Del Toro dona la vita a Pinocchio

Un film eccezionale che rinarra Collodi attraverso la psiche di Del Toro – Voto UVM: 4/5

 

Del Toro ci regala un altro grande pezzo di cinematografia col suo Pinocchio. Non si tratta di una semplice trasposizione del classico di Collodi, bensì – come vedremo – di un totale rifacimento della storia.

Il regista dei recenti Nightmare Alley e de La forma dell’acqua ci regala un racconto molto più crudo di quello a cui ormai siamo abituati, anche per via delle libertà che la Disney si prese decenni fa nel suo film. Ed in questo è un film di Del Toro in tutto e per tutto: per sua stessa ammissione, infatti, la pellicola non si è limitata ad un semplice riadattamento ma a narrare una storia profondamente diversa che risonasse con l’intimo del regista.

                                                                                                 

Burattini che prendono vita

Ciò che più di ogni altra cosa in questo film traspare è la crudezza. Ogni personaggio riesce ad esprimere una varietà di emozioni enorme, soprattutto per un film in stop-motion.

Uno degli aspetti più interessanti da analizzare è proprio questo: riuscire a trasmettere la stessa mimica di un attore tramite un “burattino” da manovrare fotogramma per fotogramma è un’impresa quasi impossibile, e questo film riesce ad essere uno degli esempi migliori sotto quest’aspetto.

Pinocchio sullo sfondo di un paesino sulle montagne liguri. Frame dal trailer di “Pinocchio di Guillermo Del Toro”. Fonte: Netflix

La pellicola è stata girata con in mente l’imprecisione: sia quella dei movimenti umani sia quella di un’animazione “fatta a mano”. Ogni personaggio ha qualche imperfezione che lo caratterizza, ma che soprattutto riesce a spiccare sullo schermo. Gli occhi sono forse la parte che risalta di più in questa animazione ed è qui che il legame col live action si sente maggiormente. Il regista ha trasposto la sua esperienza con gli attori in questo nuovo lavoro, portando ad un nuovo estremo le possibilità della stop-motion.

Geppetto. Frame dal trailer di “Pinocchio di Guillermo Del Toro”. Fonte: Netflix

Anche la regia risulta ben studiata e chiarissima nell’esposizione. Il film trasuda da ogni frame il famoso stile di Del Toro, cupo ma colorato. Se consideriamo la tecnica utilizzata, il numero e la varietà di inquadrature risultano ancora più strabiliante. La camera inquadra benissimo ogni personaggio e i set sono costruiti ad hoc per permettere ciò, con un realismo ed una cura maniacale.

Il nuovo Pinocchio

La trama è forse l’elemento più controverso del film. Ricorda molto le altre produzioni di Del Toro con una grande enfasi sull’onirico nella prima parte e un ritorno al reale verso metà della pellicola. È una cifra stilistica che torna anche qui, arricchendo la storia di Collodi di un sottotesto storico e politico. Ciò si ricollega in maniera perfetta alla metafora narrativa generale della trama: il legame tra la vita e la morte ed il nostro vivere nella coscienza di entrambe.
In questo modifica anche parecchio la storia originale – come già detto – ma il tutto risulta una narrazione interessante. La nascita di Pinocchio deve tutto al mostro di Frankestein: Geppetto è un falegname poverissimo caduto nell’alcol e interi personaggi vengono eliminati ( Fata Turchina, Mangiafuoco), altri vengono aggiunti. Il tutto risulta all’inizio straniante, ma ci si abitua presto a vedere sotto una nuova luce questa storia, che Del Toro è riuscito a fare sua in tutto e per tutto, modernizzando anche aspetti del romanzo che oggi avrebbero stonato con la nostra coscienza moderna.

Volpe, il nuovo proprietario del circo, a destra il Mangiafuoco “scartato”. Frame dal trailer di “Pinocchio di Guillermo Del Toro”. Fonte: Netflix

Le uniche recriminazioni che facciamo alla pellicola sono da imputare alla parte finale. Alcune scelte sembrano derivate da una fretta produttiva che elimina per parte del film alcuni dei personaggi più interessanti, mentre altri su cui riponevamo aspettative vengono lasciati in secondo piano.

Tutte le dinamiche delle scene finali non ci sono sembrate convincenti assieme all’utilizzo di una computer grafica scadente.

Conclusioni

Detto questo, il film risulta essere forse la cosa più lontana in tutto e per tutto dal romanzo originale, ma che in esso affonda le radici del suo spirito. Uno spirito che traspare anche dai vicoli dei vecchi paesini italiani, dalla loro povertà e dai loro modi di fare.

È una storia che parla di morte e del saper vivere assieme e che lo fa con un tatto che solo Del Toro sa trasmettere.

 

Matteo Mangano

Del Toro’s Cabinet of curiosities: un’occasione sprecata

“Cabinet of curiosities” raccoglie parecchi talenti mal gestiti dalla produzione. Il prodotto finale risulta essere alquanto scadente. Voto UVM: 1/5

 

La serie antologica di Del Toro uscita su Netflix il 25 Ottobre offre allo spettatore un Horror, che cerca di svecchiare storie classiche, tra le quali si trovano molti adattamenti da famosi racconti di fantascienza. Non riesce però a nostro avviso a soddisfare nemmeno parzialmente le aspettative, create nel pubblico dal nome di Del Toro già regista di ”Il labirinto del fauno”, ”La forma dell’acqua” e del recente ”Nightmare Alley” (da noi già recensito).

Si tratta a nostro avviso di un prodotto molto raffazzonato, vittima, come molte altre produzioni, della sindrome di Netflix: produrre produrre produrre a scapito della rifinitura… ma andiamo nel dettaglio!

Tentacoli e membra

Il contenuto chiave della serie è quello horrorifico: creature tentacolari, demoniache e bestiali, alcune riuscite meglio di altre, altre che invece ci hanno sorpreso solo per la loro povera messa in scena.

L’effettistica è sicuramente il tratto distintivo della produzione e sebbene l’impegno nel portare sullo schermo qualcosa che sorprenda lo spettatore ci sia stato, il risultato finale è alla meglio banale se non a tratti ridicolo: mettere i pantaloni di carne ai mostri o usare dei pupazzoni inermi non ci è sembrata una buona mossa insomma.

Dal trailer di “Cabinet of curiosities”. Fonte: Netflix

Ci sentiamo di dire che nonostante i creatori dell’effettistica avessero buone idee, forse queste non si sono davvero realizzate. Crediamo che parte di ciò sia dovuto alla cattiva gestione del budget da parte della produzione. È evidente (e lo continueremo a dire!) che la produzione di questa serie sia mal gestita e non mostri coesione tra sceneggiatura, regia, prove attoriali e grandi nomi presenti nel cast.

Sceneggiatori intelligenti che non si applicano: dov’è del Toro?

Trattandosi di un’antologia, le storie sono collegate tra loro dalla tematica “horror”, ma anche dall’insensatezza della trama e del comportamento della maggior parte dei personaggi. Plot twist casuali e situazioni al limite (se non oltre) del ridicolo ci hanno fatto – quasi – perdere la voglia di continuare la visione.

A volte si scade nel più becero politically correct, giustificando le azioni di protagonisti squilibrati, instabili e dannosi verso il prossimo. Spesso i protagonisti stessi ci vengono presentati come soggetti dalla mente instabile, ma il fatto che ogni personaggio riesca ad avere le stesse visioni di bestie e demoni, non rende davvero l’aspetto ansiogeno tipico dell’horror.

Insomma non riesce nemmeno a mirare minimamente gli obiettivi per i quali Del Toro ha assunto questo incarico e per il quale era diventato famoso. La sua presenza infatti non è pervenuta!

Performance caotiche e attori sbandati

Le performance attoriali e la regia vengono, anche queste come detto, minate da una produzione sconclusionata: le idee non sono state ben delineate dai vari registi e questo ha comportato delle prove attoriali caricaturali e “fumettistiche”. Smorfie e monoespressività si ripresentano in tutti gli episodi in maniera omogenea.  Sembra che tutto sia ricaduto addosso ad attori e registi dall’alto, tramite direttive che hanno imposto, grossolanamente, storie che, nonostante le idee, ripropongono una visione vuota e ritrita del genere.

Molte inquadrature rimangono ad un livello amatoriale e spesso molte scene presentano incongruenze grafiche molto pesanti che distolgono l’attenzione e suscitano ilarità – dove si dovrebbe invece provare inquietudine.

Dal trailer di “Cabinet of curiosities”. Fonte: Netflix

Raccogliamo i pezzi

Concludiamo allora dicendo che: la qualità complessiva è mediocre e spesso scende anche al di sotto della stessa mediocrità.

Non ci sentiamo di dare che pochi elogi a questa antologia e tra questi elenchiamo il design dei mostri e l’incipit di ogni puntata che mostra un’ispirazione assente nello sviluppo della storia. Di episodi dignitosi ce ne sono davvero pochi e anche quelli rimangono impressi per pochi dettagli scenici. Il salvabile non giustifica la visione e non ci sentiamo di consigliarla al pubblico verso cui è stata indirizzata. Quel pubblico era stato infatti chiamato alla visione per due motivi: da un lato il nome di Del Toro, non pervenuto all’interno degli episodi, e dall’altro quello di Lovecraft.

Usare il suo nome per farsi campagna pubblicitaria ingannevole mettendo solo i titoli dei suoi racconti senza adattare una virgola dei suoi testi non ci è sembrata una tattica onesta. Anzi proprio per le attese che questo nome ci suggeriva, siamo stati molto più annoiati e delusi dalla visione.

Salvatore Donato, Matteo Mangano