natalizie innescano una risposta fisiologica nell’organismo con rilascio di adrenalina e cortisolo. Il secondo, l’ormone dello stress, esercita una profonda attività sull‘ippocampo, con successivo decremento della capacità di apprendere e ricordare nuove informazioni. Tuttavia, al di là dell’aspetto prettamente materialistico che potrebbe condurre il soggetto ad eventi stressanti, il Natale è per eccellenza il simbolo della famiglia: la sensazione di “calore” associata a questi momenti è dovuta in parte all’ossitocina, definita da molti studiosi l’ormone dell’istinto materno e dei legami umani.

LA PANDEMIA CI RUBERÀ’ IL NATALE?

il Natale è ormai alle porte, anche se i festeggiamenti saranno differenti rispetto a quelli degli anni passati. Se da un lato è indispensabile evitare un aumento dei contagi, dall’altro bisogna considerare le conseguenze devastati a livello psichiatrico: l’isolamento esacerberà i disturbi di ansia e i disturbi depressivi maggiori, tanto da considerare questo periodo una vera e propria “emergenza psichiatrica“.

Come dimostrato in uno studio condotto su 402 pazienti al San Raffaele di Milano nei mesi scorsi, i pazienti con una precedente diagnosi di patologia psichiatrica sono peggiorati ed il 56% dei partecipanti allo studio ha manifestato almeno uno di questi disturbiin proporzione alla gravità dell’infiammazione durante la patologia:

  • disturbo post-traumatico da stress nel 28% dei casi;
  • depressione nel 31%;
  • ansia nel 42%;
  • insonnia nel 40%;
  • sintomatologia ossessivo-compulsiva nel 20%.

Sono state riscontrate ripercussioni psichiatriche meno gravi nei pazienti ricoverati in ospedale rispetto ai pazienti ambulatoriali. In generale, infatti, le conseguenze psichiatriche da COVID-19 possono essere causate sia dalla risposta immunitaria al virus stesso, sia da fattori di stress psicologico come l’isolamento sociale, la preoccupazione di infettare gli altri e lo stigma.

 COSA CONSIGLIANO GLI ESPERTI?

Secondo molti psichiatri, i festeggiamenti (nel limite delle norme imposte dal governo) sono un fattore prognostico positivo nel contesto della cosiddetta “ansia da pandemia”; anche la programmazione delle vacanze natalizie rappresenta un ponte tangibile tra il presente, incerto ed angosciante, ed il futuro.

Caterina Andaloro

Bibliografia

  • Adolphs, R., Damasio, H., Tranel, D., Cooper, G., Damasio, A.R. (2000). A role for somatosensory cortices in the visual recognition of emotion as revealed by three-dimensional lesion mapping. Journal of Neuroscience, 20 (7), 2683-2690
  • Balconi, M., Bortolotti, A. (2013). The “simulation” of the facial expression of emotions in case of short and long stimulus duration. The effect of pre-motor cortex inhibition by rTMS. Brain and Cognition, 83, 114-120.
  • Hougaard, A., Lindberg, U., Arngrim, N., Larsson, H.B.W., Olesen, J., Amin, F.M., Ashina, M., Haddock, B.T.  (2015). Evidence of a Christmas spirit network in the brain: functional MRI study. TheBMJ, 351:h6266.
  • Urgesi, C., Aglioti, S.M., Skrap, M., Fabbro, F. (2010). The spiritual brain: selective cortical lesions modulate human self-transcendence. Neuron, 65 (3), 309-319

 

Insonnia ai tempi del Covid19: perché accade e come rimediare

Alla data del 10 maggio 2020 a livello mondiale sono stati confermati 3.884.434 casi di COVID-19 e 272.859 morti. A quanto ammonta il “costo sociale” di questo virus? Conoscere la risposta a tale interrogativo è fondamentale per migliorare il nostro benessere psicofisico attuale e futuro.


A chi in questo periodo non è capitato dopo aver dormito poco e male? Il coronavirus può davvero avere impattato negativamente anche sulla salute mentale dei soggetti che si sentivano al sicuro barricati tra le mura domestiche durante il lockdown?

Recenti indagini dimostrano le ripercussioni del COVID-9 sulla salute mentale della popolazione. In Cina dall’analisi di un campione di 1.210 persone sono emersi elevati tassi di depressione e insonnia rispettivamente del 30% e del 17%.

Risultati affini sono quelli relativi al nostro Paese: una ricerca condotta dall’Università Tor Vergata di Roma ha dimostrato che il 37% degli intervistati presenta sintomi da stress post traumatico, il 21% stress, il 20% ansia severa, il 17% depressione, il 7% insonnia.

I soggetti maggiormente esposti sono: i giovani, le donne, i contagiati, le persone che hanno subito un lutto o che hanno dovuto interrompere la loro attività lavorativa a causa del Covid.
Lo studio delle suddette evidenze ha dimostrato che l’insonnia non è un sintomo del Covid-19, tuttavia le condizioni generate dalla particolare circostanza potrebbero provocare difficoltà a lasciarsi rapire dalle forti e dolci braccia di Morfeo.

Diventa così attuale più che mai l’ultimo slogan del World Sleeping Day: “Sonno Migliore, Vita Migliore, Un Pianeta Migliore”.

Il neurologo Hernando Pérez, specialista del Centro de Neurología Avanzada de España, spiega che il sonno ha due principi regolatori: la stanchezza e il ciclo luce-oscurità.

Se si mantiene il corpo attivo durante il giorno, la sera si percepirà una sensazione di stanchezza; contrariamente, il mancato coinvolgimento in varie attività inciderà sul sonno.

Se durante la quarantena ci si sveglierà più tardi si perderanno ore di luce solare essenziali affinché il cervello sappia che tra 12 o 14 ore arriverà il momento di dormire.

L’insonnia influisce negativamente sull’esistenza condizionando l’aspetto cognitivo, fisico e relazionale dell’individuo.

Tra i suoi effetti si annoverano:
– la compromissione del sistema immunitario;
– l’aumento del rischio di diabete e obesità, in quanto la mancanza di sonno altera i livelli di leptina e grelina, ormoni che controllano la sensazione di fame e sazietà;
– disturbi di concentrazione e apprendimento, perché durante il sonno i neuroni memorizzano e consolidano le informazioni apprese durante il giorno;
– la compromissione delle emozioni: possono insorgere sbalzi di umore improvvisi;
– la manifestazione di ansia, paranoia, depressione, irritabilità è dovuta alla deprivazione del sonno nel tempo;
– il maggior rischio di ictus e infarti: dormire male incide anche sulla possibile comparsa di malattie cardiache con pericolose alterazioni del sistema cardiovascolare.

È evidente che il sonno sia di vitale importante per l’intera umanità, pertanto diverse associazioni tra queste l’ Associazione ltaliana di Medicina del Sonno (AIMS) e la Società Spagnola di Neurologia (SEN) si sono occupate dell’emergenza COVID: la prima lanciando un servizio telematico di supporto, la seconda individuando dieci raccomandazioni per un buon sonno ristoratore ai tempi del covid.

Le strategie da adottare sarebbero le seguenti:
– mantenere una routine giornaliera;
– esporsi al sole;
– non preoccuparsi a letto;
– evitare di leggere o svolgere altre attività a letto affinché il cervello sviluppi l’associazione letto-riposo;
– evitare i riposini pomeridiani e nel caso in cui ciò non fosse possibile fare in modo che non superino i trenta minuti;
– non usare tablet o cellulari a letto, perché non solo la luce del display inibisce la secrezione di melatonina (ormone importantissimo per rilassarsi e dormire), anche perché si possono trovare in internet informazioni o messaggi che aumentano i livelli di ansia e incertezza;
– evitare l’esercizio fisico poco prima di andare a dormire;
– provare a rilassarsi prima di andare a letto ascoltando musica, meditando;
– anche  in assenza di impegni lavorativi o di studio non alterare i ritmi sonno-veglia, in quanto correggere il ciclo del sonno non è semplice;
– consultare uno specialista se i problemi di insonnia si protraggono nel tempo.

In conclusione: quando il sonno è profondo, salute e felicità abbondano!

Daniela Cannistrà

Bibliografia:

Coronavirus: How to get to sleep during lockdown, https://www.bbc.com/news/newsbeat-52311643 

Extensive and divergent effects of sleep and wakefulness on brain gene expression, https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/14715133 

Coronavirus: por qué la pandemia de covid-19 nos está afectando el sueño (y cómo puedes prevenirlo), https://www.bbc.com/mundo/noticias-52196490 

#LottaCoronaVirusMondo Verso i 4 mil di contagi I paesi coinvolti sono 208 e quasi 280mila morti (10/05/2020 ore 16.30) , https://www.welfarenetwork.it/lottacoronavirusmondo-verso-i-4-mil-di-contagi-i-paesi-coinvolti-sono-208-e-quasi-280mila-morti-10-05-2020-ore-16-30-20200316/ 

Coronavirus: por qué la pandemia de covid-19 nos está afectando el sueño (y cómo puedes prevenirlo), https://www.bbc.com/mundo/noticias-52196490 

COVID-19 medical staff experience insomnia and higher stress, https://www.medicalnewstoday.com/articles/covid-19-medical-staff-experience-insomnia-and-higher-stress 

Insomnio en niños y adolescentes. Documento de consenso Insomnia in children and adolescents. A consensus document, https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1695403316302090 

Por qué duermes mal y padeces insomnio durante el confinamiento, según dos expertos del sueño, https://www.businessinsider.es/expertos-explican-duermes-mal-tienes-insomnio-confinamiento-623867 

Prevalence of depression, anxiety, and insomnia among healthcare workers during the COVID-19 pandemic: A systematic review and meta-analysis, https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S088915912030845X 

Quarantena e problemi di insonnia? Il sostegno dell’Associazione Italiana di Medicina del Sonno, https://magazine.unibo.it/archivio/2020/04/07/quarantena-e-problemi-di-sonno-il-sostegno-dellassociazione-italiana-di-medicina-del-sonno   

Sleep Guidelines During the COVID-19 Pandemic, https://www.sleepfoundation.org/sleep-guidelines-covid-19-isolation   

(Video) Coronavirus e insomnio: ¿por qué dormimos mal?, https://www.nacion.com/ciencia/salud/video-coronavirus-e-insomnio-por-que-dormimos/654b6dda-a6b0-48c7-9896-9d8f8fbb9ef8/video/   

Why it’s important to get a good night’s sleep during the coronavirus outbreak, https://www.uchicagomedicine.org/forefront/coronavirus-disease-covid-19/advice-for-sleeping-well-during-the-covid-19-outbreak

Modafinil, la smart drug degli studenti universitari

Chi non ha mai desiderato di non sentire la fatica?
Rimanere sveglio e concentrato sui libri è il sogno segreto di ogni studente, soprattutto in questo mondo frenetico che richiede standard di qualità sempre più alti.
Tutti in corso, tutti con la media del trenta, senza tener conto delle difficoltà che i ragazzi incontrano nella vita di tutti i giorni.
Senza tener conto dei loro sentimenti.
I nostri giovani sono stressati, alla disperata ricerca di quella voglia di studiare, di quella scintilla che però sembra non arrivare mai.
E se esistesse un farmaco capace di aumentare le capacità cognitive?

Il Modafinil

Modafinil è il nome di un farmaco promotore della veglia, utilizzato nel trattamento di sonnolenza diurna e narcolessia.
Aumenta lo stato di veglia, le prestazioni lavorative e la creatività, in modo simile alla caffeina, ma con un meccanismo diverso.
Tuttavia il Modafinil non può compensare la perdita di sonno e i suoi effetti debilitanti sul fisico.
Nei soggetti con sclerosi multipla può anche agire sul tono dell’umore, migliorandolo.
A seconda della dose può durare in media dalle 4 alle 8 ore.
Uno studio del 2015 dimostrava che tale farmaco migliora l’apprendimento nelle attività complesse senza troppi effetti collaterali.
Aumenta inoltre la plasticità del pensiero e la capacità del soggetto di associare concetti diversi.

E rispetto ad altri farmaci?

Sembra che il Modafinil presenti un profilo di sicurezza più alto rispetto ad altre molecole, come l’Adderall.
Quest’ultimo è utilizzato nel trattamento dell’ADHD e secondo i dati raccolti non solo è meno efficace, ma dà anche molti più effetti indesiderati oltre al rischio di assuefazione.
Anche rispetto ad altri componenti della stessa famiglia, come l’Adrafinil, il più “vecchio” tra questi, il Modafinil ha delle prestazioni migliori.

Consigli sull’assunzione

Essendo un neurostimolante, il farmaco può dare tolleranza, cioè una riduzione dell’efficacia in seguito ad assunzione giornaliera.
Si raccomanda quindi di assumerlo non più di tre volte a settimana e di non superare i 200 mg, per evitare ripercussioni sulla salute. Meglio non fare la fine di Icaro!
Bisogna tenere a mente che si parla comunque di farmaci che agiscono sul sistema nervoso, il cui delicato equilibrio deve essere rispettato.

È possibile acquistarlo?

In Italia è necessaria la ricetta per poter acquistare il Modafinil.
La maggior parte di coloro che ne fanno uso, però, lo acquista online da aziende europee, aggirando di fatto questa legge.
Ci sono anche dei composti alternativi, legali nel nostro paese, con azione simile ma meno efficaci (Fladrafinil e Adrafinil) che possono essere delle valide alternative.
In ogni caso, l’utilizzo del Modafinil si sta espandendo sempre di più sia tra gli studenti che tra i lavoratori e questo trend continuerà verosimilmente ad aumentare.
Si spera dunque che con il crescere dei numeri non ci siano casi di effetti avversi negli anni a venire.

                 Maria Elisa Nasso

Sapresti riconoscere la depressione e il bipolarismo e aiutare chi ne soffre?

Se esiste qualcosa che affascina gli uomini è l’incompleta comprensione di certi fenomeni naturali.
Tra questi, il confine tra biologia e psiche, tra anima e corpo, è qualcosa che forse l’uomo non riuscirà mai a comprendere sino in fondo.

Espressione di questo confine sono anche i disturbi dell’umore, vere e proprie malattie psichiatriche che vengono spesso sottovalutate perché non capite. L’incomprensibile non è sempre amato, a volte viene stigmatizzato o banalizzato.

” Sono bipolare perché a volte sono triste, altre nervoso”.

” Tirati su, perché stai sempre a piagnucolare, a lamentarti? Rimboccati le maniche e reagisci!”, frasi spesso ripetute da familiari e amici a chi soffre di depressione.

Frasi figlie di un’epoca che ignora il substrato biochimico e neurobiologico di certe patologie, con la conseguente incapacità di aiutare e sostenere chi si trova in queste situazioni, per mancanza di strumenti di conoscenza adeguati.

E’ stata dimostrata l’esistenza di un’alterazione di neurotrasmettitori e neurobiologica nei pazienti affetti da depressione e da disturbo bipolare.

In particolare, caratteristiche della depressione sono:

Alterazione della serotonina (5HT) implicata nel buon umore e nel piacere.

  • Riduzione della concentrazione nel liquido cefalo-rachidiano dell’acido 5-idrossi-indolacetato, il principale metabolita del 5HT;
  • Deplezione dei siti di legame del trasportatore del 5HT nel mesencefalo e nelle piastrine;
  • Riduzione del L-Triptofano, precursore del 5HT;

Alterazione della Noradrenalina (NA) implicata nell’energia, nella vitalità.

  • Bassi livelli dei metaboliti della NA sono stati trovati nelle urine e nel liquido cefalorachidiano;
  • Lo stress aumenta l’attività della NA nei circuiti cerebrali;
  • Gli inibitori del reuptake della NA hanno azione antidepressiva;

Alterazioni della dopamina (DA) implicata nella motivazione, nella memoria.

  • Riduzione dei metaboliti della DA nel liquido cerebrospinale;
  • Studi di brain imaging e studi post mortem hanno rilevato un aumento del trasportatore della DA e un incremento dei recettori D2/D3 ad indicare una riduzione nella trasmissione DA;
  • Farmaci che incrementano la neurotrasmissione DA hanno azione antidepressiva;

Alterazioni neuroanatomiche e neurofunzionali.

  • Diminuzione del volume corticale e subcorticale tramite studi con risonanza magnetica;
  • Studi post mortem hanno mostrato riduzione del volume ippocampale, della corteccia frontale, del talamo e dei gangli della base;
  • Gli studi effettuati con la PET hanno evidenziato una riduzione della sostanza grigia nell’amigdala, nella corteccia prefrontale e nella corteccia del cingolo. Infatti l’amigdala è coinvolta nella salienza emozionale delle esperienze, l’ippocampo nei processi di memoria e la corteccia prefrontale è la sede delle funzioni esecutive e di autostima.

Alterazioni dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrenale.

Si tratta di strutture aventi un ruolo importante nelle funzioni di base come il sonno, l’appetito e la libido, che mediano anche la risposta agli stress.

Le aree di interesse delle manifestazioni cliniche

Area affettiva-emotiva: l’umore altamente depresso non è modificabile da eventi positivi. Il dolore è un’esperienza soggettiva difficile da comprendere, deriva da un’idea di male presente pervasiva, attuale, immodificabile, nel quale l’unica via d’uscita è l’idea suicidaria per sfuggire.

Rallentamento nella psicomotricità: qualsiasi azione richiede uno sforzo immane. A volte l’unica azione possibile è un pianto continuo e disperato.

Area cognitiva: l’alterazione di quest’area comporta difficoltà di concentrazione, disturbi della memoria, difficoltà ad affrontare la vita quotidiana, il lavoro e tutto ciò porta all’isolamento sociale.

Un depresso non sceglie la sua malattia, non sceglie di rimanere fermo immobile come un vegetale nel letto bloccato a piangere, perché è poco intelligente, perché ha poco carattere. I suoi sensi di colpa aumentano quando gli si dice: “Forza alzati! Reagisci!”

Finiscono per essere lasciati dalla moglie, dal marito, abbandonati dagli amici. Chi vuole star accanto ad una persona che piange sempre?

C’è una paralisi della mente, non si può motivare chi biologicamente non ce la fa. In questo tunnel buio si è completamente soli, incompresi dalla società.

Il bipolarismo è un sistema più complesso. Il soggetto oscilla da un umore basso ad un umore alto, che può salire vertiginosamente in breve tempo. Vira da periodi di depressione ripetuti ad episodi ipomaniacali e maniacali.

In fase ipomaniacale il soggetto sperimenta l’euforia, la gioia di vivere, l’entusiasmo, l’aumento di energia o dell’attività finalizzata, il diminuito bisogno di sonno, per poi arrivare alla fase maniacale dove le idee sono troppo veloci, si ha un autostima grandiosa, idee di onnipotenza, coinvolgimento in attività che hanno alto rischio, oppure un umore disforico caratterizzato da grande aggressività, maggiore loquacità, discorsi sconnessi, che può degenerare fino al delirio.

E’ come essere in una giostra continua di alti e bassi, come essere sulle montagne russe: salire su, per poi toccare il fondo e sperimentare il vuoto e l’anedonia.
I soggetti bipolari presentano un rischio molto più alto di suicidio.

Eppure molti personaggi bipolari non sono tanto lontano da noi, a volte si nascondono per vergogna, altri hanno scritto la storia. Ad esempio in ambito politico erano bipolari Winston Churchill, Napoleone Bonaparte, ma anche Silvio Berlusconi e Francesco Cossiga, più vicini ai nostri tempi, o in ambito letterario e filosofico Charles Baudelaire, Virginia Woolf, Carl Gustave Jung.

Francesco Cossiga

 

Silvio Berlusconi

In ambito umanitario invece Gandhi o Martin Luther King, o personaggi famosi, come cantanti o calciatori, dai quali ci si aspetterebbe una vita felice grazie al loro successo e alla loro popolarità, in realtà hanno sofferto del disturbo della depressione.

Probabilmente, però, senza questo aspetto della loro vita, questi personaggi avrebbero perso un pezzo di tessuto in loro che li ha arricchiti.

Tutto ciò non nega il caro prezzo che hanno dovuto pagare, un dolore immenso perché come scriveva Goethe descrivendo la sua depressione:

Quando siamo derubati di noi stessi, siamo derubati da tutto. Le mie forze creative sono state ridotte a un’irrequieta indolenza. Non ho fantasia, nessun sentimento per la natura e leggere mi è diventato ripugnante.”

Forse bisognerebbe conoscere meglio certe patologie, per amare ed aiutare veramente chi non ha un “io” molto forte per uscirne fuori.

Ma come aiutare una persona affetta da depressione?

  • Non dirle “Forza, reagisci!”.
  • Spronarla a uscire di casa.
  • Evitare l’isolamento sociale.
  • Evitare che abbandoni il lavoro per la sua malattia.
  • Farle conoscere gente nuova.
  • Risvegliare passioni abbandonate e stimolare passioni nuove.
  • Farle praticare sport, il più potente antidepressivo naturale.
  • Consigliarle un consulto medico da uno specialista.

Per aiutare una persona bipolare bisogna:

  • Farle prendere coscienza e adeguata conoscenza della sua malattia.
  • Raccontarle biografie di persone che hanno condotto una vita brillante con il loro stesso disturbo: la diversità può essere fonte di grande ricchezza.
  • Spiegarle che non ha nulla di cui vergognarsi dei gesti compiuti in fase maniacale.
  • Farle comprendere che con un’adeguata cura farmacologica che tiene costantemente in equilibrio l’umore, può evitare gli up e down.
  • Evitare di alterare il ritmo sonno-veglia (dormire almeno 8 ore al giorno).

                                                                                              Daniela Cannistrà

 

Studiare medicina: sogno o incubo? La depressione tra gli studenti

Fin dai tempi antichi lo studio della medicina ha sempre affascinato l’uomo.
Chi riusciva a comprendere il complesso meccanismo del corpo umano era osannato e paragonato quasi a un dio, intoccabile e indiscusso.
Oggi la figura del medico, pur ridimensionata, è ancora importante dal punto di vista sociale.
Non stupisce, dunque, che siano in molti covare il desiderio di poter vestire un giorno il camice bianco.
Sia per un riscatto sociale che la professione sembra poter dare, sia per una effettiva passione per queste materie così affascinanti.
A volte però il sogno di una vita può trasformarsi in un vero e proprio incubo. Orari massacranti, privazioni, rinunce ai propri hobby per non restare indietro con gli esami e lo stress accumulato dallo studio per superare i test di ingresso creano un cocktail esplosivo. Tutto ciò nuoce alla salute mentale di molti ragazzi e anche i più appassionati possono ritrovarsi in un limbo: bloccati tra l’amore per ciò che studiano è l’ansia per una meta che sembra non arrivare mai.

Cosa dicono gli esperti

Uno studio che ha coinvolto varie università americane mostra risultati allarmanti.
L’obiettivo era stimare la percentuale di studenti che manifestavano una sindrome depressiva o intenzioni di suicidio tramite questionari e interviste.
Gli studiosi hanno preso in considerazione studenti di medicina provenienti da ben 43 Paesi diversi.
Il 27,2% di questi studenti presentava sintomi depressivi, che sono rimasti invariati durante il periodo degli studi (quindi sia durante i primi anni che negli anni successivi, quelli in cui si studiano materie prettamente cliniche e, magari, più stimolanti).
Per quanto riguarda invece il pensiero ricorrente al suicidio, si attestava all’11 % con 24 Paesi partecipanti.
Inoltre fu dimostrato che chi presentava depressione durante gli anni dell’università tendeva a portare dietro questi segni anche una volta conseguita la laurea, con gravi ripercussioni sulla produttività lavorativa.

La pressione sociale

I giovani si trovano dunque stretti in una morsa: da una parte le aspettative della famiglia e della società, dall’altra il senso di inadeguatezza nei confronti dei colleghi.
La competizione gioca un ruolo fondamentale, e lo studente può arrivare anche a compiere gesti estremi, sotto il peso delle materie accumulate.
Molto spesso si sentono infatti notizie di ragazzi che si tolgono la vita perché non riescono ad affrontare le difficoltà universitarie.


In questo mondo che è sempre di corsa, alcuni non trovano spazio per dedicarsi alla salute mentale, che viene trascurata a lungo.
Altre motivazioni a questa alta prevalenza della depressione negli studenti di medicina potrebbero essere i frequenti contatti con la malattia e la morte, che raramente lasciano indifferente chi è alle prime armi.

Una possibile soluzione

È importante riconoscere al più presto le avvisaglie della depressione e intervenire con delle sedute di psicoterapia, mirate a individuarne la causa.
Anche la sensibilizzazione dei giovani sull’approccio a questa patologia potrebbe essere un ottimo punto di inizio per sradicare il problema.
Tuttavia il primo ostacolo da abbattere è senza dubbio il pregiudizio.
I taboo che ancora girano intorno a chi soffre di questa malattia pregiudicano l’adesione a qualunque tipo di trattamento, con risvolti a volte tragici.
Si spera quindi che un giorno tali barriere possano essere abbattute, per migliorare la permanenza dei giovani all’università.

Maria Elisa Nasso

Insonnia e depressione: la doppia faccia della tecnologia

Che la nostra quotidianità sia ormai pervasa da strumenti elettronici è un dato di fatto.
Negli ultimi anni la digitalizzazione è entrata nelle case di tutti i cittadini, volenti o nolenti, con effetti a volte non sempre benefici.
Siamo connessi, giorno e notte con gli occhi incollati a degli schermi luminosi, incuranti o inconsapevoli del danno che questo spasmodico uso della tecnologia può causare alla nostra salute.
Secondo vari studi svolti dalla National Sleep Foundation, la maggior parte degli americani fa largo uso di dispositivi elettronici prima di andare a dormire, in alcuni casi, paradossalmente, per conciliare il sonno.
Questo, a lungo andare, mina gli equilibri del ritmo sonno-veglia sia a livello fisiologico che psicologico.

 Uno sguardo alla fisiologia

Secondo gli studi, la luce blu artificiale (a bassa lunghezza d’onda) emessa dagli apparecchi, inibisce il rilascio della melatonina, l’ormone fondamentale per la regolazione dell’orologio biologico dell’individuo e senza la quale è inficiata la qualità del sonno.
Inoltre osservare uno schermo instaura un meccanismo di allerta e ritarda l’insorgenza del sonno REM, questo a lungo termine comporta un accumulo di stanchezza cronica che si riflette sulle capacità relazionali.
È chiaro che non tutti siano influenzati in egual misura, ma che ci siano molte variabili in gioco, come i livelli di stress individuali e la predisposizione del soggetto a entrare in stati ansiosi che incidono sul sonno.

Le nuove generazioni

Purtroppo, a pagare il prezzo del progresso sono i più giovani, per i quali a volte lo smartphone o il computer è l’unico mezzo per sfuggire a una realtà ogni giorno più dura.
Cresciuti in quest’epoca di incertezze e basse aspettative per il futuro, è quasi naturale siano più suscettibili di altri a sviluppare patologie psichiatriche.
Dietro il frenetico gesto di aggiornare la pagina home di un social network o di controllare i messaggi, si nasconde un disagio ben più profondo. Il telefono diventa un ancora di salvezza e lo schermo un faro per illuminare l’oscurità di una stanza troppo stretta.
Come accennato, alcuni tentano di addormentarsi con la compagnia magari di un video o un film, ignari che quella luce sia il peggior nemico del loro riposo.

Dati preoccupanti

Le indagini effettuate dipingono un quadro tutt’altro che roseo: sottrarre il cellulare a un soggetto, può causare degli episodi di astinenza, anche molto gravi.
Sudorazioni, vertigini, stato d’ansia crescente e spesso aggressività, sono tutti sintomi che nell’immaginario comune vengono associati all’uso di sostanze stupefacenti e che possono essere ritrovati in queste situazioni.
Sembra proprio che l’eccessivo utilizzo della tecnologia possa essere classificato come un tipo di dipendenza vera e propria.
Tuttavia, è probabile che i dispositivi elettronici siano semplicemente un fattore scatenante per una condizione preesistente nell’individuo e non la vera e propria causa del disturbo.

I rimedi

Come è facile immaginare, smettere di utilizzare il telefono da due ore a trenta minuti prima di andare a dormire migliora considerevolmente la qualità del sonno.
Svolgere attività che non prevedano la presenza di luce artificiale, come leggere un libro per esempio, consentono al soggetto di addormentarsi più facilmente.
Purtroppo molti pensano di riuscire a “disintossicarsi” da questa droga informatica, tuttavia sarebbe più opportuno ricercare un aiuto professionale per il proprio disturbo, nonostante oggi ci sia ancora molta ignoranza riguardo quella che è una vera e propria malattia.

Maria Elisa Nasso